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Autore: DARKOS    08/01/2017    1 recensioni
Roxas era ormai al terzo anno della Twilight Town University, l’accademia di prestigio della regione. Ormai un “veterano”, era anche la celebrità del campus: la storia di come avesse trionfato sul Consiglio Studentesco e sull’utopia di Xemnas neanche due anni addietro era ormai leggenda e tramandata a tutte le matricole. E come ogni leggenda, anche paurosamente gonfiata: lo stesso Roxas aveva addirittura sentito una versione secondo la quale lui aveva affrontato da solo tutti i tirapiedi di Xemnas in dieci diverse prove di abilità, per poi battere il capo stesso con eleganti mosse di judo. Non poté trattenersi dal ridere, primo perché lui non conosceva nemmeno il judo, secondo perché di sicuro non aveva fatto tutto da solo: era solo grazie ai suoi amici che se l’erano cavata.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Salve.
Non ho idea qaunti ancora seguano, e a quanti interessi, ma mi sucso comunque se ci ho messo tanto. Un pò sono stati problemi personali, un pò è che non mi ritrovavo più con la mia stessa storia, e mi sembrava di essermi andato a chiudere dove non volevo.
Un errore da principianti, ma è quello che sono. Ma non rimpiango nulla di questa storia, e mi accingo con piacere a presentare gli ultimi capitoli.
Grazie per la comprensione e buona lettura!

Diciottesimo Capitolo

Erano tutti di nuovo nella stanza di Xemnas, dopo quella che era parsa un’eternità. La piccola Skuld si era guardata attorno con curiosità, ma entrati lì aveva rivolto tutta la sua attenzione verso l’alto ragazzo abbronzato, di certo intuendo non fosse una persona ordinaria. E ora si fissavano in silenzio, studiandosi circospetti finché lei fu la prima a rompere il ghiaccio.
“Io ti conosco.”
Xemnas accennò un sorriso. “Memoria fotografica, capacità d’analisi, una determinata faccia tosta… non eri a caso il fiore all’occhiello dell’Istituto. Non t’inganni: ci incontrammo la bellezza di quattro anni fa, quando fecero fare un giro a mia sorella.”
“Giusto! Il tipo degli indovinelli! Mi ricordo perché mi avevi sottoposto certi difficili enigmi per una buona mezz’ora.”
“Mi stavo un po’ annoiando.” Poi Xemnas si rivolse agli altri. “Conobbi anche Ephemera in quella circostanza.”
“Dunque lo conoscevi già!”
“Sì, Roxas. Anche se lui non sospetta io mi ricordi. Vedi, voi non siete i primi coi quali Ephemera ha adottato il sistema di farsi piccolo e insignificante… per lui era quasi una questione di sopravvivenza, immagino… ma io non sarei arrivato dove ero se non fossi capace di vedere dietro certe pantomime.”
“Scusate.” Si intromise Skuld. “Parlate di Ephemera? Lo conoscete?”
“Se lo conosciamo? È un po’ più complicata di così.” Sbottò Terra.
La ragazza abbassò gli occhi e mormorò piano: “Dovevo immaginare una cosa del genere.”
Ventus osservava tutto, come al solito. “Forse è arrivato il momento di raccontare tutto, no? Ma proprio tutto stavolta.”

Xemnas si assicurò che nessuno stesse in ascolto, perquisendo perfino i muri. Soddisfatto, tornò seduto e incrociò le braccia sul piccolo tavolo centrale.
“Allora. Innanzitutto, Skuld dovrebbe già essere a conoscenza delle vicende dei Campionati…”
“So tutto. E dal vostro scambio di battute, capisco anche cosa abbia combinato Ephemera ai vostri danni. Ah, è sempre stato così.”
“Davvero? Poi ce ne parlerai. Dunque, sarà meglio che vi aggiorni su ciò che è accaduto mentre eravate via: la Twilight Town University è stata annessa alla Foretelling.”
“NO!”
“Roxas…” Aqua tentò di accarezzarlo, ma lui la respinse. Non anche la sua accademia. Il suo posto preferito. Non poteva.
“Purtroppo sì. Prima Ephemera si è fatto riammettere, dopo la vittoria non dev’essere stato difficile, poi… puoi immaginarlo. Ora perfino io ignoro la situazione interna del campus, troppo rischioso indagare in giro. I tuoi ex-compagni, mia sorella… non so cosa stiano passando.”
