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Autore: Christine Enjolras    15/01/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Courfeyrac

La giornata proseguì tranquilla, tra scherzi e risate. Courfeyrac non riusciva a togliersi dalla testa che prima di andarsene avrebbe dovuto fare almeno due cose: far entrare Enjolras in acqua, anche con la forza, e vendicarsi dello scherzo fattogli da Bahorel. L’occasione per la sua vendetta si presentò verso la fine del pomeriggio, quando i ragazzi stavano pensando di tornare a casa. Grantaire era ancora in acqua e Bahorel se ne stava in piedi a bordo piscina, parlando tranquillamente con lui. Courfeyrac prese una bella rincorsa e andò dritto contro Bahorel.

“ATTACCO A SORPRESA!” urlò dandogli una spallata che lo fece sbilanciare e cadere in acqua. Bahorel riemerse velocemente e lo sguardo con cui guardò Courfeyrac fu raggelante.

“LA CUFFIA, RAGAZZI!” gridò di nuovo il bagnino. Bahorel non si girò: uscì dall’acqua e andò subito da Courfeyrac, che intanto stava ridendo di gusto.

“Ti fa tanto ridere, Courfeyrac?” gli disse, senza cambiare la sua espressione. Ad un certo punto, entrambi sentirono la voce di Enjolras unirsi alle risate di Courfeyrac. “Ah! Vedo che anche tu lo trovi divertente!”

“Diciamo che penso solo che te lo sia meritato!” disse Enjolras riuscendo a smettere di ridere.

Courfeyrac andò da Enjolras e si diedero il cinque. A quel punto, l’espressione di Bahorel cambiò, trasformandosi in ghigno. “Ma bene, paladino della giustizia!” Bahorel andò verso l’esile ragazzo, lo sollevò e corse verso la piscina, dicendo: “Vediamo se adesso riderai ancora!”

“Aspetta! NO!” prima che Enjolras potesse aggiungere altro, Bahorel lo aveva già buttato in piscina. Fu così che prima di tornare a casa, Courfeyrac aveva visto realizzarsi i suoi due obiettivi in una volta sola.

Enjolras si appoggiò al bordo, i lunghi capelli completamente bagnati portati sulla spalla. “Ok: questo gesto lo posso capire e te lo concedo!” fu il suo unico commento.

“RAGAZZI, NON VE LO VOGLIO PIÙ RIPETERE!” urlò nuovamente il bagnino, esasperato. “DOVETE METTERVI LA CUFFIA PER STARE IN PISCINA!”

“MI SCUSI: NON SUCCEDERÀ PIÙ!” gli rispose Enjolras, leggermente in imbarazzo.

 Courfeyrac tornò alla sdraio e trovò Marius intento a sistemare il suo zaino.

“Courfeyrac” iniziò il ragazzo quando si accorse che lui era lì. “Posso chiederti una cosa?”

“Certo: tutto quello che vuoi.”

Marius si sedette sulla sdraio, poggiando il suo zaino accanto a sé, e proseguì: “Come vi siete conosciuti tutti voi?” Courfeyrac era sorpreso: quella era una domanda che di solito facevano i bambini ai loro genitori, non se l’aspettava. “Voglio dire…” continuò Marius, “voi siete tutti così diversi tra di voi e avete anche età differenti. Come vi siete trovati?”

Courfeyrac ripensò un attimo a quel giorno e si mise a ridacchiare. “Questa è una cosa che mi piace raccontare!” disse mentre si sedeva accanto a lui. “Ecco come sono andate le cose quel giorno di due anni fa…”

 

“Ti farai scoprire, François! Finiremo nei guai per colpa tua!” Combeferre e Courfeyrac stavano davanti al laboratorio di chimica, mentre il ragazzo ricciolino guardava all’interno dell’aula per assicurarsi che non ci fosse nessuno.

“Non fare il guastafeste, Michel!” lo zittì subito Courfeyrac. “La prof si merita una lezione! Lascio la bombetta puzzolente sotto il cuscino della sedia e me ne vado!”

“Si merita una lezione?!” chiese Combeferre, senza parole. “Ti ha messo in punizione perché hai distribuito a tutti quelle bombe gastronomiche che ti sei portato dietro!”

“Michel Combeferre! Era solo uno scherzo! E poi tu dovresti ringraziarmi per averti risparmiato!”

“Avevi glassato quelle ciambelle con la maionese volutamente, santo cielo! È stato un gesto ignobile da parte tua, François De Courfeyrac!”

“No, senti!” si irritò Courfeyrac. “Lo sai che detesto essere chiamato col mio cognome completo! Troppo pomposo!”

“Appartieni ad una delle poche famiglie nobili rimaste in Francia: mi sembra più che normale.”

Combeferre e Courfeyrac erano nella stessa classe, al tempo: fin dal primo giorno dell’anno precedente erano stati sempre insieme, praticamente inseparabili. Combeferre era sempre stato piuttosto timido, mentre Courfeyrac scivolava in mezzo alla gente come se fosse la cosa più semplice del mondo; allo stesso tempo, Courfeyrac riusciva a rimanere concentrato per non più di dieci minuti, mentre Combeferre si distraeva solo in casi eccezionali. I due ragazzi avevano tanto da imparare l’uno dall’altro e non potevano andare più d’accordo. Erano diversi anche fisicamente: Combeferre era un po’ più in carne di come sarebbe diventato poi e portava ancora gli occhiali da vista, mentre Courfeyrac era piuttosto magro.

