Ciao a tutti!
Son tornata J Questo è per me un periodo di cambiamenti (spero
positivi…) per cui potrei non essere sempre costante nel postare. Io comunque
ci provo!
Grazie mille a tutti quelli
che leggono, a chi commenta e a chi mi sopporta ogni giorno malgrado i miei
evidenti segni di isterismo.
Un baciozzo
Elendil
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Non era mai stata punita.
Questo il primo pensiero della Nihaar’ì
quando, mezza anchilosata per il viaggio, discese la piccola rampa in legno che
dava sul deserto.
E non era mai stata nemmeno rimproverata, se si
escludevano Zaphil e i suoi tormentosi sermoni su
cosa volesse dire essere una Nihaar’ì, il rispetto
dell’etichetta e bla bla bla...
Mentre veniva fatta accomodare sulla sabbia già umida
di tramonto, i polsi legati a un’unica lunga catena che l' avvinceva assieme a
tutte le altre prigioniere della sua gabbia, la Nihaar’ì
si ritrovò a misurare con sguardo torvo la distanza che - non per la prima
volta - avvertiva separare la sua vita da quella di tutte le altre persone di Arryan. Vite a lei affidate e suo malgrado sconosciute,
impossibili da decifrare perfino nelle loro più semplici sfumature.
Rigida nelle proprie elucubrazioni, la ragazza si
accorse della ciotola di cibo posta poco distante dalle sue gambe rannicchiate
solo quando la sua vicina di catena la pungolò appena con la punta del
gomito.
“Se non mangi la prendo io” soffiò da dietro una fila
di denti bianchissimi “Non è il piatto più buono che io abbia mai mangiato, ma
meglio questo che morire di fame”
D’istinto la Nihaar’ì
allungò subito le mani afferrando la ciotola contenente una parodia appiccicosa
di grano e frumento misti ad acqua e sale.
L’altra le rivolse un vago sorriso furbo prima di
tornare disinvolta alle proprie faccende e lasciarla mangiare quella che, manco
a dirlo, si rivelò essere una zuppa assai disgustosa ma abbastanza calda e
sostanziosa da concederle di rimettersi un poco in sesto.
Solo quando ebbe terminato il tutto, ciotola e posate
abbandonate nuovamente ai suoi piedi, la Nihaar’ì si
concesse di alzare lo sguardo sulla zona circostante per esaminare finalmente i
suoi fantomatici inseguitori. Come Hiras le aveva
giustamente anticipato ne fu assai poco entusiasta.
I Kamin erano, non le servì
che uno sguardo per intuirlo, ciò che di più distante dalla Torre del Tempo le
fosse mai capitato di vedere. Non parevano selvaggi, questo no, eppure era
certa che nessuna città del continente avesse avuto la possibilità di ospitarli
entro le sue mura quel tanto che bastasse per civilizzarli.
Particolare fondamentale, erano cacciatori. Ma di un
genere assai più selvatico e brutale dei cacciatori di Yenavo’r.
Portavano lunghi capelli raccolti in una treccia alta ed erano in prevalenza
nudi, la pelle scura di sole lasciata scoperta su petto e spalle.
Particolare secondario ma non meno rilevante, facevano
uso della Tinta: braccia e schiena erano per intero colorati di rosso così che
lo strato superficiale assomigliasse quasi a una seconda pelle.
Terzo particolare, di certo consideravano il coprirsi una
faccenda da umili cittadini: solo il bacino era sottratto allo sguardo da un
lungo tessuto avvolto più volte attorno ai fianchi anch’essi adombri di piccoli
oggetti da caccia e sacche di pelle sottile. Se non al pudore, perlomeno i Kamin parevano però essere sensibili al freddo perché nel
progressivo calare della notte molti di loro cominciano a coprirsi con casacche
e mantelli.
E ultimo ma non ultimo, non parevano affatto avere
considerazione dei prigionieri da loro trasportati: parlavano loro raramente e
quasi mai con frasi compiute ma preferendo semplici ordini o minacce velate.
Non urlavano - questo no - ma era chiaro che ognuno di loro portasse seco una
promessa di violenza viva e presente, affatto mascherata.
In sostanza, la Nihaar’ì si
ritrovò molto presto a intuire il motivo di tanta apprensione da parte delle
altre prigioniere.