Fugace scambio di occhiate tra Roxas e Aqua. Forse Xion non era affranta solo per il loro incontro.
“C’è di più. Tramite quelli che all’occhio pubblico vengono presentati come scambi di studenti e progetti collaborativi, tra tutte le accademie stanno circolando strani individui. Il ragazzo progetta qualcosa, qualcosa che probabilmente è in arresto solo per via del processo attuato per assumere il pieno controllo dell’azienda di famiglia. Quello è la nostra unica proroga, e purtroppo è già nelle fasi finali. Una volta terminato e cacciate le alte sfere, al ragazzo basterà poco per attuare tutte le riforme che vuole e assumere il controllo delle menti più brillanti della nuova generazione. E da lì, chi può dire cos’altro accadrà?
“Quindi ci rivolgiamo ora a te, Skuld. Ephemera si è rivelato un elemento pericoloso, innocuo agli occhi e alle regole del mondo degli adulti ma perfettamente in grado di sfruttarle a suo piacimento per suo tornaconto. La sua piccola rivoluzione non verrà mai citata nei libri di storia o in televisione, ma rischia di colpire duro. Ma tu… tu sapevi chi era fin dal primo momento. Non mi sono mai scordato come mi hai messo in guardia da lui. E ora, a distanza di anni ti chiedo: c’è qualcosa che puoi fare per aiutarci?”
Skuld aveva ascoltato, ma sembrava anche persa nel suo mondo: probabilmente nulla di ciò che Xemnas diceva era per lei scioccante o inaspettato.
La ragazza si dondolò incerta sulla sedia, poi parlò: “Ephemera è sempre stato così. Quando si trovava qui, voglio dire all’Istituto, teneva sempre la testa bassa e sorrideva a tutti. Ma in realtà mi confidava spesso dei suoi progetti, nei quali ha cercato anche di coinvolgermi. Non so se dopo questi anni siano ancoragli stessi: credo e spero di no. Ma se volete il mio aiuto, lo farò.”
“Davvero?” Vanitas era scettico, e Roxas per una volta non gli dava torto. “Tu, assieme a noi e contro il tuo amichetto?”
“Mai detto la simpatia fosse reciproca. L’ho sempre trovato detestabile. E voi mi piacete: siete un gruppetto affiatato!”
“Un gruppetto affiatato.” Roxas si chiedeva se aveva ancora il diritto di intromettersi di nuovo in quella faccenda. Non stava forse ricadendo nei vecchi schemi? Non si stava autoconvincendo di essere l’unico a poter risolvere tutto, per poi fallire? Pensò ai suoi vecchi amici, per cosa aveva lottato assieme a loro.
“No. Stavolta non sono solo e non lo faccio per l’approvazione. Lo faccio perché è la cosa giusta.”
“Xemnas. Abbiamo un piano?”
“Certo che sì. La buona notizia stavolta è che il nostro vecchio campus non è certo una fortezza inespugnabile.”
Il biondino annuì. “E la cattiva?”
“Davo giusto adesso un’occhiata su Twilighter per seguire il processo che tiene Ephemera bloccato. Finisce tra due giorni a partire da oggi.”
Silenzio sconcertato. Due giorni prima della fine significava un giorno per rifinire tutto e un altro per metterlo in pratica.
“Al lavoro, dunque.”
A fine sessione se ne stavano per andare dopo aver rimesso tutto a posto quando Skuld chiamò velocemente Roxas fuori dalla porta, nel corridoio. Scoccando uno sguardo interrogativo ai compagni, il biondino la seguì e sotto sua richiesta si chiuse la porta alle spalle.
“Cosa c’è?”
“Devo dirti una cosa importante, e ho pensato era meglio se la sapevi solo tu.”
“Beh, questo lo vedo. Di che si tratta?”
“Ecco… è il profilo psicologico di Ephemera. Almeno quello effettuato anni fa. Credo tu voglia vederlo.”
Roxas prese il foglio e lesse, dubitando di poterne ricavare qualcosa. Era effettivamente scritto in linguaggio altamente specializzato e non tutti i termini erano chiari, ma iniziava a intravedere qualcosa… con crescente apprensione terminò la lettura e osservò Skuld, gli occhi sgranati.
“Questo è… che cosa?”
“Già. Prima Vanitas ha trovato il mio accettare di aiutarvi sospetto. Ora sai perché. Non mi preoccupa.”