“Io vado dentro!” insistette Courfeyrac. Poi lanciò lo zaino dritto tra le braccia di Combeferre, dicendo: “Tienimi lo zaino: almeno non mi pesa!”

“Scordatelo!” Combeferre gli passò indietro lo zaino colmo di libri. Tenendo la mano premuta sulla cartella di Courfeyrac, aggiunse: “Io non ci voglio entrare in questa storia!”

Quando Combeferre sembrò volersene andare, Courfeyrac lo fermò. “Dai tanto oramai sei qui! Non rovinare tutto!” rispose Courfeyrac, gettando nuovamente lo zaino al suo amico.

“NO!” Continuarono a lanciarsi quel povero zaino per un po’, mentre Combeferre si allontanava sempre di più da Courfeyrac cercando di andarsene.

Ad un certo punto, Courfeyrac sentì una voce molto profonda dire: “Ehi. Che succede qui?” Preso dal panico che un professore li avesse scoperti, si girò di scatto e lanciò lo zaino nella direzione dal quale proveniva quel suono. Sfortunatamente, la sacca finì in pieno stomaco ad un robusto e alto ragazzo, coi capelli castani tenuti lunghi sopra e rasati ai lati: passava di lì assieme ad un altro ragazzo dal fisico asciutto, un po’ più basso di lui, con dei folti ricci neri e gli occhi azzurri.

“Oh cazzo… mi spiace!” disse Courfeyrac quando vide quel ragazzo tastarsi l’addome con una mano.  “Mi hai spaventato e io…”

“Yvan stai bene?” disse il ragazzo più basso mettendo una mano sulla spalla al suo amico.

“Yvan?” chiese Combeferre scioccato, quasi lo conoscesse. “Yvan Bahorel?”

“Lo conosci?” gli chiese Courfeyrac, voltandosi verso di lui.

“Solo per sentito dire…” ammise Combeferre. “È piuttosto conosciuto qui a scuola per il fatto che è stato bocciato per due anni di fila…”

“Esatto!” confermò Bahorel, dando lo zaino in mano al suo compagno, senza voltarsi. Avanzando poi verso Courfeyrac, si scrocchiò le dita e aggiunse. “E, considerando che non sono stato cannato solo per i miei voti... direi che puoi preoccuparti di aver provocato la persona sbagliata!” Detto questo, prese Courfeyrac per la maglietta e lo sollevò. “Da dove vuoi che inizi?”

“Per… per favore, mettilo giù…” provò a dire Combeferre. “È stato un incidente!”

“Non metterti in mezzo, o dopo passerò a te!” disse Bahorel, senza togliere lo sguardo da Courfeyrac.

“Eh eh… non possiamo parlarne?” disse Courfeyrac cercando di togliersi dai guai.

“Direi di no!”

“Yvan, avanti…” L’altro ragazzo sembrava quasi voler aiutare Courfeyrac, ma restava un po’ sulle sue. “Cosa ti costa lasciar perdere, per una volta?”

“Non ti ci mettere pure tu, Georges!” Bahorel sembrava non voler sentir ragioni.

“EHI! METTILO SUBITO GIÙ!” Tutti e quattro i ragazzi si girarono quando sentirono queste parole pronunciate da una voce maschile ancora acuta. Davanti a loro, alle spalle di Bahorel, apparvero due ragazzini, uno davanti all’altro: nel vederli così minuti e ancora piuttosto bassini, Courfeyrac ebbe l’impressione che fossero più piccoli di lui e Combeferre, quindi dovevano essere del primo anno. Il ragazzino più indietro aveva degli spettinati capelli rossi e doveva essere davvero minuto per riuscire quasi a sparire dietro al suo compagno, che era leggermente più alto di lui, esile e con dei capelli biondi abbastanza lunghi da essere raccolti in un piccolo codino basso. A guardarli si capiva che era stato il ragazzino davanti ad urlare. Courfeyrac sentì un movimento, si girò e notò che Bahorel, che si era leggermente girato verso i due ragazzini, stava squadrando quello biondo da capo a piedi, mentre il suo amico dai riccioli neri guardava anche lui il ragazzino, ma con uno sguardo sorpreso e imbambolato insieme.

“Ce l’hai davvero con me, biondino?” disse Bahorel, guardando fisso quel ragazzino nei suoi grandi occhi azzurri.

“E con chi altro?!” rispose lui, avanzando con passo deciso. L’altro ragazzo rimase per un attimo indietro, poi corse subito alle spalle del suo amico, come per nascondersi di nuovo.

“N-no, aspetta…” iniziò a dire Combeferre al biondino. “Non devi finire tu nei guai per noi…”

“Lascialo fare, sapientino!” disse Bahorel, mettendo a terra Courfeyrac e avanzando a sua volta verso il ragazzino. “Evidentemente qualcuno qui ha voglia di fare l’eroe!”

