15° Capitolo
«Ciao, Stiles. Potresti-» Heather era quel tipo di ragazza che sapeva stare
al suo posto, il più delle volte, quando flirtava con ragazzi diversi senza mai
lasciarsi andare veramente e senza perdere completamente se stessa. La sua
mente e il suo cuore erano sempre da un’altra parte, a pensare a qualcun altro
e ad immaginare quel qualcun altro; non c’era mai stato realmente posto per
qualcuno diverso da lui o quantomeno non ci aveva mai riflettuto davvero,
benché di occasioni ne avesse avute molte e diverse ed almeno quelle ricambiavano
il suo interesse, la guardavano con occhi diversi da quelli che sprigionavano
amore fraterno o quello che gli si avvicinava di più.
Era vista dagli altri, ma non dal suo qualcun altro.
E la guardava sempre meno da quando lui
era entrato nella vita del suo qualcun altro.
«Quando andrai via, dove passerò i miei pomeriggi di studio?» chiese il
figlio dello sceriffo con la voce mascherata dalla spensieratezza, la domanda
posta come un gioco, distante e senza che davvero potesse toccarlo, come se
Derek Hale l’anno successivo non sarebbe stato al suo primo anno di college e
si sarebbe dimenticato della sua esistenza.
Dimenticato? Heather lo sapeva benissimo, era così chiaro e visibile, che
Derek Hale non avrebbe mai dimenticato Stiles Stilinski.
«La squadra ti conosce» quindi non ti
butterà fuori come farebbe qualsiasi persona sana di mente, quello era il
tipo di pensiero che Stiles avrebbe tratto dalle quattro parole che il
diciottenne aveva pronunciato con distacco e senza increspature, con quella
spolverata di noia, di qualcosa che non lo toccava e non lo riguardava.
Se fosse stato vero, se davvero Derek Hale fosse stato immune a tutto
quello che rappresentava Stiles Stilinski, alle sue problematiche, ai suoi
tormenti, alle mille chiacchiere e parole da cui veniva sommerso, le teorie ed
i piani ben strutturati e meticolosi che progettava continuamente e la
solitudine che gli viveva dentro, non avrebbe mai ricambiato la stretta delle
loro mani intrecciate davanti al suo armadietto, raggiunto dal sedicenne alcuni
istanti prima, ed immersi nel corridoio affollato del liceo durante il cambio
d’ora.
Sarebbe stato immune, implacabile, una roccia ferma sul letto di un fiume
in tempesta che si affaccia su una cascata in picchiata.
Derek Hale la tempesta ce l’aveva dentro ogni volta che il figlio dello
sceriffo gli girava intorno.
«Le squadre cambiano ogni anno, non è detto che sia così fortunato» i
provini per formare nuove squadre si tenevano ogni anno, regolarmente, ma i
giocatori più forti, i titolari, che nelle passate stagioni avevano dato prova
di sé e lo confermavano, venivano presi senza giri di parole.
«Li conquisterai con le tue molestie» proferì Derek beffardamente, senza
scomporsi e senza rovinare l’espressione controllata che si prendeva gioco del
sedicenne.
Stiles sbuffò risentito, rifilandogli un’occhiata di disapprovazione e
pronto per obiettare ed urlargli che lui non l’aveva mai molestato, che era un
po’ una bugia, ma forse era stato vero prima che le loro vite si incrociassero
con lo svelarsi degli anelli gemelli. «Nessuno di loro è sincronizzato con me»
pronunciò invece, scartando del tutto quella difesa verso la propria persona e
rivelando qualcosa che conoscevano soltanto loro due.
Il cuore di Heather aveva smesso di battere per qualche secondo ed una
bolla d’ossigeno si era incastrata nella trachea, impedendole di respirare per
qualche attimo.
Non era inusuale che quei due si scambiassero quel tipo di confessioni e
che le reciproche mani fossero alla costante ricerca l’una dell’altra, unendole
in un intreccio obbligatorio che li soddisfaceva; ma era per quella leggera
pressione da parte di Derek sulle dita di Stiles, quella piccola carezza fatta
con il pollice sul dorso della mano, quello sguardo significativo, morbido,
caldo e pieno d’amore che gli rivolgeva, confermando tacitamente quello che
Stiles blaterava, rimanendo sempre stupito dalle sue parole e dalla
considerazione che aveva per lui; quella piccola vittoria che rappresentava per
se stesso.
Forse Heather ne avrebbe gioito, rinunciando a Stiles, se la gelosia non
fosse stata così nera e cieca e se lo stomaco non si fosse rivoltato.
Heather si era fermata di botto, con la frase a metà ed assistendo a tutto
quello e Derek Hale sembrò intercettarla soltanto in quel momento. «Qualcuno ti
cerca» disse al figlio dello sceriffo con lo sguardo rivolto verso di lei ed il
mancato significato di entusiasmo.
Stiles lo guardò perplesso, non riuscendo a capire a chi si riferisse ed a
chi potesse cercarlo in quel momento davanti agli armadietti del lupo mannaro.
«Oh. Ciao, Heather» salutò quando si girò verso la direzione indicatagli dagli
occhi del licantropo e rivolgendole un sorriso ad accompagnare il tutto. «Ti
serve qualcosa?».
Era inammissibile, davvero inammissibile che si rivolgesse a lei quando
ancora teneva la mano di Derek Hale stretta nella sua, senza mostrare alcuna
vacillanza da parte dei suoi tessuti muscolari che volessero lasciarla. «No, me
la caverò da sola» proferì con glacialità e stizza, una lama che poteva nuocere
al suo interlocutore.
Ma quando Stiles era con Derek non c’era nulla che lo potesse nuocere ed il
suo cuore spezzato doveva farsene una ragione, ma per orgoglio e per la sua
anima ferita, portargli rancore ed andarsene via con sdegno era la miglior
ritirata che potesse fare.
Stiles assistette alla scena senza riuscire a spiegarsela e dovette
voltarsi dal playmaker al punto in cui si era volatilizzata la ragazza per
rendersi seriamente conto che se n’era andava via, ben avendo una richiesta d’aiuto
per lui, con una rabbia profonda e lesa. «Mi è sfuggito qualcosa, non è vero?».