Cauta, si arrischiò comunque a tendere il collo e
gettare una rapida occhiata al gruppo maschile seduto poco distante alla
ricerca di Hiras.
Non lo trovò subito, ovviamente. L’oscurità stava
aumentando ed era difficile delineare chiaramente la ventina o più di uomini
seduti in fila nella sabbia. Abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò. E dopo un
momento le parve di intravederlo: un viso girato verso di lei, il collo teso
nel medesimo modo in cui ella sapeva trovarsi il suo. Hiras
la stava cercando.
Suo malgrado non potè
impedirsi un mezzo sospiro di sollievo mentre osservava il ragazzo piegare
lievemente il capo in un gesto come di saluto. Fece altrettanto, mestamente,
scoprendosi per la prima volta a osservare il viso del Danzatore privo di
tessuti o schermi di sorta. Riabbassò rapidamente lo sguardo proprio mentre un Kamin passava al suo fianco.
Quando rialzò gli occhi vide che Hiras
le indicava ora con lo sguardo qualcosa alla sua sinistra. Represse
improvvisamente un mezzo sorriso di gioia: seduto due o tre uomini oltre, Matnery la stava a sua volta scrutando, il volto finalmente
scoperto a rivelare un’età di gran lunga più giovane di come i suoi modi le
avessero fatto sospettare. I capelli corti, quasi rasati, mostravano profondi
solchi come di cicatrici sul cuoio capelluto. Lui le sorrise piano, occhi scuri
a sorvolarla per un attimo prima di innalzarsi poco oltre il confine fra cielo
e dune e ritornare giù, su di lei. Quindi sorrise di nuovo.
Capito? Parve allora chiederle in
un modo sottile, quasi un solletico a fior di pelle, che negli anni lei aveva
suo malgrado imparato ad associare a Zaphil.
Capito? Sbattè le
palpebre lei. No, in realtà. Ma finse comunque di si, stupidamente
troppo contenta di non essere più sola per darsi pena di comprendere messaggi
di alcun tipo.
Fortunatamente però la sua capacità di mentire senza
l’ausilio del Velo doveva essere abbastanza scarsa perchè
Matnery ripetè una volta il
messaggio aggiungendo un particolare: alzò entrambi i polsi ammanettati e ne
simulò una rottura piegandoli appena verso l’esterno.
Ah! La comprensione dovette
allora fare finalmente capolino sul suo volto perché lui le sorrise
bonariamente prima di chinare nuovamente il capo, un Kamin
che sorpassava prima Matnery poi Hiras
con passo felino.
Lei cacciò un’occhiata prima a destra, poi a sinistra
e quando vide il primo alzare nuovamente lo sguardo alzò appena il mento in
direzione del deserto.
Quando? Significava. Sperò vivamente
che lei non fosse l’unica a capirlo. Ma forse Matnery
intuì cosa intendeva perché un attimo dopo alzò indice l’indice sinistro verso
l’altro a cui aggiunse subito dopo un medio e proprio quando la Nihaar’ì cominciava a sospettare che quel movimento potesse
avere un qualche senso compiuto un Kamin si piantò
nella sua traiettoria di visuale impedendole di vedere oltre.
Fuggiremo alle due?
Saremo in due?
Guarda che belle dita mi ritrovo? (del resto non si
chiamava mica così, lui? Dita.)
Ore dopo, quando tutti i prigionieri vennero a forza
spinti nelle proprie gabbie e tutti insieme legati nuovamente agli anelli
infissi alle pareti, la Nihaar’ì si ritrovò suo
malgrado a riflettere sul senso di quel gesto.
Era incompiuto, lo sapeva. Ma se non lo fosse stato?
Due giorni? Due notti?
“Sai in genere cosa fanno i Kamin
ai fuggitivi?” una voce la raggiunse alle spalle facendola sobbalzare. Si
guardò intorno, l’oscurità a impedirle tuttavia di vedere più in là del proprio
naso. Poco male, si disse. Riconosceva il tono.
“Li inseguono fino a quando non li prendono. E quando
li prendono -il che equivale a sempre- aprono su di loro decine e più piccole
ferite sanguinanti e li mettono a camminare in fondo alla carovana” una pausa,
la Nihaar’ì che si tirava lentamente a sedere
cercando una posizione più comoda per le sue membra già indolenzite “In genere
caldo e sudore non impiegano che qualche giorno per infettarsi e suppurare.