Il ragazzo rimase a fissarlo dal basso, senza indietreggiare. Nel vederli così vicini, Courfeyrac notò che il ragazzino era davvero minuto; certo: Bahorel era talmente alto che Courfeyrac gli arrivava appena sotto le spalle, ma il biondo ragazzo gli arrivava giusto giusto alla bocca dello stomaco. Inoltre, Bahorel era molto robusto, mentre lui era esile come un giunco. Eppure, sembrava non avere la minima paura. “Solo perché sei più grande di me per età e corporatura, non significa che io debba avere paura di te!” Poi girò la testa verso il ragazzo che stava pietrificato dietro di lui e gli disse: “Jean, allontanati, per favore. Non voglio che tu rimanga coinvolto!” Combeferre appoggiò una mano sulla spalla di Jehan, come sarebbe stato soprannominato poi, e riuscì a farlo andare di fianco a lui. L’altro ragazzo guardò Combeferre sorpreso, poi fece un cenno con la testa come segno di gratitudine.

“Fa parte del tuo carattere essere così eroico, moccioso?” disse Bahorel sollevandolo per la camicia di jeans che indossava: il biondo ragazzino era talmente leggero che gli bastò una mano.

“Dai, Yvan… lascialo stare…” disse il ragazzo dai riccioli neri che stava con lui, mettendogli una mano sul braccio come volesse fermarlo. “Lui non c’entra con quello che è successo…” Cercava di convincerlo a lasciar perdere, quasi volesse proteggere il biondino, ma Bahorel non voleva sentir ragioni.

Fu allora che Courfeyrac pensò di creare un diversivo e lanciò la sua bombetta puzzolente all’interno del laboratorio di chimica. Doveva aver funzionato, perché tutti i presenti si tapparono di corsa il naso: nel fare ciò, Bahorel mollò la presa, e il biondino cadde a terra.

“Ti sei fatto male?!” disse Combeferre correndo da lui assieme a Jehan.

“No, sto bene…” disse il ragazzo, massaggiandosi il fondo schiena. “Accidenti… che cazzo di odore…”

Ad un certo punto, mentre Courfeyrac e Combeferre aiutavano il biondino ad alzarsi, dal laboratorio uscirono due ragazzi, tossendo. Quello che uscì per primo aveva i capelli neri coperti da una bandana blu e teneva per mano un ragazzo più magro e probabilmente più piccolo di lui, con dei folti capelli castani e dei piccoli occhi verdi.

“*Coff coff!* Da quando uno non può nemmeno restare in laboratorio in pace?!” disse il ragazzo con la bandana. “Tutto bene, Hervé?”

“*Coff!* Mica tanto… *coff coff coff!* Mi sento soffocare!” rispose cercando di riprendere fiato.

L’altro ragazzo gli passò un braccio attorno alle spalle e lo tirò su in posizione eretta, in modo che prendesse fiato più facilmente. Poi guardò gli altri e disse loro: “Che vi abbiamo fatto di male?!”

“Scusatemi! Io…” iniziò a dire Courfeyrac, sentendosi davvero in colpa. “Io non pensavo ci fosse qualcuno lì dentro!”

“Cos’è questo fetore insopportabile?!” I ragazzi si voltarono tutti nella direzione da cui proveniva quella profonda voce: il professor Javert, ventiquattrore in mano, stava passando di lì per tornare a casa e si era fermato a controllare cosa stesse accadendo, insospettito dalla puzza proveniente dall’aula. “Monsieur Bahorel! Dovevo immaginare che ci fosse lei dietro a tutto questo!”

“No, professore! Aspetti!” iniziò a dire Bahorel. “Io questa volta non…”

“Ah! Ma c’è anche monsieur De Courfeyrac!” lo interruppe Javert, notando il ragazzo ricciolino in mezzo al gruppo. “Sì… riconosco la sua inconfondibile impronta personale!” Poi passò lo sguardo su tutti gli altri ragazzi. “Poi chi abbiamo qui?”

Courfeyrac si sentì in colpa e quindi cercò di spiegare la situazione al vicepreside: “No, un momento professore. È stata una mia trovata: loro non…”

Ancora una volta, Javert prese la parola senza ascoltare fino alla fine: “Ecco anche monsieur Grantaire: a stare sempre dietro a monsieur Bahorel, lei finirà su un brutto binario. Pensavo che i suoi infiniti ritardi le bastassero.” Grantaire abbassò lo sguardo e Javert proseguì. “Stesso discorso vale per lei, monsieur Combeferre. È uno dei migliori studenti di questo istituto, perché deve cacciarsi nei guai?” Courfeyrac avrebbe voluto difendere il suo amico, ma Javert non gliene lasciò il tempo. “Monsieur Lesgle, monsieur Joly… voi due non mi avete mai dato problemi… ma si dice che ci sia sempre una prima volta!”

“No un secondo!” intervenne subito Lesgle, che più avanti sarebbe stato soprannominato Bossuet. “Noi non abbiamo fatto nulla! Eravamo solo…”

“Fermo, René!” gli sussurrò Joly. “Non avremmo dovuto stare lì oltre le lezioni: non peggiorare la situazione, te ne prego!”