«Davvero non l’hai capito?» domandò retoricamente il mutaforma, con quella
freddezza e lieve irascibilità che sembrava aver preso in prestito dalla figura
femminile che si era appena disciolta.
Il sedicenne si voltò completamente verso di lui, lasciando indietro il
luogo incriminato e rivolgendogli un’occhiata confusa e perplessa, captando
all’istante il cambiamento d’umore nell’altro. «Capito cosa?».
«Non posso crederci» affermò il lupo mannaro con repulsione e scetticismo,
l’ingenuità non era una caratteristica che si associava alla figura del figlio
dello sceriffo.
«Perché ti stai arrabbiando?» chiese l’umano irrigidito dal comportamento
che il mutaforma stava sviluppando e dall’amarezza che riversava in lui.
«Non sono arrabbiato» dichiarò tra i denti il capitano della squadra di
basket.
«Sì che lo sei. Sei una furia» ribatté il sedicenne con prontezza, mettendo
ben in evidenza ciò che Derek gli stava trasmettendo ed il nuovo muro che stava
costruendo tra loro. «Che cosa ho fatto?».
Derek ruppe l’intreccio creato dalle loro dita e lo sguardo divenne
penetrante ed affilato, una falce di ghiaccio puro. «Ti accorgi sempre di
tutto, ma non di quello che le persone provano per te».
Persone. Persone, plurale. Quante
ne aveva individuate il licantropo in tutto quel tempo? «Soltanto perché non
dico niente, non vuol dire che non me ne accorga» no! No, no, no. Era la cosa più sbagliata che avesse mai potuto
dire in quel momento, in quel momento così precario e fallace, un momento in
cui erano stati ad un passo dal mettere tutto sul tavolo, alla luce del sole ed
a dare un taglio netto alla cosa. Qualunque sarebbe stato, qualsiasi responso
sarebbe uscito fuori, qualsiasi risposta positiva o negativa sarebbe emersa, ma
avevano nascosto la testa sotto la sabbia e, in quel preciso istante, le
avversità stavano sorgendo e l’irascibilità delusa di Derek era palpabile.
In un primo momento lo sguardo di Derek era apparso ferito e sorpreso, come
se non si aspettasse una mossa così scorretta da parte sua e che in realtà
fosse a conoscenza di quello che gli girava intorno, ma la sua rabbia, che si
sentiva giocata e manipolata, prese il sopravvento e tutto quello che aveva per
lui in quel momento, oltre all’amaro rammarico, era la sola e pura ostilità nei
suoi confronti.
Derek sbatté l’anta metallica del suo armadietto in un rumore assordante ed
atroce, con tutta la delusione e il risentimento che echeggiavano nei corridoi
dell’istituto scolastico, sotto gli occhi sgomenti degli studenti e del figlio
dello sceriffo.
Lo sorpassò volutamente, evitando accuratamente di sfiorargli la spalla o
qualsiasi arto potesse bloccare la sua avanzata e lo lasciò lì in mezzo ai
brusii dei loro compagni di scuola, febbricitanti di dare un contesto a quella
scena pietrificante di cui avevano afferrato poche parole.
Stiles restò impalato, fermo ed immobile davanti all’armadietto del
capitano della squadra di basket, con gli occhi vitrei e spenti, incapace di
capacitarsi di cosa fosse accaduto.
Scacco, un’ultima mossa sbagliata ed avrebbe perso il
suo re.
Per i successivi due giorni non si guardarono neanche e quando uno
incrociava l’altro nelle arie comuni, con maestria cambiava strada senza dare
nell’occhio, benché tutti all’interno dell’istituto scolastico l’avessero notato.
Non sedevano nemmeno più allo stesso tavolo; Stiles tendeva ad andare in
mensa il prima possibile, trascinandosi chiunque volesse seguirlo ed occupando
uno dei tavoli più lontani da quello di cui ormai si era impadronito il branco
Hale.
La prima volta erano rimasti interdetti e chi si era diretto verso il
solito posto, aveva dovuto fare retromarcia una volta che aveva individuato
tutto il gruppo e la mancanza totale nel nuovo vecchio tavolo.
Improvvisamente il grande gruppo del secondo e dell’ultimo anno era
separato, come lo erano sempre stati prima che Derek Hale e Stiles Stilinski si
rivolgessero la parola.
Il figlio dello sceriffo aveva mancato uno degli allenamenti della squadra
di basket e l’unico contatto era rimasto con gli appuntamenti settimanali con
Malia, nel solito luogo e alla stessa ora; ma lei non proferiva alcuna sillaba
e Stiles non prendeva mai l’argomento e non chiedeva del mannaro.
Per due intere notti Derek non si fece vedere e non era una grossa sorpresa
da parte dell’umano, ma in cuor suo sperava sempre di vederlo comparire,
spalancare la finestra e riprendersi il suo posto nel letto accanto a lui.
Alla terza notte Stiles era appena uscito da una doccia tonificante e
restauratrice, gocciolante e zuppo d’acqua, avvolto nel grande asciugamano e
propenso ad asciugarsi.
Raggiunse la propria camera da letto con indosso uno dei suoi pigiami
preferiti appena estratto dal cassetto e con un asciugamano azzurro sulla
testa, a tamponare i capelli per far smettere di scendere le gocce d’acqua e
renderli asciutti prima di gettarsi sotto le lenzuola e superare quel nuovo
giorno, seppure fosse quasi impossibile addormentarsi separato da Derek, con
tutti quei pensieri che gli vorticavano nella mente ed il loro ultimo incontro
che si ripeteva a rotazione davanti ai suoi occhi.
