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Autore: Lione94    08/01/2017    2 recensioni
Danases è un mondo fantastico popolato da Elfi, Draghi, Nani e altre creature magiche, sull'orlo del caos.
La protagonista della nostra storia è Elien, una semplice mezz'elfa che vive nella foresta di Elwyn nel profondo nord del paese. Sono dieci lunghi anni che si nasconde, ma non può sfuggire a ciò che è.
Quando i fantasmi del passato torneranno a farle visita e l'ombra della minaccia di una guerra distruttiva tra Elfi e Draghi si allungherà sul suo mondo allora sarà costretta a lasciare il suo nascondiglio e a intraprendere un lungo viaggio che la porterà a compiere il suo Destino...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7. La città della Terra






Viaggiammo verso nord-est, allontanandoci dal Mare Infinito che ben presto diventò la sottile linea che segnava l’orizzonte.
Ormai erano diverse settimane che eravamo in cammino per raggiungere gli elfi della Terra e il paesaggio era cambiato nuovamente: dalla dorata spiaggia era diventato desolato, brullo e pieno di bruciature. Non incontrammo più nessun elfo e il sentiero si perse nel terreno pietroso.

Il cielo si mantenne limpido e soleggiato finché, mentre camminavamo nella landa solitaria che ci separava da Aessina, la città della Terra, si oscurò di nuvole nere e piovve per più di cinque giorni. Il cielo nero era illuminato solo dai lampi e per tutto il paesaggio rimbombavano i tuoni.
Menfys m’insegnò a creare uno scudo d’aria per ripararmi dalla fredda pioggia ma a volte non ero abbastanza concentrata e mi ritrovavo zuppa dalla testa a piedi. Daelyshia e gli altri due draghi non avevano problemi: la pioggia scivolava sulle loro squame impermeabili.
Mentre camminavo a testa bassa, cercando di tenere alto lo scudo, un improvviso scintillio attirò la mia attenzione. Strizzai gli occhi, cercando di vedere oltre la cortina di pioggia che rendeva sfocato tutto quello che avevo attorno.  
« Guardate là! » avvertii gli altri.  
Ogard, preoccupato, seguì il mio sguardo e poi sospirò, guardando quello strano scintillio: « È solamente Castello Argento ».
Sentii un tuffo al cuore mentre guardavo quel puntino lontano attraverso la pioggia.
Castello Argento è dove, per secoli, avevano vissuto re e regine di Danases.
Quella era la mia casa. Quella in cui avevo vissuto insieme a mia madre, prima dell’incidente. Sospirai e l’incantesimo svanì.
Per tutte le lune di Danases! Avevo perso la concentrazione ancora una volta.
Sentii la poggia sbattere contro il mio viso, come una frusta. Era gelata. Sentii il freddo penetrarmi nelle ossa. Iniziai a battere i denti e Daelyshia, quando avvertì il mio disagio, guardò Menfys, che mi lanciò un’occhiata allarmata e mi fece entrare all'interno del suo scudo.
Tanasir mi fece un incantesimo per asciugare i vestiti congelati ma non riuscivo più a togliermi di dosso quella sensazione di gelo.
La sera smise di piovere però il forte vento continuò a spirare forte da nord. Non riuscivo a smettere di battere i denti. Quando ci accampammo per la notte vicino una duna che ci riparava in parte dalla tramontana, Daelyshia mi fece sdraiare accanto a lei per riscaldarmi con il caldo ventre, ma tutto ciò servì a poco: continuavo a tremare.
« Non riesco a scaldarla » disse Daelyshia, preoccupata.
« Ci penso io » mormorò una voce.
Non mi accorsi di Menfys, finché non lo sentii accanto a me. Si era sdraiato vicino e cercava di scaldarmi. Sentii un forte calore emanare dal suo corpo, troppo forte per un elfo.
« Ch-che co-cosa hai f-f-fatto? ».
Non riuscivo neanche a parlare. Cercai di non mordermi la lingua con tutto quel tremore. Non avevo mai sentito così freddo in tutta la mia vita. Nemmeno quell’inverno, quando ero ancora piccola e, per sbaglio, ero caduta nel fiume ghiacciato della foresta di Elwyn.  
« È un incantesimo » rispose Menfys.
Mi sentivo così male che anche il mio cuore sembrava essersi congelato. Quella vicinanza avrebbe dovuto mettermi in imbarazzo, invece poggiai le mani fredde sul suo petto caldo e mi rannicchiai contro di lui. Lo sentii rabbrividire quando il mio respiro tagliente lo sfiorò.
« Va meglio? » chiese.  
«G-gra-grazie» mormorai, cercando di non tremare e di lottare contro il sonno « No-non so-sono an-ancora m-m-molto brava c-co-con la ma-magia».  
Menfys rabbrividì ancora.
« Era un incantesimo difficile »
« S-s-scu-scusa » sbadigliai.
« Non importa » rispose « Adesso dormi ».  
Seguii il suo consiglio. Mi sentivo meglio nel suo abbraccio infuocato. Chiusi gli occhi e lasciai che il suo respiro caldo mi cullasse nel sonno.  



