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Autore: Blackmore Di Blackmore    06/01/2017    0 recensioni
[Miss Peregrine - La casa dei Bambini Speciali]
[Miss Peregrine la casa dei bambini speciali]
Dal film noi sappiamo che Jacob ha raggiunto i ragazzi, dopo la sconfitta dei Vacui, e poi?
E se dopo la riunione Miss Peregrine avesse deciso di non creare subito un nuovo anello temporale, ma anzi, di far conoscere il mondo degli anni quaranta a i suoi giovani ragazzi, lasciandoli così crescere un poco, prima di rinchiuderli nuovamente al sicuro.
Mettiamo il caso che una giovane Speciale si sia persa, trovata senza una casa, e che casualmente capitasse nella vita dei nostri protagonisti.
E se, in fine, in realtà i nemici non fossero finiti, se alcuni Speciali si fossero alleati con i Vacui per girare le regole del nostro mondo e governare?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eva era nata nel 1946, suo padre era uno dei giovani soldati chiamati alle armi per la seconda guerra mondiale, si era beccato due pallottole in una spalla e congedato con onore, sua madre era una bella donna con i capelli rossi e gli occhi dolci che le cantava le ninnenanne prima di metterla a letto. Si erano incontrati a New York nel ottobre del ’45 ed era stato amore a prima vista tra i due. La bimba non aveva mai conosciuto i genitori della madre, e i pochi racconti dei nonni materni erano sconnessi e contradditori, la donna parlava solo di una zia lontana che la aveva cresciuta come figlia sua, amandola come una madre, i genitori di suo padre erano invece due vecchietti buoni e gentili, che le davano le caramelle di nascosto e che la portavano a prendere il gelato. -Cosa fai Eva?- una vocina infantile e dolce la riscosse dai suoi pensieri e le fece spostare lo sguardo sulla bambina che la osservava curiosamente con i due grandi occhi neri fissi su di lei. -Io… stavo pensando Jaqueline. E tu cosa ci fai in questa polverosa soffitta?- chiese la giovane facendo vagare lo sguardo sul luogo dove si era rifugiata in cerca di un poco di pace dai rumori dei suoi coinquilini. Era la vecchia soffitta della casa, malmessa e polverosa, quasi nessuno saliva lì, tranne lei per rifugiarsi e leggere qualche tempo in pace. Trovava l’esuberanza dei suoi compagni splendidamente genuina, ma anche esagerata e imbarazzante delle volte, vivere con quel branco di eterni bambini era difficile da digerire. -Mi prendevano in giro.- borbottò la piccola, aveva tredici anni e un dono difficile da sopportare, la preveggenza. -Ho detto loro che stanno per arrivare i Vacui, ma non mi hanno creduto. “Non arriveranno oggi Jas”. Ma io gli ho detto che arriveranno oggi, non domani o dopodomani.- -Jacqueline, noi viviamo solo nell’oggi.- -Non era quello che intendevo. Arriveranno presto, vedrete, ho ragione io.- sibilò lei voltandole le spalle con marciando fuori dalla stanza con il suo vestitino azzurro e le trecce che le davano l’aria da bambina mai cresciuta. Eva la guardò uscire con un sorriso indulgente in viso, ma le sue parole le avevano messo addosso una certa ansia ed era inutile nasconderlo a se stessa, o cercare di mentirsi. La piccola difficilmente sbagliava quando si trattava di premonizioni, e se lei diceva che i Vacui sarebbero arrivati a breve c’erano ottime probabilità che avvenisse. Silenziosa come un alito di vento scese dalla finestrella su cui si accucciava per spiare l’area che circondava la casa, dirigendosi con passo tranquillo verso lo scantinato. Aprì la porticina che si spalancò su una scala di pietra, che scendeva verso il buio più estremo della casa; lentamente allungò una mano davanti a se e su di essa una piccola fiammella prese a danzare, rischiarando la discesa. Sapeva quanto scivolosi potessero essere quegli scalini così, visto che era obbligata a passare di lì, poggiava i piedi con attenzione chirurgica, per non cadere e rompersi l’osso del collo. Solo quando arrivò nello scantinato e si guardò