Quasi non urlò spaventato e d’orrore quando socchiuse con una spinta la
porta dietro di sé, trovandosi davanti le iridi blu metallico di Derek, gli
occhi del lupo che squarciavano le tenebre, e lui completamente rivestito da
brandelli di abiti tutti ricoperti di sangue, lo stesso sangue che gli sporcava
la pelle e da cui spiccava, con le ferite che andavano a rimarginarsi,
lasciando le loro tracce di liquido vermiglio. L’aveva dappertutto, ovunque
Stiles riuscisse a posare gli occhi; perfino tra i capelli corvini vi era
sangue secco che gli colpiva il volto in uno schiaffo spietato.
«Derek» esclamò allarmato, lanciando l’asciugamano bagnato sul letto e
correndo verso di lui, frenando nel momento in cui se lo ritrovò ad un palmo dal
viso, sotto la luce del lume che si trovava sul comodino e con la finestra
lasciata aperta e l’impronta rosso cremisi della grande mano del mutaforma sui
rivestimenti di legno bianco. «Che… che cosa è successo?» non sapeva se poteva
avvicinarsi, se poteva toccarlo e se si fosse lasciato toccare. Non aveva
alcuna idea di cosa avrebbe dovuto fare e il panico cresceva, opprimendogli
l’aria con cui respirare.
Derek non fiatò, non emise una sola vocale e rimaneva imbambolato
esattamente dove l’aveva trovato, con gli occhi spenti e vuoti su di lui.
«Derek» ripeté ancora una volta con preoccupazione rumorosa, notando la
mancanza delle scarpe ai piedi del mannaro e l’inesistenza della luna piena
alta nel cielo; era così lontana, non poteva in alcun modo avere effetti sul
capitano della squadra di basket, eppure Derek era completamente soggiogato dal
lupo che viveva dentro di lui e che combatteva per uscire ed adempiere al suo
compito. Ma c’era ancora qualcosa che lo teneva al suo posto. «Derek, ti prego»
lo stava supplicando in modo inaudito, aveva bisogno di capire cosa fosse
accaduto, in quale guaio si fosse cacciato, se potesse aiutarlo e doveva in
tutti i modi accertarsi delle sue condizioni.
Non esitò troppo a scivolare su di lui, portando entrambe le mani sul volto
pieno di cicatrici che si stavano curando automaticamente, ma che lasciavano le
tracce di sangue, sporcandolo tutto. Era uno spettacolo agghiacciante.
«È qui» gracchiò il licantropo con la voce arrocchita e tirata,
completamente persa e deturpata, il terrore e la ferocia che gli vivevano
dentro. «È qui. Senza… senza aver avvisato» e Stiles non dovette metterci molto
a capire a chi si stesse riferendo, all’incubo che rappresentava l‘Alpha Ennis per Derek, alle continue riunioni di branco che si
tenevano ogni due mesi, lontane dal plenilunio, ed a tutte quelle che evitava
per non incontrarlo perché non sapeva come avrebbe reagito. Ma alla fine aveva
reagito; male, immensamente male, probabilmente perché l’aveva sentito arrivare
senza alcun annuncio, senza una ragione valida che motivasse la sua presenza
lì, una visita che non aveva nulla a che vedere con le riunioni dei branchi
alleati che si tenevano con regolarità.
Derek doveva essere impazzito per esserselo ritrovato lì privo di
avvisaglia. «Vuole portarsi via le persone a cui tengo» le persone che amo, completò Stiles per lui.
Era il delirio, era la paura a parlare per Derek, la costante angoscia di
vedere la storia ripetersi; il vedersi sottratto atrocemente tutto quello che
per lui contava, tutto quello che proteggeva e che metteva prima di se stesso.
«Vuole portarti via da me».
Il cuore di Stiles scoppiò, un tuono che echeggiò nel petto, investendo
tutti gli organi vitali e procurandogli brividi in tutto l’apparato scheletrico
ed il fiato gli si incastrò in fondo alla gola, impedendogli di respirare e di
proferire qualunque parola e Derek nello sconvolgimento del suo essere e nel
terrore che lo stava investendo in tutto il corpo, lo circondò con le braccia,
stringendolo forte a sé e nascondendo il viso illuminato dagli occhi blu
elettrici, così accesi e luminosi, nel collo dell’umano. «Non gli permetterò di
portarti via da me».
Stiles stava annaspando, non riusciva a prendere possesso del suo respiro e
la trachea si stringeva e bruciava, gli arti formicolavano e lo stomaco si
contorceva, pizzicandogli le budella; il tepore che gli attaccò gli organi lo
lasciava completamente senza forze, con l’ignoranza di non sapere come reagire,
di come avrebbe dovuto reagire, del pessimo momento in cui quella rivelazione
era stata mostrata al mondo ed a lui. Era una verità che era sempre esistita
tra loro e non poteva più ignorarla.
Ma non era quello il momento per lasciarsi prendere dal panico e
dimostrarsi del tutto incapace di fronteggiare quella verità che Derek aveva
costantemente cercato di nascondergli con scarsi risultati. Doveva essere forte,
doveva reagire e sostenere Derek; doveva farlo uscire da quel vortice di
emozioni esasperanti e distruttivi che scatenavano il suo lupo e che lo
portavano a buttarsi nella mischia, scatenando lotte per proteggere ciò che
amava. Per proteggere lui. Da una minaccia che probabilmente non esisteva, ma
che era radicata nella mente e nei ricordi deturpati del lupo mannaro. La
figura di Ennis sarebbe sempre stata associata a
tutto quello che sentiva gli sarebbe stato strappato. «Nessuno mi porterà via
da te».
Derek era creta tra le sue mani e doveva toccarlo con tutta la delicatezza
di cui era disposto, sfiorarlo con leggerezza e prendersi cura di lui come se
fosse la cosa più fragile del mondo; e lo era, lo era davvero ed era la cosa
più spaventosa a cui avesse mai assistito.
Corse in bagno per prendere una bacinella qualsiasi, quella che gli
capitava tra gli arti, riempiendola d’acqua e fiondandosi, di ritorno, nella
propria camera, munito di tutti quei vecchi asciugamani che avevano fatto il
loro tempo e che potevano essere dimenticati e gettati nella spazzatura.
