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Autore: Ginger_kia    09/01/2017    0 recensioni
L’aria fredda, il bianco della neve, i rumori delle persone, tutto gli arrivava come ovattato, non sentiva nulla vicino, era come essere in una di quelle stupide bocce di vetro con la neve che si portano a casa dopo un viaggio per far felice qualche conoscente, un amico o forse un parente. Lui le aveva sempre odiate, non ne aveva mai comprata neanche una, ci aveva giocato nei negozi e ricordava quando da piccolo in russia le scuoteva solo per vedere quei fiocchi bianchi riempire la bocci dai vetro, andare ovunque, espandersi, muoversi leggeri e silenziosi come la neve.
Ma ora gli sembrava di essere in una di quelle stupide bocce di vetro: lui dentro, con la neve, la casetta finta e tutto il mondo fuori. Gli sarebbe piaciuto se in quella fottuta bolla di vetro ci fosse stato anche lui, se ogni volta che tossiva o sentiva dolore lui fosse pronto al suo fianco, se ogni notte ci fosse stato lui nel suo letto e non un completo sconosciuto o sconosciuta. Ma non era possibile.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’aria fredda, il bianco della neve, i rumori delle persone, tutto gli arrivava come ovattato, non sentiva nulla vicino, era come essere in una di quelle stupide bocce di vetro con la neve che si portano a casa dopo un viaggio per far felice qualche conoscente, un amico o forse un parente. Lui le aveva sempre odiate, non ne aveva mai comprata neanche una, ci aveva giocato nei negozi e ricordava quando da piccolo in russia le scuoteva solo per vedere quei fiocchi bianchi riempire la bocci dai vetro, andare ovunque, espandersi, muoversi leggeri e silenziosi come la neve.
Ma ora gli sembrava di essere in una di quelle stupide bocce di vetro: lui dentro, con la neve, la casetta finta e tutto il mondo fuori. Lo vedeva ma non poteva toccarlo, non ne poteva fare parte, mai ne aveva fatto parte, non poteva semplicemente avvicinarsi a qualcuno e chiedergli l’ora, non poteva spingere un bambino su un’altalena oppure giocare a palle di neve. Non poteva avere contatti normali con quel mondo che per primo l’aveva rifiutato anni prima, non poteva fare altro che permettere per un breve periodo di entrare a una o più persone in quella bolla, pochi minuti, il tempo necessario per conoscere i propri corpi, avvinghiarli in quella che era ed era sempre stata una delle danze più antiche del mondo, l’istinto più primitivo dell’uomo, la possessione di un corpo, il capriccio egoistico di infrangere una regola. Ma veloci come erano arrivate quelle persone sparivano, uscivano dalla bolla e continuavano la loro vita mentre lui restava prigioniero di quel vetro che aveva contribuito lui stesso a creare.
Non aveva mai sentito il bisogni di cambiare le cose, infondo a lui stava bene cosi, sapeva che la su avita non sarebbe durata in eterno, anzi, ma che la sua giovinezza sarebbe durata, non sarebbe mai morto vecchio, il suo corpo, il suo tempio, l’unica cosa che lo rendeva vivo si stava sgretolando. L’aveva notato qualche mese prima quando a metà di un rapporto gli era mancato il fiato, quando si alzava la mattina più stanco della sera precedente. Aveva iniziato a tossire, sempre più violentemente e a volte aveva anche visto del sangue. In certi momenti avvertiva un dolore al petto, a volte era solo un istate, altre volte parecchi minuti, ma faceva male, troppo male, ogni volta era costretto a piegarsi e inginocchiarsi, tenendosi il petto con una mano e chiudeva gli occhi aspettando che passasse. Inoltre stava perdendo peso, se ne accorgeva ogni giorno.
In tutto quello c’era solo una cosa che una parte di lui rimpiangeva: avrebbe volto averlo al suo fianco. Gli sarebbe piaciuto se in quella fottuta bolla di vetro ci fosse stato anche lui, se ogni volta che tossiva o sentiva dolore lui fosse pronto al suo fianco, se ogni notte ci fosse stato lui nel suo letto e non un completo sconosciuto o sconosciuta. Ma non era possibile.
Loro due erano stati solo un gioco, entrambi avevano giocato ed entrambi avevano perso, avevano perso per il troppo orgoglio, per il divertimento, per la voglia di libertà che avevano negli occhi. Ma ora se n’era andato, era partito buttando fuori da quella fottuta bolla di vetro l’unica persona al mondo che non l’aveva odiato e neanche compatito, che non voleva da lui solo il suo culo o il suo cazzo, anzi, l’unico che avesse cercato di conoscerlo.
Era fuggito, come in tutta la sua vita, aveva avuto paura di quel qualcosa che stava nascendo tra di loro, qualcosa di piacevole forse, qualcosa che andava oltre il semplice sesso. Un gioco ben diverso da quello che avevano entrambi in mente all’inizio, più pericoloso forse, ma alla fine lui aveva vinto quel gioco. Aveva vinto, se n’era andato lasciando l’altro in un letto di qualche albergo, nudo, dopo averlo fatto tutta la notte. Alla fine Damien si era preso la vittoria, ogni cosa, si era goduto ogni cosa e l’aveva lasciato li, in quel letto sfatto, sudato e stanco a causa della nottata. Non c’erano stati baci o lacrime alla sua partenza, nulla, solo si era alzato, si era lavato e vestito, aveva preso la sua borsa e se n’era andato. E lui l’aveva cercato. Lo sapeva. Sapeva che lo rivoleva, rivoleva Damien indietro, nel suo letto, lo voleva sentire respirare contro la sua pelle. Anche lui lo voleva, a volte tornava indietro con la mente a quei giorni e sorrideva lasciando uscire il fumo dalla sua bocca. Sapeva bene che all’altro sarebbe stato impossibile dimenticarlo, non si sarebbe scordato di lui e l’avrebbe cercato per il semplice fatto che le cose non erano andate come aveva previsto lui: era stato Damien ad andarsene, non lui. Damien aveva avuto il controllo. Damien aveva vinto. E questo era inconcepibile per lui. 

