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Autore: Cathy Earnshaw    18/01/2017    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 16
Uno di troppo
 
 
Frunn deglutì bile e anche quel minimo movimento gli tolse il respiro. Horlon l’aveva inscatolato in una sorta di armatura che stava avendo il solo effetto di fargli venire la claustrofobia. Non aveva idea di cosa aspettarsi. Se ne stava lì con quell’inutile spada in pugno, gli occhi fissi sulla porzione minimale di nuca che i capelli del Re, raccolti in una coda di cavallo, lasciavano intravedere, pochi passi più avanti. Era incredibilmente rassicurante saperlo così vicino, anche se la sua presenza non l’avrebbe reso capace di difendersi. Tutt’al più poteva sperare che fosse l’ultima persona che avrebbe visto sul punto di morte.
«Sei patetico, Frunn» mormorò con una smorfia.
Il rumore sordo di decine di ali sbattute stava diventando assordante.
«Sono qui» disse il Re, e Frunn riuscì a distinguere chiaramente la sua voce in mezzo a tutti quei sussurri concitati.
 
Il respiro di Horlon era stranamente regolare, il battito cardiaco normale. Se ne stupiva da solo. Quella che si prospettava avrebbe potuto essere la battaglia decisiva, lo sapeva, eppure per qualche motivo si sentiva rilassato. Per la prima volta combatteva con la consapevolezza di lasciare un’erede, e aveva preso tutte le dovute precauzioni perché lo si venisse a sapere nel disgraziato caso della prematura morte sia sua che di Frunn.
«Sono qui» disse adocchiando le sagome nel cielo.
«Stai attento, Lon» mormorò Glenndois, accanto a lui.
«Anche tu» rispose distrattamente, la sua attenzione completamente assorbita dal battere ritmico di tutte quelle ali in avvicinamento. Phia era solo ad un passo da Lumia. A costo della propria vita l’avrebbe difesa.
 
Quando la prima vampata di fuoco si abbatté sulla città, lo scudo prodotto dai maghi resse l’urto ma il boato fu comunque terrificante. Frunn si concentrò sulla voce del Re, che gridava:
«State pronti, non reggerà per molto! Avete degli scudi: ricordatevi di usarli!»
L’elfo strinse il proprio. Pesava troppo, tutto ciò che aveva addosso pesava troppo. I draghi attaccarono di nuovo, lo scudo scricchiolò. Al terzo attacco esplose, mandando in aria scintille e stringhe di luce in fiamme. Il fuoco colpì il suolo e Frunn si riparò mentre tutto intorno era il caos.
 
Pochi secondi dopo l’esplosione dello scudo magico, le fiamme iniziarono a modellarsi in figure umane. Horlon sollevò la spada davanti a sé. Aveva pensato di collaborare con i maghi per attaccare Bearkin, ma alla fine aveva deciso di riporre l’arco e sfoderare la spada. Con i maghi c’era già Nastomer, lui sarebbe stato più utile altrove. Si trattava di prendere tempo, ne erano tutti tragicamente consapevoli. L’unica cosa che si poteva fare era tenere quelle cose il più lontano possibile dai civili per il tempo necessario ad allontanare Bearkin. O ad abbatterlo, ma non era così ottimista. Horlon calò la spada e colpì una di quelle creature di fuoco, che esplose. Se doveva occupare il tempo, tanto valeva farlo bene.
 
Nastomer puntò il Re dei draghi. Accanto a lui, Mark aveva deciso di immolarsi alla causa e seguirlo da vicino, e il ragazzo gliene era grato. Per lo meno se fosse precipitato di nuovo, c’era una possibilità che qualcuno attutisse la caduta.
«Aspetta, Tom! Cosa vuoi fare?» gridò il mago.
«Non lo so, qualcosa!»
«Qualcosa un cavolo! Così ci farai ammazzare! Io penso a spegnere la miccia, ma tu non colpirlo a casaccio!»
«E dove lo colpisco?» domandò.
Mark esitò.
«Le parti più esposte sono quelle dove le squame sono più sottili… il collo, la pancia, l’attaccatura delle zampe, anche occhi e bocca vanno benissimo.»
«D’accordo.»
Nastomer prese un respiro profondo. Detta così non sembrava neanche troppo impossibile.
 