Quando ciò avviene i Kamin si limitano semplicemente
a tranciare la corda lasciando il poveretto libero di fare ciò che vuole. A
quel punto la scelta è semplice.”
Fuggire e morire di stenti o seguire la carovana e
venire curato. Ma accettando così la propria condizione di schiavitù.
Nel silenzio che seguì, la Nihaar’ì
lasciò andare il capo all’indietro, un velo di sudore che già prendeva a
imperlarle la pelle poco sopra il labbro.
“Temo di essere troppo grande per le jenhai (storie)” commentò dopo un attimo, la voce calma che
tradiva tuttavia una nota rigida “Ma grazie comunque per la tua gentilezza” non
poco distante giunse un suono molto simile a uno sputo “Rifila le buone maniere
a chi se le merita” fu la soffiante replica “E bada bene: ho capito cosa avete
intenzione di fare tu e i tuoi amichetti”
Immobile, l’altra strinse appena le labbra.
I suoi amichetti?
“E cosa avremmo intenzione di fare esattamente?”
dall’altra parte rispose un silenzio di piombo, duro quanto bastasse per costringere
la Nihaar’ì a cambiare immediatamente registro “Non
pensavo di fuggire” tentò quindi di giustificarsi.
E perché, poi? Lei era la Nihaar’ì,
nulla che facesse rima con spiegazioni o scuse. Affatto.
“Stai mentendo. Ti ho vista” la inchiodò subito l’altra
“Ma il deserto non ama i bugiardi. Fosse l’ultima cosa che faccio, tu resterai
qui con noi tutte”
E di nuovo quella strana sensazione. Quella
sottospecie di stridio fra le sue parole e quelle della donna quasi che, per
qualche motivo, vi fosse irrimediabilmente un tracciato di più - o uno di meno
- che si sovrapponesse ogni volta rendendo botta e risposta per qualche verso
incompatibili fra di loro.
“Ho forse fatto qualcosa per meritare il tuo
risentimento?” chiese quindi dopo un attimo, il gomito sinistro che si piegava
per sostenere il peso del corpo disteso “Non credo di conoscerti”
Per un attimo vi fu silenzio, i rumori del campo
esterno che lentamente -finalmente- scomparivano nel progressivo rallentare
delle attività. Dentro la gabbia, già si udiva qualche respiro pesante, la
ferocia di quel dialogo apparentemente ignorata dalla maggioranza delle
sfortunate presenti.
Poi, la risposta.
“Oggi ti ho raccontato ciò che i Kamin
fanno a chi fugge. Domani, se farai la brava, ti racconterò cosa fanno a quelli
che rimangono”
Non era mai stata punita. Ma di certo era stata
minacciata.
Nei lunghi anni di reggenza la Nihaar’ì
ricordava ben più di un’occasione in cui la sua persona, il suo ruolo e tutto
ciò che ella rappresentava fossero stati presi di mira. Qualche volta al suo
fianco c’era stato Zaphil. Altre no. In entrambi i
casi, azione e reazione a quel tipo di violenza erano modalità che ben presto
aveva dovuto imparare a fronteggiare per conservare non solo la propria
posizione ma in primis il rispetto dei suoi sudditi.
Ecco perché ora, docilmente in fila con le altre
prigioniere sulla rampa della gabbia, la Nihaar’ì non
poteva fare a meno di sentirsi per la prima volta dopo tanto, un po’ più a
casa.
La minaccia di quella donna l’aveva in effetti riportata
in un attimo nelle stanze profumate della Torre del Tempo, vicina alle parole e
atteggiamenti che negli anni aveva suo malgrado imparato a fare suoi.
Immobile, allungò piano le punta delle dita al di
fuori dei sandali mezzi scuciti, una vaga tensione a livello dei polpacci che
le faceva appena storcere il naso.
“Stai bene?” una voce calma la costrinse a piegare
appena il capo di lato. Era Reine, la ragazza che il
giorno prima si era dimostrata in qualche modo gentile con lei. All’alba Reine si era sentita poco bene (merito della deliziosa mistura
di cereali probabilmente) ed essendo la più vicina, la Nihaar’ì
si era in qualche modo ritrovata un po’ per necessità - il vomito le sarebbe di
certo colato addosso a causa del rollio - un po’ per reale pietà a darle una
mano. Anche un’altra ragazza si era sentita male ma per lei (dai suoni la
Veggente avrebbe giurato le servisse più un esorcista che una cura)
erano occorsi ben tre Kamin a sollevarla e scortarla
fuori di tutta fretta. In ogni caso, il suo gesto assai caritatevole nei
confronti di Reine parevano aver convinto la ragazza
a dimostrarle tutta la sua riconoscenza.
