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Autore: Kary91    13/01/2017    2 recensioni
[Long Fiction | Jace!centric | Jace & Alec (bromance) | What-if? di "Città delle Anime Perdute"]
Ci troviamo verso la fine di Città di Anime Perdute e qualcosa di sostanziale cambia, durante la battaglia fra Shadowhunters e Ottenebrati: Alec viene ucciso da Sebastian, sotto lo sguardo impassibile di un Jace schiavo della volontà di quest'ultimo.
Sei mesi dopo, Jace è finalmente libero dal condizionamento di Sebastian, ma non è più se stesso. Devastato dai sensi di colpa e dal dolore per la perdita del suo parabatai , è ossessionato dall’idea di riportare in vita Alec.
Troverà un modo: una strada che nessuno ha mai nemmeno pensato di intraprendere e che probabilmente gli costerà la vita. Un viaggio che rischia di scardinare l’equilibrio dei Regni Celesti – dove vivono gli angeli e le anime di chi non c'è più.
Ma quando Jace Herondale vuole qualcosa nemmeno Raziel in persona può impedirgli di ottenerla. Soprattutto se quel qualcosa è la vita di suo fratello.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, James Carstairs, Kieran, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
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2 | Half Alive, Mostly Dead;

«A volte le persone ti vengono strappate, che tu lo voglia o meno. E a volte fa così male che dimenticare sarebbe più facile.»
Isabelle Lightwood Le Cronache dell’Accademia Shadowhunter. Cassandra Clare

 

La soffitta in cui Tessa l’aveva accompagnato era piuttosto buia, nonostante l’ampia finestra sul fondo. Jace resistette all’impulso di tirare fuori la stregaluce e si dette un’occhiata intorno.

Si era sempre immaginato le soffitte come posti polverosi e pieni di cianfrusaglie, ma quella era pulita e completamente sgombra. Gli unici oggetti che sembravano occuparla erano una poltrona paffuta color avorio, un lampadario rigorosamente spento e, in un angolo, un vecchio mappamondo.

La poca luce che proveniva dalla finestra era filtrata dalla figura di un uomo che guardava fuori. La sua postura era immobile – la schiena ben dritta e le mani incrociate dietro la schiena.

Era vestito in maniera semplice – una maglietta spiegazzata e un paio di jeans, entrambi bianchi – e i capelli scuri gli ricadevano spioventi sulle spalle.

Jace sbatté più volte le palpebre, quasi stesse cercando di metterlo a fuoco: lo conosceva, ma sembrava diverso. Il suo aspetto aveva qualcosa di immobile, di spento, che non ricordava di avergli mai attribuito prima di quel momento.

 

 “Jace.”

Il suo nome echeggiò atono per la stanza.

Magnus smise di guardare fuori dalla finestra e si voltò, appoggiandosi al davanzale.

“Vorrei poter dire che sono contento di vederti, ma le bugie non mi sono mai piaciute. ”

Il viso stanco di Jace ospitò un sorriso.

“Mi ferisci, Magnus.” ironizzò, appoggiandosi a una colonna con la spalla. “Che fine hanno fatto i nostri timidi tentativi di amicizia?”

Lo stregone lo ignorò: aveva l’aria assorta, come se avesse appena ricordato qualcosa e si stesse sforzando di ricostruirne i dettagli.

D’un tratto, la sua attenzione tornò su Jace.

“Che ne pensi dell’Inghilterra?” chiese, indicando fuori dalla finestra. “In fondo, la tua famiglia ha origini inglesi: gli Herondale hanno gestito l’Istituto di Londra per generazioni.”

Jace si strinse nelle spalle.

“Le uniche attrazioni in cui mi sono abbattuto venendo qui sono un paio di gatti rossi e una cassetta delle lettere rovesciata, quindi non credo di poter essere obbiettivo” ammise, mettendosi a braccia conserte. “Ma a te deve senz’altro piacere molto, vista la fretta con cui sei sparito dalla circolazione per venire qui.”

