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Autore: Milla Chan    13/01/2017    2 recensioni
Akaashi capisce che c’è qualcosa di strano non appena mettono piede in università: nessuno saluta Kenma, e lui tiene gli occhi fissi sulle piastrelle su cui cammina, le sopracciglia contratte. Gli si legge in faccia che vuole uscire il prima possibile da lì, che fatica a camminare e lo fa in modo macchinoso, irrequieto. Il suo viso sembra stanco ed è abbastanza sicuro che non abbia dormito abbastanza.
Più o meno sa che tipo di persona è Kenma: lo ha incontrato al liceo, hanno giocato parecchie partite insieme, c’è stata quella vena di sana competizione a far scattare tra loro qualche scintilla.
Lo conosce, certo, ma non davvero, non abbastanza bene da rimanere in contatto o mandarsi mail, o considerarlo un vero e proprio amico.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Sweet like honeysuckle late at night
 
Il cibo preparato da Akaashi è la cosa più buona che esista. C’è un po’ di carne, riso, uova e tantissime verdure e, anche se non sono il suo alimento preferito, Kenma è felice di mangiarle. Come se non bastasse, è tutto cotto fin troppo bene e disposto in maniera spaventosamente appetitosa.
Akaashi tasta il terreno con qualche parola e riesce a farlo parlare, oltre che mangiare. È un ottimo risultato, ne è felice.
Kenma sente il cuore leggero quando delle risate deboli ma sincere escono dalla propria bocca piegata verso l’alto, anche se il pavimento è freddo e il legno finto duro.
È in grado di mangiare senza che la gola gli si chiuda o lo stomaco gli si attorcigli e può davvero affermare che a pancia piena si sta decisamente meglio, anche se dopo gli viene un po’ sonno.
 
Da quel giorno, la pausa pranzo l’hanno sempre passata in quell’aula vuota, anche se in teoria non si potrebbe. Kenma ha iniziato a portare il suo pranzo, ma Akaashi è rimasto scandalizzato dalla qualità di quello che poteva solamente chiamare come una sottospecie di cibo, e più di una volta gli ha personalmente preparato il bento, anche se Kenma ha spesso tentato di dissuaderlo dal farlo o ha inutilmente provato a rifiutare.
 
Stare con Akaashi è confortante e rilassante. Magari non lo capisce bene come Kuroo, al quale basta uno sguardo per leggerlo, ma il suo modo di approcciarsi con lui è quanto di più rassicurante gli sia mai capitato.
È calmo, lucido e deciso. Sembra avere tutto perfettamente sotto controllo e sembra sapere benissimo ciò che fa, ma non è frenetico, invadente o arrogante. La sua personalità non è ingombrante, non spicca; al contrario, è riservata e discreta, e il modo che ha di muoversi è fluido, esteticamente piacevole e delicato.  A Kenma dà una sicurezza e una sensazione di protezione spaventosamente rincuoranti; emette una bella aura, almeno per lui. Sente una chimica.
Solo guardarlo basta a fargli calmare il respiro e aumentare i battiti del cuore, ma in maniera gradevole. Sarà che è perfetto, con quelle mani curate e le labbra sottili che sembrano disegnate.
Kenma è un ragazzo intelligente. Akaashi l’aveva già capito bene negli anni precedenti, sul campo da pallavolo, ma non sapeva che ciò si applicasse in ambito accademico, perché sa che non è affatto scontato che le due cose siano collegate.
È solo pigro e poco incline ad impegnarsi, ma ci mette poco a capire e fissarsi in testa i concetti. Gli piace il modo che ha di ragionare e di esporre le cose, con una semplicità disarmante alla quale non si può quasi replicare. È chiaramente un ragazzo particolare, poco socievole, fortemente bisognoso di certezze granitiche e, forse proprio per questo, anche un po’ delicato.
Akaashi è abituato a trattare con persone un po’ problematiche -Bokuto non è proprio il miglior esempio di ragazzo emotivamente stabile- e quando tutti sembrano voler star loro lontano, qualcosa dentro di lui lo spinge naturalmente a prendersi cura di loro. Vuole capirli, anche se è difficile e spesso sembra insofferente e alcune volte, è vero, si chiede chi glielo faccia fare.
Eppure sente chiaramente che Kenma vuole essere capito, quindi stare con lui è una continua e interessate scoperta. È felice di essere riuscito a farlo aprire e, forse, di averlo aiutato e di starlo aiutando a superare o a tenere sotto controllo la sua ansia. Sente che sono affini, in qualche modo.
 
