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Autore: Hikari_Henko    11/01/2017    1 recensioni
Lovino Vargas rivela le doti di un ottimo studente,anche se si dimostra sufficiente verso la lingua spagnola. Per questo gli viene affidato un tutor, Antonio, il quale sarà pure il suo unico amico, l'unico con cui poi rivelerà le atrocità del proprio passato e, creando un forte legame con lui, proverà ad affrontarle.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Antonio raggiunse l’istituto di corsa, sentendo le prime goccioline bagnarli i capelli. Aveva lasciato tutto lì e temeva che il vento avrebbe rovinato i libri, o peggio, le sue amate coltivazioni.
Fu così che si ritrovò davanti all’entrata principale, ma incrociò i suoi compari, accompagnati da un sopracciglione e un damerino, che tenevano sotto braccio le sue cose, al riparo sotto la tettoia. Non si fermò nemmeno a ringraziarli che si precipitò verso l’orto, ad aprire il suo grande telo e ricoprire i suoi amati bimbi. Anche se fradicio, si sentì sollevato e tornò dagli amici che aveva abbandonato all’ingresso.
-Gracias… scusatemi, dovevo sistemare ancora tutto…- prese il proprio zaino e lo appoggiò su una spalla.
-Alla buon’ora! Dove diamine stavi a quest’ora? Mica ti sei fatto Vargas vero?- Gilbert cercava di alleggerire la situazione, se pur interrotto da uno sguardo agghiacciante di Antonio, che subito dopo riprese quel suo solito sorriso, anche se inquietava un po’.
- In realtà, l’ho rincorso per ridargli dei compiti, poi però è incominciato a piovere e sono tornato subito…
-Quindi Vargas c’entra mon amie
-Vargas…- lo sguardo dell’inglese diventò dubbioso-… non l’ho mai sentito.
-Sopracciglio, mi deludi. Di solito conosci tutti.
-Fuck you, stupid Spanish.
Il loro rapporto non cambierà mai, mi sa.
-Vargas… Vargas… - pure l’austriaco si ritrovò perplesso. Anche se aveva una mezza idea.
Fatto sta che quei cinque andarono per locali a bere, stranamente, e la serata andò concludendosi con Roderich che suonava la pianola fuori dal tettuccio di un taxi con Gilbert che strimpellava cose con un mestolo, mentre si dirigeva alla casa del prussiano (nemmeno Dio sa dove abbiano trovato queste cose), Francis che trasportava Arthur ubriaco nel Motel più vicino chissà per qual motivo e Antonio che si reggeva a malapena in piedi, con un perizoma sulla testa, canticchiando motivetti poco illibati.
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Ovviamente, il giorno seguente si presentarono puntualmente in ritardo, cosa ormai considerata normale dagli insegnanti. Anche se appena entrato in aula, Antonio fu sbrigativo e uscì dalla classe…
Lovino come sempre se ne rimaneva appartato nel suo angolo buio, in mezzo alla sua solita classe di decisamente poca compagnia.
Tutto procedeva come i soliti giorni, soltanto che questo era sabato, il che significava: domenica. Domenica era tra i giorni peggiori. Rintanato nella sua camera tutto il giorno, senza bere o mangiare. Con unica compagnia l’unico oggetto che gli rimaneva del suo passato.
Soltanto che, qualcosa non andava.
Solitamente le ragazze della sua classe fangirleggiavano su certi studenti che passavano per i corridoi… ma le frasi “ Oh ragazze, guardate! Chi sono quelli?” “E’ il gruppetto di quarta! Sono un concentrato di figaggine acuta!” “Ma io conosco solo il francese tra quelli!” “OMMIODDIO SI AVVICINANO ALLA NOSTRA AULA”
E fu solo troppo tardi che Lovino si ritrovò Antonio e compagnia bella nella sua aula a parlare con le ragazze.
-Buenos dias ragazze, scusate l’intrusione… cercavamo Vargas- lui se ne stava sempre col suo solito sorrisone allegro. Quando le compagne sentirono il nome, cambiarono l’espressione vivida del loro volto in una vuota e cupa.
-Sta laggiù.
