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Autore: vero511    10/01/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ZACK’S POV
Mi sono dovuto accontentare della receptionist per avere notizie su Ellie. A quanto pare non è ancora stata vista rientrare all’hotel e ciò mi lascia molto perplesso. Dove diavolo sarà finita? Fatto sta che devo scoprire dove si trova. Nell’azienda ha un ruolo importante e questa assenza ingiustificata non può di certo essere vista di buon occhio. Naturalmente avrà un valido motivo, quando è stata assunta, ci siamo assicurati che fosse una persona affidabile, ma in ogni caso è mio dovere scoprire cosa sta succedendo. Saluto la donna dietro al bancone di ingresso e mi reco verso l’uscita. Ho come meta l’azienda, anche se, a metà strada mi tornano in mente le sue parole: “pronto soccorso”. Forse sarebbe più intelligente andare direttamente al  NewYork-Presbyterian, non è l’unico, ma sicuramente è uno dei migliori e il più vicino a questa zona. Considerando la mia importanza e i soldi che possiedo, non dovrei avere problemi nel ricevere dati personali sulla Wilson. Solitamente non amo sfruttare il mio potere per infierire nelle vite private altrui, soprattutto se si tratta dei miei dipendenti; ma direi che questa è una situazione d’emergenza e mi sento la coscienza pulita mentre raggiungo la hall del Presbyterian. “Salve” l’infermiera davanti a me deglutisce a vuoto quando scruta con attenzione il mio viso. “S-signor Evans?” “In persona” ammicco, lasciandole un lieve sorriso. “C-come p-posso a-aiutarla?”  il suo balbettare mi infastidisce non poco, ma non è l’unica che lo fa in mia presenza, ormai sembra essere un’abitudine; a partire dalle donne che frequento, per finire con i miei dipendenti e collaboratori. Ellie invece sembra sempre piuttosto decisa. Forse è per questo che mi ha da subito attratto, nonostante la rabbia spesso nutrita nei suoi confronti. “Sto cercando la Signorina Ellie Wilson. Da quanto mi risulta non è ricoverata, ma potrebbe esserlo qualcuno che conosce. Un certo Alex.” Come se glielo avessi ordinato, si mette subito alla ricerca tramite il computer sulla sua scrivania, quando improvvisamente si blocca e mi osserva con una punta di timore nello sguardo. “Signor Evans, lei è un parente? Altrimenti non posso fornirle l’accesso per una questione di privacy”. Nonostante un vago nervosismo si espanda nel mio corpo, non posso negare che la donna stia solo facendo il suo lavoro, in modo impeccabile peraltro. “Senta, non sono un famigliare, ma sono il suo capo e si tratta di un’emergenza. Non si presenta al lavoro da giorni e io ho davvero bisogno di sapere cosa sta accadendo. Sa… ci tengo ai miei dipendenti” assumo un’aria da dirigente che ritiene i suoi collaboratori come una famiglia e questo fa sì che l’infermiera sia maggiormente predisposta a fornirmi ciò che mi serve. La vedo ancora riluttante, probabilmente teme di perdere il lavoro se qualcuno venisse a sapere che mi ha lasciato passare, così decido di giocare la mia carta da  uomo ricco e influente. “Ascolti, posso capire la sua titubanza, ma le assicuro che questo segreto resterà tra noi due, nessuno verrà a saperlo. Sa chi sono e quindi saprà anche quanta voce in capitolo io abbia. Se può tranquillizzarla, sono anche uno dei benefattori che donano annualmente dei fondi all’ospedale”. Con queste ultime parole, ogni suo dubbio viene spazzato via e vengo indirizzato verso la stanza di questo Alex. Decisamente non può essere più ricco di me…e neanche più bello, potrebbe essere intelligente e simpatico, ma…direi che queste doti non mancano neanche a me. Chissà che tipo è. Magari hanno anche già in programma di sposarsi, di comprare casa, un cane…però Ellie non avrebbe richiesto lavoro nell’azienda se fossero già così organizzati. E poi chissà che diavolo sarà successo. Potrebbe essere qualcosa di grave e io starei per turbare una situazione già di per sé sgradevole. Preso come sono dai miei pensieri rallento il passo. Non avevo pensato a quest’ultima opzione: non posso spuntare dal nulla e rimproverarla per la sua assenza come se niente fosse. Mi riprometto di mantenere la calma e di mostrarmi attento ai suoi bisogni e non dispotico come mio solito. Tutto questo riflettere mi annebbia, non solo il cervello, ma anche la vista, dato che non mi accorgo di essermi scontrato con una ragazza un po’ più giovane di me: ha i capelli arruffati legati in una coda scomposta e gli occhi grigi tendenti al verde che sembrano piuttosto stanchi e inappropriati su un viso così fanciullesco. Devo ammettere che  non è niente male. In mano stringe due bicchieri di caffè con scritti due nomi per distinguere i liquidi. “Kim” leggo, mente l’altro è quasi completamente nascosto dalla sua esile mano. “Scusa” non mi guarda neanche e ritorna velocemente sui suoi passi. Sono in un ospedale, sarà difficile non vedere qualcuno con profonde occhiaie o visi stravolti dalla stanchezza. Questo posto è enorme e sto vagando a vuoto. Non voglio chiedere a nessuno per non creare problemi. Prima o poi la troverò.