Dopo due giorni la tempesta finì e il vento scacciò verso Nord le ultime nuvole che oscuravano il cielo. I due soli asciugarono la terra con il loro calore e il fango in cui affondavano i nostri stivali, squittendo e rallentandoci il passo, sparì. I morbidi prati verdeggianti, bagnati dalla rugiada del mattino, sostituirono il terreno brullo. Mentre proseguivamo il viaggio, l’erba dei prati cresceva fino ad arrivarci alle ginocchia. I lunghi steli d’erba, che ondeggiavano al vento, producevano un leggero fruscio e spargevano nell’aria il loro dolce profumo, inebriante.
Tanasir diceva che era un buon segno, significava che ci stavamo avvicinando alla foresta dove vivevano gli elfi della Terra.
Incontrammo il fiume Rusck che, andando verso ovest, si divideva nel fiume Feralas, che attraversava la foresta di Elwyn, la mia foresta. Lo guardai curvare pigramente, scorrendo via insieme alla mia nostalgia. Noi, invece, lo seguimmo nella direzione inversa, dove sfociava nel lago Dolciacque. Dall’altra parte del lago si univa al fiume Vreej, che entrava nella foresta Nastia, dove eravamo diretti.

Al tramonto ci accampammo ai margini della foresta per prepararci alla notte. Wisp e Ogard catturarono un cervo e Mavina arrostì la sua carne sul fuoco. Dopo mangiato Tanasir e Menfys si sfidarono a combattere con le spade.
Li guardai, mentre si muovevano sinuosi, facendo roteare le spade. Ancora una volta pensai che non sarei mai riuscita a eguagliare la loro grazia. Il mio corpo mezzo umano rendeva i miei movimenti più lenti, quasi goffi, in confronto pure ad una semplice camminata elfica. Tutti i miei sensi erano meno sensibili, in confronto a quelli degli elfi.
Era davvero ingiusto essere così… mediocre.

Daelyshia mi lanciò un’occhiataccia e Mavina osservò la mia espressione.
« È così brutto? » chiese, avvicinandosi e sedendosi accanto a me.
« Cosa? » domandai confusa, senza voltarmi a guardarla.
« Essere se stessi » precisò, sentivo i suoi intensi occhi castani su di me. Continuai a guardare Tanasir e Menfys. Avevano rallentato impercettibilmente i loro fluidi movimenti e mi stavano ascoltando con le loro sensibili orecchie. Annuii.
« Sei molto simile a noi » osservò Mavina.
Sapevo che con “noi” intendeva gli Elfi.

« Sono molto diversa da voi » precisai invece.
Menfys si girò a guardarmi di scatto, facendosi disarmare da Tanasir e Ogard ridacchiò. Lanciò un'occhiataccia al suo drago e poi incontrò nuovamente i miei occhi, pensieroso.  

« Diversa » ripetei, ricambiando il suo sguardo.
« Speciale » ribatté Mavina.
« Non unica? » domandò curiosa Daelyshia nella mia mente ed io mi girai finalmente a guardare Mavina.
Il suo volto era illuminato dalla fiamma del fuoco e i suoi capelli castani alla fioca luce sembravano essere ramati.
« Pensavo dicessi unica » dissi, facendo eco al pensiero di Daelyshia.
Menfys e Tanasir si sedettero accanto a noi, silenziosi.
Mavina ridacchiò alle mie parole e scosse la testa, con i boccoli che le rimbalzarono attorno al volto: « No, non unica ».  
« Vuoi dire che c’è stato qualcun altro come me? » domandai sorpresa. Non sapevo che esistessero altri mezzi elfi.
« Sì » rispose Mavina « Ci sono stati altri tre mezz’elfi nella storia di Danases» rimase silenziosa per un attimo, i suoi occhi velati, poi tornò a guardarmi e sfoderò un sorrisetto: « Ma nessuno legato ad un drago, quindi sei speciale » concluse, soddisfatta di avere ragione.
« Certo, io l’ho sempre saputo che era speciale! » affermò accorata Daelyshia e mi sentii arrossire alle sue parole.
« E che fine fecero gli altri mezz’elfi? Restarono a vivere a Danases? ».  
Menfys e Ogard si scambiarono uno sguardo veloce.  
« No » disse Menfys, piano.
« E…? » insistetti.  
« Due trovarono il loro posto tra gli umani » rispose Mavina « Solo uno rimase a vivere a Danases, senza trovare un compagno ».  
« Mi stai dicendo che se vivrò a Danases, resterò… sola? »  domandai, indagando le sue parole.
Daelyshia ringhiò, indignata, ed entrò a forza nei miei pensieri, escludendo gli altri.
« Tu non sarai mai sola. Io sarò con te, sempre! ».
Le sorrisi, abbracciandola e carezzandole il collo facendo attenzione alle punte acuminate.
« Lo so » le mormorai.