Probabilmente Javert non li sentì, perché si voltò immediatamente verso Jehan: “Monsieur Prouvaire… non avrei mai pensato che uno studente come lei si facesse coinvolgere in atti di teppismo come questo… che peccato…” Jehan abbassò subito lo sguardo: sembrava stesse per piangere, ma non lo fece. “E lei, monsieur Enjolras.” Come si sentì chiamare, Enjolras alzò subito lo sguardo verso il professore e lo guardò dritto negli occhi, senza vergogna. “È appena arrivato e ho già dovuto riprenderla per un’assenza ingiustificata e ora anche per questo… non c’è male come primo giorno!” Courfeyrac notò che all’improvviso Enjolras si rabbuiò: possibile che un rimprovero potesse renderlo tanto triste?

Javert alzò lo sguardo dal gruppo di ragazzi e puntò al laboratorio: “E ora controlliamo i danni.”     Entrò nell’aula spalancando la porta: Courfeyrac riuscì a vedere delle enormi chiazze viola macchiare le bianchissime piastrelle dei banconi. Il ragazzo era riuscito ad inserire della vernice all’interno della bomba puzzolente. Combeferre sembrò scioccato e adirato quando vide il colore sparso ovunque.

“Bene, bene” disse Javert senza scomporsi. Proprio in quel momento passò un ragazzo con il carrello del bidello: aveva i capelli scuri, ricci, e indossava una pesante tuta da lavoro blu. Javert lo vide e disse: “Pare che questo mi suggerisca un’efficace punizione per voi. Monsieur Feuilly!”

Feuilly alzò lo sguardo dal pavimento che stava lavando e si diresse verso di loro, con sguardo sorpreso. “Buon pomeriggio, professor Javert. Ha bisogno di qualcosa?”

“Sì. Mi servirebbe un favore” gli disse il vicepreside. “Questi ragazzi rimarranno qui finché il laboratorio non sarà perfettamente pulito!”

Feuilly lanciò una rapida occhiata ai ragazzi e incrociò lo sguardo Courfeyrac. “François?”

Courfeyrac alzò timidamente la mano e disse con tono colpevole: “Ciao, Gabriel…”

“Lo conosci?” gli chiese Combeferre, sorpreso.

Courfeyrac non distolse lo sguardo imbarazzato da Feuilly e rispose: “Sì… è in stanza con me!”

Javert proseguì le spiegazioni: “Vorrei chiederle il favore di procurare loro gli strumenti necessari e anche quello di supervisionarli.”

Feuilly sembrava sconvolto dalla richiesta di Javert: “Scusi, come?”

 

I primi minuti in punizione passarono nel silenzio più totale: i ragazzi erano tutti troppo arrabbiati per rivolgersi la parola. Courfeyrac cercava un modo per smorzare la tensione, ma non sapeva che fare. Lanciò un’occhiata attorno a lui, guardando gli altri ragazzi lavorare silenziosi, ognuno nel suo cantuccio. Bahorel stava ripulendo il bancone più vicino alla porta insieme a Grantaire, il quale sembrava avere altri pensieri per la testa e ogni tanto alzava lo sguardo verso la finestra, ma Courfeyrac non sapeva dire con certezza cosa guardasse. Joly e Bossuet erano nel bancone di fianco e ogni tanto si parlavano a bassa voce: Courfeyrac ebbe l’impressione che il ragazzo con la bandana avesse un atteggiamento strano, quasi l’altro gli piacesse, ma non ne fu sicuro. Enjolras e Jehan, invece, stavano al bancone vicino alla finestra e capitava che parlassero: il ragazzino dai capelli rossi sembrava mortificato per quanto successo e il biondino cercava di tirarlo su, nonostante anche lui non sembrasse esattamente felice. Combeferre stava ripulendo il banco accanto insieme a Courfeyrac, in completo silenzio: il ricciolino capì che era ancora molto arrabbiato. Feuilly, invece, supervisionava scocciato il lavoro dei ragazzi, cercando tuttavia di aiutarli, in modo da poter finire più in fretta.

Analizzata la situazione, Courfeyrac pensò che per smorzare la tensione avrebbe dovuto agire prima su Combeferre. Recuperò il vecchio scheletro che stava accanto alla lavagna e andò da lui. “Micheeeeeel!”

Combeferre smise di sfregare la spugna sul bancone: a Courfeyrac bastò uno sguardo veloce per capire che era più arrabbiato di quanto si sarebbe aspettato. “Che vuoi?” disse seccato Combeferre, senza guardarlo.

“Ce l’hai con me così tanto?” Courfeyrac aveva preso entrambi i polsi ossuti dello scheletro e stava gesticolando davanti al suo amico, guardandolo attraverso la cassa toracica.

“Tu che dici?” Combeferre alzò lo sguardo. Qualsiasi cosa stesse per dire non venne mai fuori: la vista dello scheletro lo aveva lasciato senza parole. Ci volle qualche secondo perché riprendesse a parlare: “Che cosa stai facendo?”

“Cerco di tirarti su!” Courfeyrac continuava a far gesticolare il povero ammasso d’ossa.