L’ultima volta che aveva visto Magnus era stata al funerale, sei mesi prima.

Già da allora lo stregone aveva fatto del suo meglio per mantenere le distanze, il silenzio a fargli da scudo e il mento affondato nel collo di un maglione bianco e un po’ consunto – il maglione di Alec.

Se ne stava immobile fra Tessa e Jem, una mano in quella dell’amica e l’altra stretta a pugno lungo il fianco. Jace era riuscito a intravedere le lacrime che solcavano il suo volto anche a quella distanza: l’aveva fissato a lungo, specchiandosi in uno dei pochi sguardi che riusciva a riflettere alla perfezione lo smarrimento e la disperazione che provava.

Si era avvicinato solo al termine della funzione, per abbracciare Izzy e Clary. Studiandolo da più vicino, Jace si era accorto che c’era qualcosa che non tornava nel suo aspetto: aveva gli occhi insolitamente spenti, privi del brillio felino che li caratterizzava di solito.

Mai gli erano apparsi così umani – umani e sofferenti – quanto in quel momento.

 

 “Onestamente se avessi potuto scegliere avrei preferito il Perù, ma mi ci hanno bandito.”

Le voce di Magnus – piatta e monocorde – lo riagganciò al presente.

“Come mai?” chiese Jace, incuriosito.

Lo stregone arricciò il naso.

“Non ne sono sicuro, ma potrebbero c’entrare le mie scarse attitudini musicali…” rivelò, allargando le mani. “… O lo sterco di uccello. Forse tutte e due le cose assieme.”

Jace era ancora più confuso di prima, ma decise di non fare domande.

“Come sta Isabelle?” chiese ancora Magnus, la voce leggermente meno atona. “I primi mesi mi scriveva spesso, poi non si è più fatta sentire.”

“Non sono stati dei mesi facili, per lei” rivelò Jace. “Sta prendendo in considerazione l’idea di unirsi alle Sorelle di Ferro.”

Ebbe l’impressione che quelle parole gli bruciassero in bocca, dolorose quanto il fuoco che gli scorreva sottopelle.

Erano settimane che lui e sua sorella litigavano per quella storia: l’idea di perdere Isabelle, dopo Alec e Max era talmente dolorosa da risultare inconcepibile. Aveva trascorso giorni interi a gridarle contro e poi a consolarla, a calmarsi e a tornare da lei per farla ragionale.

Izzy, tuttavia, incominciava ad apparire convinta di quella decisione: credeva che la vita spenta e solitaria delle Sorelle di Ferro avrebbe tenuto alla larga anche il dolore.

“Ah.”

Lo sguardo di Magnus si accese per un istante, attraversato da un lampo di compassione.

“Capisco. Perdere due fratelli nel giro di un anno…”

La sua voce s’incrinò, sfuggendo al suo controllo per la prima volta in quel pomeriggio.

Il dolore era intessuto nei suoi occhi come dei sottili fili di ragnatela: la poca luce cercava di tenerglielo nascosto, ma in momenti come quello era impossibile non notarlo.

“Ma immagino che tu non sia venuto qui per parlarmi della tua famiglia…” osservò lo stregone, tornando a guardare fuori dalla finestra. “… Né per una visitina a sorpresa.”

“Non ti sbagli.”

Jace si avvicinò, la determinazione a coprire i segni della trascuratezza sul suo volto.

“Sono qui perché ho bisogno del tuo aiuto.”

 “Ma davvero?”

Un sorriso ironico affilò l’incurvatura delle labbra di Magnus.

“Quale novità. Beh, ho delle brutte notizie per te: ho smesso di essere il vostro Nascosto di compagnia. Se hai bisogno di una consulenza magica ti consiglio il sommo stregone di Helsinki: pare che sia piuttosto economico …”

“No, non hai capito.”

