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Autore: flama87    09/01/2017    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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18.1 Primi rintocchi dei Vespri

 

«Conosci la storia della Grande Madre?» fece la fanciulla verso Sebastian. Si voltò lentamente, alzandosi per carezzare la statua piangente. Il sicario mosse il capo in senso di diniego.

«Sono curioso di sentirla» ammise.

La fanciulla allora si sedette davanti a lui, assicurandosi che le fasciature alla gamba fossero ben strette e che le ferite stessero guarendo.

«Quando quasi tutte le divinità avevano lasciato la Grande Casa per arrivare su Gaia, lei fu l'ultima a seguirli. E lo fece solo molto molto dopo che questi si erano già da lunghe danze stabiliti tra gli uomini. Mentre i suoi fratelli e sorelle familiarizzavano e si mescolavano tra i mortali, lei soltanto rimase sola nella Grande Casa. Sai perché?»

«Tutti sanno la storia della Grande Madre: folle d'amore, tentò di avvicinarsi al dio Sole ma perse il senno».

«Ed è vero ma non del tutto» corresse lei. «La Grande Madre non ha mai cercato di avvicinarsi al divino Sole: non poteva. Solo Hermes gli è vicino abbastanza, e di lui non ne resta più niente. Vedi, nella Grande Casa del Cosmo, non puoi far altro che ballare attorno al Sole ma non puoi sperare di avvicinarti a lui; non di tua volontà, almeno».

«Quindi è vero soltanto che ha perso il senno?»

«Si» annuì lei. «Molte danze addietro scoprì che gli umani avevano trovato un modo per avvicinarsi al divino e decise di utilizzarlo a sua volta».

«Ti stai riferendo alla Sposa del Sole?»

«Proprio lei. Per ventitré volte, gli esseri umani hanno stabilito una qualche forma di contatto con il divino Sole. Ma nessuno sa cosa accade alle Spose, quando incontrano il Dio. Si suppone che ogni cosa vada a gonfie vele, dal momento che il divino, come promesso, rinnova la sua alleanza agli umani.

La Grande Madre ha tentato un azzardo: scelse come Satellite una delle Spose e sperò che, usandola come mezzo, avrebbe potuto arrivare finalmente al suo amato Surya».

«E ci è riuscita?»

Lei sorrise, guardando la statua piangente. «No. Fallì, miserevolmente. Raggiunse sì il divino ma, quando questi la scoprì, ripudiò la Ventesima Sposa rispedendola indietro. Si assicurò poi che tutti sapessero del suo misfatto, così la marchiò a fuoco».

Sebastian ebbe un brivido. Mentre la fanciulla parlava, il suo tono di voce cambiava gradatamente; e lui, di contro, iniziava a mettere alcuni tasselli di quel puzzle insieme. Fu quando lei parlò del marchio a fuoco che rammentò di averlo visto, lo stemma del Sole, proprio sulle sue spalle. Tuttavia, finse di non capire mentre, lentamente, cercava di distanziarsi da lei.

«È alla Grande Madre che queste statue sono dedicate? Alla sua caduta?»

Lei sfiorò il proprio volto con le mani e, di colpo, il suo viso parve incupirsi. «I miei figli le hanno erette per me. I miei adorati figli. Mi sentivo così sola, quando i miei fratelli Bēl e Anum mi hanno gettata qui. Dicevano che avevo commesso un grave crimine, che non mi era più concesso tornare nemmeno nella Grande Casa.

Poi un giorno lo vidi galleggiare nelle acque sporche: un bambino. La madre lo aveva gettato in chissà quale fogna e il suo corpo divorato dai vermi era arrivato fino a me. Lo presi in braccio e lo strinsi così forte che pensavo si sarebbe sgretolato. Ma poi pianse.

Così capii qual era il mio dovere di Madre. Uno ad uno vennero tutti a me: i poveri, gli orfani, coloro che sono abbandonati dalla società. Sotto la mia ala protettiva io li ho presi e li ho curati; come una Madre li ho fatti risvegliare dal loro sonno e loro così mi hanno ringraziata: loro hanno eretto statue per me!»

Sebastian lentamente portò la mano verso una tasca nascosta, dove cercò di tirare fuori un pugnale. Lei però gli fu rapidamente addosso e iniziò a strangolarlo.