Dovette con accuratezza togliere i brandelli di vestiti che erano rimasti
appiccicati al lupo, che ricadevano come unica veste e che non sarebbero più
stati recuperabili. Stiles avrebbe dovuto buttare molte cose quella sera.
Derek era nudo, completamente nudo e senza veli, con il mucchio del ricordo
degli abiti gettati ai loro piedi, seduto sul letto e Stiles a ripulire ogni
escoriazione e traccia di sangue, la pelle completamente rigenerata e privo di
qualsiasi cicatrice futura, se non quella nella mente e nel cuore.
Gli pulì il viso, completamente imbrattato, pieno di schizzi di liquido
vermiglio che gli incrostavano le ciglia e le sopracciglia, che gli scurivano
la pelle e che venivano illuminati dagli occhi ancora di quel blu metallico che
Derek odiava con tutto se stesso; non aveva nemmeno provato a riportarli
indietro, a mostrare quelle straordinarie iridi verdi che Stiles tanto
contemplava, era ancora troppo frastornato dal fare qualsiasi cosa che non
implicasse seguire le mani del figlio dello sceriffo.
Stiles tamponò i capelli corvini con l’asciugamano bagnato, tentando invano
di togliere le incrostazioni del sangue che li macchiavano, asciugandoli con
uno nuovo quando sembrò averli tolti tutti.
Ne immerse un altro nella ciotola il cui liquido trasparente si era
colorato di rosa scuro, strizzandolo e privandolo di troppo concentrato d’acqua
e passando a ripulirgli le braccia e, ad una ad una, le dita.
Notò soltanto in quel momento che sulla mano destra, sul dito medio, non vi
era più alcun anello che facesse coppia con il proprio, quell’anello che
nascondeva così tanti segreti e sussurri nell’oscurità che gli erano stati
negati; era sparito, lasciando un piccolo cerchio più chiaro nella pelle scura
del mannaro, unica testimonianza della sua esistenza. Un richiamo per un anello
che non c’era più, il rammarico dell’anello che era sopravvissuto e la
nostalgia che era già iniziata.
Avrebbe voluto chiedergli dove fosse finito, dove l’avesse perso, fargli
notare che l’oggetto a cui era tanto legato non era più lì, volatilizzato, ma
non era qualcosa che avrebbe potuto dire ad un Derek Hale conciato in quel
modo, incapace ancora di riprendersi.
Sarebbe impazzito del tutto se l’avesse saputo e passò avanti.
Sottrasse ogni traccia del liquido di rubino secco su ogni parte del corpo
del licantropo, mischiato a residui di terra nera che si trovavano sugli arti
superiori ed inferiori, sui palmi delle mani e sulla pianta dei piedi.
Gettò tutti gli asciugamani accanto alla pila dei filamenti di vestiti
sporchi, mentre l’ultimo ricadeva nella ciotola piena d’acqua rossastra, e
strofinando le mani macchiate sul pigiama ormai sporco di sangue a causa
dell’abbraccio di Derek, si diresse verso l’armadio, aprendo le ante e
prendendo quei pantaloni di tuta blu notte che il diciottenne gli aveva
prestato mesi passati e che gli aveva permesso di tenere. Afferrò anche una
delle maglie in disuso che Derek regolarmente gli portava e che servivano da
cambio quando la mattina restava da lui. Un quinto del suo armadio apparteneva
agli averi di Derek Hale.
Lo vestì con cura, una gamba alla volta, con i suoi tempi e nei modi che il
lupo preferiva, distese la maglia rossa appena estratta dalle ante e gliela
infilò dalla testa, prendendo un braccio dopo l’altro e guidandolo lui stesso
verso le maniche corrette, lasciandola ricadere sul torace possente.
«Derek» disse con dolcezza e comprensività, ma con tono deciso; arrivava la
parte più difficile. «Ora devi sdraiarti e provare ad addormentarti» era quasi
certo che sarebbe crollato all’istante, nel momento in cui sarebbe entrato a
contatto con la morbida superficie del cuscino, come voleva crollare lui
stesso.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato in quello che aveva detto, perché i sensi
del lupo mannaro si attivarono e le iridi blu si incollarono a quelle d’ambra
pura. «Dove vai?».
«Da nessuna parte» era la mancanza di plurale che metteva in agitazione il
mutaforma? Il non aver detto ora dobbiamo
sdraiarci e provare ad addormentarci? Era così sensibile a quelle
distinzioni ed a capire le sue intenzioni? «Devo soltanto sistemare la stanza»
doveva sbarazzarsi di tutto quello che aveva tra quelle quattro mura, buttare
ciò che rimaneva degli indumenti e degli asciugamani sporchi di sangue, molto
sangue che ancora non sapeva a chi appartenesse e se fosse tutto di Derek. Non
poteva far trovare quella situazione disperata ed equivoca a suo padre che si
trovava soltanto al piano inferiore. Sarebbe stato il caos, sarebbe entrato nel
panico e non avrebbe saputo cosa dire per spiegare quella situazione, ma la sua
stanza era piena di cose sporche di sangue e vestiti ridotti a filamenti e la
parola pericoloso gridava in tutta la
casa.
Derek l’afferrò per un polso, trattenendolo nella posizione accucciata in
cui era per essere alla sua altezza ed interagire da pari. La presa era forte e
non ammetteva repliche e c’era tanta paura e possessività in quel gesto. «Non
andare via».
Il fiato gli si bloccò in gola. «Non devo…» che pessima, pessima
situazione; nelle condizioni in cui era, nel terrore di perderlo che si
manifestava in ogni sua mossa, Derek non avrebbe mai permesso che si
allontanasse da lui. Lo voleva lì, esattamente al suo fianco ad accertarsi che
fosse incolume e presente. E Stiles era nei pasticci. «Ci metterò pochi minuti»
gettò un’occhiata veloce al disastro e alla scena scabrosa che gli stava di
fianco; avrebbe gettato tutto dentro un sacchetto e lo avrebbe nascosto da
qualche parte, aspettando di poterlo buttare prima che passasse il camion della
raccolta dei rifiuti.
