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Autore: Sospiri_amore    18/01/2017    1 recensioni
Nico porta sulle spalle un ricordo doloroso che condiziona ogni singolo giorno della sua vita. La ribellione e il menefreghismo sembrano l'unica soluzione al male che sente dentro.
Rassegnato a vivere la vita che la società gli impone, si ritroverà a dover abbassare la testa e accettare il lavoro che gli viene imposto presso la Fabbrica dei Sogni.
Insieme ai suoi migliori amici, Lola e Ahmed, vivrà avventure a cavallo tra la fantasia e il reale, tra il sogno e la realtà, tra la finzione e la verità.
Chi sono gli Onironauti?
Cosa deciderà di fare Nico?
Chi è la misteriosa ragazza con gli occhi tristi?
Chi lo tradirà?
Scoprirà segreti su suo fratello Alex?
Troverà l'amore?
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Test

Seduto su una panchina vicino al palco mi fumo una sigaretta. Il professore di Oniromeccanica ha distribuito le toghe per la cerimonia meno di due ore fa premurandosi che nessuno le rovinasse. Quel nessuno sono io.
Non serviva che lo dicesse, il suo terrore più grande è dover buttare via una toga in poliestere color lavanda da quattro soldi per un mio buco di sigaretta. 
Che idiota. 
Completamente stravaccato allargo le braccia sullo schienale della panchina appoggiando la testa all'indietro. I miei genitori non si sono presentati, hanno pensato non valesse la pena perdere un giorno di lavoro o saltare un ciclo della lavatrice per venire a vedere la cerimonia di diploma. 
Non fa nulla, lo sapevo che sarebbe finita così. 
Il cielo è azzurro. Il sole estivo picchia forte, metà degli studenti sta boccheggiando tra foto ricordo scattate da genitori orgogliosi, abbracci sudaticci e chiacchiere poco interessanti. Riti che servono a dare fiducia agli studenti che, troppo terrorizzati, stanno per affrontare due dei momenti peggiori della loro vita: il test e il colloquio post diploma. 

E se facessi il lavoro di quel fallito di mio padre?
E se mi assegnassero un lavoro che odio?
E se i miei voti non bastassero?
E se i miei genitori si vergognassero di me?

Mi sembra di leggere tutte quelle domande sulle facce pallide e sudaticce degli studenti. La paura di non essere all'altezza o quella di non essere capiti, il terrore di fare un lavoro umile. Deludere. Sbagliare. Non essere abbastanza.
L'ottanta percento di loro vorrebbe essere Onironauta, i più cauti dirigenti alla Fabbrica dei Sogni, i più ambiziosi diventare Oniropolitici. Alla fine quasi la totalità si ritroverà a fare un lavoro semplice, utile alla comunità, niente di esaltante: commesso, operaio, facchino. Se ti va bene insegnante, portaborse o impiegato. Un anno di studio, poi ti assegnano una compagna scelta tra le ragazze disponibili. Una lotteria.

Uno schifo che si ripropone anno dopo anno.
Nessuno prova a ribellarsi perché a tutti va bene così.
Nasci sapendo che ogni azione verrà monitorata, controllata e catalogata.
Cresci sapendo che ogni tuo errore condizionerà il tuo futuro.

C'è così tanta pressione che la vita di ognuno è costruita per questo momento, focalizzata a dare il massimo per ottenere il meglio durante il test e i colloqui.
Alex ha fatto lo stesso a suo tempo, voleva raggiungere il massimo e voleva essere il meglio. Per quanto fossi più piccolo di lui mi ricordo i pomeriggi che passava a leggere libri sulle Onirocascate, sugli Onironauti e sulla fabbrica dei Sogni. Mi raccontava tutto con un tale entusiasmo che finii anche io per appassionarmi. I suoi capelli ricci, sempre scombinati, danzavano sulla sua testa quando mi descriveva la caduta dell'acqua color arcobaleno, i suoi occhi si illuminavano quando mi spiegava come veniva immagazzinata l'Oniroenergia. Io pendevo dalle sue labbra. Lo ammiravo. Insieme andavamo nei boschi vicino a casa per arrampicarci sugli alberi, per costruire trappole. Mi diceva che in questo modo la sua mente  il suo corpo si sarebbero allenati, che serviva un punto di vista diverso per essere notati. Uscire fuori dagli schemi pur restando all'interno del sistema. Alex era un mago a fare questo.
Io no. Sono troppo impulsivo per fingere che tutto questo schifo mi piaccia.

«Ciao perdente. Pronto per sapere se pulirai i cessi o laverai i vetri per il resto della tua vita?». Kurt, il magnifico e popolare Kurt, mi si para davanti.

Non ci sopportiamo dal primo anno di scuola.
Siamo come la luce e il buio. Opposti.

«Che vuoi?», gli rispondo annoiato mentre aspiro una boccata di fumo.