Jace scosse la testa, stringendo i pugni fino a far impallidire le nocche.

“Si tratta di Alec.”

Lo stregone s’irrigidì. Qualcosa del suo aspetto sembrò mutare, come se le parole di Jace avessero avuto un impatto fisico su si lui.

Lo scintillio ironico del suo volto, la magia che emanava, l’aura d’immortalità che gli veleggiava attorno: si prosciugò tutto, restituendo allo sguardo di Jace la figura fragile di un diciannovenne qualunque.

“Voglio riportarlo indietro” riprese Jace, incoraggiato dalla sua reazione. “E credo di aver trovato un modo per farlo.”

Un lampo improvviso, netto e lampante, accese gli occhi felini di Magnus e quella fu l’unica traccia di vitalità che il ragazzo riuscì a individuare nel suo aspetto: conosceva bene quella luce. Era la fiamma del dolore più vivo, talmente vorace da inghiottire qualsiasi tentativo di soffocarla.

Era il genere di dolore che provoca rabbia e non apatia.

Era la stessa sofferenza che ardeva dentro Jace, mescolata al fuoco celeste.

Sul volto di Magnus si aprì un sorriso amaro, il più triste che Jace gli avesse mai visto abbozzare.

“Sei uno stupido” mormorò, gli occhi beffardi e compassionevoli al tempo stesso. “Stupidi, stupidi mortali: durano meno di un soffio e non conoscono nulla, eppure credono sempre di poter trovare una soluzione a tutto.”

“Non saprò molte cose, ma conosco questa” si scaldò Jace, squadrandolo deciso: la collera aveva ripreso a dimenarsi sotto la sua pelle. “C’è un passaggio nel Regno Fatato: un crocevia che collega le terre sotto la collina a tre dimensioni diverse. Tommaso il Rimatore era convinto che due di queste conducessero all’Inferno e al Paradiso. La seconda, in realtà, si collega al mondo dei Mortali, ma la terza…”

Si schiarì la voce, rauca dal tanto parlare dopo mesi di conversazioni ridotte all’osso.

“… La terza attraversa le Dimensioni Infernali: la terza conduce al regno dei morti.”

“È solito una stupida leggenda” replicò Magnus, gli occhi ridotte a due fessure. “I Regni Infernali sono le dimensioni dei demoni: non esistono scorciatoie o passaggi segreti per il regno dei morti, se non la morte stessa. Le anime di chi ci lascia potrebbero trovarsi ovunque, perfino nel nostro mondo. Mai sentito parlare di fantasmi?”

“Alec non è un fantasma” ribatté freddo Jace. Le sue dita corsero a tastare la runa parabatai ormai sbiadita. “Se lo fosse, se qualcosa di lui – qualsiasi cosa – fosse rimasta in questa dimensione, lo saprei.”

Magnus sorrise amaro.

“La morte è piena di sfumature” commentò, riesumando il tono di voce piatto di poco prima. “Come la vita. La strada in cui si snoda non è come i tasti del tuo pianoforte: non ci sono solo il bianco o il nero – il paradiso e l’inferno, i fantasmi e le anime che vanno avanti. Ci sono vari stadi, luoghi di stallo dove i morti risiedono prima di migrare altrove. Non sono luoghi fisici, né sono rintracciabili dai vivi.”

“Devo comunque provare” ribatté Jace, squadrandolo insofferente. “Le proverò tutte: ogni teoria trovata in quei vecchi libri polverosi. Non ci viene sempre detto che tutte le storie sono vere?”

“Oh, a voi Nephilim vengono raccontate tante cose, ma questo non le rende più verosimili.”

Magnus aveva le dita poggiate sulle tempie: tutto in lui esprimeva sofferenza, fatta eccezione per gli occhi, luccicanti di collera.