Il ragazzo tatuato camminò lentamente per le strade innevate allontanandosi sempre di più da quella che veniva chiamata civiltà, sentiva i rumori della gente affievolirsi, sparire poco a poco lasciando spazio al banco, al silenzio della neve interrotto solo dal suo respiro regolare e dallo scricchiolio degli stivali sulla neve fresca. Si allontanò sa tutti, dalle persone, dalle case, da ogni cos, alla fine si allontanò perfino dalla strada, sapeva bene che si sarebbe perso ma sapeva altrettanto bene che non avrebbe visto l’alba del giorno dopo, e a lui andava bene così.
Quella mattina si era svegliato diverso: la tosse era stata più violenta, si sentiva svuotato di ogni energia e voleva solo andarsene, riposare in quella sua bolla di vetro.
Non sarebbe tornato indietro, avrebbe finalmente vinto il gioco.
La neve intorno a lui cadeva lenta, lui era l’unico vivo in quel luogo. Ovunque guardasse vedeva solo bianco e sorrise. Lentamente prese una sigaretta dal pacchetto, la accese e la portò alle labbra, si era promesso di non morire fatto e non sarebbe morto sotto qualche strana droga, no, non voleva una morte comune per una vita fuèoridal normale. Ma una sigaretta poteva concedersela, poteva ancora permettersi di inspirare a fondo quel veleno che lo aveva portato alla morte, seppur una morte lenta, dolorosa quasi, ma aveva avito abbastanza tempo per girare il mondo, conosceva più lingue e culture di chiunque altro e lui aveva sempre odiato la scuola.  Aveva vissuto la sua vita appieno e non aveva rimpianti, non aveva sensi di colpa e non avrebbe cambiato nulla. Solo…forse un po gli dispiaceva non averlo ora accanto, non poterlo guardare sorridendo e dire un semplice « ho vinto », non poter toccarlo. Negli ultimi mesi lo aveva pensato sempre, si era arrabbiato con se stesso per averlo fatto, aveva odiato sapere che lui sapeva di occupare i suoi pensieri, ma d’altro canto anche lui occupava i suoi pensieri, Damien era al centro dei suoi pensieri, e ora lo sarebbe stato per sempre. Lui sarebbe morto li, in mezzo alla neve, nessuno si sarebbe accorto della sua assenza tranne lui, ma sarebbe sparito, volatilizzato senza lasciare traccia. Lui sarebbe impazzito cercandolo, capendo di esserselo lasciato sfuggire dalle mani.
Liberò il fumo alto nell’aria bianca e lo guardò alzarsi, libero, presto sarebbe stato come lui, come il fumo, come aveva sempre desiderato essere: libero, nessun legame a costringerlo, nessun dovere o obbligo.
Chiuse gli occhi inspirando un’altra volta l’aria fresca, il freddo che gli pungeva la pelle e il silenzio. Silenzio che sarebbe durato in eterno. 

Dicono che la morte possa essere veloce o lenta, dolorosa a volte, ma per Damien non fu così, quando arriva a prenderlo era sereno, mi guardava quasi con gioia, con gli occhi di un bambino.
Quando presi la sua anima questa era leggera, staccandosi dal corpo si alzò subito in aria sparendo nel vento. Ricordo poche anime di quelle che ho preso, ma le loro le ricordo. Ricordo l’anima di Damien volare via leggera, ricordo il bigliettino che aveva in tasca, un semplice messaggio per qualcosa che neanche io capito « ho vinto » diceva.
Ricordo la sua anima, anche quella leggera, mi aspettava da tempo e si era preparata, era impaziente di poter continuare quel gioco in eterno, impaziente di poter finalmente riprendere a cercarlo in quel luogo che a lui era stato precluso per quegli anni.
Ricordo poi di averle riveste quelle due anime, riviste ovunque nel mondo, felici forse, ridevano, potevo sentirlo.

  
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