L'aria
della notte avrebbe dovuto essere
rinfrescante, ma sfortunatamente era umida e appiccicosa; per non
parlare
dell'oscurità che creava tensione nei suoi occhi vigili, ma
invecchiati e
stanchi.
Chingachgook
pensò tra sé e sé, con una sorta
di stanca riflessione filosofica, che la vita aveva molti sentieri
tortuosi.
Alcuni erano facili e spianati dal calpestio di coloro che avevano
fatto la
strada prima di lui. Altri serpeggiavano in una maniera mutevole, che
richiedeva cautela ed equilibrio. Sopra ogni altra cosa, ogni passo nel
sentiero della vita doveva essere fatto con previdenza.
La
follia della gioventù evitava questa sorta
di saggezza, pensava l'uomo Mohicano mentre camminava attentamente, con
passo
stanco attraverso la foresta di notte accanto al suo vecchio amico
Hopocan. I
giovani, con il loro cieco ottimismo e la loro visione offuscata
dell'incerto
futuro, non avevano ubbidito all'avvertimento - Scegliete sempre i
vostri
sentieri con attenzione. Chingachgook era stato un padre molto saggio,
che si
era assicurato di insegnare ai suoi figli come scegliere un sentiero e
come
scegliere le battaglie importanti, per cui valesse la pena combattere.
Ma
adesso i tempi erano diversi. Chingachgook
aveva tentato di educare i suoi figli nello stesso modo in cui era
stato
educato lui, ma poteva vedere che loro non erano fatti come lui, come
era stata
la sua gente prima di lui. A Nathaniel erano stati inculcati i modi
degli
uomini Rossi. La sua mente era del loro popolo, il suo cuore desiderava
appartenervi. Ma il suo sangue era dei Bianchi e questo faceva una
macroscopica
differenza. Al suo figlio bianco mancava la quiete del Mohicano, lui
era teso
come la corda di un arco nella sua impazienza e nelle sue opinioni. Il
suo
figlio di sangue Uncas aveva tutte le qualità rispettate
dagli uomini Rossi,
gli era stato insegnato sin dalla culla a percorrere un sentiero
onorevole e a
ricordare i modi del suo popolo...
Tuttavia
aveva scelto una ragazza Yengeese,
malgrado la sua educazione e la guida di suo padre. Era questo posto,
pensò
Chingachgook, fissando la volta blu scura che attraversava il cielo
della
notte, con le stelle che brillavano sopra di loro. Il mondo era
cambiato nelle
tante lune in cui lui era stato un ragazzo.
Chingachgook
era preoccupato per il sentiero
in cui veniva condotto ciecamente. C'erano molte cose che lui non aveva
riconosciuto o tollerato. La ferocia negli occhi del suo figlio bianco
impulsivo, la disperazione tenuta a bada da Uncas -
tutte queste erano emozioni accecanti.
Persino la sua preoccupazione per il suo figlio minore e la ragazza dai
capelli
chiari. La coppia era stata troppo impetuosa nel loro amore e nella
decisione
avventata di sposarsi. Molte persone avrebbero disprezzato la loro
unione. Ma
ora la ragazza era diventata sua figlia, era il futuro di Uncas, e
così lui
stesso avrebbe combattuto per lei accanitamente, come se fosse stata
generata
da lui.
La
notte nebulosa racchiudeva una premonizione
di lotte e tribolazioni, non molto lontano da loro.
Riusciva
a sentire i ragazzi che parlavano
avanti, mentre James faceva da guida attraverso il boschetto
attorcigliato.
"Nathaniel,
non per impicciarmi o
qualcosa del genere, ma un uccellino mi ha detto del tuo bisticcio
l'anno
scorso con la legge a Fort William Henry."
Nessuno
disse niente per un momento
irrequieto.
"Quale
uccellino?" chiese Nathaniel
con una voce neutrale, mentre Chingachgook poté a mala pena
vedere il profilo
di Uncas che stava percorrendo la sua strada in silenzio davanti a suo
fratello.
"Tua
moglie - Beh, Cora lo ha detto ad
Annabel che lo ha detto a me. Sai com'è." James disse questo
con un tono
birichino. Il vecchio Mohicano sentì il suo figlio bianco
sospirare
pesantemente.
"Donne.
Beh, non sono sicuro di ciò che
hai sentito, ma suppongo che i fatti restino sempre uguali nel
raccontarli
nuovamente."
"Hai
disertato?"
"Sì.
Perché, James?"
James
fece spallucce nell'oscurità, "Mi
sto solo assicurando che tu capisca tutto. Hai disertato e sei stato
condannato
all'impiccagione, ora stai andando in un altro forte dove potrebbero
riconoscerti... per far loro delle richieste."
"Ci
ho pensato, il mio ragionamento è che
William Henry è più o meno a nord da qui."
Nathaniel replicò così, con
un'alzata di spalle indifferente.
"Questo
non è un ragionamento logico,
Nathaniel. E' una pazzia, un suicidio. Saresti sorpreso di come possono
essere
piene di risorse le giacche-rosse nel far circolare i nomi dei
disertori e i
malcontenti."
Hopocan
poi si avvicinò a lui e chiese di che
cosa stessero discutendo i ragazzi, poiché riuscì
a percepire il loro
turbamento. Chingachgook mise al corrente il suo amico della situazione
e
osservava in silenzio, mentre i due uomini bianchi discutevano tra loro
per
diversi minuti. Come al solito, Nathaniel stava rifiutando tutti i
consigli,
non importava quanto fossero logici.
"Tutto
quello che sto dicendo, ragazzo, è
di lasciar parlare me, mentre tu te ne stai nascosto nel bosco"! James
disse con un tono esasperato, "Dio non voglia che uno dei sopravvissuti
al
massacro ce la faccia ad arrivare a Letort e ti riconosca."