Frunn sollevò di nuovo la spada e la calò a caso davanti a sé. La coordinazione non era mai stata il suo forte. Il calore e la stanchezza crescenti lo avevano convinto ad abbandonare alcune parti di quella scomodissima armatura. Con un po’ di fortuna sarebbe sopravvissuto e Horlon non l’avrebbe saputo mai. Calò di nuovo, ma l’uomo di fuoco che gli stava davanti parò il suo colpo. Era passata un’eternità dall’ultima volta che si era esercitato con la spada… era un ragazzino, e Dodo lo massacrava sistematicamente. E comunque il Re doveva portargli rancore per qualche motivo a lui sconosciuto, altrimenti perché acconsentire a portarselo sul campo di battaglia? Se avesse avuto anche solo un minimo a cuore la sua salute, gli avrebbe detto categoricamente di no quando gliel’aveva chiesto. L’uomo di fuoco attaccò e Frunn, il segretario, il burocrate, il topo da biblioteca, l’idiota masochista, schivò goffamente e si sforzò di attaccare. Inspiegabilmente il suo affondo andò a segno e l’uomo di fuoco si sgretolò su sé stesso, tornando a bruciare come semplice fiamma.
 
Horlon non era contento di come stavano andando le cose. Per quanti sembianti lui potesse distruggere, ce n’era sempre uno pronto a rimpiazzare il precedente. Il fuoco non si sarebbe estinto finché i draghi fossero rimasti in città, e non avrebbe smesso di ribellarsi finché ci fosse stato Bearkin a comandarlo. Alzò gli occhi alla ricerca di Nastomer: il ragazzo, accompagnato da Mark, stava tentando di superare i draghi che facevano barriera intorno al loro Re per poterlo attaccare frontalmente, ma non era semplice, nonostante gli sforzi congiunti di mago e stregone.
«Lon!»
L’elfo individuò Storr che si faceva strada in mezzo alle figure di fuoco e gli andò incontro.
«Tutto bene? Sanguini!»
Il mago si asciugò il rivolo di sangue che gli scendeva dalla tempia.
«Anche tu.»
Horlon strinse i denti. Aveva schivato di un soffio il crollo di un edificio, ma era stato comunque colpito da alcuni detriti alla spalla sinistra, che ora era fuori uso.
«Non ho più i riflessi di una volta.»
«Cazzate. Senti, i tuoi arcieri stanno facendo uno splendido lavoro. Ne abbiamo tirato giù un altro sulla periferia est!»
«A quanto siamo?»
«Quattro.»
«Se Tom non riesce a beccare Bearkin è tutto inutile.»
«Vero, ma da qualche parte bisogna cominciare.»
Horlon annuì, anche se continuava a non essere convinto.
 
Tom prese un respiro profondo e attaccò di nuovo. In qualche modo, il suo incantesimo colpì uno dei draghi che facevano da scudo al bestione, strappandogli una parte della membrana dell’ala e precipitandolo verso terra.
«Mark!» gridò.
Il mago imprecò. Tentare di direzionare o rallentare la caduta di un drago, ad un mago che agiva da solo costava uno sforzo immane, Nastomer ne era perfettamente consapevole, ma era l’unico mezzo che avevano per evitare che il loro esercito finisse spiaccicato. E lui doveva concentrarsi su Bearkin. Attaccò di nuovo, e questa volta fu lo stesso Re a rispondere. Impattando il fuoco del drago, il suo incantesimo esplose mandando una pioggia di fuoco sulla città di Phia.
«Bell’idea del cazzo!» gridò Mark.
«Dovrai fare di meglio» tuonò la voce ruvida del drago.
Nastomer strinse i denti.
 