attorno tirò un sospiro di sollievo e si diresse a passo rapido e sicuro verso un baule in un angolo della stanza, sfilò una piccola chiave d’argento da un buco nel muro e con delicatezza la infilò nella serratura. Il vecchio meccanismo ci mise un istante a scattare e, con un suono secco, la chiave girò su se stessa; fatto ciò Eva afferrò con entrambe le mani il coperchio del baule, cercando di sollevarlo. I cardini arrugginiti parevano non volerne sapere di muoversi eppure dopo qualche, interminabile, secondo cedettero, lasciando che la ragazza aprisse il baule. All’interno armi da fuoco di ogni epoca rilucevano, coperte solo da un leggero velo di polvere e, soprattutto, pronte per essere utilizzate. Evangelin, cresciuta con un padre che era stato soldato non ebbe esitazione, ed afferrò una rivoltella con la canna corta, nascondendola sotto la gonna, legata con uno spago che era stato abbandonato per terra chissà quanto tempo prima. Richiuse con cura il baule, dispiaciuta di non poter prendere null’altro da tenere con se, infilò nuovamente la chiave nella fessura a lei dedicata nel muro e poi, sempre con la fiammella danzante sulla mano, si apprestò a risalire la lunga scalinata che la avrebbe portata dai suoi compagni, giusto in tempo per l’ora del the, a giudicare da quello che diceva il suo orologio. Erano già tutti seduti quando lì raggiunse, le rivolsero un’occhiata curiosa, poi gli indicarono la sua tazza, ricolma di the fino all’orlo ancora fumante. Fece un sorriso mesto ed andò a sedersi sul divano color senape su cui Jacqueline e Kaspar erano già comodamente seduti. Li raggiunse in un silenzio quasi religioso, con il freddo metallo della pistola a contatto con la gamba, e si sedette accanto a loro. -Chiedo perdono per il ritardo.- sibilò con il capo chino -Non importa bambina, vuol dire che stasera laverai tu i piatti.- La ragazza sbuffò. *** Era dieci minuti a mezzanotte quando l’intera abitazione tremò, svegliando tutti di soprassalto. La porta della camera di Eva venne spalancata dall’altra parte Jacqueline, bianca come un cencio e con gli occhi fuori dalle orbite per il terrore la guardava. -I Vacui sono arrivati, Eva, siamo tutti condannati.- sibilò prima di voltarsi e correre via. La giovane realizzò confusamente che forse lei aveva visto nella visione un nascondiglio sicuro, ma in ogni caso non ebbe il tempo di inseguirla, perché la parete della sua stanza venne sfondata da una forza invisibile, che sorreggeva il piccolo Kaspar le cui orbite vuote la guardavano senza vederla; il bambino biondo venne gettato di lato, finendo contro la finestra che venne inevitabilmente sfondata, per farlo finire nel cortile due piani più sotto. Eva, già scattata in piedi all’arrivo di Jacqueline, indietreggiò finché non si trovò schiacciata contro la parete, spaventata allungò una mano e una fiammata si alzò d’innanzi a lei, illuminando il vacuo invisibile e, soprattutto, gettando la sua ombra sul pavimento. La ragazza impugnò la pistola e, sparati un paio di colpi alla cieca, si gettò fuori dalla stanza, in una corsa disperata per non sapeva bene neanche lei dove. La carta parati del corridoio delle stanze era completamente a pezzi, e all’interno di esse si potevano vedere i suoi compagni gettati negli angoli come vecchi giocattoli, marionette a cui erano stati strappati i fili, veniva scrutata da quelle orbite vuote con invidia, sentiva chiedersi “Perché io sono viva e loro no?” quando vide il piccolo Lucas trattenuto a mezzaria, la schiena ricurva e le braccia abbandonate all’indietro prese alzò la pistola e sparò, ci fu il suono di unghie passate sulla lavagna e il bambino cadde a terra, a peso morto. Era già privo di vita. Anche questa volta non rimase lì a piangerne la scomparsa, ma corse come una pazza fino allo scantinato, chiudendocisi dentro, ed andò ad accucciarsi vicino al baule dei fucili, cercando conforto e sicurezza.
   
 
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