“La morte è irreversibile” tuonò, la compostezza spazzata via in pochi istanti. “Non si gioca con i fili recisi alla vita: il prezzo da pagare è troppo alto, perfino uno sbarbatello come te dovrebbe saperlo. Nemmeno la negromanzia è in grado di riportare indietro un morto, non del tutto: può restituirti solo l’ombra della persona che hai perso. Un guscio vuoto, senza volontà, né anima. È questo che vuoi fare ad Alec?” chiese, ignorando le ciocche di capelli che gli erano cadute sugli occhi. “Privarlo dell’anima? Legarlo a un’esistenza a metà che nessuno vorrebbe vivere?”

“Mai.”

Jace scosse la testa.

“Mai… Ma la magia infernale non può essere l’unica opzione. Perfino io sono morto, un anno fa. Valentine mi ha ucciso, eppure sono di nuovo qui e non è cambiato niente, in me.”

“Sei un raccomandato, che ti devo dire?” replicò Magnus, visibilmente spazientito. “Solo gli angeli hanno il potere di compiere magie simili e Raziel è stato piuttosto chiaro l’ultima volta che l’abbiamo evocato: non intercederà mai più nelle questioni che riguardano i Nephilim. E comunque, nessun angelo si scomoderebbe mai per la morte di un umano qualunque.”

Il dolore nello sguardo di Jace lo spinse a rettificare.

“Qualunque per lui.”

“Hanno aiutato Simon in cambio del marchio di Caino” insistette Jace, guardandosi le mani: riusciva a intravedere le scintille che gli scorrevano sottopelle. “A Raziel non piace quando gli umani s’invischiano in qualcosa di divino e io ho il fuoco celeste. Se gli offrissi uno scambio…”

“… Moriresti ancor prima di aver completato il rituale di evocazione” lo interruppe Magnus, con aria di sufficienza. “… Ma forse è proprio questo il tuo scopo.”

Si studiarono per qualche istante, fino a quando il familiare sorriso obliquo non accarezzò le labbra di Jace.

“Mi stai chiedendo se voglio morire?”

Magnus allargò le braccia.

“Le tendenze autodistruttive sono nei geni degli Herondale da secoli: non saresti il primo della tua famiglia a scambiarmi per un’analista.”

Jace si scostò dalla colonna; l’ironia nel suo volto svanì, cedendo il posto alla stanchezza.

“L’ho ucciso” mormorò, il tono di voce insolitamente calmo. “Ho ucciso il mio parabatai: ho commesso l’azione più deplorevole che ci si possa aspettare da uno Shadowhunter.”

“È stato Sebastian” lo corresse Magnus, irrigidendosi al ricordo. “Sebastian ha ucciso Alec: è stato lui a trafiggerlo con…”

“È la stessa cosa!”

Il pugno di Jace si avventò sul muro – forza e fiamme ad aggredire la parete.

“Stavamo lottando quando è successo. Probabilmente l’avrei ucciso io stesso se Sebastian non si fosse messo in mezzo. E quando l’ho visto affondare, quando ho capito che stava mirando al cuore, non ho mosso un muscolo per impedirglielo. Gliel’ho lasciato fare.”

Un altro pugno.

Il sangue inumidì le dita di Jace, mescolandosi al dolore.

Magnus attutì l’impatto con la magia, soffocando le fiamme con uno scintillio azzurrino.

 “Questa carta da parati mi è costata un occhio della testa” borbottò, sorvegliando il ragazzo a distanza.

Jace lo ignorò.

“Ho sentito uno squarcio, quando è successo: era la sua anima che mi veniva strappata via. Per un po’ ho pensato che non esistesse un dolore più crudele di quello, ma mi sbagliavo. La cosa peggiore è non poter dimenticare: a volte mi sveglio e risento quello strappo, le ferite interne riprendono a sanguinare. È come se Alec morisse ogni giorno, come se fossi condannato a perderlo in continuazione. Sono sopravvissuto a tante cose, ma a questo no: a questo non voglio sopravvivere.”