Nathaniel
scosse la testa ostinatamente.
Hopocan borbottò a voce alta per la derisione.
"Ahi
ahchinkxe, teta peyat!" il Lenape sghignazzò e
Chingachgook immaginò
chiaramente il suo figlio maggiore che roteava gli occhi, davanti.
E'
vero,
Nathaniel. Non importa dove tu vada, sei testardo.
"Non
siamo lontani," disse James
improvvisamente e indicò il calmo specchio d'acqua che stava
prendendo forma
davanti a loro, un' ondulata massa nera che rispecchiava il cielo,
"questo
è Beaver Creek, adesso deviamo e ci dirigiamo a est per un
po'. Siamo a meno di
un miglio di distanza dal forte."
Uncas
guardò indietro e i suoi capelli neri
per un momento brillarono sotto l'iridescenza della luna illuminata
pallidamente.
"James
ha ragione, fratello. Sei un
disertore e io sono un Indiano. Lascia condurre a James la discussione.
Conosce
il territorio e la gente qui," Uncas fece una pausa e poi disse in
maniera
composta, "la casa è terminata oggi. Alice sarà
contenta."
Chingachgook
inclinò la testa di lato e fissò
suo figlio, intuendo la malinconia e la preoccupazione.
Non
molto tempo dopo questo, gli uomini
silenziosi si accovacciarono furtivamente dietro a un albero di betulla
gialla
e guardarono avanti in trepidazione. Tutti loro tenevano le armi in
alto.
"Suppongo
che questa non sia la
valle?" sussurrò Nathaniel, i suoi occhi illeggibili. James
ci pensò su.
"Non
proprio. Questa è la contea di
Carlyle."
Uncas
adesso parlò apertamente, "Non come
un forte in termini di dimensioni, ma sembra ben protetto."
Afferrò
stretta la sua carabina e continuò ad esaminare il
territorio e l'edificio da
ogni angolo. Nathaniel vide le difficoltà mettersi di fronte
a loro immediatamente.
Fort
Letort si ergeva in alto, su una collina
inclinata, quindi le probabilità di avvicinarsi di soppiatto
passarono da
scarse a inesistenti. La precedente valutazione era giusta, era un
forte di
piccole dimensioni costruito principalmente per i coloni,
affinché lo usassero
per la propria difesa. Ma loro sarebbero stati avvistati da tutti gli
angoli,
poiché era solo un terreno erboso su una pendenza ripida.
Almeno avevano il
vantaggio dell'oscurità.
"Ci
sono circa 3 guardie lassù,"
Nathaniel strizzò gli occhi e puntò il dito
direttamente in avanti, verso il
punto più alto del forte, " deve essere su, all' ingresso
dell'edificio.
Credo che in qualche modo potremmo causare una deviazione durante il
cambio
della guardia e arrivare fin lassù -"
"Hai
perso la ragione?" intervenne
Chingachgook freddamente nella sua maniera brusca, "Dunque, questo
è ciò
che hai in mente di fare, mettere in pericolo la moglie di tuo fratello
e tutti
qui prendendo d'assalto un forte Yengeese. Non ti ho insegnato niente?"
Le
parole furono dette in Mohicano, perciò
James si sentì perplesso; poté soltanto azzardare
un'ipotesi secondo cui l'uomo
anziano aveva assolutamente dato una strigliata a suo figlio, a
giudicare dal
silenzio disagevole che ora permeava l'aria.
"Bene,"
mormorò James dopo essersi
mosso goffamente per qualche istante, " qualunque cosa intendiamo fare,
deve essere deciso ora. Penso ancora che prima dovremmo ragionare con
loro,
spiegare che Alice e Stephen non volevano fare del male a nessuno e che
il ragazzo
Lenape deve essere rilasciato, per evitare di danneggiare la pace tra i
Bianchi
e i Delaware."
Hopocan
annuì in segno di approvazione, anche
se James non era sicuro quanto avesse capito. Il patriarca Lenape
sembrava
sempre più teso al pensiero di suo figlio tenuto prigioniero
dai soldati
Yengeese.
"Sono
d'accordo," parlava ora in un
inglese incerto, annuendo lentamente. Nathaniel continuò a
sembrare cupo e
ostinato.
"Bene
allora," brontolò mentre
cominciarono a incamminarsi verso la collina," andremo dritti verso di
loro. Come delle ignare paperelle che galleggiano sull'acqua."
"Tu
sarai l' ignara paperella,
ragazzo." Disse James a rigor di logica, facendo spallucce al chiaro di
luna.
Si
sentì bussare alla porta e Cora corse ad
aprire, seguita da vicino da Annabel. Di fronte a loro, in una piccola
fila,
c'erano Elizabeth Mason, Gregory Newsom e Lucy in mezzo a loro. La
bambina le
stava guardando con aria assonnata mentre si appoggiava al signor
Newsom.
"Qualcuno
ha visto Stephen?" chiese
Elizabeth senza preamboli, con gli occhi sconvolti che analizzavano
l'interno
della casa quando entrarono. La notte era scesa in quel momento.
Gregory
Newsom proseguì, "Buona sera,
signora Stewart e signora Poe. Stephen non è tornato da una
gita pomeridiana,
non vogliamo arrecare disturbo ma è piuttosto buio. I
Lancaster non lo hanno
visto e Robert sta ispezionando il bosco mentre noi parliamo."
Le
giovani donne fissarono la signora Mason,
con gli occhi spalancati, finché la faccia di Elizabeth
diventò estremamente
pallida.
"Che
è successo a mio figlio?" C'era
un tono di crescente isteria.
"Sedetevi,
Elizabeth," Cora
insistette mentre tutti camminarono verso il grande tavolo nella
luminescenza
della luce del fuoco. Era determinata a dare un'impressione di completa
compostezza e calma serenità, a prescindere da come si
sentiva veramente.