«No» era imperiale ed univoco, non c’era possibilità di scelta e nemmeno il
tempo di cercare una soluzione.
Stiles sospirò internamente, esausto e provato, portando la mano libera sul
viso e con la punta delle dita che si intrecciavano alle ciocche scure del
mannaro, appoggiando con meticolosa dolcezza la fronte sulla sua, respirando il
suo stesso ossigeno. «Lascia almeno che mi cambi».
Derek non si mosse per qualche attimo e non emise alcun fiato, si limitò a
recepire la richiesta e ad annuire impercettibilmente contro di lui, dandogli
campo libero.
L’umano non perse tempo, non lasciandosi scappare l’unico lasciapassare che
avrebbe avuto in un momento tanto delicato, in cui l’unico desiderio e briga
che aveva il mannaro era quello di saperlo esattamente accanto a lui, lontano
da qualsiasi pericolo ed a portata dei suoi sensi; soprattutto del suo corpo
che sarebbe entrato in azione al minimo segnale di allarme.
Si sfilò da lui, tentando di ignorare quella pila color porpora che
compariva vicino al letto, dirigendosi verso la cassettiera vicino l’armadio ed
aprendo il penultimo cassetto, quello dei pigiami.
Si tolse in fretta quello che meno di un’ora prima aveva estratto proprio
da lì, che profumava di pulito e dell’ammorbidente alla lavanda; lo buttò ai
suoi piedi, calciandolo in un angolo ed indossando un nuovo pigiama immacolato,
poi ritornò di comune accordo.
Salì direttamente sul materasso, avvicinandosi al punto in cui aveva
lasciato Derek e trovandolo esattamente nella posizione in cui era stato per
quasi mezz’ora. «Sono qui».
Derek lo percepì bene, il materasso che si abbassava sotto il suo peso e il
camminare a gattoni per raggiungerlo, sfiorandogli una spalla.
Si girò verso di lui quando sentì la sua voce e lo avvertì dietro di sé.
«Sei qui» proferì sommessamente, completamente in balia delle emozioni che gli
vivevano dentro e del tutto fuori dal suo controllo.
Gli lambì uno zigomo con la punta delle dita, delicatamente e prestandogli
massima cura, ricoprendolo totalmente con la mano ed alzandogli il viso per
poterlo guardare meglio, scrutare nelle sue iridi d’ambra ed accarezzargli
amabilmente il setto nasale con il proprio, inspirando parte del suo odore ed azzerando
la distanza tra le loro fronti, socchiudendo infine gli occhi.
Davanti ad una scena come quella, se si fosse presentata durante un
contesto diverso, una crisi tachicardica non gliel’avrebbe risparmiata nessuno
e sarebbe rimasto lì, come uno stoccafisso, incapace di respirare e muoversi,
con le gambe bloccate ed incapace di capire dove si trovasse e cosa stesse
accadendo.
Derek non era in grado di controllare ciò che provava per lui, la
manifestazione di ciò che provava per lui, ed ogni gesto e le poche parole che
riusciva a pronunciare, rivelavano soltanto quanto in realtà gli fosse caro;
quanto fosse importante. Se Derek fosse stato consapevole di ciò che stava
accadendo, non si sarebbe perdonato. E forse avrebbe odiato entrambi.
«Dormi con me, Der» disse con voce calda e
pacata, confortevole e pieno di premura, con il battito cardiaco leggero e
sincero, la coperta su cui il lupo mannaro poteva raggomitolarsi. «Siamo
soltanto tu ed io» il mondo esterno non esisteva, non vi era alcun licantropo
malvagio con cui si era scontrato per difendere ciò che amava, che potesse
sottrargli ogni cosa. Non vi era nessuno che l’avrebbe reclamato e l’avrebbe
portato via di lì, lontano dal suo porto sicuro, lontano dall’unica persona che
sapeva prenderlo e renderlo docile.
Derek trasse un profondo respiro, uno vero, uno pulito, uno che lo
liberasse dalla completa angoscia e dal senso di pericolo che sentiva tutto
intorno a sé.
Annuì ancora una volta contro di lui, sulla sua pelle, sulla sua anima e
sotto le palpebre socchiuse.
Il bagliore blu metallico venne inglobato da una luce più tenue e boscosa,
mettendo a riposo il lupo territoriale, il grande lupo Alpha che Stiles
continuava a vedere in lui, che aveva difeso ciò che contava davvero per se
stesso; era a casa e stava bene.
Stiles poté rientrare in possesso di nuovo ossigeno fresco, restauratore e
pacificatore, scongiurando la catastrofe che si era abbattuta su di loro,
lasciandoli senza via di scampo e ad un passo dal non tornare più indietro.
Derek si addormentò dopo una mezz’oretta abbondante, ancora guardingo, ma
abbandonato al tocco delicato del sedicenne che gli scompigliava le ciocche
corvine. Stiles non aveva idea, benché fosse stremato, se l’avrebbe raggiunto.
Ma uno spiraglio della porta si aprì, lasciando entrare un raggio della
luce che proveniva dal corridoio acceso e da cui compariva la figura severa del
genitore, eloquente all’inverosimile.
Stiles fu costretto a correre ai ripari, lanciando un’occhiata veloce al
licantropo ed accertandosi che stesse ancora dormendo e che l’entrata in scena
dello sceriffo non lo turbasse.
Scivolò con attenzione fuori dalle coperte, gattonando alla meno peggio sul
materasso e scendendo a piedi nudi sul pavimento freddo, attento a non fare
rumore e precipitandosi davanti alla porta con l’ansia costante che il padre si
fosse accorto del mucchio di roba da buttare macchiata di sangue e
dell’impronta scarlatta stampata sulla finestra.
Gli si parò proprio davanti, limitandogli il campo visivo, uscendo
parzialmente dalla camera e fermando la chiusura totale della porta con una
spalla.