La Nihaar’ì si strinse
appena nelle spalle “Sono stata meglio” abbozzò indolente “Quella gabbia riesce
a darmi più mal di mare di qualsiasi barca” alle sue spalle l’altra parve come
avere un sussulto improvviso “Sei stata su una barca?”
Un veliero, per la precisione.
“N-Una piccola, per la pesca delle ....” tentò subito
di rimediare ma non potè evitarsi una muta
imprecazione. L’altra infatti non sembrò affatto scoraggiata dal retrofront “Quindi hai visto lo Himnakan?”
il tremolio ammirato della sua voce era inconfondibile, abbastanza acuto da
attirare improvvisamente l’attenzione delle prigioniere lì intorno radunate.
Mordendosi nuovamente il labbro, la Nihaar’ì le vide tentare una dopo l’altra di voltare il
viso verso di lei, tendere appena l’orecchio in attesa della sua risposta. Una
di esse arrivò perfino a girarsi del tutto, il volto stupito a lasciare
intendere quanto il gruppo fosse più che mai in ascolto di ogni sua singola
parola.
“Solo una volta” rivolse a questa un’espressione
rigida e ansiosa per poi abbassare subito gli occhi “Ero con..” “Silenzio!”
poco distante l’ordine secco di un Kamin di guardia
pose fine al suo ridicolo tentativo di disimpegno.
Espirò una volta, gocce di sudore nervoso a colarle
giù una dopo l’altra dall’incavo della schiena fino alle natiche e poi alzò lo
sguardo alla ricerca di Hiras e Matnery.
Si accigliò.
Non c’erano.
Non i prigionieri uomini. Solo loro due.
Incerta, la ragazza si ritrovò allora ad alzare il
proprio sguardo sorvolando quello che solo allora scoprì essere un vero e
proprio accampamento allestito dai Kamin in funzione
- pensò - di proteggere nel migliore dei modi i prigionieri.
Lei e gli altri stavano infatti venendo scortati nella
parte più interna e riparata dell’intero allestimento, protetto e recintato con
l’utilizzo di tutta la carovana: come prima avanguardia, stavano gli yenavo’r dei Kamin, immobili e
vigili come i loro padroni poco distanti. Poco più esterne, barriera naturale
contro il freddo e il vento erano state disposte le Gabbie sormontate poco più
oltre da grandi e mastodontici trabucchi in legno evidentemente adibiti ad
alloggio dei Kamin.
Grandi Vele conficcate nella sabbia sventolavano
all’esterno del campo rendendo ancora più forte e viva la sensazione di
trovarsi in una casa galleggiante, immersa e semi avvolta dall’oceano di sabbia
circostante.
“E com’è l’acqua?” alle sue spalle Reine
non pareva affatto preoccupata della presenza dei Kamin,
tanto ansiosa di conoscere ulteriori particolari della sua stupida ammissione
da arrischiarsi a spintonarla appena con il petto. La Veggente fece finta di
non sentirla.
Ma dove erano andati?
Questa volta la sosta pareva essere giunta prima del
giorno precedente perché il sole si stagliava obliquo sul campo delineandolo di
ombre scure e oblunghe in costante fermento.
La Nihaar’ì si morse appena
un labbro, il gruppo di prigioniere circostante ad accompagnarla un passo dopo
l’altro verso il centro di quel formicaio polveroso, latrati e ringhi per ogni
dove a rendere udito e olfatto accessori più scomodi che funzionali.
Come era possibile che il giorno prima non se ne fosse
accorta? Si ritrovò a chiedersi incredula. Eppure era assai
improbabile che l’oggi fosse stato diverso dal ieri. I Kamin
erano sempre i Kamin. I loro dannati segugi erano
sempre le bestie immonde che a prima vista aveva inteso fossero e gli yenavo’r....