Frunn aveva appena individuato Horlon e Storr quando aveva capito che un drago gli stava precipitando sulla testa. Aveva fatto in tempo ad evitarlo solo perché quell’anima pia di Mark era riuscito a rallentarne la caduta. Con le gambe che ancora tremavano, si era riparato dietro un muro diroccato. Il drago si era schiantato, sì, ma era ancora sufficientemente in salute da inondare di fiamme tutto quello che gli capitava a tiro. Frunn riconobbe l’incantesimo di un mago d’acqua un attimo prima che un boato scuotesse la terra. Alzò gli occhi: dal cielo pioveva fuoco. Rimase per un attimo a guardare in su a bocca aperta, per questo si rese conto con un secondo di ritardo del sembiante che levava la sua arma di fuoco contro di lui. Si strinse alla propria spada, ma il dolore lo immobilizzò, e tutto ciò che vide fu buio.
 
Nastomer parò un nuovo attacco del drago, ma l’onda d’urto lo catapultò indietro. Non poteva andare avanti così, i suoi attacchi venivano sistematicamente intercettati prima che potessero avvicinarsi al bersaglio, che in compenso riusciva a rispondere personalmente. Era inutile fingere che fosse tutto sotto controllo: il Re dei draghi era un avversario troppo forte per lui.
«Tutto bene, Tom?»
Qualche piede più in basso, Mark cercava di aiutarlo come poteva, ma era sempre più affaticato. Bisognava trovare una soluzione.
«Bearkin!» chiamò. «Non ti vergogni a nasconderti dietro i tuoi sudditi? Vieni avanti, coraggio! Non vorrai che si dica che il Re è un codardo!»
La risata possente del drago echeggiò in ogni fibra dello stregone.
«Non penserai che io sia così sciocco da lasciarmi guidare dall’orgoglio, spero. Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare, ragazzino!»
Nastomer deglutì e si preparò a parare il colpo che Bearkin stava caricando. Aveva un brutto presentimento, gli sembrava che l’aria si fosse fatta improvvisamente più elettrica. Ripensandoci, era una sensazione che per un secondo aveva provato anche a Spleen… Il drago attaccò, interrompendo bruscamente il filo dei pensieri del ragazzo. Nastomer alzo le braccia e richiamò a sé tutta la sua energia, certo che non sarebbe bastata per fermare l’immensa sfera di fuoco che il drago gli aveva scagliato contro. La violenza dell’impatto lo scaraventò lontano. Con le orecchie che fischiavano, perse la nitida percezione dello scorrere del tempo. Come se stesse avvenendo tutto con estrema lentezza, vide Bearkin gonfiare il petto e caricare un nuovo colpo, ma non riuscì a reagire, gli sembrava di avere la testa nascosta sotto ad un cuscino. Sentì come in sottofondo la voce di Mark che gridava qualcosa quando dalle fauci del drago proruppe una cascata di fuoco. La vide avvicinarsi e fu certo che sarebbe morto sul colpo, perché niente nel suo corpo sembrava pronto a reagire per difendersi. Ma in ultimo, un’ombra si interpose tra lui e il fuoco del drago.
 