Cercò Magnus con lo sguardo e lo trovò di fronte a lui, le mani ancora avvolte da un cerchio di scintille azzurre. Riuscì a riconoscersi nel suo sguardo stoico eppure velato di sofferenza. Il sollievo gli stuzzicò il petto, quando riconobbe una venatura di comprensione in quegli occhi felini: lo capiva, adesso ne era certo. Magnus lo capiva.

“Lo rivoglio” riprese, con il tono cocciuto dei bambini. “Voglio indietro mio fratello e non m’importa se per riaverlo dovrò smuovere l’Inferno e i Regni Celesti, o se mi farò ammazzare nel processo: glielo devo.”

Le scintille azzurre scomparvero con uno schiocco; Magnus gli posò una mano sulla spalla.

“Mi dispiace” mormorò, un’insolita sfumatura di dolcezza nel tono di voce. “Credimi, mi dispiace davvero: ma non posso aiutarti.”

Jace si ritrasse.

“Tu lo amavi” sbottò, aggredendolo con lo sguardo: proprio non riusciva a capire. “Lo amavi, e ti rassegni così?”

Magnus inspirò con forza, la stanchezza sempre più marcata nei suoi lineamenti.

“Jonathan Herondale” pronunciò poi, tornando a voltarsi verso la finestra. “Sei così arrogante da crederti sempre un gradino sopra gli altri, ma nemmeno tu puoi pensare di conoscere il mondo meglio di un immortale. Sono su questa Terra da più di quattrocento anni e ho amato e perduto molte volte. Dicono che il primo amore sia il più doloroso – io stesso dissi a Tessa qualcosa di simile, anni fa – ma adesso so che non è così: è l’ultimo quello che ti strazia di più. Alec per me era questo; l’ho avuto a fianco per così poco, eppure è riuscito a cambiarmi in modi che prima del suo arrivo non avrei mai creduto possibili. Non era solo il ragazzo che amavo, era anche l’ultimo: non volevo più amare dopo di lui.”

Un sorriso nostalgico gli piegò appena le labbra, in aperto contrasto con il dolore nei suoi occhi.

“Ho sofferto e soffrirò sempre per averlo perso, eppure sì, ho accettato la sua morte: mi sono imposto di farlo. Perché so cosa succede a un’anima quando i vivi non si rassegnano a lasciarla andare: le si impedisce di andare avanti. Le si vieta di lasciarsi alle spalle ciò che ha perso.”

Jace scosse la testa; un brivido di tensione gli avviluppò lo sterno.

“Io non voglio che Alec mi lasci indietro.”

Magnus tornò a voltarsi verso di lui.

“Dovrai imparare ad accettarlo” replicò, gli occhi improvvisamente lucidi. “Quello che stai facendo per Alec non è amore: è egoismo. Finché continuerai a cercare modi per trattenerlo qui, finché non gli permetterai di andare avanti, Alec non sarà mai libero di vivere qualsiasi cosa stia affrontando.”

“Non posso lasciarlo andare.”

Jace aveva recuperato il solito cipiglio deciso.

“Andrò avanti con le ricerche, con o senza il tuo aiuto. Non è una questione di scelta” aggiunse, sfiorando con i polpastrelli la parete annerita dal fuoco. “Perché io non ho scelta.”

Gli diede le spalle, lasciandosi scivolare in tasca le dita sporche.

“Ti farò avere delle nuova carta da parati” promise a mo’ di saluto, avvicinandosi alla porta.

Magnus lo stava ancora fissando, ciuffi di capelli a coprirgli disordinatamente gli occhi.

“Sono immortale” dichiarò improvvisamente. “Per giorni, da quando Alec è morto, ho riflettuto sul significato di questa parola: che senso ha la promessa di una vita eterna se hai scelto di trascorrerla senza più amare?”