«Non vi era sufficiente portarmi via i miei adorati figli nelle Case di Cura. Avete dovuto assopire anche Golgo e Astinoo. Bestie senza cuore: dove sono i tuoi compari! Parla maledetto, parla! Dove sono quei bastardi dei tuoi complici!»

Sebastian ricordava molti volti colti dall'ira, nella sua lunga carriera di cacciatore di taglie e sicario prezzolato, ma era la prima volta che vedeva così tanto furore in qualcuno. Per pochi istanti, non ebbe la forza di reagire. Poi, d'improvviso, digrignò i denti e poggiò il polso verso il petto di lei. Uno scatto meccanico fece uscire un dardo da un foro: uno dei suoi assi nella manica era una piccolissima balestra, costruita appositamente per stare nascosta nell'avambraccio e sparare, con la pressione di un tasto, un dardo a breve gittata. La freccia si conficcò nel seno di lei, causandole abbastanza dolore da farle perdere la presa. Così se Sebastian rapidamente la colpì in volto con un pugno, facendola precipitare dalla scarpata, ove l'attese il letto del fiume nero.

«Cercare di strangolare una Serpe sarà l'ultimo dei vostri errori, madamigella».

Lentamente, Sebastian tentò di scendere lungo quell'intricato labirinto di catapecchie, cascine di legno, ponti sospesi e amenità varie. Guardando a come quella città sospesa era costruita, era evidente che essa era costituita da due parti: la prima, più in vista, era la città sospesa fatta di rifiuti e immondizia di ogni genere; la seconda, era una fitta rete di caverne sotterranee che gli abitanti di quel posto lercio avevano, con pazienza, costruito e perfino decorato con statue.

«La capitale si erge su sette colli ma, evidentemente, con le danze il fiume avrà scavato un intero bacino sotterraneo; e loro, dai resti della vecchia capitale, ci hanno costruito questo... schifo».

La stragrande maggioranza delle Orme Bianche l'aveva vista salire con gran foga verso l'alto. "Quel tuono di prima, evidentemente Mithra era in pericolo. Meglio per me, avrò più libertà per agire". Quel poco di resistenza che incontrò, la Serpe Nera poté superarla senza particolare fatica. Non esitò a calpestare chiunque gli si frapponesse contro, ma scoprì ben presto che, al di là delle strane aberrazioni figlie della Grande Madre, tutti gli altri non erano che orfani, donne e vecchi malati. Nessuno osò seriamente frapporsi nella sua discesa, se non la struttura labirintica di quell'ammasso di topaie a strapiombo sul vuoto.

La sua lunga discesa ebbe termine solo quando raggiunse una zona più ampia: una intera, gigantesca, caverna sotterranea. Vide spuntare, come fiori, grandi formazioni cristalline fosforescenti. Erano esattamente come quelle che Mithra scoprì da giovane, sebbene qui la quantità fosse tale che ne vide di ogni forma e foggia.

Continuò così a scendere, ritrovandosi ben presto alle foci di quel fiume che scorreva metri e metri sottoterra. Il grande lago che si raccoglieva sul fondo della caverna era, in parte, una maleodorante palude. Detriti di ogni genere si ammassavano in disgustosi isolotti, mentre ponticelli di fortuna traversavano le acque scure, formando un percorso obbligatorio. Di tanto in tanto, fiaccole e torce illuminavano quello che, altrimenti, sarebbe parso come un luogo d'impenetrabile oscurità.

Quando infine giunse all'altro versante della grotta, vide una immensa struttura di legno svettare più in alto di ogni altra cosa. Numerose fiaccole, bandiere e vessilli consunti facevano intuire che si trattasse di una sorta di luogo di culto. Quivi, infatti, vide raccolti alcune creature che non aveva mai visto prima: similari alle Orme Bianche, ma grandi come uomini adulti e armati d'ogni gene-re d'arma. Non appena lo videro arrivare, presero a urlare ogni cosa; sforzandosi, riconobbe uno di questi prendere in braccio la dea Cipride e portarla nelle profondità di quel lercio tempietto. Sebastian afferrò il suo stocco e si avvicinò a passo infermo ma deciso.

«Corri, piccolo coniglietto. Corri. La Serpe sta venendo a prenderti».

E si preparò a farsi strada tra quegli esseri orripilanti.