«Perché Derek Hale è in casa nostra e nel tuo letto?» nessuna sorpresa che
il padre sapesse esattamente chi fosse, come sceriffo della contea conosceva
quasi tutti, almeno di vista, ma con Derek Hale c’erano dei trascorsi ed erano
molto poco felici. Era un punto a svantaggio di entrambi, ma ancora di più
c’era l’ignoranza del padre su come le loro due vite si fossero congiunte; non
sapeva nemmeno se si fossero mai visti e ancora meno, se si fossero mai rivolti
la parola e senza sapere nulla, Derek Hale era in casa sua e nel letto del
figlio.
«Lui…» che cosa doveva dire? Che cosa doveva dire? Non aveva alcuna idea di
come spiegare le cose a suo padre e cercare di non risultare fuori di testa.
«Aveva bisogno di un posto in cui rifugiarsi» o grandioso, pessima mossa, Stiles. Rifugiarsi da cosa? Non c’era
cosa peggiore da dire ad un pubblico ufficiale, soprattutto se era la più alta
carica della città ed era il proprio genitore ed unico.
«Tutte le volte deve rifugiarsi in casa nostra?» chiese l’uomo con sguardo
lungo, impeccabile nella sua posa perfetta da alto ufficiale ed ottimo
genitore.
Stiles sbiancò all’istante, frastornato e sbalordito ed in quel momento
ebbe paura, seriamente molta paura, perché poteva gestire lupi mannari
incontrollati con la luna piena alta nel cielo, ma un genitore consapevole di
non essere partecipe dei segreti del figlio, era tutta un’altra storia. «Come?
Di che parli?».
«Credi davvero che non sappia che dorme quasi tutte le notti qui?» domandò
retoricamente lo sceriffo, per nulla propenso a quel gioco in cui il figlio
mostrava di essere innocente ed all’oscuro dei fatti, completamente in buona
fede. «Per mesi è entrato dalla tua finestra, addormentandosi accanto a te e
non lasciandosi trovare la mattina dopo. Sono lo sceriffo di questa città, non
puoi nascondermi cose del genere».
«Noi non facciamo niente» disse il ragazzo in sua difesa, scuotendo braccia
e mani e parando qualsiasi colpo gli sarebbe stato assestato. Gli mancava
soltanto che suo padre pensasse che avesse rapporti di qualsiasi genere con un
ragazzo, nel proprio letto e sotto lo stesso tetto, con lui dentro casa.
«Lo so, è per questo che vi ho lasciato fare» rivelò lo sceriffo con una
tonalità più morbida e comprensiva che stonò con quello che Stiles aveva
classificato come ramanzina. «Era qui la notte di Natale, probabilmente anche
quella della vigilia, ed era qui per la ricorrenza della morte di tua madre»
quelle erano le occasioni che più gli erano rimaste impresse, quelle più
importanti, ma era certo ce ne fossero molte altre che tenevano per sé e
certamente lui non aveva passato tutto il suo tempo a controllarli quando erano
tutti e tre insieme nella stessa abitazione. «Tu eri distrutto ed io avevo il
cuore spezzato per questo, ma lui ha un’influenza positiva su di te, come tu
l’hai su di lui. Benché sia un ragazzo complicato e con una tragedia alle
spalle, che tutt’ora lo segna, passa volentieri il suo tempo con te» il
discorso si interruppe, dando l’illusione che fosse concluso, che non avesse
nient’altro da dire e che non ci fossero future ripercussioni, ma quello era suo
padre e lo conosceva fin troppo bene. «Che cosa sta succedendo?».
Il tra te e lui era implicito e
risuonava a grandi lettere, ma quella era la domanda che più lo spaventava, ed
onestamente non sapeva se preferisse dargli una risposta o rivelare che Derek
Hale era un lupo mannaro, compreso di tutto il pacchetto: lunghi peli, artigli
e denti affilati, facendosi rinchiudere in qualche manicomio.
Sospirò, quasi privo di forze e con tutto quello che era accaduto nel giro
di due ore scarse, non sapeva più come reggere la serata ed affrontarla,
uscendone incolume.
Aveva un licantropo nel letto, uno vero e reale, che aveva avuto una brutta
nottata e che aveva affrontato il suo incubo più grande, che consisteva nella
paura di vedersi strappato ciò che amava; che consisteva nella paura di perdere
lui.
Aveva un licantropo sul letto con cui condivideva un anello gemello, che
nascondeva un segreto che probabilmente li univa indelebilmente e di cui il
superstite avvertiva la sua assenza nel corpo del mannaro, come se fosse stato
reciso violentemente dalla metà che lo rendeva intero. «Non lo so, papà.
Proprio non lo so» ed era così frustrante ed inaccettabile, ed era così confuso
e provato, che non riusciva in alcun modo ad identificare una risposta, una
risposta che tutti si aspettavano di ricevere. «Sto cercando di capirlo».
Lo sceriffo vide bene la difficoltà in cui si trovava il figlio, la domanda
scomoda che gli aveva fatto e che lo metteva in crisi; era qualcosa di più
grande di lui. «Non può stare qui, Stiles» annunciò di netto, rompendo il
momento di confessione reciproca, che metteva al corrente entrambi dei fatti
che li circondavano e che non erano tanto segreti.
Stiles sgranò gli occhi, colpito da quella parte che era apparsa così
semplice e che aveva sempre permesso di mantenere la presenza del lupo in casa.
Sembrava avere la soluzione, il non dover davvero nascondere tutto a suo padre,
seppur gli impedisse di vedere la montagnetta di vestiario distrutto ed
asciugamani vecchi ormai color porpora stagno. «Non mandarlo via» esclamò nel
panico, partendo subito in quarta e pronto a battersi a spada tratta. «Ti
prego, lascia che resti qui. Ha bisogno di stare qui, non può andare da
nessun’altra parte e se davvero apprezzi quello che fa per me, permettimi di
ricambiare il favore. Permettimi di aiutarlo».
Lo sceriffo sospirò, suo figlio non avrebbe reso le cose facili e sarebbe
stato difficile fargli capire le sue motivazioni. «Ha una casa, Stiles. Se ha
bisogno d’aiuto, è lì che deve trovarlo».