Più
tardi quella sera, Annabel si sedette
tristemente accanto al fuoco, mentre finiva di cucire le coperte del
bambino su
cui Alice aveva lavorato qualche ora ogni mattina. I suoi punti di
cucitura
erano piccoli e precisi, anche se non erano ordinati come quelli di
Alice. Era
una piccola attività, ma sembrava darle uno scopo mentre
tutti aspettavano.
La
signora Mason era crollata spettacolarmente
... all'inizio. Era solo adesso che Annabel pensò tra
sé e sé che Elizabeth e
Gregory Newsom fossero una coppia perfetta da tutti i punti di vista.
Era lui
che aveva calmato la donna quando era stata sul punto di crollare per
un
attacco isterico, subito dopo aver ricevuto la notizia dell'arresto di
suo
figlio. Soltanto con un piccolo tocco sul suo gomito e poche parole,
lui aveva
calmato il panico di lei ed Elizabeth adesso era seduta sul letto
accanto a
Lucy, che era raggomitolata addormentata.
Gregory
ed Elizabeth...
Più
Annabel ci pensava, più sembrava chiara la cosa. Erano
entrambi vedovi, ma la
cosa più importante è che erano marcatamente
simili nel carattere. Entrambi
erano onesti, laboriosi, pazienti, straordinariamente gentili. Gregory
era più
grande di Elizabeth, ma avrebbe provveduto alla donna e ai suoi figli.
Quella
era un'altra cosa, amava molto Stephen e Lucinda.
"Cosa
speri che sia, Annabel? Un maschio
o una femmina?"
Annabel
alzò lo sguardo per attirare
l'attenzione della signora Mason, che stava sorridendo impavidamente
attraverso
la sua paura. Annabel mise giù l'ago e il filo.
"Non
sono sicura," rispose Annabel
onestamente, "Ho sempre pensato che gli uomini volessero i figli maschi
per portare avanti il nome della famiglia e così per un
momento ho desiderato
un figlio, ma so che James sarebbe ugualmente felice con una bambina.
Se non di
più; lui adora le bambine."
Elizabeth
annuì, sembrando stanca. Guardò Lucy
per lunghi istanti, persa nei suoi pensieri.
"John
e io abbiamo avuto solo Stephen per
così tanto tempo che abbiamo pensato che non ci sarebbe
stato un altro bambino.
Eravamo felici, ma riuscivo a percepire che John moriva dalla voglia di
averne
altri. Quando Lucy è nata, eravamo oltre la Luna per la
felicità. Un maschio e
una femmina, uno di ciascun sesso, lui lo diceva ancora e ancora."
Annabel
sospirò e distese le dita sul tessuto
malleabile sul suo grembo. "Se potessi scegliere, sarebbe una femmina,
solo perché James sembra preso con l'idea. Una femmina che
sarà l'immagine di
lui."
"Avete
pensato ai nomi, signora
Stewart?" chiese Gregory in modo accattivante dal suo posto a tavola;
evidentemente stava affilando una delle penne di Alice per cominciare a
scrivere una lettera.
"Mi
piacerebbe che un figlio fosse
chiamato come suo padre, e se fosse una bambina, a James piacerebbe
chiamarla
Lillian." Annabel fece una pausa. "Che state facendo, Gregory?"
"Sono
interessato ad andare di persona a
Fort Letort, signora Stewart. Forse sto pensando di scrivere
dettagliatamente
una dura lettera al comandante a nome di tutti noi, presentando una
domanda di
rilascio di quei detenuti."
Elizabeth
fece a Gregory uno sguardo smorzato
di divertita tenerezza; si chiedeva che cosa intendesse Gregory per
"dura" lettera, quando il suo temperamento era così
flessibile e
pacato. Così benevolo.
Elizabeth
Mason osservava mentre Cora entrò
nella casa illuminata nell'oscurità e si sedette accanto a
lei, sul letto.
"Staranno
bene, signora Mason. Lo sapete,
non faranno del male a dei coloni bianchi. E' il ragazzo indiano che ha
bisogno
di aiuto." Cora sorrise rassicurante alla donna più grande.
La domanda
successiva di Elizabeth la sorprese.
"Perché
avete scelto di restare nelle
colonie, signora Poe? Non intendo offendere o impicciarmi, ma la vita
non è più
comoda in Inghilterra?"
Cora
rimase in silenzio per un bel po' di
secondi. "In verità, la vita sarebbe stata molto
più gratificante e accettabile.
Ma non potete immaginare quanto fossi stanca di avere una vita
preparata
davanti a me e io, incapace di fermare il corso degli eventi.
Desideravo
rimanere con Nathaniel," Cora si voltò per guardare Annabel
e il signor
Newsom; loro avevano strappato dal quaderno di Alice diverse pagine da
usare
per la lettera.
"Anche
mia sorella desiderava rimanere
qui, vogliamo resistere e non essere alla mercé o ai
capricci degli altri a
Londra. Io adoro anche tutte le persone in questa stanza, che sono
tanto fedeli
a me quanto ad Alice."
Elizabeth
strinse il braccio di Cora, come per
confortarla. Dopo tutto, era la sua unica sorella che era sparita
accanto a
Stephen.
Cora
guardò in basso e tracciò con la punta
del dito le lenzuola del letto consumate, che lei e le altre donne
avevano
condiviso da un anno, adesso. Un anno che era sembrato
un'eternità. Era vero perché
in questo preciso momento, l'estate precedente lei e la sua sorella
minore
erano a bordo di una nave britannica, la Gibraltar, diretta verso le
Americhe
solo per un breve soggiorno. Entrambe le sorelle avevano parlato
spesso,
durante la loro traversata, di quanto fosse eccitante il viaggio e
quanto
sarebbero invidiose di loro le amiche al momento del ritorno. Mesi fa,
molto
probabilmente, a Londra era giunta la notizia che l'intera famiglia
Munro, come
anche il Maggiore Heyward, era stata trucidata dai selvaggi. Chi
avrebbe mai
pensato che avrebbero perso così tanto; il loro intero stile
di vita e tutti
quelli che ne facevano parte, ma allo stesso tempo avrebbero guadagnato
molto di
più.
