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Autore: Crilu_98    09/01/2017    5 recensioni
Primo capitolo de "THE WALKER SERIES"
Wyoming, 1866.
Russell 'Colt' Walker sa bene cosa significa sopravvivere: da quando la Guerra Civile è finita, lasciandogli in dono ferite più o meno visibili, non ha fatto altro. E come lui molti altri dipendenti della Union Pacific, una delle due compagnie incaricate di costruire la First Transcontinental Railroad, la ferrovia che unirà le due coste dell'America. Un progetto grandioso che si scontra con la povertà, i soprusi, la fatica e le malcelate ostilità dei numerosi e variegati lavoratori.
La vita di Russell subisce una decisiva svolta quando gli indiani Cheyenne, decisi a difendere i propri territori, scendono in guerra: tra loro c'è una ragazza che, oltre a far riaffiorare ricordi che credeva perduti, scatena in lui anche un forte istinto di protezione e qualcosa simile all'amore. Ma mentre il loro legame si stringe sempre di più, la situazione tra indiani ed uomini bianchi precipita... Quanto è disposto a rischiare per proteggerla?
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento, Secessione americana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE WALKER SERIES '
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Entrammo nel campo in un silenzio surreale: si udivano solo i passi degli stivali e i guaiti eccitati dei cani. Io procedevo subito dietro a Dodge, stringendo con una mano le spalle di Namid che non aveva smesso neanche per un attimo di tremare. Non era ancora buio e uno alla volta gli abitanti del campo – operai, soldati, prostitute e strozzini – si fecero incontro al nostro drappello, per osservare con curiosità me e la ragazza indiana che eravamo andati a salvare.
All’improvviso due figure si distaccarono dalla folla, correndo verso di noi. Ayasha strinse Namid tra le braccia, strappandola letteralmente alla mia presa, le accarezzò le guance e la fronte, strillando in lingua Cheyenne:
-Stai bene? Che è successo? Oh, ero così preoccupata!-
Namid si limitò a tendere le labbra in un sorriso mesto, poggiando il capo nell’incavo del collo dell’amica, mentre Annabeth, qualche passo più indietro, non riusciva a frenare le lacrime.
Kasper si accostò a noi uomini:
-Dov’è l’indiano?-
-Morto!- commentò pacatamente Abraham, sputando per terra. Gli occhi del polacco luccicarono di soddisfazione e si voltò verso di me:
-Ben fatto, Colt.-
-No.- mormorai -Non sono stato io, stavolta…-
E mi voltai a cercare gli occhi della mia allieva, che mi fissavano commossi tra l’affetto delle sue amiche.
“Non ho dimenticato che hai promesso di sposarmi, dolcezza!” pensai, ridendo tra me e me. Un discreto colpo di tosse mi fece tornare con i piedi per terra; mi accorsi che accanto a me sostava anche il generale Dodge e che le persone accorse per la nostra entrata trionfale al campo stavano velocemente scemando, tornando alle loro occupazioni quotidiane.
Mi passai una mano tra la barba che in quei giorni di prigionia era cresciuta più del solito:
-Dove sono le guardie per riaccompagnarmi alla mia cella, signore?- domandai, con una lieve nota di sarcasmo. Sapevo di osare più del consentito, ma il generale sembrava apprezzare la mia audacia, infatti ghignò:
-Sei davvero temerario, Colt: è un peccato che tu non abbia potuto continuare a servire nell’esercito, avresti fatto carriera!-
Alzai le spalle con aria indifferente: c’era stato un periodo, nella mia vita, in cui avevo davvero accarezzato l’idea di seguire quella strada, ma ormai era morto e sepolto, come Grace Campbell.
-Non tornerai in prigione!- chiarì poi Dodge, sbuffando. Come la maggior parte degli ufficiali, non era un uomo a cui piaceva ammettere di aver preso una cantonata. -Devo ancora capire una cosa, però: se Kuckunniwi mentiva, come mai aveva quella chiave?-
Rabbrividii, e non certo per la temperatura che stava scendendo rapidamente: avevo capito che con la risposta a quella domanda mi stavo giocando la libertà e la possibilità di un futuro tranquillo per Namid. Avrei dovuto mentire su due piedi e in modo convincente, perciò optai per qualcosa che non si discostasse troppo dalla verità:
-Quando sono arrivato al campo indiano ero ferito e solo l’intervento di Namid ha impedito ai nativi di massacrarmi. Mi hanno però perquisito e preso ogni cosa che avevo indosso: non solo gli abiti e la pistola, ma anche quella chiave.-
Dodge mugugnò, tirando fuori dal taschino della camicia proprio quel misero pezzo di ferro:
-Beh, adesso è tornata a te.-
-Non la voglio.-
-Uh?-
Lo guardai diritto negli occhi e ripetei, lentamente:
-Non la voglio. Non mi serve più. La tenga lei, la butti, che so io… Insomma, ci faccia quello che vuole, ma non la dia a me.-
Il generale continuò a rigirarsi tra le mani la piccola chiave, poi borbottò, sorpreso:
-Sei un uomo misterioso, Russell Walker. Di valore, ma misterioso. So per certo che mi stai nascondendo qualcosa, ma non credo che riuscirò mai a scoprire la verità.-
Fece per andarsene, ma io lo richiamai:
-Signore! E l’indiano?-
Dodge aggrottò la fronte, pensieroso:
-Non so esattamente cosa ne sarà di lui, Colt. Ma è un muso rosso e ha combattuto contro di noi, ha cercato di ucciderci. Probabilmente finirà sulla forca.-
 