Wisp e Tanasir si scambiarono un’occhiata, Menfys mosse di scatto la testa, come per scacciare un pensiero molesto, e Mavina dilatò gli occhi, confusa e stupita.
« Non volevo dire questo… » mormorò, dispiaciuta.
Il brusco movimento di Ogard interruppe il suo bisbiglio. Menfys si portò le mani al petto, con una smorfia di dolore, e il drago fece scattare la coda e balzò in piedi. Si portò le zampe sul muso.
« Ogard, che cosa...? » cercò di domandare Menfys, ma fu interrotto da un portentoso starnuto.
I draghi starnutivano?
Guardai, stupita, Daelyshia, che a sua volta guardava Ogard, affascinata.

Ogard continuò a starnutire, sotto lo sguardo stupefatto di tutti, finché dalle sue narici cominciò a uscire un filo di fumo nero. Menfys si accorse dello sguardo di Daelyshia e capì.
« Per tutti i draghi di Danases! » esclamò all’improvviso, chinandosi a terra « State giù! ».
Tutti seguirono il suo consiglio, appena in tempo per evitare una poderosa fiammata di fuoco azzurro, che eruttò dalle fauci di Ogard.
Per poco non colpì Mavina, che indignata e spaventata urlò:
« Per tutte le magiche lune… Ogard! Fa più attenzione! ».   
Scoppiai a ridere, vedendo l’espressione dell’elfa.
Ogard, dispiaciuto, cercava di scusarsi con una Mavina, furiosa, dai capelli ancora fumanti.
Tanasir e Wisp risero insieme a me.
« Finalmente ce l’hai fatta! » esclamò Menfys, dando una pacca al suo drago.
« Come facevi a sapere che avrebbe eruttato del fuoco? » domandai, curiosa.
« I draghi non starnutiscono mai, solo nel giorno della Fiammata, quando per la prima volta sputano fuoco » spiegò Ogard, rispondendo al posto di Menfys.
« È una cosa innata, prima o poi ogni drago deve farlo. Il colore della fiammata può variare, dipende dal drago e dalla colorazione delle sue squame » aggiunse Daelyshia, e intuii che doveva averglielo spiegato Ogard.
Ecco il motivo della sua espressione affascinata agli starnuti di Ogard. Sentii i suoi pensieri rabbiosi, perché avrebbe dovuto aspettare ancora prima di sputare fuoco anche lei e ridacchiai.



La mattina successiva, quando il sole batteva già alto nel cielo, c’inoltrammo nella foresta incantata di Nastia, seguendo Tanasir che sapeva perfettamente la strada per arrivare alla città degli elfi della Terra. La sua città.
Il vento sussurrava tra gli alberi millenari della foresta, che avevano dalle chiome molto fitte, da cui filtrava poca luce, e man mano il sentiero che seguivamo si oscurò sempre di più. Quando sembrò che il giorno fosse diventato notte, gli alberi cominciarono a diradarsi e la foresta iniziò ad aprirsi consentendo alla luce di illuminare un’enorme radura.
Tanasir si fermò, all’improvviso, e si girò verso i tre draghi: « Ogard, Daelyshia prendetevi cura di Wisp… andando verso Nord troverete una piccola radura, dove potrete aspettarci » spiegò indicando loro la direzione, poi disse: « Presa la Pietra della Terra, verremo a riprendervi ».  
Come ogni volta, Daelyshia e Ogard non partirono rassegnati e questa volta furono accompagnati dalle ovazioni di Wisp.
« State attenti! » mi raccomandai, come al solito, quando, finalmente, i draghi partirono alla volta della piccola radura indicata da Tanasir.