“...E’ fredda?” l’insistenza di Reine
coadiuvata al suo contemporaneo appoggiarsi alla schiena la fece di poco
serrare la mascella. Spostò lo sguardo più lontano, il tentativo di vedere se
ci fossero altri gruppi di prigionieri in avvicinamento a risolversi in breve
in una nuova risposta dura e negativa. Non c’erano. Affatto. Ma com’era
possibile?
Si sentì allora ansimare, una zaffata più penetrante
delle altre a inchiodarla per un attimo sul posto prima che la prigioniera
dinanzi a lei la trascinasse suo malgrado in avanti di un passo ancora. Deglutì
a vuoto.
Poi un lampo di improvvisa comprensione.
....alzò indice l’indice sinistro verso l’altro a cui
aggiunse subito dopo un medio e proprio quando la Nihaar’ì
cominciava a sospettare che quel movimento potesse avere un qualche senso
compiuto un Kamin si piantò nella sua traiettoria di
visuale impedendole di vedere oltre.
E se Hiras e Matnery avessero tentato di fuggire quella notte? Se il due
da lei inteso non si riferisse ai giorni ma alle ore? O al fatto che loro
due avrebbero tentato di fuggire quella notte?
Mentre il panico precipitava su di lei avvertì - più
che vederlo - il mondo cambiare prospettiva dinnanzi ai suoi occhi, segno che
probabilmente al gruppo di prigioniere era stato finalmente concesso di sedersi
in attesa del rancio.
O era solo lei che perdeva l’equilibrio? Difficile
dirlo.
Il pensiero di aver in qualche modo perso l’unica
occasione rimastale per tornare alla normalità della sua tanto odiata vita
parve vagheggiare dinnanzi ai suoi occhi in tante macchie a tratti nere a
tratti rossastre. A tratti bianco pallido. Percepì allora il vomito, tanto
dissimile da quello provato fino a quel momento da costringerla d’istinto a piegare
subito il volto di lato e spalancare la bocca in attesa del conato.
Ma non vomitò.
Viceversa, avvertì un improvviso e nuovo pensiero
farsi strada nella sua mente.
...Li inseguono fino a quando non li prendono. E
quando li prendono -il che equivale a sempre- aprono su di loro decine e più
piccole ferite sanguinanti e li mettono a camminare in fondo alla carovana...
Aprì gli occhi di scatto, percependo solo allora la
mano di Reine posta sulla sua fronte come nell’atto
di aiutarla a rimettere. Si scostò incerta, osservando solo distrattamente
l’espressione di lei prima di voltarsi e scrutare il gruppo di prigioniere
tutt’intorno.
Trovò alcuni visi intenti a osservarla. Nessuno le
parve familiare, nessuno corrispondente a quello che stava cercando.
“Se è Faenie che stai
cercando, l’hanno portata via ieri” la voce di Reine
la fece quasi sobbalzare. Si voltò a guardarla con un misto di sorpresa e paura
assieme “Stava troppo male per rimanere con noi sulla gabbia così sono venuti a
prenderla” le spiegò subito l’altra stringendosi nelle spalle.
“E dove l’hanno portata?” si sentì replicare con una
voce troppo acuta per essere la sua. L’altra ripetè
il gesto “Non lo so. Magari semplicemente dal loro Guaritore insieme alle altre
che non si sono sentite bene”
Perché, quei selvaggi ne avevano davvero uno?
Più stizzita che altro, la Nihaar’ì
si ritrovò ad alzare ancora una volta lo sguardo e scrutare assente il vacuo
profilo del disastro delinearsi attimo dopo attimo dinnanzi a sé.
Hiras e Matnery avevano tentato la fuga.
Decretò. E Faenie li aveva traditi. Possibile
che in tutto ciò lei non avesse fatto altro che starsene tutta notte buona buona ad assistere una ragazzina dallo stomaco debole?
Si maledì per tutta
l’intelligenza che in quegli anni non era stata in grado di sviluppare. E
infine si ritrovò a fissare la propria ciotola di cibo posta poco distante da
lei. Non ricordava quando l’avessero portata, ma dall’aspetto non le rimaneva
tanto tempo per trangugiarla prima che l’uscita all’esterno finisse. Non aveva
fame. Decretò fissandola titubante. Ma sapeva che ne avrebbe avuta a
breve. Senza contare il fatto che i suoi giorni di veglia si stavano
approssimando alla soglia critica: forse non oggi, di certo non domani, ma a
breve le sarebbe occorso ogni briciolo di energia in corpo per non
addormentarsi e scomparire chissà dove.