Tonio non si accennò minimamente a sorridere ancora verso di loro, o a porgere dei saluti. Aveva capito che non erano tipe da prendere in considerazione.
Lovino intanto era immobile che li fissava dal fondo dell’aula, che si avvicinavano sempre di più a lui.
-Hola Lovi!
-Che cazzo ci fate tutti qui?
-Ti sequestriamo, cherie
-Cos- non fece nemmeno in tempo a chiedere spiegazioni che il suo tutor lo prese a mo’ di sacco di patate fino all’uscio, per poi condurlo sottobraccio fino alla presidenza. Il ragazzino barcollava, imprecava, cercava di nascondersi, come sempre, i suoi lividi sul volto.
Venne portato in quell’angolo dell’istituto mai visitato personalmente, così freddo e cupo. Si estendevano quadri e foto degli studenti che ormai avevano lasciato la scuola da anni, forse secoli.
L’aula della presidenza non era più grande di una cameretta per bambini, ma ospitava tranquillamente cinque persone. Il Preside era un uomo anziano, basso. Era molto… particolare.
Era molto alto, magrissimo, ossuto, con i capelli biancastri raccolti in una coda. Portava degli occhiali rotondi più grandi del dovuto. La sua voce era abbastanza acuta per un uomo.
-Ahh il Signorin Vargas… prego, siediti.- disse il vecchio, sorridendo. Lovino fece, ansioso e ancora confuso.
-Sono stato informato… dal tuo tutor, ovviamente… di relativi problemi nel tuo ambiente familiare…
“Cosa cazzo gli ha detto lo spagnolo porcodd- “
-…in  pratica, che ti troveresti meglio a studiare solo nello stare in un luogo diverso.
-Eh- non stava capendo una mazza. Nemmeno gli prestava tutto l’ascolto del mondo, dopotutto.
-In questo istituto, specializzato appunto per la grande varietà culturale e linguistica, si sono stretti accordi anche negli anni precedenti…
“Dove vuole arrivare questo?”
-…con l’autorizzazione di un tutore, infatti, si ha la possibilità di soggiornare nell’abitazione di uno studente maggiorenne per maggior approfondimento nello studio delle materie. Fosse anche solo una prova di una settimana, o la permanenza per un anno intero, si può fare, se lo studente interessato è dedito alla partecipazione.
-Ma quindi io… cosa c’entro?
-Oh, allora il nostro Fernandez Carriedo non ha accennato proprio nulla, eh?
-In pratica- Antonio prese parola- ho fatto richiesta alla scuola di poterti ospitare a casa mia per aiutarti nello studio, e questo per l’intero anno.
“TU CHE COSA?!”
-Ti serve l’autorizzazione- ribattè l’italiano- e mio zio non acconsentirebbe mai.
“Semmai, dopo questa cazzata che hai fatto mi riempirà la faccia di sberle fino a farmi morire”
Il preside, nella sua eleganza, si alzò e si avvicinò ad un telefono/citofono attaccato al muro: - Abbiamo già chiamato. Arriverà qui a breve, per acconsentire il tutto.
-Eh…?
-In pratica… lui verrà a firmare, a lezioni concluse andrai a casa per prendere le tue ultime cose e poi… verrai a vivere da me.
“Ma stiamo scherzando?”
-Credo sia arrivato,- mise giù il piccolo citofono, probabilmente dalla segreteria della scuola- ragazzi uscite e tornate a lezione.
Salutarono. Lovino accennò solo un inchino, tenendo la testa bassa, avendo quasi scordato di avere il volto a chiazze. Aprirono la porta e uscirono in gruppo, circondando il ragazzino. Andarono verso le scale, alcuni gradini dopo, guardando verso il piano terra dove erano stati prima, videro l’enorme figura dello zio. Sorridente, con i vestiti migliori che aveva. L’italiano lo fissava, con un’apatia profondissima. Antonio fece segno agli altri due di andare, mentre lui rimase fermo con il ragazzo a fissarlo mentre stringeva felicemente la mano del preside, per poi allontanarsi.
-Io… spero che a te vada bene… insomma- lo spagnolo titubava, non sperava in una risposta da Lovino, ma…
-Grazie.
