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Autore: Sospiri_amore    18/01/2017    1 recensioni
Nico porta sulle spalle un ricordo doloroso che condiziona ogni singolo giorno della sua vita. La ribellione e il menefreghismo sembrano l'unica soluzione al male che sente dentro.
Rassegnato a vivere la vita che la società gli impone, si ritroverà a dover abbassare la testa e accettare il lavoro che gli viene imposto presso la Fabbrica dei Sogni.
Insieme ai suoi migliori amici, Lola e Ahmed, vivrà avventure a cavallo tra la fantasia e il reale, tra il sogno e la realtà, tra la finzione e la verità.
Chi sono gli Onironauti?
Cosa deciderà di fare Nico?
Chi è la misteriosa ragazza con gli occhi tristi?
Chi lo tradirà?
Scoprirà segreti su suo fratello Alex?
Troverà l'amore?
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È ORA DI INIZIARE


Sono passati trenta giorni da quando il Colonnello Shinko mi ha dato da bere l'acqua dell'Onirocascata nel cortile della mia scuola. Trenta giorni in cui un vago senso di malessere mi ha accompagnato in ogni momento della giornata. Da una parte ho chiaro il dolore fisico, lo sballottamento e la confusione provata. Dall'altro le immagini viste e vissute in prima persona, la ragazza con gli occhi tristi e la sua voce, diventano un ricordo lontano. Fioco.
È come se avessi nostalgia di un qualcosa, come se sentissi la mancanza di qualcuno, anche se non ho la minima idea di cosa io abbia effettivamente visto.

I miei genitori mi sono vicini, siamo tutti e tre sulla soglia della porta di casa. Sembriamo quelle ridicole statuine di gesso che gli abitanti dei quartieri ricchi mettono nel loro giardino. Anche se è mattina presto, mamma e papà, hanno deciso di aspettare Lola che mi venga a prendere per portarmi al primo giorno di tirocinio per diventare a tutti gli effetti Onironauta. Un anno di corso poi scoprirò se ho effettivamente le carte in regola. Alex è stato bocciato all'esame finale e per questo, credo, si è tolto la vita. 
Mamma indossa il suo grembiule migliore, ha arricciato i capelli per poi raccoglierli in uno chignon. Con le mani intrecciate sul ventre osserva la strada mentre papà con il giornale sotto braccio e la divisa da operaio fuma una sigaretta.
Sono rimasti stupiti e spiazzati quando gli ho detto che avrei fatto il corso per diventare Onironauta, una notizia inaspettata. Da una parte credevano che con i miei voti e la mia condotta avrei fatto ben poco, dall'altra parte sono convinti che non durerò più di una settimana al corso. 
Il corso è un massacro.
Lo so io e lo sanno i miei genitori.
Alex ci scriveva lettere in cui ci raccontava le difficoltà che giorno dopo giorno doveva affrontare, ci diceva che molti suoi colleghi rinunciavano o venivano cacciati se non raggiungevano un determinato obiettivo. 

Solo se sei il migliore vai avanti.

Io non sono mai stato migliore in niente, eppure quegli undici minuti in cui sono stato privo di sensi ho provato emozioni mai toccate prima. È come se vivessi una vita parallela, come se fossi in un posto che conoscessi, ma che non so dove effettivamente fosse. I sensi sono appannati, i movimenti rallentati. La cosa più simile che possa spiegare ciò che mi è successo è quando sono immerso nell'acqua. Ovattato. Protetto. Vulnerabile. Fragile. In cerca di equilibrio continuamente.

Undici minuti che hanno formato una sfera di energia sopra la mia testa.
Undici minuti di energia prodotta da un'Onironauta bastano per far funzionare una casa di piccola grandezza.
Undici minuti. Il secondo miglior tempo della mia scuola, il primo è di tredici minuti e ventidue secondi. L'ha fatto mio fratello Alex.

Il clacson di Lola risuona afono per la strada deserta, il suo catorcio cade a pezzi, ma almeno mi permette di andarmene da casa. Non avrei sopportato di essere accompagnato dai miei genitori. 
Mamma timidamente improvvisa un abbraccio, un paio di lievi pacche sulla schiena, e un sorriso tra il trattenuto e il preoccupato. Papà mi allunga una stecca di sigarette, non aggiunge altro.

«Ciao», dico, poi raggiungo Lola e il suo rudere a quattro ruote. 