Le settimane successive passano così, con una spropositata quanto inarrestabile ascesa di emozioni fuori dal mondo e intense, per entrambi. Agosto è finito, settembre è iniziato e scorre, scorre senza fretta tra le foglie che iniziano a ingiallire sugli alberi e le brezza che si fa più fresca.
Man mano che la fiducia si rafforza, si raccontano di  sensazioni passate e profonde, cose che non hanno mai avuto il coraggio o le parole per raccontare a qualcun altro, o almeno non così presto, eppure sembra così naturale e le parole escono spontanee, anche se sono poche. Nessuno dei due è particolarmente loquace, in effetti, ed entrambi sono felici di poter anche solo stare in silenzio a godersi l’uno la presenza dell’altro, senza doversi sentire in imbarazzo o costretti ad avere una conversazione. Va bene anche solo stare vicini e continuare a fare ciò che stavano facendo, ed è incredibile e nuovo sia per Akaashi che per Kenma.
 
Akaashi ora lo capisce un pochino meglio. I loro toni sono calmi, ma a volte si fanno un po’ sarcastici e leggermente pungenti e così scopre anche nuovi lati di Kenma, quello più stizzito e permaloso e quello più testardo. Scopre i suoi bronci che spariscono in fretta, ma a quelli preferisce di gran lunga i suoi sorrisi e le sue risate, tanto rare e speciali e decisamente sconvolgenti, perché gli sollevano gli zigomi, e mostrano quegli yaeba troppo belli per essere veri, per i quali Akaashi un po’ muore.
Gli piace sentirlo parlare dei suoi videogiochi, tutto concentrato a spiegare, e Akaashi lo ascolta con attenzione e un sorriso vago in volto, perché non ci capisce assolutamente niente, lui. Vorrebbe davvero sapere un po’ di più a riguardo solo ed esclusivamente per vedere più spesso quelle iridi di ambra brillare quando parlano di un gioco nuovo o di DLC che deve assolutamente avere o di quanto diavolo sarà bello il Nintendo Switch.
Akaashi non può far altro che annuire, versarsi altro tè dal thermos e godersi quei momenti sempre troppo brevi in cui Kenma dimostra chiaramente di avere qualcosa che lo appassiona.
Kenma un giorno gli dice che può solamente sognare di cucinare come lui, e ad Akaashi si accende una lampadina in testa.
“Vieni da me.” gli propone mentre si avviano verso l’uscita dell’università per andare alla fermata del bus, un giorno che non devono stare anche al pomeriggio.
Kenma avvampa e Akaashi si affretta a spiegare che vorrebbe insegnargli a preparare qualcosa di semplice, almeno per iniziare, perché non sopporta davvero di vederlo mangiare solo cose strane e dall’odore non proprio invitante.
Kenma accetta e così scopre che la casa di Akaashi è a soli dieci minuti di bus dalla sua, tre fermate più in là.
Anche lui vive in un monolocale, ma è decisamente più grande e più luminoso, soprattutto per i gusti di Kenma, che è abituato a mobili impiccati in pochi metri quadrati con una finestra affacciata su un altro palazzo.
 
Akaashi è ai fornelli e sta preparando quella che probabilmente sarà la cena di Kenma.
Kenma, alla fine del pomeriggio, si rende conto che non ha imparato molto, impegnato com’era a fissare lui invece del cibo. Ci ha provato, davvero, ma è stato più forte di lui.
Kenma si sente cullato, lì dentro, e non vuole andare via, anche perché sta facendo buio e fuori sicuramente farà freddo. Ma è inevitabile.
 
Per la sua gioia, Akaashi lo invita ancora, qualche giorno dopo. Prova anche a farlo cucinare, ma tutto si risolve con il fornello sporco e un dito scottato.
Ci ridono sopra mentre Akaashi guida la sua mano sotto l’acqua fredda e Kenma pensa che quel contatto fisico non sia necessario, ma non gli dispiace per niente.
Lo invita di nuovo, la settimana successiva, e mentre Kenma è davanti alle pentole sul fuoco, Akaashi sta in piedi dietro di lui per controllare bene cosa sta facendo, sporgendo la testa oltre la sua spalla.
Quando Kenma si accorge che sono vicini, tanto vicini, e il suo petto quasi aderisce alla propria schiena, si distrae rischia di scottarsi di nuovo. Ci pensa uno schizzo d’olio a fargli ritrarre la mano e a farlo indietreggiare per riflesso. Gli sbatte contro, ma il rumore della stoffa è morbido e l’urto attutito.
Akaashi gli appoggia le mani sui fianchi per tenerlo in equilibrio e Kenma volta la testa indietro. Ogni suono si sospende, loro si guardano e le loro espressioni si fanno un po’ agitate, un po’ titubanti. Si allontanano senza dire niente, ma Kenma ha il cuore in gola.
Le lezioni di cucina diventano presto inviti a cena, e poi film visti assieme sul divano col computer collegato alla televisione, e poi entrambi, magari contemporaneamente.
Settembre scorre, passa, e ottobre inizia, e gli alberi sono quasi tutti spogli, ormai.
Per Akaashi quella diventa routine infrasettimanale, e per Kenma un angolo di paradiso.
 
