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Autore: Roiben    16/01/2017    1 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 28 – Tempesta




«Hai brillato di nuovo, sai?» domanda Katherine, titubante.


Pitch annuisce piano, ancora piuttosto incredulo per la scoperta appena fatta.


«E… ehm… era quello che volevi?» si informa lei.


Lui si riscuote dal proprio torpore e fissa lo sguardo in quello di lei.


«In effetti non ne sono certo. Mi serviva una conferma, una qualsiasi a questo punto, a ciò che già sospettavo». Improvvisamente Pitch si acciglia, preoccupato dall’espressione che lei gli sta mostrando. «Io… ti ho spaventata?».


Katherine sgrana gli occhi, sorpresa, e rapidamente scuote la testa. «No, non… Beh, ecco, forse un po’ sì, ma…». Si interrompe, però, notando il rammarico negli occhi del suo Pitch.


«Non era mia intenzione. Non… non sono neppure sicuro di averne ancora il potere, ora come ora. Mi dispiace» mormora.


Lei gli si fa più vicina e poggia il capo contro il suo fianco.


«Non è stata colpa tua, davvero. Non ero pronta, così quando l’hai fatto di nuovo, per un attimo ho avuto paura». Solleva gli occhi e incontra quelli pensierosi di lui. «Almeno adesso so che non è una cosa brutta, eh. Così, se ricapita, non ho più paura» lo rassicura, raccogliendo fra le proprie una delle sue mani. «Non sono più così fredde, ora. Forse non hai più bisogno di quei guanti grigi» soppesa, in parte incuriosita da quello strano cambiamento.


«No» concorda Pitch. «Penso proprio che ne farò volentieri a meno» borbotta.


Tempo dopo Pitch osserva di nuovo, brevemente, il sole e sospira.


«Si sta facendo tardi. Sarà meglio che ti riaccompagni a casa».


«Oh, no! Facciamo un’altra passeggiata, prima. Ti prego» supplica Katherine, che non ha molta voglia di rinchiudersi nuovamente in casa con quella bella giornata.


«Mh» mormora Pitch, indeciso.


«Forse… hai preso di nuovo troppo sole?» si impensierisce la bambina.


Lui distende le labbra in un accenno di sorriso. È curioso come le preoccupazioni di quell’umana agiscano in modo tanto positivo sul suo umore.


«No. Probabilmente avrò bisogno di tempo per recuperare le energie, ma il sole non è più un problema» la rassicura.


Lei sorride, abbagliante, e si alza repentinamente senza lasciargli la mano.


«Andiamo allora. Piano, lo prometto».


Pitch annuisce e, lentamente, la segue lungo i tranquilli sentieri del parco, ora colorato dalle sfumature aranciate dell’imminente tramonto.



ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ ͽͼ



Si stanno recando, senza nemmeno troppa fretta, verso il viale alberato principale, per poi dirigersi verso casa, dato che la luce si sta pian piano ritirando oltre l’orizzonte, quando un vento freddo e improvviso porta con sé plumbee nuvole temporalesche.


Katherine, appesa alla grande mano di Pitch, lo sente d’un tratto irrigidirsi e fermarsi di botto nel bel mezzo del sentiero deserto. Solleva lo sguardo per controllare la situazione e nota il nervosismo impresso nei lineamenti del suo volto spigoloso.


«Pitch» sussurra appena.


Lui deglutisce, visibilmente teso, e fa un passo avanti a coprire parzialmente la piccola figura della bambina.


Pochi istanti dopo una nuova figura, molto più imponente, compare di fronte ai suoi occhi. Ha lunghi e lucenti capelli neri e un lungo abito elaborato, grigio come le nuvole di tempesta che ha portato con sé. Sul suo viso, all’apparenza giovane e delicato, fa mostra di sé un’espressione delusa e adirata insieme.


«È dunque così. Sei tornato, infine» esordisce la voce profonda e dura della nuova arrivata.


Pitch rimane in silenzio, senza mai distogliere lo sguardo da lei, ma spostandosi ancora un poco, con discrezione, a coprire completamente alla vista il corpo della bambina.


«Mi era giunta la voce che ti avessero finalmente sconfitto. Eppure sei qui, di nuovo, di fronte a me» sibila la creatura con un tono gelido che sembra influire sgradevolmente anche sulla temperatura circostante, facendola drasticamente crollare sotto lo zero.