Riprendemmo il cammino, senza i draghi, fino a quando un improvviso fruscio ci fece fermare. Mi guardai intorno, preoccupata: dalla natura selvaggia, affianco al sentiero quasi cancellato, provenivano dei rapidi movimenti.
Un improvviso scalpitare di zoccoli fece sussultare tutti quanti e davanti a noi comparirono creature magnifiche, dalle lunghe barbe che ondeggiavano sul torso di uomo. Non avevo mai visto un fauno in carne ed ossa, ma erano esattamente come me li ero immaginati dai racconti dei Centauri. Sentii una piccola fitta di nostalgia al pensiero di Cadea.

Tanasir emise un sospiro di sollievo.  
« Buona sera Fabjl, come va? ».
Un fauno, con la barba bianca e con in mano un arco, si avvicinò per stringere la mano all’elfo.
« Buonasera, Tanasir, è da tanto che non ti si vede da queste parti… » rispose Fabjl con voce profonda « Amici tuoi? » domandò indicandoci con un dito affusolato.
Mavina indietreggiò di un passo, come se avesse paura. Forse essendo un’elfa dell’Acqua non era molto affine a quelle creature, così vicine alla terra.
« Oh, sì… ti presento Menfys, Mavina e questa… è Elien » disse Tanasir, poi rivolto a noi: « Questo è Fabjl. È un Fauno » aggiunse, come se ce ne fosse bisogno.

«Piacere» fece Menfys, nervoso, stringendo la mano a Fabjl.
Tanasir mi fece un cenno d’incitamento e intimorita, osservai il fauno prima di chinare il capo in segno di saluto.
« Una mezz’elfa » notò Fabjl, per niente sorpreso « Sapevo che ti avremmo incontrato, i centauri ci hanno parlato di te ».
« Oh! » esclamai, presa alla sprovvista.
Chissà cosa gli avevano raccontato di me, Cadea e Duril.

Fabjl continuò a guardarmi: « Il tuo ritorno qui, dovrebbe preannunciare finalmente l’armonia ».
Più che una domanda sembrava un'affermazione.

La mia risposta più intelligente fu di rimanere a bocca aperta.
Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa che i fauni partirono al trotto e sparirono nel buio della foresta, lasciandomi confusa.

Tanasir disse, sorridendo: « Lasciate perdere, i fauni, come i centauri, avranno anche un’intelligenza superiore alla nostra, ma per me sono tutti un po’ suonati ».
L’eco della risata di Wisp entrò nelle nostre menti e si spense. Tanasir ridacchiò.  
« Quanti fauni ci sono nella foresta? » chiese Menfys.
« Mmm… e chi lo sa! Ce ne sono parecchi… Sono tipi solitari, raramente s’incontrano e non vengono quasi mai vicino alle nostre città ».   
All’improvviso sentii delle voci concitate alzarsi sopra di noi. Guardai in alto e vidi due scoiattoli.
« Ralei, dove hai nascosto la ghianda? » inveì arrabbiato lo scoiattolo dalla coda con la punta nera.
« Non ricordo, davvero! » rispose l’altro, contrito, mentre teneva una ghianda dietro la schiena.
Pensai subito al mio amico scogliattolo che avevo lasciato nella foresta di Elwyn.
Forse loro conoscevano Abiremil, e avrebbero potuto portare mie notizie a lui e ai centauri.
« Ehi, voi due! » feci avvicinandomi al loro ramo.
Sentii gli sguardi curiosi degli altri su di me.

I due scoiattoli si voltarono verso di me e quello con la ghianda in mano la lasciò cadere. La presi al volo e lo scoiattolo dalla coda nera diede uno scappellotto all’altro.
« E cosi non sapevi dov’era la ghianda, vero Ralei? ».
Ridacchiai e glila diedi facendola volare fino al ramo con la magia, poi domandai: « Conoscete per caso uno scoiattolo di nome Abiremil, che vive nella foresta di Elwyn?».
Ralei s’illuminò: « Sì, io lo conosco! ».
« Potresti portargli delle notizie? ».  
Annuì e poi chiese: « Che genere di notizie? ».
« Digli che Elien si trova vicino ad Aessina, e di riferire tutto ai centauri ».  
I due scoiattoli chinarono il loro piccolo capo e si dileguarono fra le foglie degli alberi.