A volte, quando sono a lezione e Kenma non capisce qualcosa -ed è comprensibile, visto che non ha frequentato per quattro mesi-, si volta verso Akaashi e gli parla sottovoce.
Akaashi si è riscoperto ad aspettare con impazienza il momento in cui lo fa, perché gli piace sentire la sua voce vicino all’orecchio, e il suo profumo si fa più intenso. Non riesce a non appoggiare casualmente una mano sulla parte alta della sua schiena mentre si china verso il suo foglio, per leggere meglio e capire cosa non gli è chiaro.
Kenma lo guarda con la coda dell’occhio e articolare le parole si fa un po’ più difficile.
Akaashi non sa quanto quel gesto irradi Kenma di una sensazione liquida e dolce, ma sa bene cosa suscita in sé, sentire le loro guance così vicine. Vorrebbe che non gli piacesse così tanto, vorrebbe potersi fermare, ma è come percorrere una discesa senza freni e il senso di colpa inizia a stendersi sulle sue spalle, leggero come un sottile velo, ogni volta che si allontanano e la sua testa gli permette di pensare razionalmente.
 
Un campanello di allarme suona insistentemente nella testa di Akaashi proprio quando si accorge che il bisogno di toccarlo si fa più insistente quando lui e Kenma sono insieme.
È orribile perché gli sembra terribilmente sbagliato quando è con Bokuto, Bokuto che è il suo sole, che lo illumina e gli dà tutto, che gli sorride ed è la creatura più dolce che esista; lo ama.
Quando è con Kenma, però, sembra impossibile trattenersi, e non sa quali siano i suoi veri pensieri. Ma ci deve essere qualcosa di vero, uno dei due sentimenti deve essere quello reale, e ci dev’essere un modo per capirlo.
 
È metà ottobre. Per il compleanno di Kenma, che cade di domenica, Kuroo riesce ad organizzare una piccola festa nel suo appartamento, che è abbastanza grande, e per fortuna il suo coinquilino sarà via per tutto il giorno.
Kenma non è molto d’accordo, soprattutto all’inizio, ma non glielo impedisce: non ama essere al centro dell’attenzione, ma è davvero felice di poter rivedere Kuroo e di sapere che è disposto a cancellare tutti i suoi impegni per passare finalmente del tempo con lui.
Ci mette un’ora e mezza per arrivare al suo condominio.
Lo abbraccia a lungo prima che arrivino gli altri ospiti e si gode tutto quel contatto fisico, così caloroso e dal sapore un po’ malinconico. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe mancato tanto, forse non gli era mai passato per la testa che un giorno non lo avrebbe più avuto a due passi da casa.
“Mi sei mancato.” mormora Kuroo con la guancia contro i suoi capelli, e Kenma si scioglie in un sorriso perché, sì, anche lui gli è mancato.
Poi però cala il silenzio e le dita di Kuroo passano dalla sua schiena al suo viso, e lo avvolgono dolcemente, perché è talmente piccolo da starci quasi perfettamente tra le sue mani.
Kenma non fa in tempo a collegare che si ritrova nel mezzo di uno di quei baci fantasma che però lo fanno sentire la persona più amata del mondo. Non si allontana, e anzi ricambia, ma sente una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Per qualche motivo il suo cervello inizia a fare collegamenti ad una velocità impressionante, collegamenti che terminano con la figura di Akaashi e una voce che sembra sussurrargli che c’è qualcosa di sbagliato, che sta prendendo in giro qualcuno.
Quando si allontana il campanello della porta suona, e lui non ha tempo per pensare come avrebbe voluto a quello che è appena successo, ma il sapore di Kuroo gli rimane sulle labbra.
 
Quel pomeriggio ci sono i loro vecchi compagni di squadra del liceo, il piccoletto della Karasuno, Bokuto e Akaashi; il salotto non è enorme ma si sta bene comunque.
 