Quella notte Namid scivolò accanto a me per fare l’amore, ma io la fermai con delicatezza.
-Non fare rumore!- bisbigliai, muovendomi silenziosamente ed afferrando la Colt -Dobbiamo liberare Hevataneo!-
-Cosa!? Adesso?- chiese la ragazza, allibita -Russell, no, lascia passare un po’ di tempo, altrimenti…-
-Non abbiamo tempo, lo capisci?- sbottai, stizzito -Lo potrebbero impiccare da un giorno all’altro! Sveglia Ayasha e preparate Saqui, ma non fatevi assolutamente vedere!-
-E tu? Come pensi di liberarlo, da solo?- chiese, socchiudendo gli occhi.
-Il vagone è chiuso da una catena e da un pesante chiavistello: mi basterà scassinarlo e far credere che il lavoro sia stato fatto dall’interno…-
-Vengo con te!-
-Assolutamente no: se mi beccano, questa volta mi uccidono.-
-Appunto, quindi…-
-No.- ringhiai fissandola dritto negli occhi che anche nell’oscurità brillavano -Io voglio che tu viva, Namid, con o senza di me. Sei la cosa più preziosa che ho, non potrei sopportare di vederti accadere qualcosa di male. Perciò resterai qui.-
La ragazzina sembrò colpita dalle mie parole e non insistette, ma disse:
-Portati almeno Hutch: sarò più tranquilla se hai qualcuno a guardarti le spalle!-
-E’ un lupo, ragazzina, non un essere umano e farebbe troppo rumore! No, andrò solo. Voi aspettatemi qui e non attirate l’attenzione di nessuno.-
 