«Oggi finalmente avrai quel che ti meriti. Hai infastidito tutti a scuola con le tue uscite da ribelle di periferia. Grazie alle tue buffonate e scherzi idioti ho perso ore preziose per perfezionarmi. Sai, c'è gente che vuole raggiungere il massimo e non essere un perdente come te». Due ragazzi vicino a lui ridono, paiono due scimmie.

«Senti Kurt. Il fatto che tuo padre sia un Onironauta non significa che lo diventerai anche tu. Non basta avere i muscoli pompati e i capelli plastificati come i tuoi per essere ammessi ai corsi». Adoro vederlo andare su tutte le furie, è talmente codardo che non ha il coraggio di prendermi a pugni per paura di rovinare la sua condotta perfetta.

«Io sono un Bishop. Tutti gli uomini Bishop nella mia famiglia sono Onironauti da generazioni. Non osare offendere la mia famiglia», mi ringhia a pochi centimetri dal mio volto.

Con tutto il fiato che possiedo butto uno sbuffo di fumo direttamente sul suo muso: «Non ho mai offeso la tua famiglia, perché mai dovrei? Credo che tu sia un idiota, non sei neanche in grado di capire quello che ho appena detto».

I due scagnozzi di Kurt trattengono a fatica l'amico che come una furia vorrebbe buttarsi su di me. Ha la faccia rossa, i suoi capelli di solito impeccabili cadono sul suo volto deformato dalla rabbia.

«Vedi? Te lo detto che sei un idiota. Se mi picchiassi il tuo sogno di diventare Onironauta svanirebbe, la tua reputazione sarebbe rovinata. Stai tranquillo. Fumati una sigaretta e rilassati». Infilo il mio mozzicone mezzo consumato tra le sue labbra mentre sgattaiolo via dalla panchina sommerso dagli insulti di Kurt che pare vicino ad un infarto. Le vene sul collo pulsano, il colore del suo viso è di una sfumatura violacea.

Questa volta l'ho fatto davvero arrabbiare.
Non posso farne a meno.
Mi diverte un sacco provocarlo.

Lola e Ahmed mi aspettano poco lontano, hanno assistito a tutta la scena. Lola ride come una pazza, mentre Ahmed scuote la testa con disappunto.

«Nico, il tuo atteggiamento provocatorio innesca reazioni negative capaci di pregiudicare il tuo futuro. Mi sento di consigliarti un metodo che possa risolvere la situazione venutasi a creare. Abbassa il capo e chiedi perdono a Kurt per il tuo gesto impertinente e sfacciato». Ahmed parla con serietà, come fa sempre. Con indosso la sua divisa di poliestere, che gli lascia scoperti parte dei polpacci, sembra un pennacchio con attaccata un'orrenda bandiera color lavanda. 

«Rilassati amico!», gli dice Lola mentre mi alza la mano per batterla contro la mia.

«Quello che è successo è disdicevole e...».
Lola lo interrompe.

«Disdicevole? E tutte le volte che Kurt è i suoi amici ti hanno chiuso nel cesso? E quella volta che ti hanno rovesciato addosso la onirosoluzione durante gli esperimenti in chimica dei sogni? Quello non era disdicevole?». Lola dice l'ultima parola con una vocina stridula e sbattendo le ciglia.

«Quisquilie». Ahmed alto come un palo ci osserva con fastidio, anche se è stato vittima degli scherzi di quei bulli preferisce la strada diplomatica, sempre.

Mi ricordo quando lo abbiamo salvato dalle grinfie di Kurt quattro anni fa circa, mai si sarebbe aspettato che tipi come me e Lola avrebbero mai potuto aiutarlo. Due studenti come noi destinati a pulire i rifiuti degli altri, con una condotta pessima, si sono rivelati i migliori amici che avrebbe mai potuto avere. Certo, lui non commette mai nulla che possa andare contro le regole, è un ottimo studente con una media altissima, ma ha il piccolo problema che non riesce a lasciarsi andare. Tutto libri e cervello, ma con poca esperienza vera. Del resto viene dal quartiere residenziale con villetta e giardino perfettamente curati, genitori insegnanti e con poca fantasia. Credo che stare con noi gli dia quella scossa che vorrebbe dare alla sua vita, ma che non ha ancora trovato il coraggio di fare.

Dal vecchio altoparlante in cima al tetto dell'edificio scolastico gracchia una voce nasale: è la preside che ci invita a raggiungere gli esaminatori per il test finale. 
Ahmed impallidisce. Come la maggior parte degli studenti ha lavorato tutta la vita per questo momento, non può deludere le aspettative dei genitori. 
Tutti e tre ci dirigiamo verso la grande palestra dove sono stati allestiti i punti di smistamento. Kurt ci segue a distanza cercando di ricomporsi, non vuole perdere la sua opportunità di brillare, se non dovesse diventare un Onironauta infangherebbe il buon nome della sua famiglia. 
Lola, Ahmed ed io ci accodiamo ad una delle cinque file fuori dalla palestra mentre ci sfiliamo l'orrenda tunica color lavanda, il professore di Oniromeccanica le requisisce controllandole una ad una. Venti minuti di strazio e di attesa: identificazione e assegnazione.
Posto 137.
Fila 9.
Sono lontano dai miei amici, lo fanno apposta, in questo modo pensano di evitare che si copi l'uno dall'altro. A me non importa molto, non vedo l'ora che finisca tutta questa pagliacciata. 
La preside passa in mezzo alle file di banchi allineati uno dietro l'altro a consegnare i test, il passo pesante della donna fa scricchiolare il pavimento logoro in plastica. Le strisce scolorite per terra, i vecchi attrezzi sportivi ammassati alla parete e la luce al neon rendono l'atmosfera grottesca. Non c'è la minima serietà, è sempre la solita solfa, anno dopo anno si ripete la solita pantomima, un test che dovrebbe delineare le nostre attitudini, verificare le competenze e decidere il nostro futuro. Ridicolo. 
Tra le mani stringo un sottile plico di fogli sigillato, una matita. Ho due ore di tempo per compilarlo.