Kuroo rimane a parlare con Bokuto per un tempo infinito: sono ottimi amici fin dal liceo, sono chiaramente sulla stessa lunghezza d’onda, ma insieme diventano i ragazzi più scemi dell’universo e star loro dietro è sfiancante e le loro risate sguaiate attirano decisamente troppo l’attenzione.
Kuroo cambia radicalmente quando inizia a ringraziare Akaashi per tutto quello che ha fatto e che sta facendo con Kenma: ora sembra un ragazzo rispettoso e responsabile, qualcosa tipo il gemello buono della persona di pochi minuti prima.
Kenma li guarda sospettoso. È abbastanza sicuro che Kuroo stia dando ad Akaashi dritte su come trattarlo e a dir la verità vorrebbe andare lì e tappargli la bocca con una manciata di patatine.
Akaashi, però, sembra apprezzare: inizia ad annuire e a lanciare qualche raro sorrisetto dopo un’iniziale espressione tra l’infastidito e l’annoiato, che in realtà non è altro che la sua espressione di dafault. Kenma l’ha definita più di una volta resting bitch face e Akaashi l’ha sempre guardato storto, ma è perfettamente consapevole di averla e, forse, a volte la sfrutta un po’ troppo.
 
Kenma però nota anche che Akaashi evita di guardarlo negli occhi, e si accorge che c’è qualcosa di strano nella sua voce, un’inclinazione che non gli appartiene. Akaashi non sembra del tutto a suo agio.
Sente il cuore scivolargli sotto i piedi quando vede il modo in cui Bokuto gli accarezza la mano e gli riempie la guancia di baci quando rimangono da soli in cucina.
Ah, certo, è logico. Mancava solamente quel passaggio logico.
Dischiude le labbra e si sente investito da un’ondata di quella che potrebbe essere gelosia, o angoscia, o entrambe. Disincanto, forse.
Improvvisamente si sente un illuso inconcludente e non sente neanche un briciolo di volontà di riscattarsi, forse perché lasciarsi scivolare in un vortice di indolenza è molto più facile.
 
Tutti parlano e ridono e mangiano le patatine facendosi passare il sacchetto, perché Kuroo non ha trovato una ciotola pulita in cui metterle.
Kuroo sta tornando in salotto quando vede Kenma seduto un po’ in disparte sul divano, con lo sguardo perso e un braccio sul cuscino, piegato a sostenersi la testa. Gli si siede accanto e gli appoggia una mano sulla gamba mentre si sporge a guardarlo con preoccupazione.
“Kenma?”
“Voglio andare a casa.”
Con Kuroo, Kenma fa scivolare fuori dalla bocca i pensieri direttamente partoriti dal suo cervello, quelli più veri, più grezzi e senza filtro, spesso. Eppure, quelle parole gli costano tanto. Si pente immediatamente di averlo dette.
Vede gli occhi neri di Kuroo farsi grandi e poi socchiudersi nel tentativo di nascondere il dispiacere.
Kuroo gli passa un braccio attorno alle spalle e Kenma ama sentire quel calore, certo, ma per qualche motivo sente lo stesso fastidio di prima che si acuisce.
Si accoccola contro il suo petto nella speranza che passi, assieme alla forte sensazione di essere di troppo, anche se quella è la sua festa di compleanno -ma Kenma sa che quel di troppo, la sua testa lo sta associando agli occhi blu di Akaashi.
 
Akaashi li guarda appoggiato allo stipite della porta e si tormenta le dita con fare nervoso. Vorrebbe fare qualcosa ma si sente bloccato, e quella scena gli fa realizzare qualcosa che avrebbe preferito non germogliasse mai.
Lui e Kenma hanno provato a fare finta di niente, durante i giorni successivi, ma è tutto così finto, così recitato, così chiaramente rivolto in una sola direzione che diventa una farsa insopportabile.
Sia Kenma che Akaashi sono un po’ impacciati e le parole si fanno più di convenienza, più modulate e calibrate. C’è della tensione tra loro due ed è brutto per entrambi.
Kenma non osa chiedere di poter andare di nuovo da lui, non ne ha il coraggio, anche se vorrebbe tantissimo perché vuole ancora toccarlo casualmente nel calore di quelle quattro mura profumate. Forse, però è meglio così, no? Deve abituarsi, vero? Aveva davvero troppe aspettative, non è così?
 
Kenma però non riesce davvero a nascondere l’entusiasmo e l’ansia che si mischiano sul suo volto quando Akaashi lo trattiene, stringendogli il braccio mentre sta scendendo alla sua fermata.
Non fa domande, Kenma. Aspetta, guarda il fondo del bus, e stranamente non sente nulla di significativo, nessun dolore alla testa, o al petto, o allo stomaco -sì, forse quello un po’, ma è costante da tutto il giorno e tutti i giorni, ormai, non è nulla di importante.
A dir la verità, forse, gli viene quasi da sorridere nel capire che è davvero stupido mentire a se stessi.
 