Un chissà dove che viste le circostanze suonava
molto come una condanna a morte piuttosto che una ipotesi di libertà
Mangiò e bevve pure qualcosa. Evitò con docile sdegno
le continue domande di Reine e squadrò a una a una le
sue compagne di gabbia alla ricerca di un qualche segnale rivelatore della
palese macchinazione in atto. Non trovò molto, suo malgrado. Solo qualche
sguardo speranzoso a tendersi in direzione del gruppo maschile e qualche altro
ancor più incerto verso di lei. Evidentemente non tutte dovevano essere a
conoscenza di quanto stava avvenendo. O forse erano attrici migliori di lei.
In ogni caso, elargì disinvoltura a tutte quante
decisa seppur nel possibile a salvaguardare la sua persona.
Solo poco prima che i Kamin
dessero ordine a tutti quanti di tornare nelle proprie gabbie tentò una mossa
che -per quanto rischiosa - sapeva di non potersi risparmiare. Intercettò uno
dei propri aguzzini proprio quando passava loro accanto. Già nell’istante in
cui alzava una mano per attirare la sua attenzione seppe di aver fatto la cosa
sbagliata. Al suo fianco avvertì Reine trattenere il
fiato. Ma cosa poteva farci?
“E-Ecco io...” abbozzò suo malgrado “Volevo sapere...”
Nemmeno il tempo di finire la frase e il Kamin aveva già estratto una frusta da chissà dove e
vibrandola, la calò dritta sulla sua testa.
Quando rinvenne Reine stava
a fatica tentando di tirarla in piedi così che, insieme, entrambe potessero
avviarsi verso la gabbia a loro destinata.
“Dove mi ha colpita?” esalò la Nihaar’ì
con voce impastata. A giudicare dall’umidore che sentiva all’altezza delle
tempie “In testa “ esalò una donna poco distante “Sanguina molto ma si può
nascondere facilmente. I Kamin sanno che rovinarci
compromette il nostro valore”.
Poco dopo, stesa sul polveroso fasciame della gabbia,
la Veggente si diede cura di tamponare la ferita che scoprì dilungarsi poco
oltre l’attaccatura dei capelli della fronte - ma che precisione - fino a metà
testa. Uno sbavo che, lo sapeva, di sicuro le avrebbe fruttato una cicatrice
assai simile a quelle che portava Matnery sul capo
rasato.
Il pensiero del Danzatore le fece ribollire il sangue
impedendole per un attimo di fare alcunché se non osservare con sguardo vacuo i
profili sconnessi della propria prigione. La sensazione di essere sola non le
era nuova - essere la Veggente non rendeva poi così facile fare amicizia-,
eppure mai come in quel momento essa pareva in grado di destabilizzarla.
Gettò un ultimo sguardo alle posizioni vuote lasciate
dalle ragazze che si erano sentite male per via del viaggio e si chiese quale
fosse stata quella di Faenie.
Non era ancora finita. Qualunque cosa fosse
significata la sparizione dei due danzatori e con essa della figlia del
deserto, non era di sicuro la prima né l’ultima cosa che sarebbe accaduta prima
del loro proverbiale arrivo a Yevtsuk’han.
E infatti, all’alba giunsero due Kamin
a slegarla e senza una parola farle segno di uscire. Sapeva che sarebbe
successo ma in qualche modo la rapidità di tutto ciò fu capace di spiazzarla,
facendole desiderare non per l’ultima volta di aver avuto un qualche piano, una
non meglio precisata strategia che non fosse semplicemente aspettare che
venissero a prenderla e domandarle senza tanti preamboli o cerimonie di sorta
“Spogliatevi”.
La tenda ove soggiornava il Kamin-na
(capo dei Kamin) si trovava di fuori del caotico
groviglio del campo prigionieri. Era posta un po’ in disparte, sottovento,
spoglia come l’animo dei cacciatori eppure colma di tante piccole preziosità
volte probabilmente a intendere chi vi dimorasse e chi avesse il
privilegio di starvi. Qualche segugio più pasciuto degli altri dormiva nella
zona orientale, qualche giovane dall’aria atletica sostava alle uscite e alcune
donne giacevano sdraiate su tappeti preziosi. Una di queste in particolare
sostava al fianco del Kamin-na, il corpo semidisteso
poggiato alla piccola seggiolina dove questi sedeva. La sua bellezza catturò
per un fugace attimo lo sguardo della Nihaar’ì.