Via.

Un vecchio orologio scandisce il tempo, i nostri insegnanti si muovono avanti e indietro passando tra i banchi e le file per verificare che nessuno copi le risposte. Sembrano mosche impazzite che volano alla ricerca di una goccia di miele. Si muovono, osservano, cambiano direzione alla ricerca di qualche studente disonesto.
Io non ho la minima intenzione di copiare, ma nemmeno di completare quella sequela inutile di domande. Vado a caso, metto dei pallini con la matita dove capita cercando di esprimere e seguire il mio talento artistico. Il risultato finale? Osservando con attenzione le risposte si può leggere, unendo i pallini, la scritta IDIOTI. 
Dopo cinque minuti sono già al tavolo dei commissari esterni pronto a consegnare il mio foglio. Con un sorriso sfacciato lo consegno al presidente di commissione, un signore con la testa rasata e una divisa da Onironauta perfettamente stirata e tirata a lucido.

«Cosa significa?», mi chiede l'uomo mentre prende il mio test.

«Ho finito. Posso andare?». Tiro fuori dalla tasca gli occhiali da sole poi li infilo sul naso.

L'uomo freme. Con i pugni stretti e lo sguardo torvo mi squadra dall'alto in basso, non credo sia abituato a essere trattato in questo modo:«Nome e cognome», mi chiede asciutto mentre apre un grosso registro pronto a segnare il mio nome.

«Nico Songus», dico mentre mi stiracchio annoiato.

«Songus?». L'uomo si blocca e mi osserva con un'attenzione diversa:«Sei il fratello di Alex Songus?».

Non rispondo.

«È stato mio allievo diversi anni fa. Un'ottima posizione la sua. Vedo che il talento non è di famiglia», mi dice con astio e cattiveria mentre scrive il mio nome sul grande registro.

«Ho pensato fosse troppo per i miei genitori, si immagina se avessero avuto due talenti in famiglia? Sarebbero stati troppo fieri, non sia mai. Io sono la pecora nera, va bene così a tutti». Con le mani in tasca ciondolo sul posto, non ho voglia di stare a parlare con quel pallone gonfiato.

«Forse dovevi fare tu la fine di tuo fratello, no? In questo modo i tuoi genitori avrebbero avuto il figlio giusto ancora vicino a loro». L'uomo chiude con forza il registro, il suo sorriso di sfida si abbina perfettamente all'aria sicura e spavalda che ogni poro della sua pelle trasmette.

«Ma così non sarebbe troppo facile? Mi piacciono le cose difficili e poi è divertente vedere i miei genitori cercare di capirmi». Non voglio dargliela vinta, quel pallone gonfiato vuole provocarmi, ma non sa che le sue parole mi sfiorano come fossero gocce d'acqua. Non mi toccano, non mi importa cosa pensi. 

«Adesso vai ai colloqui», mi dice asciutto.
Con un gesto delle dita lo saluto mentre esco dalla palestra dove il resto dei miei compagni sta finendo di compilare il test. Lola e Ahmed mi seguono con lo sguardo fino a quando sono uscito. Mi prenderebbero a sberle se potessero, odiano quando mi comporto così.

Il sole all'aperto batte forte è quasi accecante.

Solo.
Sono solo.
La luce bianca si riflette sui sassi bianchi del selciato, la polvere pare addormentata. Non c'è un alito di vento. L'eco dei miei passi pare quello di un lupo solitario abbandonato dal branco in cerca di uno scopo. 
I ricordi d'infanzia e le ultime parole di Alex si fondono.

Ti sei mai chiesto perché fabbrichiamo sogni?

I capelli ricci di mio fratello, il suo sorriso dolce, la sua curiosità.

Chiedi scusa a mamma e papà.

Mi accascio contro il muro incandescente dell'edificio principale. La divisa si impolvera mentre cerco di riprendere fiato. Le lacrime che cadono dai miei occhi sono l'unica cosa viva, l'unica cosa vera, l'unica cosa che mi faccia provare qualche emozione.

Sono un lupo senza branco.
Sono Nico.
Sono Nico, il figlio sbagliato.

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Pubblico in contemporanea con Wattpad. :)
   
 
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