Combeferre rimase a guardarlo per un attimo, poi aggiunse: “Sono finito in un pasticcio per colpa tua e l’anno è iniziato da appena una settimana! Tutto perché tu non ascolti né me né il tuo buonsenso! Come pensi di farmi star meglio, di grazia?”

Courfeyrac dovette pensarci su un secondo. Guardò lo scheletro e poi disse: “Guarda: lui sta messo molto peggio di te!” Courfeyrac notò che tutti gli altri si erano girati verso di loro nel sentire l’assurdità di quella conversazione. Combeferre non rispose, quindi il ragazzo ricciolino non si lasciò distrarre e proseguì: “Lui è tutto scheletrico, vecchio, macchiato e sta cadendo a pezzi! Senza contare che è capitato nelle mie mani e questo potrebbe causargli una scomparsa prematura! Tu stai decisamente messo meglio!”

A Combeferre venne quasi da ridere. Sorrise, scosse la testa e poi disse: “Beh… non sono scheletrico, vecchio e non sto cadendo a pezzi. Solo in questo sono messo meglio di lui!”

“Ho provato a macchiarti, ma non ti ho mai manovrato come un burattino!” disse Courfeyrac in sua difesa.

“Non ancora!” lo corresse Combeferre. Courfeyrac si sentiva sollevato da essere riuscito a far sorridere almeno Combeferre. Si guardò attorno per capire chi sarebbe stato il prossimo su cui lavorare e notò che Feuilly stava già ridendo. Anche il ragazzo con la bandana e il ricciolino con gli occhi azzurri sembravano divertiti, quindi pensò ad uno di loro due. Poi si accorse che non aveva attirato l’attenzione di tutti come aveva pensato in precedenza. Il ragazzino biondo aveva gli occhi puntati sulla sua spugna, ma non stava pulendo: si limitava a guardare distrattamente nella direzione della sua mano, con lo sguardo pieno di tristezza. Allora Courfeyrac pensò di puntare verso di lui: pur non conoscendolo, gli dispiaceva vedere quel viso ancora così da bambino e così bello tanto demoralizzato.

“E tu, biondino?” disse arrivandogli accanto con lo scheletro. Enjolras si girò e i suoi grandi occhi tristi si riempirono di sconcerto. “Su, non fare quel faccino triste!” Courfeyrac prese le mani dello scheletro e le mise sulle guance di Enjolras, vicino agli angoli della bocca. Prima che Enjolras dicesse qualcosa, Courfeyrac aggiunse: “Trasformiamo quel bruttissimo broncio in un meraviglioso… sorriso!”             Detto questo, spinse le mani scheletriche in su, tirando così verso l’alto i lati della bocca di Enjolras.

Il biondo ragazzino rimase a guardarlo con ancora più sconcerto per ciò che era appena accaduto, in mezzo al silenzio di tomba che era calato nel laboratorio. Ma poi guardò verso Courfeyrac e iniziò a sorridere: in qualche modo, il suo piano aveva funzionato.

“Ecco! Guarda che bel sorriso!” disse Courfeyrac togliendo le mani dal viso del ragazzo. Poi si girò e vide che tutti stavano sorridendo guardando in viso il biondino. “Visto? Hai un sorriso talmente carino che tutti stanno sorridendo!” Ad Enjolras sfuggì una risata quasi imbarazzata, e Courfeyrac cominciò a prestare la voce allo scheletro, dicendo idiozie di ogni genere, alleggerendo così la tensione: passò da tutti, cercando di farli ridere per rompere il ghiaccio. Il suo piano funzionò alla perfezione: persino Bahorel sembrava essersi lasciato andare a sorrisi e risate. Lui e Bossuet gli diedero corda e iniziarono a giocare con quel vecchio ammasso d’ossa, usandolo come compagno di ballo.

Poi Courfeyrac tornò verso Enjolras e tirò in avanti la mano dello scheletro, dicendo: “Io sono François Courfeyrac! E tu?”

“Vuoi davvero che stringa la mano allo scheletro?”

“No. È questo individuo tutt’ossa che è maleducato e mi precede!” disse Courfeyrac guardando male la carcassa dritta nelle fosse orbitali e mettendola da parte. Enjolras rise, mentre Courfeyrac gli tese la sua mano per fare le presentazioni come si deve. “Enjolras, giusto?”

“Sì, esattamente” disse Enjolras stringendogli la mano. “Ma il professore non ti aveva chiamato ‘De Courfeyrac’?”

“Sì… sarebbe quello il mio cognome, ma a me non piace… troppo nobile!”

“De Courfeyrac?” Courfeyrac si girò: Bahorel aveva preso la parola. “Quindi appartieni a una delle poche famiglie nobili rimaste in Francia!”

“Già!” ammise Courfeyrac, che non sapeva se andarne fiero o vergognarsene: non gli piaceva ostentare le sue origini nobili. “In genere preferisco che non si sappia, ma visto che lo sai…”

“Però…” disse Bossuet che ne sembrava entusiasta. “Abbiamo un sangue blu qui a scuola!”

Courfeyrac si imbarazzò, poi, visto che la tensione iniziale se n’era andata, disse: “E voi? Non fate parlare solo me!”

“Noi che cosa?” disse Bossuet, tornando a sedersi su uno degli sgabelli del laboratorio, accanto a Joly.