“Mi avete sentito?” con un sussulto la giovane riportò
la propria attenzione dove doveva essere. Il Kamin-na
era un uomo di media età provvisto di lunghi baffi e pelle scura decorata su
tempie e collo da scuri ideogrammi. Spalle e petto scoperti portavano i segni
di vivide bruciature frutto forse di una alchimia sbagliata di sostanze
applicate sul corpo.
Il suo sguardo pareva più stanco che interessato a
lei, quasi che tutta la faccenda - ma quale faccenda, in effetti? -
avesse più il potere di tediarlo che altro. Per un attimo entrambi si
ritrovarono a fissarsi; poi lui esalò un mezzo sospiro.
“Se non lo farete voi, ordinerò ad altri di farlo”
E fu così che la Nihaar’ì
cominciò subito a svestirsi con gesti rapidi e misurati, la recondita paura di
essere toccata da qualcuno a spingerla suo malgrado a mostrare nel giro di
pochi istanti ciò che mai nessuno prima di allora aveva avuto l’onore di
scrutare: il corpo della Somma Veggente. Baciata da Oneiron.
Sfiorata dal mondo dell’Oltre.
Incerta se fosse o meno il caso di coprirsi con le
mani - del resto il Kamin-Na non aveva
specificato...- la Nihaar’ì si arrischiò allora
ad alzare nuovamente lo sguardo da terra fissandolo in quello dell’uomo.
Lui ricambiò per qualche attimo la sua espressione
muta e incerta. Poi parve sorriderle.
“Non amo ripetermi” le spiegò come a intendere che la Nihaar’ì avesse in qualche modo fatto bene ad assecondare autonomamente
e di buon grado la sua richiesta. “Neanche per chi dicono voi siate” una
pausa “Ma che non credo affatto essere”
Scrutò a lungo il viso della giovane come alla ricerca
di una reazione. Poi sospirò “Chi vi ha fatto questo?” chiese.
Chi mi ha fatto questo? Era la
prima volta che qualcuno glielo domandava.
Non abbassò lo sguardo - questo no - ma per qualche
ragione si ritrovò a corto di parole.
Lui non attese risposta “Dunque è vero ciò che mi è
stato detto?” la incalzò con una nota molle.
“Cosa vi hanno detto?” tentò lei. Lui scosse una volta
la testa, piano “Rispondete”
E improvvisamente la Nihaar’ì
ricordò cosa le aveva detto qualche tempo prima Hiras
sul non rivelare la propria identità, sul tacere e sull’essere insomma più
prudente di quanto le circostanze le suggerissero.
Così chinò il capo, muta.
“E’ stato mio padre” esalò titubante “Vostro padre vi
ha guastata in questo modo?” si accigliò lui. Lei si strinse nelle spalle
“Pensava sarei stata più bella...” “O più probabilmente voleva farvi passare
per qualcuno che non eravate, dico bene?” suo malgrado la Nihaar’ì
si ritrovò ad alzare lo sguardo sull’uomo, incerta sull’avere o meno inteso il
senso di quelle parole.
Lui le scoccò un mezzo sorriso accondiscendente.
“Non è forse così che si usa fra i Nobili?” allargò
appena le braccia come per mostrarle una verità assai semplice e alla portata
di tutti “Sfigurare la propria figlia e tentare di proporla al giudizio della
Veggente nella speranza che venga riconosciuta come Nihaar’ì?”
Difficile intuire l’espressione del proprio viso
allora. Probabilmente qualcosa di davvero perplesso perché l’uomo poco
distante e la donna al suo fianco arricciarono contemporaneamente le labbra in
un’espressione di scherno.
“No?” continuò lui ora quasi affabile “Non avevate
idea di questa pratica? Eppure è molto di moda. Ammetto la vostra giovinezza,
ma dato il vostro stato reputo improbabile che tutto ciò non vi sia mai stato
spiegato” in quella la donna al fianco dell’uomo si sporse appena verso di lui,
la mano che la Nihaar’ì scoprì essere ingioiellata a
coprire le parole che ella sussurrò al suo orecchio. Il Kamin-Na
sorrise. Lei fece un ghignetto divertito.