«No» tuonò a gran voce il ragazzo, impuntandosi e facendo valere le sue
ragioni. «Non può andare a casa sua. Non capisci, papà? È proprio da lì che
deve stare lontano oggi. Lascialo qui soltanto per un giorno. Permettigli di
restare».
Non si sarebbero mossi di un passo, non sarebbero andati avanti ed
avrebbero passato tutte le ore notturne a discutere di quello, finché il sole
non sarebbe sorto e Derek Hale avrebbe comunque passato la notte da loro, ma
lontano dalla persona che cercava disperatamente e da cui trovava sollievo. «Vi
concedo una notte» perché era una cosa che facevano insieme e non avrebbe avuto
alcun senso non includere entrambi nell’equazione.
Stiles emise un lungo respiro sollevato, pronto a ringraziare suo padre per
quella concessione che gli aveva strappato, ma dall’interno della camera
provenne un movimento più accentuato, segno che l’occupante del letto sentiva
le loro voci e si stava ridestando per quella confusione.
Mise un piede dentro la propria camera, pronto a raggiungere Derek in un
istante, per tranquillizzarlo e riportarlo tra le braccia di Morfeo, ma si rese
conto di non essersi congedato e di non aver pronunciato alcuna parola di
apprezzamento verso il genitore. Si girò per dire qualcosa, ma la sua
espressione era piuttosto eloquente, come il corpo completamente propenso verso
l’interno della camera da letto, nella direzione in cui si trovava il lupo
mannaro.
«Vedi di capirlo» disse invece lo sceriffo, sbalordendolo del tutto e
lasciandogli intendere a cosa si stesse riferendo. Evidentemente la questione
tra lui e Derek era qualcosa che, tutti coloro che li circondavano, volessero
che si risolvesse.
Stiles annuì in risposta, non del tutto certo, ma con la briga di ritornare
da Derek e quando lasciò uno spicchio di porta aperta, da cui continuava a
filtrare la luce del corridoio, lo sceriffo seguì il suo percorso, con il
figlio che si districava tra gli ostacoli della stanza, raggiungendo il
materasso e riacquistando il suo posto accanto all’Hale.
«Stiles» chiamò con voce impastata dal sonno il licantropo, a mezza veglia
e con la sensazione che l’umano non fosse più accanto a lui, aprendo un mezzo
occhio e tastando il letto con una mano.
«Shh, sono qui» lo tranquillizzò il sedicenne,
scivolando nuovamente tra le lenzuola e rispondendo alla ricerca della mano che
lo stava cercando, intrecciando le dita con le sue ed avvertendo perfettamente
l’assenza del cerchio metallico che per mesi aveva incontrato sul medio destro;
era una privazione che lo logorava. «Non vado da nessuna parte».
Derek si rasserenò all’istante, riconoscendo il calore del suo corpo ed il
suono della sua voce, ricongiungendosi completamente con lui.
Stiles lo guardò rassicurarsi ed immerse la mano libera nelle ciocche
scure, aumentando la calma nel lupo, e distanziando le loro teste di pochi
millimetri, tanto che le due fronti, ad un occhio esterno, sembravano più unite
che separate.
Lo sceriffo, testimone di quella scena riposta ed affine, era convinto che
suo figlio avesse capito perfettamente.
Ad un orario non bene identificato il campanello della porta d’ingresso
suonò, riecheggiando in tutta l’abitazione e riportandolo nel mondo dei vivi.
Stiles era esausto, spossato e si reggeva in piedi per un miracoloso
miracolo.
Aveva passato quasi tutta la notte a vegliare su Derek, accertandosi che
stesse bene e che continuasse a dormire senza ripercussioni e
controindicazioni.
A metà della notte si era alzato per far sparire tutti gli oggetti che
riportavano le macchie di sangue, pulendo l’impronta vermiglia, svuotando la
bacinella piena d’acqua nel lavandino scuro ed inserendo il pigiama con
evidenti tracce di liquido color porpora tra la biancheria sporca, benché non
nutrisse grandi speranze nella sua salvezza, ed aveva messo tutto il resto in
un sacchetto di plastica che sarebbe stato gettato poco dopo il loro risveglio,
nascosto in un angolo buio ed appartato della camera, quando lo sceriffo
sarebbe uscito di casa per dirigersi verso il comando di polizia.
Era riuscito a chiudere occhio soltanto dopo le quattro del mattino.
Suo padre aveva gettato un’occhiata veloce al letto prima di uscire,
scambiandosi un cenno d’intesa a metà veglia e poi Stiles si era stretto a
Derek, tornando a dormire.
Si era svegliato così, con la testa sul petto del lupo mannaro e con il
braccio di quest’ultimo che lo circondava completamente, proteggendolo da
qualsiasi catastrofe potesse abbattersi su di loro.
Quando arrivò davanti alla porta principale, che dava sul soggiorno, non
aveva alcuna idea di chi si sarebbe trovato davanti.
«Mio fratello è qui?» domandò Cora Hale con immediatezza, senza convenevoli
e dritta al punto.
Stiles fu accecato dal sole già alto nel cielo, ancora assonnato ed
impastato dal sonno, incontrando l’espressione accigliata della sorella minore
del ragazzo che dormiva nel suo letto e quella impenetrabile di Malia che
sembravano scalpitare per irrompere in casa e raggiungere le scale.
Si passò una mano sul viso, tentando inutilmente di scappare ai sensi
offuscati portati dalla sonnolenza, scompigliandosi i capelli e sbadigliando a
metà bocca. Dubitava che avessero seriamente bisogno di chiedergli se Derek
fosse lì, probabilmente avevano seguito la scia del suo odore e molto più
possibile, sapevano esattamente dove trovarlo.
Annuì in assenso, rispondendo tacitamente alla sua domanda e spostandosi di
lato per lasciare passare le ragazze.
Dopo aver chiuso la porta, le superò, anticipandole sulle scale e facendo
loro strada, benché fosse certo che non necessitassero di quella formalità.
«Sta ancora dormendo».
Non dissero niente, ma procedettero con calma e quando arrivarono davanti
alla camera da letto e lui entrò per primo, loro rimasero sulla soglia ad
aspettare che lo svegliasse.