“Un giro di presentazioni sarebbe una cosa carina: tanto oramai siamo tutti qui e abbiamo appena finito di fare i cretini assieme!” disse Courfeyrac spostandosi sul bancone di fianco a quello che stavano pulendo Enjolras e Jehan, in modo da riuscire a vederli tutti in faccia. Nessuno prese la parola, quindi andò a recuperare Combeferre, si mise dietro di lui e, premendogli le guance, gli fece muovere la bocca dicendo, cercando di imitare la sua voce dolce: “Io sono Michel Combeferre, il più sapone di tutta la scuola! Io e François stiamo al secondo anno! È un piacere conoscervi!”

Con ancora la bocca un po’ schiacciata e il viso rosso per il disagio, Combeferre disse: “Lasceresti stare la mia faccia, per favore?”

“Anch’io sono del secondo anno!” esclamò una voce ancora acuta verso il fondo della classe. Joly aveva preso la parola senza accorgersene.

“Davvero?” esclamò sorpreso Courfeyrac. Joly annuì leggermente, messo in difficoltà dagli sguardi degli altri ragazzi.

Combeferre vide il suo imbarazzo e intervenne: “Ci sta che non ci siamo mai incontrati: ci sono così tante sezioni in questa scuola!”

“Come ti chiami?” disse Courfeyrac.

Joly non riusciva a rispondere, quindi toccò a Bossuet fare le presentazioni: “Lui è Hervé Joly. Io René Lesgle, primo anno in scienze politiche.”

“Tu studi scienze politiche?” disse Enjolras: la cosa doveva aver attirato la sua attenzione. Bossuet annuì in risposta.

“Anch’io ed è una tortura atroce!” disse Bahorel, appoggiandosi sul gomito. Seguì qualche secondo di silenzio, dal quale Bahorel doveva aver capito che gli altri stavano aspettando che si presentasse, perché aggiunse: “Yvan Bahorel, primo e, se mi bocciano di nuovo, anche ultimo anno di scienze politiche!”

“Non mi dire così! Io volevo iscrivermi a scienze politiche l’anno prossimo!” disse Courfeyrac, spaventato dai commenti di Bahorel.

“Io non lo trovo tanto male!” disse Bossuet, quasi volesse risollevare il morale a Courfeyrac.

“Perché hai appena iniziato! È la terza volta che ripeto questa fottutissima classe: credimi che lo so meglio di te!”

“La terza volta?!” si lasciò scappare Feuilly. “Pensavo avessi la mia stessa età, invece sei più grande di un anno!” Oramai aveva preso la parola, quindi gli toccava presentarsi: “Ah…emh… io sono Gabriel Feuilly: ho terminato a luglio il liceo professionale ed eccomi qui a lavorare.”

“E tu, rosso?” disse Courfeyrac a Jehan, avvicinandosi a lui. “Tu come ti chiami?” Jehan non rispose: doveva essere molto timido perché Courfeyrac non lo aveva ancora sentito parlare: non sapeva nemmeno che voce avesse. Jehan fece per nascondersi leggermente dietro ad Enjolras, ma il biondino lo incoraggiò dolcemente a venire fuori e a presentarsi. Tuttavia, a Courfeyrac arrivò solo un mugugno veloce e molto, molto debole.

“Come hai detto, scusa?” chiese Bossuet. Courfeyrac, allora, capì di non essere l’unico a non aver sentito neanche una parola di ciò che aveva detto quel timido ragazzino.

Jehan riuscì ad alzare leggermente la voce: “Jean Prouvaire… è il mio nome… s-sono al primo anno…”

“Manchi solo tu!” disse Courfeyrac rivolto a Grantaire, che però, seduto con la testa appoggiata sulla mano, sembrava osservare distratto qualcos’altro. Courfeyrac lo vedeva guardare circa nella direzione in cui stava lui, ma non capì cosa stesse fissando. Allora scosse le braccia a caso cercando di passare davanti al suo sguardo, rischiando di prendere dentro Enjolras, che dovette interrompere la conversazione con Jehan per accertarsi di non essere colpito. “Eeeeeeehiiiiiiiii?”

“Eh? Come?” risorse dal suo stato di trance Grantaire, alzando la testa. “Ah, scusate! Sono Georges Grantaire, primo anno del corso d’arte.”

Finito il giro di presentazioni, i ragazzi iniziarono a parlare tra di loro, a conoscersi mentre pulivano le macchie viola dall’aula. Ogni tanto, Courfeyrac tornava a rivolgersi allo scheletro e fu così che lui, Grantaire, Bahorel e Bossuet lo usarono anche come modello di camici da laboratorio e persino per pulire. Quel pomeriggio fece cambiare qualcosa in tutti loro, senza che se ne accorgessero. Stettero lì fino alle sei e mezza, ma a nessuno pesò. Quando fu ora di andare a casa, posero un paio di occhiali protettivi sul cranio della carcassa e Courfeyrac pensò che gli servisse un nome, perché era tutto merito suo se quel pomeriggio avevano legato. Con sorpresa di tutti, la proposta uscì da Jehan: grazie al suo amore per Shakespeare, lo chiamarono Yorick. Ritornando a casa, scoprirono che alloggiavano tutti alla stessa residenza e che Enjolras era il nuovo compagno di stanza di Combeferre.