ELLIE’S POV
Dopo aver parlato con il dottore, ho avuto l’impulso di schiaffeggiare Kim per avermi fatta preoccupare così tanto per un’otite, benché acuta, niente di particolarmente grave e piuttosto comune nei bambini. Il problema principale risiede nella febbre alta che ha avuto e che, considerando le temperature esterne che stanno iniziando a diminuire, ha fatto sì che restassimo tre giorni relegati in ospedale. Nonostante il mio primo impulso di mettere le mani addosso alla babysitter, mi sono calmata subito dopo aver visto il suo viso preoccupato e ho fatto del mio meglio per tranquillizzarla, dicendole che aveva fatto bene a portare Alex al pronto soccorso. Questa situazione mi ha messa molto sotto pressione, e pur consapevole che non fosse nulla di cui preoccuparsi troppo, il mio lato materno, ma con troppa poca esperienza, ha avuto il sopravvento e ho passato le ultime due notti in bianco. Come se non bastasse, non ricordo dove ho messo il cellulare, probabilmente presa dalla foga della notizia datami da Kim, devo averlo lasciato da qualche parte. La ragazza è andata a prendermi un caffè di cui ho assolutamente bisogno. Più tardi andrò alla caffetteria per prendere anche qualcosa da mangiare, stomaco chiuso a parte. “Signorina Wilson?” “Dottore! Come sta Alex?” mi alzo dalla sedia in sala d’attesa e aspetto la risposta dell’uomo con apprensione. Non è il primario, ma mi hanno detto che è uno dei migliori; a prima vista può sembrare un tipo burbero, ma se osservato attentamente, il suo sguardo è molto dolce e brillante. “Esattamente come stava un quarto d’ora fa. Tra poco dovrebbe passare la cena, dopo puoi entrare e stare un po’ con lui.” “La ringrazio.” Si allontana per continuare il giro di controllo. Credo proprio che faranno santo quell’uomo per avermi sopportata in questi giorni. Il suo tono è stato piuttosto comprensivo, probabilmente nonostante io sia un caso disperato, deve essere abituato a madri ipernervose per la salute dei figli. “Ellie, ecco il caffè” Kim si siede accanto a me e mi porge la bevanda calda. “Ti ringrazio, senza di te non so come avrei fatto! Non ho potuto neanche avvisare la mia amica Jennifer perché non ricordo a memoria il suo numero” penso a Jen e suppongo sia preoccupata, per non parlare del fatto che non ho avvisato al lavoro. Accidenti che stupida! Questa è la volta buona che perdo il posto.