Per quanto suo padre e il Re parlassero piano, Frunn sentiva benissimo quello che si stavano dicendo. Le visite di Sua Maestà ormai erano talmente sporadiche che non si sarebbe perso una parola per nulla al mondo, senza contare che con i tempi che correvano doveva esserci un motivo più che valido a portarlo a casa sua. C’era la guerra, ed era al fronte che il Re avrebbe dovuto trovarsi…
«Ho saputo di Maren» disse suo padre.
Anche Frunn l’aveva saputo: l’anziano segretario era stato mandato come ambasciatore a trattare con i draghi, e Bearkin, il loro sovrano, l’aveva incenerito senza mostrare il minimo rispetto per il ruolo che questi rivestiva, e senza peraltro fornire alcuna spiegazione relativamente all’accaduto. Maren era stato segretario di Re Horlon sin dall’inizio del suo regno, ogni parola in merito all’affetto che li legava era superflua.
«In realtà, è per questo che sono qui» disse il Re assumendo un tono distaccato.
Frunn si domandò se stesse tentando di arginare l’emozione comportandosi in modo professionale.
«In che senso?» domandò suo padre.
«Mi serve un nuovo segretario e mi piacerebbe fosse Frunn.»
Per un attimo, si dimenticò di respirare. No, aveva capito male. Doveva aver detto “fossi tu”, avrebbe avuto più senso. Per quanto eccentrico, suo padre era amico intimo del Re sin dall’infanzia, per questo la sua esitazione lo sorprese.
«Alecno? Vorrei parlare con tuo figlio.»
Frunn trattenne il respiro. Possibile che stessero veramente parlando di lui? Che Sire Horlon lo volesse come suo segretario personale? Questo avrebbe comportato trasferirsi nel Palazzo, seguire e servire il Re ovunque, abbandonare tutto il resto e mettersi completamente nelle sue mani… deglutì a vuoto mentre sentiva il sangue andargli alla testa.
«E se ti chiedessi di non farlo?» domandò suo padre.
«Lo farei comunque, solo… vorrei farlo con il tuo consenso.»
«Come potrei darti il mio consenso? Ti sei già preso Meowin, ora vuoi mettere in pericolo anche Frunn! Non voglio che i miei figli facciano la fine di Maren!»
Frunn udì un sospiro profondo che doveva provenire dal Re.
«Non commetterò più lo stesso errore. I tuoi figli hanno grandi potenzialità. Io ho fiducia in loro.»
«Non riuscirai a raggirarmi con le tue belle parole.»
«Senti» disse il Re, con una nota di impazienza nella voce. «Io chiederò a Frunn di lavorare per me, con o senza la tua autorizzazione, è chiaro? Sono il Re e faccio quello che mi pare. Ma questa settimana ho già perso un caro amico, non voglio che tu mi porti rancore.»
Nel silenzio che seguì, Frunn non poté fare altro che ascoltare il battito frenetico del proprio cuore.
«Potrebbe anche rifiutare» aggiunse il Re, più conciliante.
«Ma figurati! Promettimi almeno che baderai a lui.»
«Te lo prometto» rispose Sua Maestà, e dal cambio del suo timbro di voce, Frunn riuscì ad intuire il sorriso che gli aveva incurvato le labbra.
 