Quella sera, Feuilly si offrì di preparare la cena per tutti. Erano seduti a mangiare nel tavolo rotondo all’angolo destro della sala comune, quando Grantaire, accanto ad Enjolras, alzò lo sguardo verso di lui e, appoggiandosi sul tavolo coi gomiti, si sporse in avanti e gli disse: “Qual è il tuo nome, biondino?”

Grantaire attirò l’attenzione di tutti. Enjolras li guardò, rimanendo spaesato per qualche istante, poi gli disse: “Ma mi sono già presentato a scuola…”

“Sì. Sappiamo che di cognome fai Enjolras, ma dovrai pur avere un nome, no?” disse Grantaire appoggiandosi allo schienale della sedia. Enjolras sembrava quasi non voler rispondere, poi disse qualcosa con un filo di voce. “Come scusa?” chiese Grantaire, avvicinandosi a lui leggermente: Courfeyrac guardò gli altri e capì che nessuno lo aveva sentito.

Enjolras se ne rese conto e disse: “Scusatemi… è che io non sopporto il mio nome di battesimo...” Si schiarì la voce e riprese: “Il mio nome è Alexandre Enjolras.”

“Alexandre…” disse Grantaire con uno strano sorriso. “A me sembra un bel nome. Che ha che non va?”

“Non lo so, ma… non mi è mai piaciuto. Preferirei quasi essere chiamato per cognome…”

“Ma certo! Che idea!” disse Courfeyrac, sbattendo una mano sul tavolo. Tutti si girarono a guardarlo perplessi, quindi il ragazzo si spiegò: “Potremmo chiamarci per cognome tra di noi. Sarebbe figo!”

“Perché?” chiese Combeferre.

“Perché no?” fu la risposta di Courfeyrac. Poi passò un braccio attorno al collo di Combeferre e gli disse: “Io e te a volte già lo facciamo… Combeferre!”

Anche io e Georges, effettivamente” ammise Bahorel, girandosi alla sua sinistra dove stava seduto Grantaire. 

“Sarebbe strano… Joly… dovrò farci l’abitudine, ma in effetti il tuo cognome mi piace molto…” disse Bossuet, girandosi alla sua destra, verso di lui. Courfeyrac li guardò, passando lo sguardo oltre Feuilly: ancora una volta gli sembrò che Bossuet provasse per Joly un sentimento più forte dell’amicizia.

 “Jolllly” sfuggì a Jehan.

Il minuto ragazzino era seduto tra Combeferre e Enjolras, ma Joly riuscì a sentirlo. “Come, scusa?”

“Jolllly… così puoi librarti su quattro ‘L’![1]” rispose Jehan con molto candore.

 “Ehi… mi piace!” disse Bossuet, poggiando un braccio sullo schienale della sedia di Joly.

“Tu, invece, Lesgle… non saprei…” disse Joly, girandosi verso di lui.

“Il tuo nome somiglia e L’Aigle[2]. Possiamo chiamarti così?!” disse Courfeyrac in preda ad un improvviso entusiasmo. Bossuet non sembrava convinto di farsi chiamare ‘L’aquila’.

“Non è mica l’aquila di Meaux![3]” disse Combeferre “Non serve un soprannome: lascia Lesgle, no?”

“Tu e tutte le tue robe storiche che nessuno sa!” disse Courfeyrac offeso che Combeferre avesse bocciato così brutalmente la sua idea.

“L’aquila di Meaux? Dici Jacques-Benigne Bossuet, il vescovo di Meaux?” chiese Feuilly a Combeferre, sporgendosi oltre Courfeyrac per guardarlo.

“Sì… esattamente” gli disse Combeferre, felice che ci fosse qualcun’altro a conoscenza di costui. Poi si girò verso Courfeyrac e disse: “Vedi che non sono il solo a saperlo?”

“Bossuet… Bossuet è carino!” disse Joly, distrattamente: sembrava che non avesse seguito il discorso.

Bossuet rimase a guardarlo per un attimo, poi disse. “Allora potete chiamarmi Bossuet! In fondo lui mi cercava un soprannome, a te chiamarmi Lesgle non convinceva… chiamatemi pure Bossuet e va bene!” Joly lo guardò straniato, dando a Courfeyrac la conferma che non stava ascoltando.

“Bene!” disse Courfeyrac. Si alzò in piedi e, puntando il dito verso Enjolras, disse “Quindi abbiamo…”  Si preparò a girare in senso antiorario per indicare tutti i membri del nuovo gruppo, e iniziò ad elencarli: “Enjolras, Grantaire, Bahorel, Bossuet, Joly, Feuilly, Courfeyrac, perché non voglio essere chiamato con il ‘De’ davanti, Combeferre e Prouvaire!”

“Oh no, per favore…” esordì Jehan. “È molto formale farsi chiamare per cognome… io preferirei essere chiamato per nome…”

“Beh se preferisci possiamo chiamarti Jean, non c’è problema” gli disse tranquillamente Enjolras.  “Non devi farti chiamare per forza per cognome, se non ti va.”