Akaashi sembra essere giù di morale, oppure solo molto, molto combattuto: appena entrato in casa, lascia la tracolla a terra e si siede al tavolo come se fosse un naufrago che ha trovato un pezzo di legno a cui aggrapparsi in mezzo al mare.
La faccia di Kenma si contrae in una smorfia. Non vuole più sentirlo così distante, soprattutto ora che sono a casa; ne ha avuto abbastanza. Vuole che sia il suo amico, quello di sempre, che l’ha aiutato così tanto anche se l’ha fatto innamorare, stupidamente.
Si avvicina da dietro a passi leggeri e appoggia le dita sulle sua spalle.
“Akaashi.” lo chiama, e non sa perché ma le braccia scivolano in avanti, e si avvolgono attorno alle sue spalle, fino a sfiorargli le clavicole e lo scollo del maglioncino di lana grigia. Vorrebbe farlo sentire protetto e consolarlo come Akaashi fa con lui, ma non sa come fare e l’unico modo che gli viene in mente è quello, è abbracciarlo, perché non è bravo con le parole e sa di non avere la sua stessa aura ristoratrice. A dir la verità non è bravo neanche con il contatto fisico, ma spera che Akaashi sia comprensivo.
“Cos’hai?” gli sussurra vicino all’orecchio.
 
Akaashi finalmente capisce perché, ogni volta che aveva rivolto a qualcuno quella domanda, che fosse a Bokuto o a Kenma, aveva sempre ricevuto risposte confuse. Non è facile da spiegare.
“Tu, invece, cos’hai?”
Akaashi ha rigirato la domanda e Kenma pensa che sia una mossa subdola e ingiusta.
“L’ho chiesto prima io.” mormora avvicinandosi ai suoi capelli neri e un po’ mossi, e più sente il suo profumo, più l’istinto è quello di chiudere gli occhi e inebriarsene e stringerlo più forte.
L’altro sorride impercettibilmente e raggiunge le mani di Kenma con le proprie, gli sfiora le nocche con le dita affusolate.
“Ma io voglio saperlo di più.”
Sente Kenma imbronciarsi contro la sua nuca. “Non è vero.” ribatte in un borbottio, permaloso e adorabile.
Il broncio si sfrega tra i suoi capelli, più in basso, vicino al collo, e Akaashi si morde le labbra.
“Vuoi baciarmi, vero?”
 
L’aria lascia i polmoni di Kenma ad una velocità impressionante. La gola si secca e lui si congela.
Sì. In realtà lo sta già praticamente facendo, ma sentirlo dire forte e chiaro direttamente dalla bocca di Akaashi lo uccide.
È irreale: la luce che entra dalle finestre è strana, quel contesto è strano, quello che stanno facendo è strano e forse non si può tornare indietro perché non c’è un modo per spegnere il gioco senza salvare.
 
“Solo uno, va bene?” continua Akaashi in un sussurro roco,  perché non ha ricevuto una risposta, e con i polpastrelli carezza il dorso delle sue mani, che sono ancora lì attorno alle spalle.
 
Kenma deglutisce a vuoto. È come se gli leggesse nella testa, e fino ad allora è sempre stata una prerogativa di Kuroo, perciò lo spiazza, ma non può nascondersi e non riesce a trattenersi.
“Solo uno.” ripete Kenma, piano, in trance, come se non sapesse che uno non gli sarebbe mai bastato.
Forse fare finta di potersi saziare con uno e un solo bacio, fare finta che qualcosa di così fugace non avrebbe avuto conseguenze è la bugia migliore che possa dirsi per godere di quel momento.
Chiude gli occhi e appoggia le labbra sulla porzione di pelle più vicina, sul suo collo che sembra -ed è- così morbido e bianco.
Gli deve così tanto che un bacio sembra indecente.
Anche Akaashi chiude gli occhi. Inclina il collo e trattiene il respiro, le mani che ora stringono i suoi avambracci.
 
Kenma si allontana con uno schiocco dopo secondi lunghissimi.
Solo allora il cuore inizia a battere furiosamente e Akaashi lo sente attraverso la sua schiena. Vorrebbe dirgli che non è niente, ma sa anche lui che non è vero, e anche il suo batte forte, e i suoi occhi ora sono spalancati e le pupille grandi.
Si lasciano lentamente andare.
Kenma sta fermo con le mani sullo schienale della sedia -è l’unico modo per sostenersi- finché il nodo alla gola non si fa insopportabile e gli ingranaggi nel suo cervello non diventano incandescenti, tanto girano veloci.
Vuole parlare e ci prova più volte, ma Akaashi e il suo silenzio non lo aiutano, quindi apre la bocca solo per richiuderla subito dopo.
 