Perché
questo sentimento irrequieto le si era
insinuato nella pancia? Lo aveva sentito prima, in occasione della
marcia, via
da Fort William Henry, quando suo padre si era arreso. Come se lei
fosse una
donna cieca che camminava per le strade senza meta, ma molto
consapevole di un
potenziale pericolo che le veniva incontro; le ritornarono in mente i
cavalli
che avevano lasciato in Inghilterra, che percepivano un imminente
cambiamento
del tempo oppure se un sentiero fosse pericoloso da percorrere.
"Elizabeth,
lo senti? Questo
silenzio?" disse Cora prima di poter soppesare le parole, ma l'altra
donna
fece un respiro agitato e annuì, poggiando la mano sulla
schiena tranquilla di
sua figlia addormentata.
"Il
silenzio che sembra riempire l'aria
prima che un disastro colpisca. Qualcosa di imminente." Annabel
sussurrò
così delicatamente che Cora poteva essere sicura a mala pena
di averla sentita.
...................................................................................................................
Isaac
Bauman afferrò il bordo dell'elegante
sedia di legno davanti a lui mentre fissava con aria critica i 5
uomini; tutti
loro stavano dritti davanti a lui nell' alloggiamento libero del
Generale
Waddell. Due Bianchi e tre Indiani. Isaac sentì un pungente
mal di testa
insinuarsi nel lato sinistro della sua tempia, aggiungersi a questa
seccatura.
Questi
gentiluomini
passeggiando si erano avvicinati al forte - bene,
fiancheggiati dai
soldati, ovviamente - e avevano detto che avevano bisogno di parlare
con il
comandante del forte riguardo ai loro conoscenti rapiti. Adesso erano
qui. Gli
occhi di Isaac si strinsero mentre fissava l'insolente che sembrava
mezzo
Indiano; con i suoi occhi blu e i lineamenti europei, ma abbigliamento
strano e
capelli ribelli. C'era una precisa aria di sfida nei suoi confronti.
"Cos'
è questa sciocchezza che stai
rigurgitando, uomo? Siamo soldati di Sua Maestà, secondo, e
gentiluomini,
primo. Non abbiamo rapito nessuno. A chi ti riferisci?" Lui lo sapeva
certamente, altrimenti perché ci sarebbe questo gruppo di
pagani davanti a lui.
Ma c'era qualcosa nello sguardo duro dell'uomo arrogante davanti a lui
che lo
faceva sentire diffidente e polemico.
Un
altro uomo alto si tolse il cappello,
asciugandosi la fronte. I suoi capelli biondo scuro erano schiacciati
sulla sua
testa.
"Il
mio nome è James Stewart,
signore," disse l'uomo con una debole inflessione scozzese nella voce,
"e i 3 giovanotti che avete arrestato prima sono con noi. Sono certo
che
si può spiegare tutto. Perdonare e dimenticare, eh?"
No,
in
realtà, non è semplice, Scozzese del cavolo.
Isaac si guardò intorno e fissò ogni uomo, uno
alla volta, per
lunghi istanti, gli occhi che si soffermarono sull' uomo Indiano
più giovane,
con i suoi zigomi alti, definiti e le scure sopracciglia arcuate.
"Chi
è il resto di voi?" chiese
Isaac, tamburellando con le dita sulla sedia per l'irritazione. Non gli
piaceva
essere tirato fuori dal compito di sovraintendere ai turni per dover
dare retta
ad agricoltori e Indiani. Le presentazioni furono fatte quando la
faccia di
Isaac si alzò –
"Voi
due siete fratelli, vero?"
domandò lui. Perché questa informazione era
così importante? Gli solleticò la
memoria.
Quello
chiamato Nathaniel strinse gli occhi e
scosse la testa sdegnosamente.
"Questo
è quello che ho detto. Voi avete
incarcerato mia cognata da qualche parte in questo forte, come anche i
nostri
due amici. Uno di loro, il ragazzo Lenape, è il figlio di
Hopocan."
Girò
di scatto la testa in direzione dell'uomo
Indiano tarchiato, silenzioso, "Non credo che io debba ricordarvi della
pace tra i due popoli, un accordo che ora è molto incerto
con un ragazzo
Delaware in galera."
Isaac
non poté fare a meno di notare che gli
altri soldati sembravano tenersi a debita distanza dagli uomini Indiani
più
anziani e anche adesso li controllavano in maniera continuata,
nervosamente.
C'era qualcosa nei loro penetranti occhi neri e nei loro sguardi
inespressivi
che faceva ripensare Isaac alle antiche statue di marmo che aveva visto
nelle mostre
greco-romane, quando aveva viaggiato in giro per il continente da
adolescente.
Tuttavia,
loro erano soldati di Inghilterra e
non scolari spaventati. Isaac guardò in modo minaccioso i
suoi commilitoni.
"Ti
ho sentito, ragazzo," replicò
Isaac a Nathaniel, "ti prego di perdonare la mia ignoranza,
poiché non
sono molto esperto di matrimoni che producono sia un figlio bianco che
un
figlio rosso."
Gli
occhi di Nathaniel Poe luccicarono per la
rabbia, ma Isaac rimase sconcertato quando il signor Stewart
gettò la testa
all'indietro e fece la sua sonora risata, ad alta voce. La sua risata,
simile a
un latrato di cane, fece venire in mente a Isaac un cane randagio
meticcio.