“Posso essere chiamato Jehan?” disse guardandolo.

Tutti rimasero in silenzio confusi per un attimo. Poi Bahorel prese la parola: “Perché Jehan?”

“Perché… il Medioevo è il mio periodo letterario preferito… e il mio nome si scriveva e pronunciava così in quel periodo…”

Ci fu ancora un attimo di silenzio, che Courfeyrac non capiva se fosse dovuto al fatto che nessuno capiva come facesse Jehan a saperlo o al suo bassissimo tono di voce. Enjolras li guardò e disse: “Non credo nessuno abbia nulla in contrario, se vuoi farti chiamare così.” Gli altri non ebbero da obiettare.


“E così ora sai come ci siamo conosciuti… e anche da dove arriva la storia dei cognomi.”

“Wow…” esclamò Marius senza parole. “Ma possibile che non vi siate accorti di vivere nello stesso posto?”

Courfeyrac rispose immediatamente: “Suppongo dipenda dal fatto che eravamo su piani differenti.”

“Però… Che coincidenza bizzarra…” aggiunse Marius. “E siete ancora così uniti…”

“Beh, quando abbiamo iniziato a conoscerci ci siamo resi conto che avevamo diversi interessi in comune” spiegò Courfeyrac. “Soprattutto crediamo tutti nelle idee di Enjolras. Per questo noi lo vediamo un po’ come un leader.” Fece una pausa, poi gli venne da ridere e terminò: “Poi c’è da considerare il suo carattere…”

“Courfeyrac! Marius! Andiamo?” li chiamò ad alta voce Enjolras, mentre lui e gli altri ragazzi già si avviavano verso gli spogliatoi.

“Che ti dicevo?”

 

Arrivarono negli spogliatoi: Enjolras recuperò il suo zaino e si infilò in una cabina. Courfeyrac aveva sentito che il suo amico non aveva bloccato la porta e si decise a fargli un ultimo scherzo prima di rientrare. Si accostò silenziosamente alla porta, fece cenno agli altri di stare zitti e iniziò a canticchiare sulle note di ‘You can leave your hat on’ di Joe Cocker: “Baby, take off your coat...” Poi, all’improvviso ‘SBAM’, aprì la porta velocemente. “Reeeeal slooow.”

Enjolras arrossì immediatamente e, dopo un attimo di sconcerto, chiuse la porta, sbattendola violentemente e urlando: “COURFEYRAC! CHE CAZZO!” Ci fu qualche istante di silenzio, in cui Courfeyrac non capì perché Enjolras avesse avuto una reazione tanto esagerata. Poi, sentì Enjolras mettere il gancio alla porta e dire: “Uno non può fidarsi nemmeno degli amici!”

“Ma perché? Che ho fatto?” Detto questo, si girò verso gli altri e notò che lo stavano guardando imbarazzati, con occhi sconvolti. “Che succede?”

Bahorel, sul punto di ridere di gusto, distolse lo sguardo da Grantaire, che stava impalato, senza fiato a fissare la porta rosso in volto, e indicò a Courfeyrac di guardare attraverso l’alta fessura sotto la porta. Courfeyrac seguì il consiglio e notò che il costume di Enjolras era a terra e che il ragazzo si stava infilando giusto in quel momento l’intimo.

“Ops…”

 

– Fine capitolo 2 –

 


[1] Riferimento al romanzo: durante la descrizione di Joly, Hugo scrive: “[…], e ne risultava un tipo eccentrico e simpatico che i compagni, prodighi di consonanti alate, chiamavano Jolllly. ‘Puoi librarti su quattro L’ gli diceva Jean Prouvaire”. “L”, in francese, si pronuncia “aile”, quindi “ala”: “quatre ailes”, quindi “quattro ali”, o, per pronuncia, “quattro L”.

[2] Riferimento al romanzo: durante la descrizione di Bossuet, Hugo scrive: “C’era in quel conclave di giovane teste un membro calvo. Il marchese d’Avaray, creato duca da Luigi XVIII, […] racconta che nel 1814, mentre il sovrano sbarcava…” [2]”…a Calais, di ritorno in Francia, un tale gli presentò una supplica. ‘Cosa chiedete?’ domandò il re.’Sire, un ufficio postale’ ‘Come vi chiamate?’ ‘L’Aigle’ […] ‘Sire’, riprese  il postulante ‘ho per antenato un guardacani, soprannominato Lesgueules: di qui il mio nome: mi chiamo Lesgueules, per contrazione Lesgle e per corruzione L’Aigle.’”. “Aigle”, in francese, vuol dire “Aquila”; “L’Aigle” ha la stessa pronuncia di Lesgle.

[3] Altro riferimento al romanzo. Hugo continua: “[…] Il re[…]più tardi assegnò a costui l’ufficio di Meaux, apposta o senza badarci. Il membro calvo del gruppo era figlio di questo Lesgle, o Légle e firmava Légle (di Meaux): i compagni, per brevità, lo chiamavano Bossuet.” È un riferimento al vescovo Jacques-Benigne Bossuet, che nel 1682 divenne vescovo di Meaux e venne chiamato “L’Aigle de Meaux”, ovvero “L’Aquila di Meaux”.

   
 
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