Akaashi non riesce neanche a guardarlo in faccia. Nella sua testa ha ben chiara la scena di lui che si alza in piedi e lo bacia, ma le gambe sono di pietra e rimangono cementate lì, le ginocchia piegate piegate, i piedi ben fissi per terra. Gli tremano le labbra, perché, ecco, è successo. Sta cedendo.
Si sente come se avesse compiuto il più grave dei peccati, il più vergognoso, e forse lo è davvero.
Non può permettere che rimanga così, però. Deve cambiarlo. Ribaltare quella sensazione, rigirarla, in qualche modo.
Si alza in piedi, finalmente; gira su se stesso. Lo guarda dall’alto, poi appoggia la fronte contro la sua, inspirando a fondo.
“Akaashi.”
Kenma lo chiama ancora, perché ama il suono del suo nome.
È il momento fatidico e Kenma si sente come se l’avessero appena lanciato in una gabbia piena di leoni.
“… Non possiamo.” sussurra piano.
 
Kenma ha ripensato tanto a Kuroo e a Bokuto, nei giorni scorsi. Non sa quale dei due lo abbia frenato di più, chi lo abbia ostacolato maggiormente, quale dei due ragazzi gli stesse impedendo di appagare quel bisogno viscerale. In quel momento pensarci è più difficile. È come se tra lui e loro ci fosse un grosso vetro al di là del quale non si sentono le grida.

Akaashi lo sa fin troppo bene.
Ha raffinato quel pensiero che è sbocciato il giorno del suo compleanno, lo ha smerigliato, lo ha lustrato per capirsi al meglio.
Si è analizzato a fondo e si è reso conto che i suoi dubbi non riguardano cosa prova per Bokuto, ma cosa prova per Kenma. Sembra poco, detto così, ma in realtà è un grande passo.
Non sente qualcosa in meno nei confronti di Bokuto, e se da un lato ciò lo rincuora -non sopporterebbe davvero di rendersi conto che il suo amore per lui si è esaurito-, dall’altro lo turba, perché non sembra avere un senso: non credeva fosse possibile provare qualcosa di così grande per due persone distinte.
Non sa dove li tenesse, tutti quei sentimenti -esiste davvero una cisterna misurata in cui tenerli e conservarli, poi?
Sarebbe molto, molto più facile se l’attrazione che prova per Kenma fosse solamente fisica, ma sa che non è così e fa fatica a distinguere ciò che prova per lui e ciò che prova per il suo ragazzo. È difficile spiegarlo, sono due cose diverse, ma anche uguali, insomma, è così poco logico da fargli scoppiare la testa.
 
Tutto il bruciore che Kenma sente sotto la pelle passa da eccitante ad asfissiante quando Akaashi si allontana. Un attimo dopo, però, ha le sue dita sulle sue labbra.
Alza gli occhi sui suoi, confuso ed emozionato, e la serietà di Akaashi lo colpisce.
“Shh.” lo invita a fare silenzio, a buttare via i pensieri, con la fronte leggermente contratta e il capo che lentamente si china da un lato. Kenma gli dà retta, ma non sa se inconsciamente o meno. Forse il solo fatto di domandarselo lo rende conscio? Non sa rispondersi.
Le mani di Akaashi passano tra i suoi capelli, tirandoglieli indietro, liberando completamente quel piccolo volto.

Kenma chiude gli occhi, perché non riesce più a reggere la pressione di quegli occhi, e assume un’espressione quasi addolorata. Vorrebbe, vorrebbe tantissimo, ma dentro di lui si sente dilaniato e non sa quale voce ascoltare, quale pulsione seguire.
“Ti prego non farlo.” mormora in un ultimo tentativo.
Sta parlando più a se stesso, in realtà; lo fa per sospendere il tempo, per convincersi una volta per tutte a smetterla subito, ma le sue labbra sono così vicine che può già sentirle sulle proprie, le sta sfiorando. La voce si è fermata contro di esse e sa che ormai è troppo tardi.
Ha le mani sul suo petto, ma sta stringendo la stoffa per avvicinarlo piuttosto che per spingerlo via.
 
Akaashi però si irrigidisce, a quelle parole.
“Kuroo-san non vorrebbe?” riesce a dire, sempre a voce bassa, sempre con un tono roco che scatena una serie di brividi lungo la schiena di Kenma.
È troppo vicino, non può vedere i suoi occhi, ma la sua voce gli solletica la bocca socchiusa.
“Kuroo non…” inizia Kenma, con un velo di sdegno. “Tu, piuttosto.” sibila tra i denti con qualcosa che sembra rabbia.
Forse non avrebbe dovuto suonare così accusatorio, perché Akaashi sembra starci male. Sembra essere già abbastanza consapevole, e vorrebbe tanto che gli spiegasse cosa gli sta passando per la testa.
Le mani di Akaashi corrono lungo il suo giubbotto. Kenma non si ricordava di averlo ancora addosso, ma quando si accorge che gli sta slacciando i bottoni la sua testa smette di funzionare.
Non sa cosa sia Kuroo, per lui. Non ne ha idea. Non lo sa, davvero, non lo pensa solo perché il momento è equivoco; ma Bokuto, oh, Bokuto è chiaro chi sia, è palese e indubbio.
Si umetta le labbra perché il giubbotto gli scivola giù dalle spalle e Akaashi sta premendo le labbra sulla sua tempia, proprio dove sente la testa spaccarsi a metà.
“Tu…” riprende Kenma, e l’indignazione si fa sentire un po’ di più, ma la voce è impercettibile e sembra che dalla sua gola esca solo aria, senza suono. Sente il quel bacio un altro invito, un po’ più disperato, a stare in silenzio, e non lo sopporta, perché sa che gli darà ragione ancora una volta.