"Sì,"
disse lui dopo che la sua
allegria era diminuita, per passare a delle risatine soffocate
ansimanti,
"avete ragione, signor...?"
"Bauman.
Isaac Bauman, originariamente
stanziato a Fort Loudoun, ma fui mandato a Letort con alcuni del
reggimento per
dare una ripulita, eliminando invasori francesi o indiani." Isaac
poté
soltanto fissare lo Scozzese. Era leggermente matto? Perché
stava ridendo come
un cretino?
"Sfortunatamente
il Generale Waddell non
è presente, lo aspettiamo domani," Isaac stava dritto e
poggiò il suo
cappello sulla piega del braccio, sentendosi stanco e volendo
allontanarsi da
questi selvaggi e contadini maleducati. Vide il signor Poe aprire la
bocca
furiosamente.
"Prima
che lo chiediate, Poe, la risposta
è no. E' fuori questione l'idea di rilasciare i nostri
detenuti senza il
permesso del Generale. Tornate domani a mezzogiorno circa. Ora, vi
prego di
perdonarmi ma devo congedarmi da tutti voi. Sarete scortati fuori."
Il
ragazzo indiano più giovane camminò
attentamente, con i suoi occhi neri fissi su Isaac.
"Alice
è trattata bene?" chiese
l'uomo rosso. Perché t'interessi?
pensò
Isaac acidamente; quando all'improvviso tutti i pezzi di questo
inquietante
puzzle combaciarono.
"Tu-"
Isaac quasi rimase di sasso
per lo shock, "tu sei l'Indiano con cui la signorina Alice è
fidanzata?"
L'uomo
indiano batté gli occhi lentamente e rimase
in silenzio, probabilmente più che sorpreso del fatto che la
ragazza avesse
rivelato questa cosa. Isaac era perso nei suoi pensieri per parecchi
istanti,
meravigliandosi di nuovo al pensiero della graziosa Alice Munro, una
rosa
inglese, e di questo bifolco dalla pelle di rame, uniti in una qualche
parodia,
in una qualche buffonata di matrimonio.
"Lei
ha detto qualcosa, delle vostre
nozze imminenti." Isaac omise il fatto che l'informazione, in
realtà, era
stata carpita esclusivamente origliando, "Quindi sua sorella
è sposata
con... questo gentiluomo?"
Nathaniel
Poe annuì risolutamente.
Un
altro
spreco,
pensò Isaac sospirando
mentalmente. L'uomo era tanto selvaggio quanto la famiglia che
reclamava come
propria. Forse ancora di più, almeno gli altri mostravano
una qualche parvenza
di etichetta e di comportamento decente.
"Lei
è in una cella di custodia con gli
altri due. Le ho già dato del cibo. Tornate domani," disse
Isaac e se ne
andò a grandi passi, rapidamente. Guardò negli
occhi Edward Lamberth,
"assicurati che partano e che non ritornino fino a mezzogiorno."
...................................................................................................................
Tschitani
si piegò per evitare un vaso di
argilla che volò sopra la sua testa, mentre sua madre urlava
forte. La ragazza
di 11 estati andò velocemente in un angolo e si fece vedere
occupata a
intrecciare un tappetino di giunco, per paura che sua madre notasse la
sua
inattività e cominciasse a rimproverarla.
Tuttavia,
lei si meravigliava per la
compostezza di sua sorella Tankawun alle prese con la sgridata della
loro
madre. La nonna era abituata ormai da troppo tempo a questo spettacolo
costante
e rimase in silenzio, polverizzando il grano con una profonda
espressione
accigliata sulla sua faccia marrone, segnata dalle intemperie. Tankawun
si
inginocchiò a terra, con la testa chinata e in silenzio.
Gli
occhi di Tshitani si spalancarono
allarmati, quando vide sua madre strappare via la corda spessa, fatta
di pelle
non conciata attorcigliata, dalla parete del wigwam. Lei
piagnucolò.
Gli
occhi di sua madre erano grandi e più
furibondi di quanto lei avesse mai visto, ma la donna non
picchiò Tankawun.
Anzi, sfogò la sua furia sul terreno, e fece schioccare la
frusta in un arco
rivolto verso il basso. Schioccò quando colpì la
superficie.
"Piccola
bestia ingrata!" la madre
urlò con voce stridula, scuotendo la testa così
energicamente che le sue trecce
nere volarono nell'aria, "mi hai fatto diventare lo zimbello di tutto
il
villaggio! Questo è ciò che volevi?"
Tankawun
scosse la testa lentamente, con il
suo collo chinato e la sua schiena ancora rivolta alla sua sorella
minore
terrorizzata. Le loro altre due sorelle erano raggomitolate nei
rispettivi
posti letto, probabilmente fingendo di dormire.
"No?"
disse la loro madre, facendole
il verso causticamente, "non ti rendi conto di quello che hai fatto?
Tutti
qui sanno che stavi incontrando quel demonio bianco! Per Mannitto, se
avessi
saputo che te la stavi squagliando con uno di loro, ti avrei fatto a
pezzi!" Lei agitava la frusta in faccia alla sua figlia maggiore, in
modo
minaccioso.
Chemames
inclinò la testa e fissò Tankawun,
diventando costantemente più arrabbiata. Questa volta la
frusta schioccò molto
vicino alle ginocchia della ragazza, facendo in modo che saltasse e
fissasse
sua madre con gli occhi spalancati. Bene, pensò Chemames,
aveva bisogno di
vedere una reazione da parte della sua figlia insolente.
"Non
hai idea, figlia, di quanto tu sia
bella..." Adesso il tono di Chemames era più delicato, per
il momento,
"il problema è sempre stato questo. Sei troppo sognatrice
per capire che
puoi usare la bellezza a tuo vantaggio, a nostro
vantaggio, per un buon matrimonio. Voglio solo vederti
accudita da un buon
uomo, che provvede alla famiglia, un guerriero."