Lui riguardò il foglio. Non riusciva a crederci… tutte quelle sofferenze, quelle macchinazioni… però più ci pensava, più comprendeva. E alla fine voleva quasi solo ridere, una risata vuota e amara. Ma una domanda ancora gli salì sulle labbra.
“Perché siamo venuti qui fuori per questo? I ragazzi dovrebbero sapere.”
Lei gli rivolse il più malizioso dei sorrisi, uno che una persona rinchiusa per tutta la sua vita non avrebbe nemmeno dovuto conoscere.
“Io trovo che quando si commette un errore allontanarsi e prendere una direzione completamente diversa sia un atteggiamento inferiore… non stai dimostrando di aver capito, stai solo voltando le spalle al problema. Hai voluto fare l’eroe e non è andata bene, ma questo non significa tu non possa più farlo. Tieni questa informazione per te.”

Era il sette Luglio.  Una delle giornate più calde, dove le scuole minori avevano già chiuso o si apprestavano a condurre gli ultimi esami. E alla Twilight Town University si tenevano gli spettacolari giochi di fine anno, un evento sportivo con tanto di stand e attrazioni minori che per tanto tempo aveva attirato anche gli studenti di altri istituti e convinto persino i perdigiorno irrecuperabili a mostrarsi nel campus. Ma l’edizione dei giochi più popolare rimaneva sempre quella di tre anni prima, dove un manipolo di ragazzi guidati da una matricola aveva messo in ridicolo lo stimato Consiglio Studentesco.
Un’ennesima beffa del fato, ormai considerato da Roxas come un caro amico. Mai, nemmeno nei suoi sogni proibiti, avrebbe mai pensato di assistere a uno di quegli eventi da estraneo e in compagnia di Xemnas, il suo antico rivale.
Che in quel momento stava varcando la soglia principale sotto gli sguardi esterrefatti di tutti e veniva accolto dal padre, il rettore Ansem, con abbracci e sorrisi. La sua miracolosa comparsa avrebbe di certo aiutato a distrarre i pezzi grossi e a far passare Aqua, Ventus, Vanitas, Terra e Chirithy tra la folla senza clamore.
In quanto a Roxas, si trovava come stabilito dalla legge fuori dall’area del campus in compagnia di Skuld, in un anonimo furgoncino dotato di display e monitor. L’ambiente non era necessario e il piano originale prevedeva che lui monitorasse da casa, ma in un inusuale slancio di personalità Chirithy aveva insistito perché “faceva molto film di spionaggio”. E quindi lì erano, ad osservare le incerte inquadrature delle telecamere nascoste e l’audio confuso della folla, e ad aspettare.
“Roxas. Ho un contatto. Notevole il tuo amico, mi aspettavo cedesse prima.”
L’ex-studente chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Era l’ora di vedere se davvero a tutti era concessa una seconda occasione e fin dove la fiducia poteva portarlo. Riaprì gli occhi e si avvicinò alla tastiera di Skuld.
“Hello?”
Digitò brevemente, e attese qualche secondo che la stanghetta lampeggiante venisse sostituita dal messaggio di chi avevano contattato.
“Identificati.”
Ed eccolo lì. Non avrebbe mai rifiutato un incontro con qualcuno tanto abile da superare il suo firewall in breve tempo come aveva fatto Skuld. Ma solo Roxas poteva portare avanti la conversazione.
“Luxord aveva raccontato a Demyx che c’erano solo due assi nel mazzo, ma Axel aveva truccato le carte a loro insaputa. Furono entrambi molto sorpresi quando Dem pescò sette assi di bastoni su sette.”
“…Roxas?”
“Ehi Zexion. Vedo aiuti ancora l’università col monitoraggio durante i giochi.”
“Qualunque cosa stia succedendo, finisce qui. La mia carità arriva fino al punto che non ti denuncerò a nessuno.”
“Non stiamo facendo nulla di illegale.”
“Roxas, finisce qui.”
“Ascoltami un momento. Io mi mantengo entro i limiti delle leggi che mi riguardano, e altri sono tutt’ora nel campus sotto regolare invito, anche se… senza attirare l’attenzione. Non chiediamo aiuto, solo un occhio chiuso nel caso ci trovassi a gironzolare tra i sistemi informatici della struttura.”
“Siete qui per causare guai?”
“Immagino sia inutile fingere che non faremo nulla. Ma nessuno ci andrà di mezzo.”
“E che garanzie ho di ciò?”