 

18.2 Nel frattempo

 

Meroll riaprì gli occhi. La febbre era ormai un lontano ricordo e si sentiva progressivamente meglio. L'anziana che l'aveva curata, tuttavia, continuava a sostenere che dovesse riposare; nonostante le ossa, ormai, le facessero male a causa del lungo periodo di degenza nel letto.

Ma la sensazione di benessere non fu la sola cosa che Meroll notò. Le parve di poter udire più distintamente, e con maggiore precisione, i passi non solo dell'anziana donna ma finanche quelli delle persone che passeggiavano in strada. Prima che potesse accorgersene, imparò perfino a contare il numero esatto di persone semplicemente dal suono dei passi che riusciva a distinguere. Il suo olfatto, poi, divenne tanto sensibile che fu in grado di indovinare di quali ingredienti era composto lo stufato che l'anziana signora stava adesso cuocendo le pentolone.

«Carne di coniglio, cipolla, aglio, carote, patate, alloro, vino rosso e... olive? Non ho mai messo le olive nello stufato».

L'anziana donna allora, sorpresa, si voltò ridendo.

«Vedo che finalmente ti sei ripresa. E noto che, finalmente, la trasformazione ha iniziato a prendere largo».

«Di cosa parli?» chiese Meroll, infastidita.

La vecchia allora si sedette di fianco a lei, e disse: «Lo sai come si chiama il dono che la Luna elargì alla nostra gente? Berserker: diventare forti e feroci come belve, per distruggere il nostro nemico... Ma poco sapevamo che una bestia, quando sente l'odore del sangue, può aggredire anche i suoi stessi simili!»

«Me ne hai parlato, quando stavo male. Dicevi, se non ricordo male, che finché non c'è odio nel mio cuore questa maledizione non ha mai avuto largo in me. Perché ora?»

L'altra rise ancora, più malignamente. «Perché forse, adesso, un oncia di odio finalmente si è destata in te».

«E chi dovrei mai odiare?»

«Oh piccola cara, odiare è solo il primo passo. Vedi, quando la maledizione sarà completa, non ti preoccuperai più su di chi riversare il tuo odio; ai tuoi occhi tutti saranno nemici e tutti, nessuno escluso».

«Come posso liberarmi di questa maledizione?»

«Suvvia mia cara, non essere sciocca. Non puoi. È come un infezione: è già nel tuo corpo. Forse però, se ti puntassi un coltello alla gola, magari...»

Meroll balzò sul letto e afferrò la donna le spalle.

«Voi come ci riuscite? I vostri nemici ci sono ancora, che ne è del vostro odio? Perché non mi siete ancora saltata alla gola?»

Allora l'anziana si fece avanti e afferrò Meroll per il collo. Il suo respiro si fece greve e i suoi canini, come per incanto, parvero allungarsi verso di lei.

«Quali nemici, bambina? Io non ho più nemici. Il mio odio è sepolto sonno danze di cocente insofferenza. Della mia gente sono l'ultima rimasta e da lungo tempo sopravvivo in mezzo a coloro che mi hanno portato via ogni cosa. Ho imparato, e imparerai anche tu, che desiderare qualcosa può avere un prezzo salato da pagare, se pensi che le alle tue scelte non esistano conseguenze».

«Di cosa parli?» replicò Meroll liberandosi e afferrando l'anziana donna. Scoprì anche, con sua sorpresa, che possedeva più forza di quanta ne ricordasse; sollevò l'altra e la scagliò verso il muro, facendola rovinare contro un mobile. Quindi scese dal letto.

«Quali conseguenze? Cosa ho fatto per meritare questo? Ho davvero chiesto di essere trasformata in un mostro?»

Lentamente l'anziana tornò in piedi, senza smettere di ridere.

«Qualunque cosa tu faccia, in qualsiasi momento della tua esistenza, stai facendo una scelta. E sono quelle scelte che ti hanno portata qui ed ora. Non chiederti perché hai avuto questo potere... chiediti se puoi ancora scegliere cosa farne».

 

18.3 Nel Sogno

 

Gregor odiava ritrovarsi dentro al suo Sogno. Era come guardarsi in uno specchio che, per altro, aveva sempre l'ardire di giudicarlo. Ricordò a fatica che aveva conversato con Shoshanna tutto il dì, quando poi a cena lei gli aveva offerto una brocca di vino; aveva perso i sensi ed ora era lì, imprigionato in quel Sogno. Sapeva che presto o tardi il Dio Ade si sarebbe palesato. Questa volta, però, qualcosa gli suggeriva che il loro incontro sarebbe potuto finire nel modo sbagliato.