Sembrava filare tutto troppo liscio: nonostante il campo a quell’ora fosse deserto – anche gli alcolizzati più incalliti dormivano a lato della strada – avevo preso mille precauzioni per arrivare alla prigione.
Hevataneo dormiva, ma si destò subito al suono della mia voce:
-Cosa ci fai qui, Enapay?-
-Che domanda idiota, ti do una mano a scappare, no?-
Mi misi subito all’opera sul chiavistello e dopo numerosi scricchiolii finalmente quel pezzo di metallo scassato cedette. Aprii la porta e mi affacciai sulla soglia: fu allora che percepii la pressione di una pistola puntata alla schiena.
-Non un suono, Colt!- la voce di King trasudava soddisfazione maligna.
-Che colpo, signori! Ero sicuro che tenerti d’occhio fosse una buona idea!- ridacchiò poi.
“Come diavolo ho fatto a non accorgermi di lui?” pensai, sconfitto. Era tutto perduto: Namid, Ayasha ed Hevataneo erano stati condannati dalla mia stupidità:
-Entra, forza: poi andrò a chiamare Dodge e vedremo se anche stavolta saprai cavartela coi bei discorsi!-
Obbedii, facendo due passi all’interno del vagone e King mi seguì, tenendo sempre l’arma puntata sulla mia schiena. Fulmineo e silenzioso, Hevataneo sbucò dall’ombra e serrò le catene che gli stringevano i polsi attorno al collo del controllore. Mi voltai e gli strappai la pistola di mano, ma non c’era bisogno di combattere: in pochi istanti il suo viso paonazzo divenne cereo e gli occhi si rovesciarono all’indietro. Il corpo di Bernard King scivolò sul fondo del vagone con un fruscio leggero.
-Adesso cosa facciamo?- chiese il mio amico, ansimando.
Mi rigirai la pistola di King tra le mani, pensieroso, poi mi venne un’idea: non era il piano migliore che avessi mai ideato, ma poteva funzionare. Un’ultima occhiata al cadavere del mio crudele superiore mi convinse a tentare il tutto per tutto.
-Sta’ indietro e tendi le mani in avanti!-
Con due secchi spari che risuonarono nel silenzio spezzai le manette che lo tenevano imprigionato: solo un minuscolo rivolo di sangue colò lungo i polsi di Hevataneo, che mi fissò sconvolto.
-Così ci avranno sentito tutti!-
-Esatto, muoviti!- sibilai, consegnandogli la pistola. Ci muovemmo furtivi tra le ombre della notte, mentre da qualche parte nel campo chi era stato svegliato dagli spari gridava, chiedendosi cosa fosse successo. Arrivammo alla tenda sfiniti, ma non avevamo tempo da perdere: Saqui era già pronta ed Ayasha si concesse giusto un attimo per abbracciare suo marito, prima di montare in sella con tutte le difficoltà dovute alla gravidanza. Hevataneo mi strinse il braccio in una morsa commossa:
-Non avrai problemi per la mia fuga, vero?-
-Dirò che hai scassinato la porta della prigione, non ci voleva poi molto. Dopo di che hai assalito King e gli hai rubato la pistola, con la quale hai poi minacciato me e Namid, rubandoci il cavallo. Se la berranno, vi ritengono capaci di ogni azione malvagia!-
-Non dimenticherò mai tutto ciò che hai fatto per noi, Enapay!- mormorò, salendo sulla giumenta -Sei davvero uno strano uomo bianco!- 
Sorrisi, mentre il mio amico spronava Saqui. All’inizio la giumenta non sembrava in grado di correre con il peso che le gravava sulla groppa e si allontanavano troppo lentamente dal campo; strinsi i denti e poi rilasciai con un sibilo il fiato che avevo trattenuto quando li vidi prendere velocità. Galopparono spediti nella direzione che la ferrovia si era lasciata alle spalle, mentre i primi raggi del sole illuminavano un campo in pieno fermento: era stato dato l’allarme della fuga dell’indiano e da tutte le parti si sentivano grida ed imprecazioni.
Giunto in cima alla collina che dominava la valle, prima di proseguire verso le montagne, Hevataneo fece impennare la giumenta ed insieme ad Ayasha lanciò un alto grido in lingua Cheyenne; strinsi Namid a me per trarre conforto dalla sua vicinanza, ma mi accorsi che stava piangendo. Quell’immagine – Hevataneo che alza un braccio in un estremo segno di saluto, immerso nella luce soffusa dell’alba – si stampò per sempre nella mia memoria: non li avremmo rivisti mai più.
 
 
Angolo Autrice:
E così il mondo indiano prende commiato dalla vita di Colt e Namid. Piaciuto il capitolo? Per una volta, a me è piaciuto molto xD Voglio dire, non sono quasi mai soddisfatta fino in fondo di quello che scrivo, ma l’addio di Hevataneo è uno dei pezzi migliori di questa storia, almeno secondo me!
Sono perciò molto curiosa di sapere cosa ne pensate. Siamo ormai alla fine, il prossimo capitolo sarà l’epilogo… O forse no, visto che ho una sorpresa per voi, miei cari lettori :D
A presto
 
Crilu  
   
 
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