Ahmed è seduto di fianco a lei, pare stia per vomitare, ha un grosso sacchetto di carta tra le cosce. 
Nessuno parla. 
Non c'è bisogno di dire nulla.
Negli ultimi trenta giorni abbiamo cercato di capire cosa fare, come comportarci e che atteggiamento assumere, ma gli sbalzi di umore e le ansie hanno preso il posto della ragione e del buon senso. Lola ha iniziato ad allenarsi come una matta, ha passato più ore a correre e arrampicarsi di chiunque altro io abbia mai conosciuto. Ahmed non ha staccato la testa dai libri, ha voluto recuperare la lacuna di informazioni sugli Onironauti e sul corso che ci aspetta. Io. Io, ho vagato per i boschi. Ho passato diversi giorni all'aria aperta addormentandomi coperto dal cielo stellato e coccolato dai fili d'erba. Qualche volta ho cacciato, acceso fuochi e raccolto frutti, ma per la maggior parte del tempo ho pensato. Una domanda su tutte non ha trovato risposta: se Alex non ha superato l'esame finale, come potrò farcela io?

«Eccoci». Una grande recinzione fortificata compare all'orizzonte. Il parcheggio esterno all'Onirocascata, di solito occupato solo dai dipendenti dei vari piani interrati, stamattina pare esplodere. Macchine di ogni foggia provenienti dai 53 quartieri della città cercano parcheggio, strombazzano nervosi e stanno fermi in lunghe code. 

«Ci conviene parcheggiare qui. Facciamo due passi a piedi, lì davanti non arriveremo mai». Lola parcheggia in una piccola radura erbosa sul lato della strada. Toglie le chiavi dal quadrante per infilarle nel parasole sopra il volante:«Uno dei miei fratelli passa a prenderla in giornata. Serve più a loro che a me», dice mentre controlla la matita nera intorno agli occhi e il piercing al labbro nello specchietto retrovisore.

«Non hai paura che te la rubino?», chiede Ahmed con una voce da zombie riemergendo dal sacchetto di carta.
Lola lo guarda con il sopracciglio alzato:«Chi mai ruberebbe questa carcassa? Per farla partire devo schiacciare due volte la frizione, il cambio è duro, non ha il servosterzo... solo un pazzo la vorrebbe».

«Lo so che fa schifo, ma allora perché ti inalberi ogni volta che ti diciamo che è da buttare via? Credevo...».
Lola lo interrompe, è furibonda: «Nessuno può offendere la mia macchina. Io posso dire che è un rottame, tu no. Chiaro?».

«Ma...», guaisce Ahmed.

Lola esce dalla macchina sbattendo la portiera, poi prende una sacca con le sue cose dal bagagliaio: «Vi muovete?», ci urla sbattendo un pugno sul cofano.

Ahmed e io ci guardiamo interdetti. È meglio non contraddirla.
Senza battere ciglio prendiamo e nostre cose pronti a iniziare una nuova vita.

La strada per raggiungere la recinzione fortificata non è molto lunga, ma cosa più scomoda è fare lo slalom tra macchine parcheggiate male, parenti che accompagnano i figli e valige ingombranti. Le scene lacrimose e le aspettative che pesano come macigni sulle spalle dei ragazzi sono le stesse per tutti. Tutte quelle smancerie sono talmente ripetitive e noiose che sembra di assistere, metro dopo metro, sempre alla stessa scena.
Ahmed con il suo trolley con rotelle e la sua statura fuori dal normale svetta su tutti. Incurante delle persone intorno a lui spinge e da spallate a chi si trova sul suo percorso. Il pallore e le occhiaie marcate lo fanno sembrare più pericoloso di quanto sia, se poi si aggiunge il fatto che parla da solo, il gioco è fatto. 
Lola ed io lo lasciamo andare avanti, in questo modo ci apre la strada e ci permette di raggiungere più velocemente l'ingresso.
Schierati davanti al grande cancello ci sono, uno di fianco all'altro, i guardiani con la loro tuta nera, il caschetto e il manganello ben stretto in pugno. D'istinto mi tocco la cicatrice sul mio volto, mi fa uno strano effetto essere lì, è da quando Alex si è buttato nel vuoto che non mi avvicino a quella zona del bosco.
Una fila di futuri Onironauti è ben organizzata dietro le transenne. Uno alla volta dobbiamo farci riconoscere e ricevere la nostra assegnazione e un tagliando dove ritirare le nostre divise per gli allenamenti.
L'attesa è abbastanza lunga, dobbiamo solo portare pazienza.
Lola si stropiccia le mani mentre respira e inspira profondamente, Ahmed controlla su un volume chissà quale informazione, mentre io accendo e spengo l'accendino che tengo in mano.