Andiamo, non lo saprebbero.
La voce nella testa di Kenma è talmente improvvisa, maligna e maliziosa da farlo sussultare. Il cuore gli batte incredibilmente forte e le mani sono ancora strette alla maglia di Akaashi.
Con quelle quattro parole si conclude il discorso. È come chiudere un enorme portone, sbattendolo.
Distruggerebbe tutto, il mondo esploderebbe, lo sa, lo sa che sarebbe devastante. Ma non vuole essere ragionevole, non più; è stanco di esserlo: si lascia inghiottire.
 
Le mani di Akaashi scivolano sulla schiena di Kenma, sotto le scapole, un po’ più in basso rispetto a quando lo toccava a lezione.
Kenma ha come la sensazione che non avrebbero più parlato.
Socchiude le palpebre e appoggia delicatamente una mano dietro il suo collo, sfiorando i capelli neri.
Si alza sulle punte dei piedi, si tende verso l’alto con quella che sembra indolenza, tanto è lento, ma la distanza non è molta perché Akaashi si è chinato verso di lui.
Trattiene il respiro quando finalmente appoggia le labbra piene sulle sue, più sottili e morbide.
È dolce e calmo, è atteso. È segreto e silenzioso, in quello spazio ristretto.
 
Akaashi lo insegue per mezzo secondo mentre Kenma torna alla sua altezza.
Anche lui ha gli occhi chiusi e il cuore batte furiosamente.
Sente tutti i pensieri rimasti venire sommersi dal mare oscuro che gli sta allagando la mente.
Inspira e se lo porta contro di nuovo, e Kenma si lascia sfuggire un debole gemito mentre inclina la testa verso l’alto e ricattura la sua bocca, questa volta in modo meno innocente.
 
Si abbracciano, le mani si accarezzano, si accarezzano i palmi morbidi, il dorso un po’ secco per il freddo. Le dita si intrecciano e corrono lungo la vita, il petto trepidante, il collo in tensione, il viso. Si sbilanciano, le labbra si dischiudono un po’ di più ad ogni bacio.
 
Qualcosa scatta nella testa di Kenma, come un interruttore, e all’improvviso si rende conto che lo vuole troppo ed è felice di star facendo quel che sta facendo.
Quel profumo lo uccide, lo sviscera, gli fa rimbombare il cervello. Quei capelli scombinati sono morbidi come cotone.
Si sente avvolto nel calore, ed è morbido, morbido come il materasso su cui si siede, e poi si sdraia, sotto la spinta di Akaashi che in realtà è solo una lieve pressione.
Strizza gli occhi e un altro verso esce dalla sua gola mentre si aggrappa alla sua schiena, perché i baci si fanno più profondi e uno un particolare lo fa tremare, tanto è intenso il brivido che gli causa al basso ventre.
Akaashi passa a baciare la sua guancia e Kenma si scioglie. Scende alla mandibola, poi fino al colletto della maglietta. Kenma si solleva sui gomiti e Akaashi si allontana per guardarlo e capire come sta, cosa pensa, cosa dovrebbe fare, ora, se può continuare, se devono continuare.
Hanno il respiro affannato e Kenma non riesce a staccare gli occhi dalle sue labbra, che ora sono più rosse, e più umide, e gonfie e dischiuse.
Allunga una mano e gliele sfiora col pollice, appoggiando le altre dita sulla sua guancia, e la testa si fa tanto leggera quando Akaashi piega il collo per rincorrerle con un’espressione serena e persa.
Si lascia ricadere sul materasso mentre se lo riporta vicino, e giura di aver intravisto un sorriso aleggiare sulla bocca di Akaashi.
 