Quando Horlon bussò alla porta del suo studio, Frunn prese un respiro profondo pregando di sembrare disinvolto.
«Avanti» disse, e la sua voce tremò.
Horlon fece capolino.
«Posso?»
«Sire! Prego!»
Horlon sorrise e Frunn si sentì mancare la terra sotto i piedi. C’era al mondo sorriso più bello?
«Desidero parlarti» esordì, sedendosi accanto alla finestra.
«Temo di aver sentito buona parte della vostra conversazione con mio padre…» balbettò Frunn.
Horlon lo guardò stupito.
«Beh, questo rende molto più semplice tutto quanto… D’altra parte è la prima volta che mi trovo in prima persona ad eleggere un segretario, non sono molto pratico.»
Frunn lo guardò più attentamente.
«Non avete eletto voi Maren?»
«Oh, no, la scelta di Maren fu l’ultimo atto da Re di mio padre. Prima di abdicare si preoccupò di mettermi accanto una persona abile nelle questioni diplomatiche e burocratiche… nelle cose in cui io deficitavo insomma.»
«Io non sono affatto bravo in queste cose, Sire.»
Horlon sorrise di nuovo.
«Non è più di questo che ho bisogno.»
Tacque un momento, lo sguardo perso nel vuoto, poi sembrò rimetterlo a fuoco e Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. La consapevolezza di essere osservato da quegli occhi lo atterriva e lo eccitava al tempo stesso.
«La domanda che ti sto facendo prevede una risposta semplice, ma impegnativa. Se mi dirai di no, nessuna ritorsione e io mi cercherò a malincuore un sostituto. Ma se mi dirai di sì… se mi dirai di sì, ragazzo, dovrai abbandonare tutto ciò che finora hai chiamato “vita”. Famiglia, amici, studio… dovrai dire
 addio a tutto e dedicare ogni minuto della tua esistenza a me. Sarai spesso in pericolo, è ovvio. Potresti dover lavorare giorno e notte, adempiere doveri odiosi. Potresti dovermi portare notizie che mi faranno infuriare. Potresti…»
«Va bene!» lo interruppe d’impeto.
Se non avesse risposto subito gli sarebbe esplosa la testa a giudicare da quanto ci rimbombava dentro in battito del suo cuore.
«Non ci hai riflettuto abbastanza.»
«Avevo già preso la mia decisione quando ancora stavate parlando con mio padre» disse. «Non so cosa ci troviate di utile in me, e non mi interessa. Voglio farle, tutte le cose che avete detto. Lavorerò di notte, rinuncerò agli studi e tutto il resto.»
Horlon lo osservò stupito per qualche momento, infine disse:
«Non sai quanto te ne sia grato.»
 
Frunn chiuse il baule e agganciò le fibbie con uno schiocco. Era una strana sensazione quella di scegliere l’essenziale dalla propria vita, più di settecento anni di storia, e raccoglierlo in una valigia.
«Puoi ancora ripensarci.»
Frunn alzò gli occhi su suo padre, fermo in mezzo alla porta, e sbuffò.
«Vi risulta così difficile crede che possa aver preso questa decisione consapevolmente?» esitò. «Non mi tirerò indietro, non c’è nulla che desideri più di questo lavoro, e tu lo sai bene!»
Alecno sorrise.
«Prenditi cura di lui, figliolo. Non sembra, ma non sa badare a sé stesso.»
«Non credo sarebbe contento di sentirtelo dire.»
Suo padre gli si avvicinò e lo strinse forte. Poi cominciò a scuoterlo.
«Frunn!» gridava. «Non ci pensare nemmeno!»
Colto di sorpresa, Frunn non riuscì a reagire. La voce che gridava non era quella di suo padre, ma del Re.
«Perché?» balbettò mentre il mondo si scomponeva lentamente in volute di fumo.
 
Spalancò gli occhi. Il naso di Horlon stava a una spanna dal suo mentre questi lo scuoteva, ignorando la guaritrice che tentava di fermarlo.
«Non pensarci nemmeno! Adesso ti svegli e riporti le chiappe sul campo di battaglia!»
«So… sono sveglio.»
Horlon si bloccò e si allontanò bruscamente.
«Meno male!» disse con un sospiro. «Mi hai fatto prendere un colpo… insomma, far ammazzare due segretari in pochi mesi sarebbe stato un record…»
Frunn si sforzò di sorridere. La testa gli faceva un male tremendo.
«Sire, non credo di poterle portare là fuori, le mie chiappe, almeno per il momento.»
Horlon annuì.
«Sì, forse è un bene.»
«Che io sia quasi morto?» domandò.
«Ma va’, sciocco! Che tu te ne stia qui. Non sarai al sicuro comunque, ma è comunque meglio che là fuori» esitò. «A questo punto io andrei…»
«Sarà meglio, Maestà» disse piccata la guaritrice. «Ci è mancato poco che foste Voi a dargli il colpo di grazia, a questo poveretto!»
Horlon si morsicò il labbro e gli lanciò un’occhiata colpevole.
«Scusa, Frunn.»
«Tutto a posto. Non fatevi ammazzare.»
Frunn lo guardò lasciare la stanza e sospirò.
 