“La mia Sireli (amata) si
complimenta per le vostre capacità di mentire. Dice che raramente ha visto
giovani più talentuose” “Non sto mentendo!” si scoprì a reagire di getto
l’altra.
Improvvisamente le labbra di entrambi si ridussero a
una linea dritta e mordace. Reazione sbagliata. Ancora. “Non state
mentendo?” la apostrofò infatti subito il Kamin- Na
alzandosi in piedi. Da eretto, fu quasi impossibile non notare quanto fosse
alto rispetto a lei “Le stesse identiche parole pronunciate da chi vi ha
accusato”.
Un cenno del capo in direzione di due Kamin seduti poco distante e presto all’interno della tenda
fu trascinata e gettata a terra una figura per metà snudata, lividi e percosse
a macchiare per ogni dove la pelle olivastra.
Mento sfuggente e sguardo volpino, labbra carnose
piegate in un’espressione dura e sbrigativa si aspettò la Nihaar’ì
di vedere.
Ma rimase delusa.
Il viso che si sporse dal groviglio malconcio pareva
assai più giovane e diverso da come ricordava. Più fine. Più enigmatico. Un
viso che in effetti la Nihaar’ì ricordava di aver
scorto che solo volta per caso in un mare di occhi e visi altrettanto attenti e
curiosi.
La donna pareva incapace di stare in piedi giacché
dopo pochi vani tentativi di guadagnare una posizione più confacente si
rassegnò a rimanersene semidistesa a terra nei propri sudici strati.
“Non amiamo i traditori” parve volerle spiegare il Kamin-Na “Tradire è un vizio che una volta preso, fatica ad
andarsene. Ciò non toglie però che questa figlia del deserto abbia avuto molto
a che dire di voi e della vostra identità” “Non conosco questa donna” fu la
rapida risposta della Veggente “Non sareste tenuta a conoscerla, se ciò che lei
dice fosse vero” fu la soave replica dell’altro.
Serrando appena le labbra, la Veggente si costrinse a
mantenere la calma “Eppure non capisco di cosa questa donna mi potrebbe
accusare. Il mio corpo è sfigurato, questo è vero. Ma avete controllato i miei
occhi e so per certo che non avete trovato nulla”
Nulla di ciò che avrebbe dovuto esserci.
Dall’espressione del Kamin -
Na, questa volta la Nihaar’ì fu certa di non aver
sbagliato. Nessuna accusa poteva reggere la triste realtà che i suoi occhi
erano ben lungi dal dimostrare.
Lo sapeva lei, lo sapeva la bella Sireli
e lo sapeva il Kamin-Na. Poco distante, lo seppe
anche quella donna e il suo gemito contratto.
Incerto, l’uomo passò in rassegna prima lei, poi la
propria consorte e infine i due Kamin ora ritornati
seduti a lato della tenda. Poi sospirò.
“Se non voi, almeno il vostro sguardo non mente” le
concesse “Ed è per questo che mi concederò del tempo per riflettere” guardò gli
uomini “Mettetela assieme all’altra in qualche cesta. Chissà mai che la
vicinanza non plachi i loro dissapori”
Prima di poter in qualche modo replicare, la Nihaar’ì venne letteralmente alzata di peso e nuda come un
verme scortata fuori dalla tenda. Poco distante la donna subì lo stesso
trattamento sebbene il cipollotto di vestiti che l’avvolgeva desse un che di
diverso al loro contemporaneo uscire allo scoperto dinanzi allo sguardo di
tutti.
Inferocita e imbarazzata la Nihaar’ì
non potè far altro che gridare tutto il proprio
discernimento fino all’angusta meta nella quale venne buttata senza tante
cerimonie. Nemmeno il tempo di allontanarsi e la sua gradita compagna le
finì direttamente addosso, un peso morto a schiacciarle improvvisamente sterno
e schiena in un grido sconnesso. Pochi attimi per assicurarsi che entrambe
fossero vive - o che almeno lo sembrassero - e i Kamin
richiusero lo scomparto facendo sprofondare Nihaar’ì
e figlia del deserto nell’oscurità.
“Togliti” ringhiò subito la Veggente scalciando
l’altra lontano da sé. Ignorò il suo gemito contratto sedendosi allora poco
distante, la testa ad appoggiarsi al bordo caldo e oscillante della loro
gabbia.
Poi imprecò a bassa voce.
Maledetti spalasabbia a tradimento.