Chemames
si lamentò e si attorcigliò la corda
tra le mani strette, agitata. "Uncas sarebbe stato il compagno
perfetto!
Ultimo della sua stirpe e suo padre è un capo assai
rispettato-"
"Madre,"
Tankawun intervenne
delicatamente e sospirò mentre tentava di dissuadere sua
madre, "Uncas ha
scelto l'altra ragazza."
"Perché
non dici quello che è, figlia?
Una ragazza Yengeese che ha usato qualche specie di stregoneria su
Uncas per
farlo allontanare."
"Farlo
allontanare da cosa?" chiese
Tankawun, ma questa volta c'era un tono di stizzosa impazienza nella
sua voce.
"Da
te!" Tankawun alzò lo sguardo
per vedere il labbro di sua madre arricciarsi per il disgusto, prima di
continuare ad assillare sua figlia, "Non c'è da
meravigliarsi che tu abbia
fallito così miseramente nell'assicurarti Uncas. Ti sei data
per vinta così
velocemente davanti a una certa sgualdrina
Yengeese dal viso pallido, una certa-"
"Non
lo è, madre! Per favore, perché
dovete sempre dire cose così terribili? Lui ha scelto lei
anziché me, e devo
accettarlo e voltare pagina, passare oltre." Tankawun si
pentì della sua
scelta della parola, proprio appena l'aveva pronunciata, e alcuni
istanti dopo,
la ruvida punta della frusta arrivò lentamente al suo mento,
inclinando il suo
viso allo sguardo infuriato e imperturbabile di sua madre.
"Passare
oltre... a cosa?" Chemames
sussurrò, esaminando accuratamente la faccia di sua figlia.
La
mente di Tankawun diventò completamente
vuota, mentre cercava di tenere costante il battito del suo cuore.
L'immagine
istantanea nella sua mente era capelli rossi in coppia con occhi
gentili. Il
pensiero del suo amico Stephen fece in modo che le si chiudesse la
gola, ma anche
che il calore le si accumulasse nelle viscere, mentre lei ripensava al
suo gran
sorriso di traverso, al suo sguardo gentile e a come il suo tocco
rimaneva
sempre sulla sua pelle, per molto tempo dopo che loro si separavano
lungo le
loro strade.
Cosa
sentiva? Tankawun non era più sicura di
cosa provasse per chi. Nel caso di Uncas, era solo una brama ardente,
una
palpitante ossessione che si era stabilizzata in lei, in giovane
età, e
rifiutava di allentare la sua presa. Uncas un tempo le faceva battere
il cuore
a mille e le faceva sudare i palmi delle mani. Con Stephen si sentiva
molto più
felice e a proprio agio, il mondo sembrava illuminarsi. Qualche volta i
giorni
passavano senza che lei si ricordasse dei colori contrastanti della
loro
carnagione. Ripensò, con una dolorosa fitta nella sua
pancia, a quando lui le
regalava i gingilli e i dolcetti Yengeese, e a come le teneva stretta
la mano
mentre guardavano il mondo, lasciandosi trasportare dalle emozioni.
"Vuoi
dirmi che provi dei sentimenti per
il ragazzo Yengeese dai capelli rosso fuoco?" Chemames
avvicinò sempre di
più la sua faccia, fino a quando si trovò occhi
negli occhi con la ragazza
nervosa.
"Io..."
la gola di Tankawun era
diventata secca, ma in quel folle momento sapeva di non poter mentire.
"Io-
Io credo di sì. Sì."
Tschitani,
ascoltando ogni parola, cominciò a
singhiozzare quando la mano della loro madre volò in aria e
colpì sonoramente
la guancia di Tankawun, facendo ruzzolare sua sorella a terra.
Ciò
che successe dopo fu una confusa
successione di voci e colori, quando la Nonna si alzò in
piedi dalla sua
posizione a gambe incrociate e diede il suo ordine più
severo a Chemames di
lasciare in pace Tankawun. Era un ordine al quale Chemames non
disobbedì. Dopo
molte urla e tempeste nell'angusto wigwam, la Nonna e la Madre uscirono
fuori
per discutere di Tankawun, in privato.
Non
molto tempo dopo, le sorelle stavano
fianco a fianco, Tschitani tirava su col naso per aver pianto, mentre
Tankawun
le accarezzava i capelli e il braccio scoperto.
"Ami
veramente quel ragazzo
Yengeese?" chiese delicatamente la giovane ragazza.
Tankawun
smise di accarezzare i capelli scuri,
annodati di sua sorella.
"Non
è semplice."
"E
Uncas?"
"Non
è destino. Ora non piangere e vai a
dormire, piccolina." Tankawun baciò la calda fronte di sua
sorella e
aggrottò le ciglia quando la piccola cominciò a
tremare.
"Sono
spaventata! Mamma dice che sei
malvagia e ti manderà via. Non le permetterò di
farlo, Tankawun. Verrò con
te."
Tankawun
sospirò e scosse la testa,
desiderando più di qualunque cosa che le cose fossero
diverse. Che potessero
essere una normale famiglia, che potessero parlare liberamente senza
doversi
preoccupare del carattere brutto e imprevedibile di sua madre. Le donne
erano
uscite fuori dal wigwam per un periodo piuttosto lungo.
"Sorellina,
sai come ti è stato dato il
tuo nome?" chiese gentilmente Tankawun, osservando mentre la faccia di
sua
sorella registrò questa domanda.
"Papà?"
"Mmm.
Quando avevi 4 estati, un serpente
velenoso ti ha morso ed eri quasi morta, hai smesso di respirare.