«Sei un piromane? Vuoi farci morire carbonizzati?», dice una voce femminile alle mie spalle.

«Scusa». Metto accendino in tasca poi mi rigiro verso i miei amici.

«Sei uno di poche parole, eh? Io mi chiamo Juli Martini», dice allungando la mano nella mia direzione.
Accenno un sorriso di circostanza.

«Ciao Juli, piacere di conoscerti», cercando di imitare i toni bassi di una voce maschile la ragazza si stringe ma mano da sola.

«Hai sempre voglia di parlare? Io non sono un tipo molto loquace», le dico con aria scocciata.

«Era tanto per fare amicizia. Dalla scuola del mio quartiere solo io sono riuscita a passare per il corso, non conosco nessuno. Mi son detta: Juli, le prime persone che incontrerai fattele amiche. Caso a voluto che fossi tu. Quindi, io sono Juli Martini, tu invece?».

Guardo quella ragazza dai capelli biondi a caschetto perfettamente tagliati come una scodella rovesciata e il viso a forma di cuore con sospetto. È troppo euforica e chiacchierona per i miei gusti. Non voglio correre il rischio di dovermi trovare a fare da baby sitter a una squinternata del genere.

«Ciao. Io sono Lola Bertrand. Questo musone qui si chiama Nico Songus e il tizio che legge è Ahmed Mazur. Da che quartiere vieni?», chiede Lola mentre stringe con vigore la mano di Juli.

«Dal 51. Profonda campagna», dice arrossendo.

«Bello. Lì c'è il lago Tokopapa, mia madre mi ha portata da piccola. Si mangia benissimo, mi ricordo che ho assaggiato una marmellata di...».

«Stop. Lola fermati. Già devo sopportare le tue chiacchiere, se fai amicizia con Juli rischiereste di farmi impazzire. Quindi finiamola qui. Ognuno per la sua strada. Ciao Juli. È stato un piacere Juli. Buon corso Juli. Addio», le dico voltando le spalle alla ragazza e prendendo di peso Lola.

«Idiota!», dicono in coro le due ragazze, poi scoppiano a ridere mettendosi una di fianco all'altra a chiacchierare come fossero due ottime amiche da sempre.

Rassegnato a sopportare le loro voci cerco di distrarmi per non pensare quanto tempo mi tocchi aspettare prima di poter entrare nel campo esercitazioni. Ahmed parlotta da solo a bassa voce, ripete informazioni, nomi e date che nell'ultimo mese ha memorizzato. Non è di molta compagnia, ma è meglio delle due cornacchie parlanti dietro di me.
Un passo dopo l'altro, una raffica di parole dopo l'altra, finalmente arriviamo all'ingresso dov'è diverse guardiole ospitano delle impiegate che scartabellano tra grandi registri e blocchi di carta.

È il mio turno.

«Mi passi la ricevuta che le hanno consegnato durante il colloquio trenta giorni fa», mi dice la donna con grossi occhiali bordati di nero.

«A dire il vero ho solo questo». Allungo un foglio di carta che il Colonnello Shinko ha dato a me, Lola e Ahmed, una specie di nota scarabocchiata velocemente. 
La donna lo osserva con attenzione, poi prende tre cartelle color grigio:«Mi dica il suo nome».

«Nico Songus».

Attraverso gli occhiali mi osserva più volte, apre la cartella grigia sfogliando un paio di fogli. Attaccata con una graffetta c'è una mia fotografia:«Bene. Lei uno dei casi particolari che il Colonnello Shinko ci ha segnalato. Adesso può entrare e andare a ritirare la sia uniforme e tutto quello che le servirà durante il corso. Le spiegheranno dopo nei dettagli», dice mentre sbatte un grosso timbro sulla cartelletta contenente le informazioni su di me.

Recupero velocemente il foglio con le assegnazioni, il mio zaino per poi dirigermi oltre il grande cancello. Diversi guardiani mi squadrano da capo a piedi, alcuni marciano avanti e indietro, lo scricchiolio delle loro tute in pelle sembra il rosicchiare di un cane su un osso. 

Il cuore batte forte, anche se non voglio ammetterlo ho paura.

Lola e Ahmed mi raggiungono dopo pochi secondi. Juli, la chiacchierona, è dietro di noi di qualche metro.

«Andiamo?», chiedo ai miei amici.

Lola mi prende per mano.
Ahmed mi da una pacca sulla spalla.

«Che fai, tu non vuoi entrare?», chiedo a Juli.
La ragazza con i capelli a forma di scodella rovesciata ci raggiunge sorridendo.

È ora di iniziare.

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