Per Kenma è così strano. Così strana, quella sensazione, in cui tutto quel contatto non è casuale ma voluto, anzi, necessario.
Non gli sembra vero che lui possa piacere a qualcuno, non così tanto, specialmente in quel senso e tanto meno a qualcuno di così perfetto come Akaashi.
Con Kuroo è diverso, con Kuroo c’è un affetto costruito in anni e anni di sostegno reciproco e non nega di provare qualcosa nei suoi confronti; ma quella carica così forte da sembrare elettrica, quell’attrazione così prepotente, così sessuale, semplicemente, risulta nuova e al limite dell’inconcepibile.
Non sa come abbia fatto, ma se in quel momento è sotto Akaashi ed è sul suo letto a strusciarglisi addosso con la sua lingua in bocca, allora deve aver fatto qualcosa di veramente incredibile di cui non si è affatto accorto.
Sussulta quando sente la mano di Akaashi sfiorarlo sotto la maglia. I suoi polpastrelli sono più freddi di quel che ricordava, ma le tracce che lasciano dietro di loro sembrano di fuoco, turbinii caldi che gli scombinano tutto quanto fin sotto la pelle. Il verso che esce dalla sua gola è soffocato, zittito da un altro bacio.
Kenma afferra i suoi avambracci e lo guarda negli occhi mentre rotola sopra di lui e si siede sul suo bacino, il respiro corto e le guance arrossate perché, ah, lo sente e pensare che è per lui lo emoziona.
Ha gli occhi di Akaashi puntati addosso e quando se ne accorge è compiaciuto, piuttosto che imbarazzato, e anche quella è una sorpresa, qualcosa di nuovo.
Si china in avanti e i capelli scivolano in basso fino a solleticare il volto di Akaashi. Lo sfiora con la punta del naso e questa volta è Akaashi ad emettere un lamento, accompagnato da un sospiro pesante e un movimento del bacino.
Akaashi appoggia le mani sui suoi fianchi, e poi di nuovo sotto la stoffa, e apre ancora la bocca perché non ne ha davvero abbastanza.
Le mani di Kenma vagano sul suo viso e non sanno dove fermarsi, forse perché un po’ tremano, o forse perché le loro teste continuano a inclinarsi e avvicinarsi e allontanarsi, e ancora ad avvicinarsi -i baci che si danno non sembrano avere più alcun senso.
 
Kenma si ferma qualche secondo per riprendere aria e sfrega la bocca umida contro la sua guancia, le palpebre chiuse che fremono appena.
Ansima vicino al suo orecchio. Akaashi è convinto che quel suono sia mortale e si tira a sedere con un gesto improvviso, cogliendolo di sorpresa, tanto che Kenma si deve aggrappare alle sue spalle per non cadere indietro.
Rimane seduto su di lui, le ginocchia piegate sul letto e le braccia attorno al suo collo mentre Akaashi lo tiene vicino, stringendolo più forte nell’abbraccio più frettoloso e contemporaneamente tenero che potesse rivolgergli.
Appoggia la fronte contro il suo collo, inspirando a fondo e sorridendo con un po’ di stanchezza, sentendo la testa girare come se fosse ubriaco.
L’aria attorno a loro è calda e i due ragazzi, ansanti, rimangono stretti l’uno all’altro ad occhi chiusi.
Più lo abbraccia, più Kenma sente la felicità spargersi nel suo corpo.
 
Potrebbero fermarsi lì, non andare fino in fondo.
Non è il caso, forse, perché dopotutto si sono baciati per la prima volta solo qualche minuto prima, e magari accelerare le cose non sarebbe la prassi corretta. Akaashi, poi, è solito abituare gradualmente e con calma gli altri ad ogni singola cosa, quindi Kenma non se ne sorprenderebbe se lo facesse.
A dir la verità, però, ne sarebbe indispettito. Anzi, di più, sarebbe arrabbiato. Sarebbe furioso, perché in quel momento sta letteralmente andando a fuoco e Akaashi non può lasciarlo così, non dopo quei baci. Non vuole interrompere proprio un bel niente e per un attimo si chiede dove sia finita la sua natura timida e ansiosa.
Lo pensa con intensità e spera che Akaashi lo senta, gli legga nella mente e faccia qualcosa, o in caso contrario sarà lui a rovesciarlo sul materasso in una manciata di secondi, perché davvero non ce la fa a tenere tutto sotto controllo. 



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Angolo autrice
Oh no, capitolo arancione intenso- ho dovuto tagliarlo malamente a metà per questioni di lunghezza, non odiatemi, consideratelo un cliffhanger at its finest.
Chiedo scusa per il ritardo, ma l'università mi ha davvero risucchiata, anzi, non sono riuscita neanche a rileggere il capitolo prima di pubblicarlo quindi spero che non ci siano gravi errori.
Ovviamente spero anche che possiate apprezzare ancora la storia nonostante la piega che ha preso, so che non è ciò che tutti vi aspettavate... Ma c'è ancora un capitolo lungo con cose che devono succedere, quindi rimanete sintonizzati~
Per il terzo ed ultimo capitolo dovrete aspettare ancora una settimana!
A presto!
   
 
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