Jace lo ascoltava a stento, impaziente di tornare a casa: si era convinto che parlare con Magnus l’avrebbe aiutato, che avrebbe trovato in lui un alleato, ma quell’incontro non aveva fatto altro che alimentare il suo bisogno di risposte.

“Più volte, prima di venire a Londra, ho pensato di chiuderla qui” rivelò ancora Magnus con semplicità. “Ho vissuto tanti anni e la stanchezza, il dolore per le perdite, incominciavano a farsi sentire. Presto inizierò a fossilizzarmi, a vivere a metà come è accaduto a tanti stregoni prima di me. Poi, però, ho ripensato ad Alec: a quello che è riuscito a insegnarmi nei pochi mesi che ci hanno concesso. Ho pensato a come ha affrontato la morte di Max, a come ha lottato fino all’ultimo per trovarti. Era così piccolo, il mio Alexander: poco più che un bambino.”

La sua voce tremò, ma l’orgoglio nel suo sguardo era stabile quanto il passo di un guerriero.

“Vacillava e soffriva di continuo, ma non si è mai lasciato piegare dal dolore. Grazie a lui ho accettato quello che, andandomene, mi sarei rifiutato di accettare: ho sofferto.”

Jace tornò a serrare i pugni, i muscoli insolitamente contratti: faceva male, sentir parlare così di suo fratello. Faceva male ricordare quanto avesse amato, e combattuto, e perso, spesso a causa sua.

“E soffro ancora, tutti i giorni, proprio come te e Isabelle. Ma se soffro è perché sono vivo.[1]

Il volto di Magnus, adesso, non aveva più maschere: era antico e sincero, dolore e rimpianto mescolati ad affetto e all’orgoglio.

 “Spiega questo a tua sorella” concluse, scostandosi una ciocca dagli occhi. “Dille che una vita spezzata non si rigenera rompendone un’altra. Di’ a Isabelle di vivere il doppio, il triplo, affinché anche i fratelli che ha perso possano avere una possibilità attraverso di lei. Non sprecate il tempo che vi è rimasto facendovi del male.”

Una luce azzurrina illuminò la stanza, attirando l’attenzione di Jace; un portale si disegnò in mezzo loro, proiettando riflessi azzurri sul volto di Magnus.

“Alec non lo vorrebbe.”

Note Finali.

Buongiorno!

È venerdì e questo significa ‘nuovo capitolo’! La storia riprende da dove si era conclusa con quello precedente ed ecco che Jace incontra finalmente Magnus. Il loro dialogo è stato forse uno di quelli più dolorosi da scrivere, ma la storia non mi sarebbe sembrata completa senza una comparsa di Magnus, vista la sua importanza nella vita di Alec. Magnus e Jace sono due persone molto diverse e Magnus ha alle spalle anni di vita, saggezza e conoscenze che Jace invece non possiede: questo si riflette nel modo così diverso che hanno di affrontare la morte di Alec.

Jace si trova dunque di nuovo a un punto di partenza, ma come sappiamo non si lascia abbattere facilmente. Nel prossimo capitolo tornerà alla carica con le sue ricerche e le sue teorie e tenterà di strappare qualche risposta a un certo, bellissimo, Fratello Silente a caso. Un Fratello Silente che sa benissimo quanta dolore comporti la perdita del proprio parabatai. Il prossimo capitolo se la batte con questo per il livello di angst, ma prometto che dal quarto in poi l’atmosfera si alleggerirà (giusto) un tantino.

Ringrazio tantissimo le persone che hanno commentato lo scorso capitolo e quelle che hanno aggiunto la storia alle seguite! Spero tanto di sentire un vostro parere su questa nuova parte!

 

A presto

Laura

 

 

 

 



[1] Questa frase di Magnus si ispira a un dialogo del film “Charlie St. Cloud”. Me ne sono accorta a posteriori quindi spero di ricordare correttamente!

   
 
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