Quando, dopo ore di cammino – che mi sembrarono infinite – la foresta si allargò nuovamente, i due soli stavano tramontando all’orizzonte e una luce rosata illuminava la città degli elfi della Terra, che si estendeva davanti a noi.
« Benvenuti ad Aessina! » esclamò Tanasir, felice di essere tornato nel suo paese natale.
Osservai, meravigliata, che ogni casa di Aessina non era semplicemente appoggiata agli alberi, ma era incastonata tra due o più alberi, come un loro ramo che li congiunge insieme, e a ognuna era appesa, vicino alla porta, una lanterna con delle fiammelle rosse. Le strade che percorrevano la città erano tracciate da pedali di rose bianche, rosse e rosa, oppure da candide piume di cigno, che osservai con orrore.
« Non è stato ucciso nessun animale » mi tranquillizzò Tanasir, quando contestai di animali uccisi e torturati « Sono le piume che hanno perso gli animali nella foresta… le abbiamo semplicemente raccolte da terra ».
C’inoltrammo nel centro della città e io osservai tristemente un gruppo di piccoli elfi che giocavano felici, inconsapevoli della guerra, mentre i genitori li controllavano preoccupati.
Tanasir ci guidò ai confini, dove c’era una casalbero gigantesca, che sovrastava tutte le altre.
« Ecco il palazzo del Grande Saggio » disse quando ci trovammo nell’ombra dell’enorme portone di quercia, che si aprì lentamente, scricchiolando.
Varcammo la soglia e notai, ancora una volta, che il palazzo – come quello di Tedrasys e Raducis – era pieno di elfi della Terra che correvano dalla stanza all’altra. Erano tutti indaffarati a portare notizie sulla guerra contro i draghi, o a discutere alleanze e confini della foresta.
Distratta dalla bellezza del castello, feci un passo avanti e fui travolta da un gruppo di elfi che parlavano dell’intervento dei fauni nella guerra contro i draghi.
« Come se ci dessero ascolto! Adesso avremmo già trovato un accordo! » esclamò un giovane elfo che inciampò su di me che, prima che Menfys mi trascinasse via, gli urlai contro: « Oh, ma che modi! ».
Tanasir ci guidò verso una porta del primo piano, dal legno dorato, e bussò una volta, poi due, poi tre: l’ingresso si aprì.
Entrammo in una stanza a semicerchio con il soffitto ricoperto di piante rampicanti, che in alcune parti scendevano fino a terra, come liane, queste però erano piene di allegri, piccoli fiori gialli che spargevano il loro dolce profumo. La luce entrava da un’unica finestra, molto grande, dove filtravano i rosati raggi dei soli al tramonto, che andavano a finire sul pavimento di legno chiaro, facendolo risplendere.
Vicino alla finestra, che copriva una parte del muro legnoso, c’era un’enorme libreria, piena di testi antichi e impolverati, che assomigliava a quella del Grande Saggio a Tedrasys. In un angolo della stanza ardeva un magico fuoco azzurro, da cui usciva un fumo dall’odore dolciastro, che doveva piacere molto ai fiori piantati nel legno accanto al fuocherello, perché danzavano felici. Erano davvero strani. L’aria era molto calda, per Mavina (che, da come avevamo intuito, non era molto affine ai poteri della Terra) forse anche troppo, perché aveva iniziato a sudare e si faceva aria con la sua piccola sciarpa azzurra per asciugare le goccioline che le rigavano la fronte. La sentii sbuffare.

Le liane si mossero e comparve il Grande Saggio.
Era un elfo della Terra molto anziano, dagli occhi del tutto argentati e i lunghi capelli bianchi. Non aveva la barba come gli altri saggi bensì dei lunghi baffi dello stesso candido colore dei capelli. Era molto alto, così che la stanza sembrava rimpicciolire sotto la sua saggia aura. Indossava una tunica: era blu scuro come il colore dello zaffiro.

« Tanasir bentornato! » tuonò una voce, cadenzata da una R rantolata.
Il Saggio andò verso l’elfo, lo abbracciò, poi si girò verso di me, Menfys e Mavina, facendo un inchino così profondo che i lunghi baffi toccarono il pavimento.  