“La mia parola, o nessuna se sono stato rivalutato così tanto. Zex, se pensi che sia poco o niente hai ragione: ma io e te stavamo in un gruppo che valicava proprio questo genere di territori di mezzo. L’incertezza era la nostra costante, la semi-legalità il nostro codice d’onore. Sei ancora un Nobody?”
La stanghetta sembrò lampeggiare all’infinito, nell’attesa di una risposta che forse non sarebbe mai arrivata.
“Io non ti aiuto, sia chiaro. E se qualcuno della banda si accorge c’è sotto qualcosa e viene a farmi domande, io non mentirò.”
Roxas sospirò di sollievo e solo allora si accorse tratteneva il fiato da quelli che sembravano minuti interi. Skuld gli batté sul braccio, solidale.
“Ti devo un favore, amico. Dimmi solo se i vecchi sistemi hanno nuove password come penso.”
“Se tu fossi venuto qui pensando non fossero cambiate, facevi prima ad andartene a casa. Ma se avessi pensato questo avrei saputo non eri Roxas. Non contattarmi più su questa linea.”

“Via libera” disse Roxas ai suoi amici, tutti collegati allo stesso canale audio. Riferì in fretta la sua discussione con Zexion.
Terra era parecchio agitato. “Se gli fanno domande spiffererà tutto! Forse dovremmo ripensare il piano…”
“No, non lo farà.” Di questo il biondino era sicuro. “Zexion ha un modo tutto suo di mostrarsi solidale. Non ha voluto sapere cosa abbiamo intenzione di fare in modo tale che se gli chiedessero cosa succede, lui non sia costretto a mentire quando risponderà che non ne ha idea. È una verità contorta, ma se per lui funziona contenti tutti. Ci atteniamo al piano.”
Un coro di cenni d’assenso, poi silenzio radio. Roxas si appoggiò allo schienale della sua sedia. Zexion gli aveva anche dato la conferma di qualcos’altro. Se qualcuno della banda si accorge… quindi erano tutti lì, la banda al completo. Beh, era logico fosse così. Non c’era modo di far sapere nulla a Xemnas: ovviamente lui non poteva avere auricolari o telecamere addosso, si sarebbe notato. Dovevano fare affidamento sul suo colpo d’occhio, ma era l’ultima cosa di cui erano preoccupati.
Il ragazzo portò la sedia a rotelle fino ad un tavolinetto con sopra adagiata una scacchiera. Aveva detto era il suo portafortuna, ma era anche un pesante monito di ciò che c’era in gioco.
“Si comincia…”

Terra puntò dritto al campetto dove si tenevano le prove sportive, Ventus e Chirithy sfruttarono la loro poca notorietà per girovagare più liberamente, Aqua era allo stand delle ragazze (ora anche il club numero uno del campus, visto che il presidente era anche il capo del Consiglio.)
E Vanitas avrebbe dovuto essere nelle zone meno battute a osservare i delinquenti in cerca di informazioni utili, ma lì non ve n’era traccia. Aveva spento il ricevitore e piazzato la telecamera in un luogo isolato in mezzo a una piccola folla: non si aspettava di fregare la bambina-provetta a lungo, ma quel tanto che bastasse per essere fuori portata. Entrò di soppiatto nell’edificio principale muovendosi circospetto. Solamente quello Zexion l’avrebbe potuto inquadrare, e ora nemmeno lui era una minaccia: aveva piena libertà.
Davanti a lui, aule vuote prive di importanza. Qualche ufficio dei docenti, magari pieno di roba che scottava su Ephemera, ma troppo rischioso. Salì le scale. Altri locali e la sala monitor, Zexion doveva essere lì. Vanitas salì ancora.
A metà di una rampa una voce lo costrinse a fermarsi, la voce di un adulto: perché era lì? Se Vanitas fosse stato scoperto sarebbe stata la fine, era assolutamente sicuro non aveva il permesso di trovarsi lì e ora non aveva modo di nascondersi. Il moro attese, il battito del cuore accelerato… poi si trovò faccia a faccia con lo sgradito intruso.
Vanitas sbuffò, finì di salire i gradini e apostrofò il vecchio: “Che diamine ci fai qui?”
Eraqus strabuzzò gli occhi, dicendo: “Tu mi ricordi qualcuno… chi è che sei?”
“La fata turchina. Senti, non ho tempo per te, quindi ora fatti da parte e lasciami passare. Forse allora dimenticherò la tua condotta ai Campionati.”