Quando Horlon riguadagnò la propria posizione, aveva ancora il cuore che sobbalzava. Come gli era saltato in mente di portarsi Frunn, che sapeva sì e no tagliare una zucca, su un campo di battaglia?! Per colpa sua aveva rischiato la vita. Se fosse morto che cosa avrebbe raccontato ad Alecno? E come sarebbe riuscito a convivere con sé stesso? Solo il pensiero gli faceva venire la nausea.
«Lon!»
Il Re si volse. Suo fratello gli correva incontro. I vestiti anneriti dal fuoco facevano contrasto con il pallore marcato del suo viso.
«Glenn, che è successo?»
Glenndois sgranò gli occhi.
«Non ti sei accorto di niente?» domandò incredulo.
Horlon si corrucciò. Era davvero necessario farlo sentire un idiota in una situazione del genere?
«Sono stato un po’ preso.»
«Alza gli occhi, ogni tanto, e magari apri le orecchie, visto che ce le hai grandi!»
Horlon cercò di concentrarsi. Non era mai stato un asso nel captare i flussi magici, ma gli bastò un attimo per individuare una forza enorme e sconosciuta che fino a pochi momenti prima non esisteva.
«Chi è?!» esclamò.
«C’è uno stregone di troppo» rispose Glenn puntando un indice verso il cielo.
Horlon alzò gli occhi e ammutolì.
 
«Che cosa stai facendo, Tom? Volevi farti ammazzare?! Sei fortunato che gli Dei mi mandino dei sogni premonitori, ogni tanto!»
Nastomer mise faticosamente a fuoco la figura che si era interposta tra lui e il fuoco di Bearkin, parando il colpo e salvandogli la vita. I capelli d’argento erano raccolti in una crocchia, ma restavano inconfondibili.
«Selene?» farfugliò.
«Hai preso una botta in testa?»
L’energia che promanava dalla ragazza era pari solo alla sua. Non era la stessa maga che aveva lasciato a Cyanor.
«Che cosa hai fatto?»
«Ho visto in sogno che saresti morto qui. Così sono andata alla Cascata del Potere, sono diventata più forte e sono venuta ad aiutarti. Nel caso tu abbia qualche dubbio, questo è il momento in cui tu dovresti ringraziarmi.»
Ringraziarla. Sì, avrebbe dovuto. Ora capiva tutti quei discorsi sui sogni e via discorrendo. Magari l’avrebbe ringraziata più tardi, i draghi si stavano serrando intorno a Bearkin.
«Mark!» chiamò. «Ci sei?»
«Sì!»
«Selly, tu attacca da destra, io da sinistra, Mark toglierà loro ossigeno.»
Selene annuì. Tom prese un respiro profondo. Si concentrò sulle proprie mani, facendovi affluire tutta l’esigua energia rimasta in circolo. Sentì crescere il potere di Selene e quello più contenuto di Mark.
«Tom…» chiamò il mago.
«Ora!» gridò lo stregone.
Il suo incantesimo si schiantò sul gruppo di draghi da un lato, un lampo di luce proveniente da Selene li colpì dall’altro. L’aria vibrò, e al boato assordante seguì una lunga sequenza di ruggiti. Quattro draghi caddero verso il suolo. Agendo d’istinto, Nastomer ne rallentò la caduta. Si sorprese della semplicità con cui vi riuscì, poi capì che Selene aveva fatto altrettanto. Quando i giganteschi corpi inerti furono adagiati a terra, riportò l’attenzione al Re: Bearkin stava ripiegando, insieme ai due draghi sopravvissuti.
«Batte in ritirata» mormorò Selene.
Restava da capire se fosse un bene o un male. Un’altra occasione simile per abbatterlo difficilmente sarebbe ricapitata.
   
 
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