« Benvenuta altezza, benvenuto Menfys e benvenuta elfa dell’Acqua, io mi chiamo Dun Tarien e sono il primo degli elfi della Terra… » all’improvviso un rumore invase la stanza, come un potente trillo.
Il volto del Grande Saggio si oscurò. Cattivo segno.
« Ora non possiamo parlare, io sono impegnato altrove, e voi dovete riposare. Tanasir, accompagnali nelle casalberi vicino al palazzo ».
Uscimmo di fretta dalla stanza, spinti dal Grande Saggio che si precipitò fuori dal palazzo e con una velocità che non avrei mai attribuito alla sua anziana figura, scomparve correndo tra le vie della città.
« Che c’è? » domandò ansiosa Mavina, mentre gli elfi della Terra, all’ascolto del forte trillo che risuonava tra le abitazioni, presero i bambini e si chiusero nelle loro case, sbarrando le finestre.
Tanasir scrollò le spalle, confuso, e ci condusse dietro il palazzalbero, dove c’erano tanti altri bassi alberi e, incastonate fra i loro rami, delle piccole casette. Mi avvicinai alla prima casalbero e mentre stavo entrando, il trillo finì e vidi Tanasir sfrecciare via, borbottando qualcosa che non capii a Menfys.
L’interno della casa era in penombra e scorsi un giaciglio di foglie morbide. Esausta, feci per sdraiarmi sul letto (finalmente uno vero, dopo tanto tempo!), quando un improvviso rumore, fortissimo, fece tremare la terra e battere i miei denti. Mi raggomitolai, spaventata, e nella mia mente intuii che la mia grande paura l’aveva percepita anche Daelyshia. Ci fu un altro scoppio e senza volerlo urlai terrorizzata.
Che cosa stava succedendo?   
« Elien! » Menfys mi chiamò.  
La porta si spalancò e una figura entrò nella casalbero. Ci fu un altro scoppio e la terra tremò di nuovo. Menfys si avvicinò, incespicando e inciampando, fino al letto.
« Ti ho sentito urlare. Stai bene? ».
« Menfys, che cosa sta succedendo!? » esclamai, portando le mani alle orecchie, per coprire lo spaventoso rumore.
« I draghi stanno attaccando la città » urlò Menfys, sovrastando il rumore. Si sedette vicino a me, dicendo: « Il Grande Saggio voleva il nostro aiuto, e gli ho dovuto dire la verità ».  
« Quale verità? » chiesi confusa, mentre la terra iniziava nuovamente a tremare.
« Che ci siamo legati a dei draghi e che non potevamo combattere contro la loro stessa razza » poi aggrottò le sopracciglia, continuando: « Adesso Tanasir è con lui… ».  
Uno scoppio più forte degli altri sovrastò le sue parole e urlai di nuovo, spaventata: « Che cosa stanno facendo? ».  
« Non lo so, ma qui siamo al sicuro » mi rassicurò Menfys, passandomi un braccio attorno alle spalle per tranquillizzarmi « Il Grande Saggio ha imposto personalmente degli incantesimi di protezione ».
Restammo in silenzio ad ascoltare gli scoppi, che facevano tremare la città. Speravo che gli elfi non facessero del male ai Draghi, e che Daelyshia, Ogard e Wisp fossero al sicuro…
« Menfys? » dissi, ricordandomi all’improvviso della mia curiosità. Cercavo di distrarmi, non volevo pensare che a Daelyshia fosse successo qualcosa.
« Sì? ».  
« Quanti anni hai? ».
Non rispondeva. Alzai lo sguardo e notai che mi guardava, un filo di frustrazione velava i suoi occhi. Forse si vergognava a rivelare la sua verità, però attesi curiosa.  
« Abbastanza… » rispose infine, vago.
« Abbastanza? » lo esortai, indiscreta.
Distolse lo sguardo: « Abbastanza da crescere insieme a tua madre e vederti nascere ».  
Sgranai gli occhi.
Mi aveva vista nascere?  

« Conoscevi mia madre? » chiesi sorpresa anche se già pensavo che Menfys avesse quasi un secolo.
« Sì » continuava a guardare il muro, evitando il mio sguardo.
« E questo ti disturba? ».  
Si girò a guardarmi sorpreso e sospettoso: « Cosa? ».  
« Aver conosciuto mia madre ».  
Mi guardò per un attimo e poi scoppiò a ridere, nuovamente rilassato, come sempre: « No! ».
Un altro scoppio illuminò il cielo oscuro e mi dimenticai di cosa stavamo parlando. L’ansia e la paura ripresero il sopravvento tra le mie emozioni. Strinsi la mano di Menfys – trovandola stranamente calda – e urlai per sovrastare un altro scoppio: « Grazie di essere qui ».
La terra tremò di nuovo. Mi strinsi al suo petto e rimanemmo immobili ad ascoltare i boati che scuotevano la città.





 

  
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