“Bah! I giovani d’oggi! Nessun rispetto, guarda… ma effettivamente devo essere in ritardo. Credo mi aspettino per una cerimonia, ma stranamente non mi raccapezzo.”
“Forse perché non è la tua scuola, questa. Scendi le scale e troverai la tua stupida parata.”
“Ah sì? Questo spiega tutto. Grazie, fata turchese!”
Eraqus scese le scale con passo incerto mentre Vanitas scuoteva la testa e riprendeva la sua scalata, arrivando ad un’ultima porta antincendio con la scritta “Vietato l’accesso”. Spinse la grossa maniglia rossa e la varcò.
Si trovava sul tetto, e da sotto provenivano i rumori e le grida della festa. Il posto era deserto, fatta eccezione per un paio di generatori d’emergenza e due ragazzi, quasi uomini, appoggiati al parapetto con varie sigarette spente ai loro piedi.
Uno indossava un completo marrone chiaro con tanto di cravatta accuratamente stirata, aveva una zazzera di capelli blu e lo sguardo freddo. Ma fu l’altro, un rosso con solo la camicia e la cravatta sciolta, ad apostrofare il nuovo arrivato.
“Buondì! Ti sei perso o sei solo curioso? In entrambi i casi questo è il nostro rifugio preferito, quindi ti chiederei cortesemente di sloggiare.”
“Questo ragazzino non si è perso, Axel. Cercava proprio noi.”
“Cavoli, Saix… credi non lo so? Ma si chiama essere accomodante, dovresti provarlo.”
“Non si chiama così e non ti si addice per niente.”
Axel gli rivolse un sorriso esasperato. “Sei tremendo, lo sai?” Poi tornò a guardare Vanitas. “Dunque, signor… perdonami se non ricordo il nome, ne è passato di tempo dai Campionati. A che dobbiamo il piacere? Se tale possiamo definirlo.”
Parlava con calma, ma a Vanitas appariva evidente dallo sguardo e dall’atteggiamento come non avrebbe esitato a fargliela pagare se avesse provato a creare problemi. Accanto a lui quello chiamato Saix non diceva nulla ma emanava la stessa aura minacciosa. Gli piacquero all’istante: erano ciò di cui aveva bisogno.
“Ansioso di menare le mani? E se fossi qui per conto di Ephemera?”
“In tal caso non proverei nemmeno la poca pietà che sento ora nello scaraventarti di sotto e trasformarti in un aeroplanino umano. Non faccio più parte di questa scuola da un po’, quindi che io sia dannato se lascerò che un moccioso mi dica cosa fare.”
“Ma i tuoi amici non sono dello stesso avviso, pare.” Vanitas sbuffò di derisione.
Axel mutò espressione, una rabbia incredula a quelle parole. Coprì in pochi passi la distanza che li separava e afferrò il moro per il colletto.
“È diverso. Hanno le mani legate, e non sanno nemmeno cosa sta accadendo. E a tal proposito, ora tu mi dirai tutto ciò che sai se vuoi uscire da qui con le tue gambe.”
Vanitas sorrise. “Allora non sanno nulla di preciso. Interessante!”
Prima che l’altro potesse chiedere cosa intendesse dire, si intromise Saix.
“Axel, lascialo. Non è di Ephemera, te ne accorgeresti. Ci voleva testare.”
Il rosso guardò prima Vanitas, poi l’amico, poi mollò il suo ostaggio e si girò del tutto. “E magari dirmelo, Saix?”
“Si chiama essere accomodante, dovresti provarlo.”
“Tu sarai la mia rovina. E tu, invece. Sono pronto a scusarmi per il mio atteggiamento, ma prima devo sapere cos’è che vuoi. E parla chiaro stavolta.”
Vanitas si lisciò i vestiti e ripensò alle parole di Xemnas in un precedente incontro.
“Tu comprendi il valore della fiducia, ma ti manca la capacità di individuare altri che sono nella tua stessa condizione, anime affini alla tua. Non sono nemici, ma preziosi alleati. Non agire di tua iniziativa a meno che non sia davvero l’ultima opzione rimasta.”
Beh, era l’ultima opzione rimasta. Roxas era pazzo se pensava che avrebbero potuto fare tutto da soli, e lui aveva imparato a individuare altre anime oppresse, che avrebbero voluto fare qualcosa ma mancavano di organizzazione.
“Il mio nome è Vanitas, e Roxas ha bisogno di voi.”
   
 
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