Pitch fa stridere i denti in una morsa nervosa. Il suo respiro, affrettato, si condensa nell’aria in piccole nuvolette candide. La fissa senza batter ciglio nei suoi occhi verdi e freddi come la sua voce. Infine si arrende all’inevitabile e parla con lei.


«Sono desolato di averti nuovamente delusa ostinandomi a sopravvivere» soffia sarcastico.


Il suo cuore batte troppo velocemente. Somiglia molto di più al frullio delle ali di un colibrì.


Il volto di quell’entità si irrigidisce, divenendo marmoreo.


«Non hai mai fatto null’altro che deludermi. Continui a farlo anche adesso. Non so nemmeno per quale motivo me ne stupisco ancora. Sei solo una creatura indegna. Probabilmente avrei fatto meglio a eliminarti dalla faccia della terra molto tempo fa».


Gli occhi di Pitch si sgranano impercettibilmente e freme appena.


«Davvero? E che fine ha fatto, dunque, la tua supposta e decantata neutralità? Vale dunque solo per il resto del mondo?» ribatte velenoso.


Lei assottiglia gli occhi. Il vento gelido ora porta con sé cristalli di ghiaccio e spirali di brina.


«Ti consiglio di fare più attenzione a ciò che dici, o potrei dimenticare, per un momento, la disgraziata sfortuna di possedere il tuo stesso sangue, Padre».


Desidererebbe avere la possibilità di lasciare libero sfogo al suo stato d’animo straziato, ma sospetta che potrebbe rivelarsi una mossa suicida, in un momento simile. Per di più ha appena avvertito, dietro di sé, il corpo di Katherine tremare convulsamente. Se lo abbia fatto per il freddo sempre più pungente o per l’ultima sfortunata rivelazione, non gli è dato di saperlo, almeno per ora.


«Perché sei qui, dunque? Intendi forse portare a termine ciò che quegli inetti dei guardiani hanno lasciato, come sempre, in sospeso? Oppure, e mi vorrai perdonare lo scetticismo, si tratta solo di una visita di cortesia?».


Sul viso della donna si dipinge una smorfia di infastidito disgusto.


«Certo che no! Nessuna delle due ragioni mi ha condotta qui. Se mi trovo nuovamente, e mio malgrado, di fronte a te è solo e unicamente per rinnovarti il mio passato avvertimento, poiché sembra proprio che tu non lo abbia recepito a dovere».


Le labbra di Pitch si stiracchiano in un macabro ghigno, ma nei suoi occhi permane il dolore.


«A che scopo tutto ciò? La tua protetta è un guardiano ormai, non posso più toccarla (non lo farei comunque)» fa notare con sarcasmo.


Le ciocche scure della donna si agitano con violenza, scosse dal vento.


«Mi credi una sciocca?» sputa con veemenza. «Se ti trovi fuori dal tuo lurido covo c’è evidentemente un ottimo motivo. E immagino che quel motivo risieda esattamente alle tue spalle».


Pitch serra strettamente le dita. Il suo nervosismo sale. Può sentire la paura di Katherine perfino ora, anche privo del potere oscuro che gli permette di farlo.


«Non sai di cosa parli» sibila adirato.


«No? Quella dietro di te non è forse una bambina?».


«Lo è» conferma asciutto. «Ma questo non significa che…».


«Lasciala andare. Adesso. Ti ho già avvertito in passato. Sono davvero stanca di ripetermi» lo minaccia.


Pitch soffia frustrato. «Ti sto dicendo che le cose stanno in modo diverso, ora» sbotta. «Apri gli occhi, maledizione!» ringhia.


D’un tratto, un brillio verde. Una violenta raffica di vento lo sospinge con poca grazia indietro, spedendolo a terra con più forza di quanta immaginasse. Per un attimo la vista gli si annebbia e nelle orecchie avverte un ronzio fastidioso. Poi un grido angosciato lo ridesta dalla confusione. Quando, con un po’ di fatica, si rimette seduto, ciò che scorge gli infiamma la mente e fa vibrare d’ira il suo corpo: la piccola Katherine, ancora parzialmente avvolta da ghiaccio e vento, è riversa a terra priva di sensi.



Un viaggio di mille miglia comincia con un solo passo.” (Laozi)


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Occorre avere orecchie sospettose quando si ascoltano accuse.” (Publilio Siro)






  
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