Si guardò attorno ma non vide nessuno. Poi, d'improvviso, due mani lo afferrarono alle spalle e si sentì schiacciare in terra da una forza immensa.

«Lasciami andare!» strepitò e scalciò il ragazzo, invano.

«Il momento è arrivato, Gregor». La voce del dio, che sibilava poco oltre il suo collo, non dava adito a dubbi: qualsiasi cosa avesse in mente, al giovane umano non faceva affatto piacere. «Perché dimenarsi? Ormai sei stanco. Non vedi? Il tuo corpo è debole. Presto la tua coscienza svanirà e io mi impadronirò della tua carne. Ma non avere timore, non sparirai per sempre; una piccola parte di te vivrà, in me».

Una sensazione di torpore aggredì i sensi di Gregor. Avrebbe voluto continuare a combattere, per liberarsi da quella maledetta morsa. Tuttavia, scoprì ben presto che non riusciva quasi più nemmeno a urlare. Ed, intanto, il dio Ade incalzava finalmente la sua imminente rinascita. «Dormi Gregor, dormi. Riposati. Hai fatto il tuo dovere, non c'è motivo di resistere. Addormentati. Non senti il sonno che ti chiama?»

In quell'istante, quando ogni speranza era perduta, Gregor ebbe un ultima scintilla di resistenza e disse: «Io non voglio!»

Il dio trasalì. Come per incanto, un gran numero di rovi e piante coperte di spine emerse dal nulla. Si ritrovò ben presto avvinghiato tra rampicanti e rose, laddove le spine gli pungevano l'essenza come a monito per la sua trasgressione.

«Maledette Regole! Ero quasi riuscito... era quasi mio!» strepitò il dio, intrappolato.

Gregor, dapprima spaventato, lentamente riprese le proprie forze; scoppiò in una fragorosa e possente risata.

«Cosa ti succede, Ade? Non eri ad un passo dal divorarmi? Cosa ti frena ora?»

«Dannato umano! La tua fortuna: se non avessi pronunciato quelle parole, ora sarei io a ridere!»

Gregor, lentamente, gli si fece vicino.

«Infrangere le regole, è così che dicevi. Eh? Così anche tu, sotto sotto, ci hai provato. Non so cosa siano questi rovi ma non sono stupido: evidentemente, sono una misura di sicurezza, nel caso uno di voi vermi provasse ad impossessarsi di un umano».

Poi rammentò che il Sommo Cardinale era anch'egli un Satellite ma, da come aveva detto la sorella durante il loro incontro, era perfino a capo dell'Ordine.

«Non è stato il Dio Sole a imporvi il divieto circa l'interferire con gli umani, vero?»

«No, sciocco mortale: è stata Gaia!»

«Ma dato che siete degli ingordi bastardi, avete escogitato un modo per superare le sue imposizioni. Però a te ti è andata male».

«Folle che non sei altro. Anche se venissi rimando alla Grande Casa come in passato, ritornerò di nuovo in un altro corpo e non commetterò più lo stesso errore! Vuoi liberarti di me? Fa pure, goditi la tua miserabile vita umana».

Gregor sorrise. Di un sorriso macabro e oscuro, come avesse in mente una qualche follia.

«Allora dovremmo fare in modo di impedirti di tornare, non trovi?»

Il primo morso, Gregor lo sferrò alla gola. Non fu carne che strappò ma, come scoprì di lì a poco, gli parve come se stesse mordendo una nuvola: l'essenza del dio spariva ad ogni morso, come se non avesse consistenza.

«Cosa stai facendo? Smettila!»

Ad ogni morso, il panico del dio aumentava; Gregor, di contro, non rallentò ma anzi, con sempre maggiore foga, addentò con sempre più fame quel che rimaneva della divinità. Quindi, quand'ebbe concluso, mentre i rovi e le piante spinate svanivano, si sentì come rinvigorito e qualcosa dentro di lui mutò.

«Adesso sei tu che vivrai dentro di me, Ade».

E scoppiò di nuova a ridere. Felice, come pochevolte lo era stato prima.

   
 
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