Papà ti ha
portata nel nostro wigwam dopo averti trovata, e tutti noi abbiamo
cercato di
curarti per farti guarire, ma non ti svegliavi. Abbiamo fatto persino i
preparativi per la tua sepoltura."
La
piccola sembrava stupita, "Ero così malata?"
"Sì,
abbiamo promesso di non parlarne
mai, ma meriti di sapere. Nonna ti ha fatto il bagno. Abbiamo messo le
ceneri
sulle nostre facce e abbiamo pianto e pianto. Papà ti ha
messo i tuoi indumenti
migliori e ha pregato affinché la tua anima raggiungesse i
felici terreni di
caccia, mentre la tua fossa veniva scavata. Poi..."
"Che
è successo?"
"All'improvviso
ti sei messa seduta e hai
detto che avevi sete." Tankawun ridacchiò delicatamente per
l'esagerato
sussulto di stupore di sua sorella.
"Papà
ti ha dato il tuo nome, che
significa più forte, proprio
per
questo. Perché il tuo spirito è venuto a noi
più forte di quanto non lo sia mai
stato, e anche come promemoria per tutti gli altri, affinché
non dubitino mai
di te."
Tschitani
sembrò così emotiva per lunghi
istanti, ma il cuore della sua sorellina era appagato per il fatto che
Tankawun
le aveva raccontato questo; ciò le dimostrava che
Papà doveva averla amata. Le
aveva dato un nome potente, come lo era stato il suo. Lui era stato
Eluwak
- significava colui
che è fiero; il più
potente. Tra tutti nella sua famiglia, Tschitani era colei che adorava
di più
sua sorella Tankawun, e che ammirava di più la sua
spensieratezza e leggiadria.
"Guarda
che ho, naxisemes." Tankawun
tirò fuori uno strano oggetto tagliente,
che sembrava aver intrappolato la luce dentro di sé.
"Che
cos'é?" chiese Tschitani
affascinata e vi sbirciò dentro. Balzò indietro,
spaventata.
Tankawun
rise musicalmente, "E'...hmm...
il riflesso che vedi nelle acque calme. Mi sono dimenticata di
restituirlo alla
famiglia Yengeese."
Si
distesero sulle loro pelli di animali e,
durante il resto della notte, guardarono la luce del fuoco riflettersi
nel
frammento di specchio rotto e danzare intorno a loro.
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Il
giorno ebbe inizio presto, vividamente
ottimistico quando gli occhi di Stephen si aprirono. Si
svegliò confuso e
disorientato, ma sopra ogni cosa turbato. Ogni articolazione gli
pulsava
dolorosamente.
Oh
sì,
ora mi ricordo... Guardò
curiosamente Anicus, mentre il ragazzo stava guardando in
giù, verso le assi
impolverate che formavano il pavimento, imperturbabile nel suo sogno ad
occhi
aperti. Sembrava come se il suolo avesse tutte le risposte che lui
cercava così
disperatamente.
"Buongiorno,
laggiù..." Stephen
sussurrò e il giovane dalla pelle di rame
borbottò soltanto, con gli occhi
ancora rivolti verso il basso. Non poteva farci niente, Stephen
ridacchiò per
l'espressione quasi imbronciata e infantile dell'altro ragazzo. Si
ricordò
dell'altra loro compagna di cella.
"Alice!"
Stephen si guardò intorno
nella stanza, muovendo di scatto la testa, finché
trovò la sagoma della sua
amica in piedi, di fronte alla parete lontana, che allungava il collo,
simile a
una bambina smarrita. L'apertura della minuscola finestra era troppo in
alto
(dopo tutto, era una cella di custodia di ripiego, per arrangiarsi),
lei poteva
soltanto starsene lì in piedi con la testa piegata
all'indietro, lasciando che
i piccoli raggi di sole facessero diventare quasi bianchi i suoi
capelli
biondi.
"Buongiorno,
signorina Alice," disse
Stephen allegramente, cercando di non sembrare preoccupato per la
particolare
posizione della ragazza.
"Buongiorno,
ragazzi." La voce di
Alice era delicata e sembrava stanca.
"Quando
ti sei svegliata?" Stephen
chiese in tono colloquiale, come se fossero ancora nelle loro case,
nella
Delaware Valley.
"Temo
di non aver dormito. Stavo cercando
di vedere l'alba ma la finestra è troppo alta."
La
sua voce sembrava così distante che Stephen
si preoccupò. Si agitò di continuo –
"La
testa mi prude. Anche la faccia. Mi
darai una grattatina, Alice? Credo di essere un po' legato al momento,"
la
voce di Stephen era allegra e lui fece tintinnare le proprie catene per
essere
sicuro, sperando che lo scherzo la rendesse felice.
"Suppongo,"
replicò Alice in
dettaglio, ma stava sorridendo quando si voltò per andare
verso i ragazzi,
trascinandosi dietro le catene.
"Come
stai, Anicus?" chiese Alice
mentre grattava la cute e la faccia di Stephen, mentre lui sospirava
felicemente.
Il
ragazzo Lenape fece spallucce, sembrando
schiacciato. Alice lo esaminò attentamente, notando che i
suoi pantaloni di
pelle di daino e la camicia di calicò color thè
blu erano strappati e sporchi.
Alice si sedette accanto a Stephen e i due si tennero le mani per
diversi
istanti.
"Puoi
appena immaginare quanto devono
essere preoccupate le nostre famiglie, Stephen?" borbottò
Alice contro la
spalla di Stephen. Lei esaminò pigramente la minuscola
finestra, finché la
porta si aprì di nuovo per la prima volta, dalla notte
precedente. Gli abitanti
sgranarono gli occhi appannati.
L'uomo
chiamato Edward Lamberth fece loro un
gran sorriso in modo sfrontato, mentre si appoggiò alla sua
carabina, la sua
uniforme vistosamente rossa.