Finalmente posso entrare da Alex che subito si illumina nel vedermi. “Mamma” lo prendo in braccio e nel tempo che passo con lui, lo aiuto a fare il bagnetto e ad infilarsi un nuovo pigiama. “Vuoi un peluche per fare la nanna?” gli mostro l’elefantino e l’orsetto e lo vedo spingersi verso il secondo, così lo infilo sotto le pesanti coperte e resto con lui ancora un po’ per vedere i cartoni, almeno finché non si addormenta. In pediatria l’orario delle visite finisce piuttosto presto perché ha maggiore durata durante il giorno, così quando sprofonda tranquillo tra le braccia di morfeo, lascio silenziosamente la stanza. Ho mandato Kim a casa per lasciarla riposare e io mi reco alla caffetteria per concedermi qualche panino avanzato o una brioches. Prima che possa uscire dal corridoio che da accesso ai reparti, vengo fermata dal dottore. “Signorina Wilson, perché stasera non torna a casa? Suo figlio sta sicuramente meglio e può passare domattina con tutta calma” “Io-“ Sto per spiegargli che preferisco restare perché, presa da un moto di solitudine, la casa senza il bambino mi sembrerebbe troppo vuota e silenziosa e in ogni caso non credo di riuscire a dormire tranquilla, ma vengo interrotta. “Dottor Mills!” O. mio. Dio. Non può essere chi penso che sia. “Zack Evans, che piacere vederti! Spero non per funeste circostanze”. Effettivamente incontrare qualcuno in un ospedale, per quanto possa far piacere, non deve essere il massimo. “Oh no, stavo cercando…Ellie!” sembra molto sorpreso di vedermi qui, anche se a quanto pare la sua presenza è determinata dalla mia. Il dottor Mills alterna lo sguardo da me a Zack, confuso. “Vi conoscete?” “È il mio capo” rispondo sbrigativa. “Già e dobbiamo parlare di questioni di lavoro” aggiunge il ragazzo guardandomi con occhi di fuoco. “Be se proprio deve parlare con la signorina Wilson, le consiglio di farlo vicino a del cibo. Oggi non ha pranzato” mi lancia un occhiolino e si congeda per tornare dai suoi pazienti. “C’è una caffetteria di sotto, no?” “Si” rispondo decisa. Non sopporto chi balbetta, di solito cerco di evitarlo e quando mi capita, mi prenderei a schiaffi da sola. “Allora andiamo. Non voglio che tu svenga in mezzo al corridoio”. Insiste per offrirmi qualcosa, ma la gentilezza della sua richiesta, contrasta con il tono utilizzato per farla. Ci accomodiamo ad un tavolino e noto che l’ambiente è quasi completamente deserto, se non per i dipendenti. “Come sta Alex?” cerco di non strozzarmi con un boccone di pane all’udire la sua domanda. Lo guardo sconcertata. “Ho sentito il suo nome dopo che hai attaccato il telefono, tre giorni fa. E ho sentito anche pronto soccorso, quindi ho immaginato fossi qui”. A quanto pare è più bravo di me a fare lo stalker. “Meglio, grazie.” “Quindi puoi tornare al lavoro, suppongo.” Che tatto. “Già, ma non domani mattina. Devo parlare con il dottor Mills”. “Il dottor Mills è un pediatra, ti piacciono più piccoli di te?” Non afferro subito il senso della sua domanda e per un momento lo osservo senza capire. “Quanti anni ha il tuo ragazzo?” “Ragazzo? Bambino vorrai dire” lo correggo senza riuscire nuovamente a collegare logicamente il suo discorso. “Bambino?” sembra confuso. Almeno giochiamo ad armi pari. “L’hai detto tu, il dottor Mills è un pediatra”. Ci fissiamo intensamente e io dimentico completamente il mio stomaco che brontola. “Evans, mio figlio. Alex è mio figlio”. “Ah”. Non dovrebbe essere una novità, dato che l’ho praticamente urlato a tutta l’azienda durante il colloquio; ma a quanto pare lo è. Al solo vedere la sua espressione, scoppio in una sonora risata. “Ti faccio ridere così tanto?” sembra offeso. “Ma come, il grande Zack Evans che tiene così tanto ai suoi dipendenti, non ricorda che una dei suoi più stretti collaboratori è madre?” Continuo a ridacchiare e una donna, probabilmente in visita ad un parente malato, mi lancia un’occhiata capace di incenerire. “Ho cose più importanti a cui pensare e poi il padre non poteva darti il cambio, considerando il tuo prestigioso lavoro?” sembra infastidito e non riesco a leggere tra le righe delle sue parole. “No. E Alex non ha un padre. Io sono il suo unico genitore”. Scende il gelo e credo stia per ribattere che ciò è impossibile, perché un bambino deve per forza essere stato concepito da due individui; ma quando si accorge del mio sguardo tagliente, richiude a vuoto la bocca. “Nonni?” ritenta. “Evidentemente il concetto non è chiaro, Signor Evans. Io sono tutto ciò che ha quel bambino e lui è tutto ciò che ho io.” Pare turbato dal mio discorso e mi sembra quasi di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si impegnano per capire la situazione. “Non c’è nulla di male nell’essere una madre single, ma questo non dovrebbe interferire in un lavoro importante come il tuo. Altrimenti non avresti dovuto fare domanda”. Le sue parole sono a dir poco fastidiose e ritengo non abbia il diritto di fare congetture sulla mia vita. “Se vuoi licenziarmi, fallo e basta” “Cosa? No, no. Volevo solo sapere se avessi un valido motivo e volevo avvisarti che non si dovrà più ripetere”. Detta così, non ha tutti i torti. “Ho perso il telefono” spiego. “Va bene, ma cerca di procurartene uno, Jennifer era preoccupata”. Sembriamo due automi mentre parliamo. Non c’è traccia di emozione da parte di nessuno dei due. Nonostante questo, non mi sento a disagio e la rabbia che ho provato prima nel sentir nominare i famigliari di Alex, è quasi del tutto sbollita. Un’infermiera dall’aria conosciuta irrompe nella caffetteria e mi si avvicina frenetica. “Ellie, Alex si è svegliato, gli è salita un po’ la febbre, continua a chiamarti”. Mi alzo velocemente e la seguo con Zack alle calcagna.

“Ssht, tesoro. Sono qui, sono qui” lo prendo in braccio nella penombra della stanza e cerco di calmare il suo pianto. Mi è stato spiegato che deve aver avuto un incubo a causa dell’alta temperatura e il dottore, immaginando che mi trovassi ancora nell’edificio, ha pensato bene che fosse positivo per il bambino avere la madre vicino. Scorgo Zack appoggiato allo stipite della porta mentre passeggio per la camera. Quando gli do le spalle, sento improvvisamente Alex smettere di piangere. Ciò mi è famigliare. No…un momento…la scena da Arthur squarcia i miei pensieri e mi irrigidisco all’istante, finché non mi accorgo che mio figlio si sta allungando per avvicinarsi alla porta, spingendo indietro anche me. Lo riconoscerà e capirà tutto, accidenti! Sono nei guai.

-N/A -
Buonasera ragazze! Come state? Spero davvero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio di nuovo per tutto! Siete fantastiche! Vi ricordo le pagine su Facebook e Twitter: "When Love Takes Over". Un bacio <3

 
  
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