Rimasero in un totale silenzio per qualche secondo, fissando il vuoto, su quei freddi gradini. L’italiano si girò aggraziatamente verso il volto del tutor, sorridendogli dolcemente.
-Grazie davvero.
E OVVIAMENTE, CHI NON FANGIRLEREBBE INTERNAMENTE PER UN PICCOLO E INNOCENTE LOVI SORRIDENTE?
Antonio si tinse di rosso le guance per l’imbarazzo e per la felicità. Non una parola di più, non una di meno, il giovane gli sorrise ancora prima di mettersi il cappuccio e ritornare in aula prima che suonasse nuovamente la campanella. Lo spagnolo rimase nella suo allegro mondo per un po’, tornando velocemente in aula quando si accorse che tutti gli altri stavano rientrando nelle loro.
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Le cose da portare via non erano molte, aveva si e no qualche completo vecchio che portava da tempo, i libri e quell’unico ricordo che aveva dei suoi genitori: una tartaruga di peluche. Strano ma vero, l’ultima cosa che gli ricordava la sua vera provenienza. L’unico oggetto che gli ricordava che quelli non erano i suoi amabili parenti.
Fatto sta che non parlò nemmeno con suo zio o sua zia. Prese le proprie cose, uscì. Si lasciò tutto alle spalle.
Tutto, proprio tutto. La fredda stanza dove dormiva ogni notte da 12 lunghi anni. Il lungo corridoio dove scappava dall’ira degli zii.
Davanti a lui, si ritrovò solamente Antonio, col suo sorriso da ebete che adorava.
“Che faccia da cretino…”
Dopo ciò, un taxi li portò fino alla distante nuova abitazione, allontanandosi sempre di più da quella vecchia e sconsolata casa.
Il tempo passava in fretta, Lovino guardava il mondo circostante. Era da moltissimo tempo che non saliva su un’ automobile. Sentiva il suo stomaco borbottare e le gambe che tremavano da un misto di eccitazione e ansia.
Il tutor lo guardava incuriosito, sempre sorpreso ogni momento di più. La compagnia dell’italiano gli stava giovando. D’un tratto, toccò la spalla al giovane, che si girò di scatto. La macchina rallentava.
Erano arrivati.
“Oh porca-“
La casetta davanti a loro era circondata da un largo giardino. Sarà stata un’abitazione a due piani, forse con soffitta. Era bianca con accenni di giallo e blu qua e là, progettata con uno stile tipicamente tardo romano, ma con aggiunte quali balconi, edera che contornava alcune nelle finestre e porte in legno massiccio.
“Quanto cazzo son ricchi questi qui?”
Antonio si diresse verso il vialetto per raggiungere l’entrata pagato il taxi, mentre Lovino prendeva sotto braccio il suo scatolone, seguendo lo spagnolo.
-Qui… penso non avrai problemi con lo studio.
-Perché dici?
-Io vivo da solo.
“Ma COSA?”
-I tuoi genitori?
-Boh
-COME BOH?
-Saranno nella casa in Spagna, forse…
“E perché diamine questo si trova qui?”
-Ah…
All’interno, tutto si rivelava più sicuro di quel che potesse sembrare da fuori. C’era un doppio muro, infatti, che proteggeva ermeticamente la casa vera e propria da possibili ladri o altro.
“Alla faccia della sicurezza”
Superata la vera entrata, ci si ritrovava in una classica casetta da famigliuola felice: pavimento in legno sul salotto,con un grande tappeto, un camino, una televisione e un gigantesco divano, piastrelle di marmo in cucina, arredata da cima a fondo con un piano cucina grande come il tavolo, quindi grande come una porta in pratica. Delle scale a chiocciola portavano alle camere e ai bagni. Si diressero direttamente lì, volendo prima sistemare tutto.
C’era una sola camera da letto, uno studio, una stanza con degli strumenti musicali(mezza vuota tra l’altro) e un bagno enorme.
Varcata la soglia della camera, l’italiano perplesso notò una cosa sostanziale.
-Dove sta il mio letto?
-E’ quello.
-Ma… è un matrimoniale, non ci dormi tu?
-Si, ma ci stiamo in due. Almeno, fino a quando non compreremo un altro letto.
“Oh merda…”
   
 
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