"Oh,
svegli! Buongiorno a tutti voi,
signorina Alice, signor Mason...lui." La faccia di Edward si distorse
per
il disgusto mentre esaminava Anicus in modo odioso. Annusò
come se nella stanza
ci fosse qualcosa di nauseante. Alice aggrottò le ciglia.
"Non
ci avete dato abbastanza cibo la
notte scorsa, signore," disse Alice freddamente, "Noi tre abbiamo
dovuto dividerci la misera porzione che era assegnata a me. Se sareste
così
gentile -"
"Sono
solo venuto a dirvi che la
colazione vi sarà portata quanto prima," interruppe Edward,
lanciandole
un'occhiataccia, "e intorno a mezzogiorno vi incontrerete con il
Generale.
Qualcos'altro, ragazza?"
Alice
batté i piedi stizzosamente mentre
continuava a guardare in cagnesco l'uomo rozzo. I ragazzi rimasero
attentamente
in silenzio.
"Queste
condizioni sono deplorevoli,
signor Lamberth."
Edward
piegò la testa di lato e le sorrise,
"Siete stata maltrattata in qualche modo? Abbiamo picchiato qualcuno di
voi?"
Alice
guardò in basso, verso il suolo
impolverato. No, lei supponeva che non erano stati maltrattati troppo,
ma
l'ambiente circostante era estremamente sporco e loro non avevano delle
sedie
adatte. Disse questo all'uomo, facendolo ridacchiare di cuore.
"Perdonatemi,
Vostra Grazia!" disse
l'uomo con esagerato decoro, "scriverò immediatamente al St.
James's
Palace per farvi mandare le vostre cose."
Fece
una serie di risate per la sua
espressione offesa e camminò verso la porta. All'ultimo
momento si voltò
bruscamente-
"Dimenticavo
quasi, signorina
Alice." Il sorrisetto di Edward era ancora lì, ma c'era una
crudeltà nelle
sue sopracciglia e nella sua bocca, adesso. "Alcune persone sono venute
a
cercarvi."
"Quando?"
chiese Stephen con
entusiasmo, drizzandosi con un sussulto, ma il soldato lo
ignorò.
"Sono
venuti la notte scorsa e hanno
chiesto un incontro con il Generale, che non era nemmeno presente al
forte. I
loro nomi..." Edward si sforzò di ricordare, "Nathaniel,
quello che
sembra essere in parte pagano, anche Stewart. Questa coppia di anziani
Indiani
e anche un altro ragazzo."
"Chi?"
chiese Alice avidamente, ma
poteva sentire un brivido attraversarla; era qualcosa che aveva
cominciato a
provare mesi prima. Quando Uncas era vicino oppure quando stava per
essere
nominato in una conversazione, tutto il suo corpo in qualche modo ne
era
consapevole.
"Sapete
chi," Edward abbassò la voce
in un sussurro ammaliatore, "quell'Indiano che avete scelto come vostro
amante."
Adesso
Stephen parlò apertamente, con i suoi
occhi infuocati per la rabbia moralista, "Potreste essere un soldato,
signor Lamberth, ma non siete un vero uomo per rivolgervi a una donna
in questo
modo."
"Chiudi
la bocca, piccolo rospo. Se fossi
un vero uomo, le diresti di non infangare se stessa o il nome di suo
padre con
un selvaggio," la voce di Edward era forte e ostile, "e tieniti
pronto per mezzogiorno. Incontrerai il Generale Waddell."
Proprio
allora una ragazza, più o meno
dell'età di Alice, camminava timidamente dietro Edward, con
gli occhi
compassionevoli e tenendo in mano una pentola di ciò che
sembrava essere
porrigde. Edward gliela prese dalle mani e le fece un cenno col capo,
rigidamente.
La
pentola fu poggiata a terra con forza
davanti a loro tre, e parte del porridge farinoso si
rovesciò lungo i lati. Non
aveva un aspetto molto invitante, e questo forse doveva trasparire
nello
sguardo di Alice, perché Edward Lamberth ruotò
gli occhi verso Alice in modo
austero e uscì dalla cella senza guardare indietro,
camminando intorno alla
ragazza.
"La
Duchessa disprezza il cibo che
serviamo qui, Millie," disse Edward sprezzante quando la porta si
chiuse,
la sua voce si poteva ancora sentire debolmente, "ricordati di chiudere
la
porta col catenaccio."
"Suppongo
che non gli piacciamo,"
Stephen fissò la fredda poltiglia nella pentola, disgustato,
e ripensò a come
quest'uomo lo chiamava costantemente "rospo lentigginoso" e cose del
genere.
"Ma
specialmente tu, Alice."
Alice
non prestò a questa osservazione nessuna
attenzione, poiché stava guardando acutamente l'altra
ragazza. La ragazza di
nome Millie indossava un abito lilla chiaro che sembrava molto
sciupato, la sua
faccia dietro i capelli scuri era stanca. Era piuttosto semplice, ma
poteva
essere a causa della stanchezza. Sembrava timida e imbarazzata per
tutto quello
che aveva detto Edward Lamberth. I suoi occhi avevano qualcosa che
Alice
riconobbe, ma non riusciva a individuarlo.
"Grazie
per la vostra gentilezza,
signorina Millie," disse Alice dolcemente con ciò che
sperava fosse un
caldo sorriso, "per averci dato il cibo più del necessario.
Mi sforzerò di
ripagarvi per la vostra ospitalità e benevolenza."
"Il
mio nome è Amelia," spiegò la
ragazza arrossendo per le cortesi parole di lode, "puoi chiamarmi
Millie."
"Lo
farò sicuramente," Alice
continuò a guardare Amelia pensierosamente, mentre la
ragazza dai capelli
marroni si precipitava fuori. La serratura fece un piccolo scatto,
mentre loro
furono di nuovo chiusi dentro.