Stiles si inginocchiò per terra, appoggiando il petto sul bordo del
materasso, proprio dove si trovava la figura del playmaker, accostandosi un po’
di più e sfiorandogli con le dita le ciocche di capelli che sfuggivano al suo
aspetto impeccabile.
Il mannaro si mosse nel suo sonno immacolato e, accompagnato dalle morbide
carezze che lo attiravano nel mondo reale, cominciò ad affacciarsi al mattino
inoltrato, specchiandosi come primo impatto nelle iridi di miele che lo aspettavano.
«Ciao» proferì con voce tirata e roca, allietato dal suo buongiorno e lontano
dalla terribile notte che aveva affrontato, che avevano affrontato.
«Ciao» soffiò candidamente il figlio dello sceriffo, curvando le labbra in
una piega soffice ed accogliente, abbandonando parzialmente il capo pesante sul
letto, vicino alla testa del lupo e sfiorandogli il naso con il proprio, come
ulteriore saluto affettivo e complice. «Hai intenzione di sbranare qualcuno
nell’immediato futuro?» chiese con una leggera nota di divertimento, calda e
venerata.
«No» bofonchiò il licantropo, con l’unica intenzione di rassicurarlo anche
nell’innocente domanda che gli era stata posta.
«Allora sono un ragazzo fortunato» proferì con ancora quella voce leggera,
sorridendogli sornione e continuando a scostagli, in tocchi studiati, le
ciocche corvine che ricadevano davanti alle gemme di smeraldo.
«Spaventosamente» convenne il mutaforma, rispondendo in egual modo a quel
gioco e lasciandosi vezzeggiare dalle mani del ragazzo. «Che ore sono?» chiese
quando si rese conto che vi era troppa luce nella stanza e che il sole era
eccessivamente alto per l’orario mattutino che doveva essere.
«È tardi» rispose l’umano, avendo riconosciuto la posizione dell’astro
solare e, una volta entrato nella camera da letto, aver incontrato parzialmente
la sveglia digitale che segnava mezzogiorno passato. «Abbiamo boicottato
entrambi la scuola, siamo dei pessimi soggetti».
Derek non proferì parola, probabilmente ripercorrendo mentalmente tutti gli
avvenimenti della sera prima, lo scontro che aveva avuto luogo e le
ripercussioni che l’avevano condotto lì, proprio nella casa del figlio dello
sceriffo, che si era occupato di lui per tutta la notte. Era consapevole di
tutto quello che era accaduto e delle cose che aveva detto? Il modo in cui si
era comportato?
«Der» lo chiamò delicatamente, attirando la sua
attenzione e riportandolo da lui, senza che dovesse crogiolarsi nei sensi di
colpa. «Ci sono delle persone per te».
Le pupille di Derek si dilatarono, dando un’occhiata interrogativa al
padrone di casa e lasciando vagare gli occhi verso la porta aperta dove
figurava parte della sua famiglia che lo guardava reciprocamente in religioso
silenzio.
Stiles picchiettò con i polpastrelli su una tempia del mannaro, dandogli
un’ultima carezza di ben svegliato ed alzandosi dalla sua postazione,
scostandosi e lasciando libero accesso alle due ragazze, mentre il mannaro si
portava in posizione seduta, accogliendo le sue visite.
«Non potevi andare da nessun’altra parte, eh» disse Cora con tono screziato
ed ovvio, comprendendo le dinamiche che vivevano nel fratello ed avvicinandosi
lentamente al letto. «Non farlo mai più» lo riproverò seduta stante, uscendo
dal suo temperamento calmo e colpendolo violentemente con un pugno su una
spalla.
Stiles era sicuro che quel colpo l’avesse sentito eccome.
Derek non mormorò parole di scuse né ci provò, ma la sua espressione
colpevole e mortificata era evidente e alla lupa sembrava andar bene anche
così.
Malia invece rimaneva ai margini, osservando la scena e il cugino che si
trovava ancora a letto, senza accennare a volersi avvicinare e Derek spostò
immediatamente la sua attenzione su di lei, in attesa ‒ forse di un’altra
manifestazione violenta ‒, dandole il suo tempo.
Da una tasca la coyote estrasse un piccolo oggetto cilindrico argentato,
tenendolo dalla punta delle dita e mostrandolo chiaramente. «Ho il tuo anello».
Conseguentemente le iridi boscose del lupo caddero sulla mano destra,
sprovvista di qualsiasi ornamento che solitamente emergeva incontrastato,
circondandogli il dito medio. Si rese conto della sua sparizione soltanto in
quel momento a causa della grande confusione che aveva affrontato e che l’aveva
colto e il senso di colpa ed il sollievo si percepirono all’istante. «Grazie» di averlo recuperato.
Le iridi di Stiles si illuminarono ed un profondo affetto scaturì per la
sua piccola coyote.
Malia avanzò il minimo indispensabile, la giusta distanza che le permetteva
di restituirgli il gioiello, bramato dalle mani del ragazzo che
impercettibilmente ed in modo controllato, si tendevano per rientrarne in
possesso. Derek lo indossò all’istante, senza rifletterci un solo attimo ed
entrambi i possessori degli anelli gemelli ritornarono a sentirsi completi.
«Mamma ti rivuole a casa, prima dell’ora di cena» rivelò la lupa mannara,
interrompendo il momento idilliaco che era durato anche troppo per i suoi
gusti. «Peter ha cacciato Ennis fuori dalla città
senza aspettare il consenso dell’Alpha».
«Peter?» chiese il diciottenne facendole verso, non credendo minimamente
alle sue orecchie.
«Già, incredibile» rispose in egual modo Cora, sorpresa e scettica quanto
lui.
Stiles ritenne che fosse necessario uscire dalla stanza ed andare in
qualunque altra parte della casa, lasciando i mannari presenti a ritrovarsi ed
a colmare le lacune dovute alla fuga di Derek; probabilmente c’erano fattori
che per lui era troppo presto ascoltare e, in ogni caso, non faceva parte del
branco e non poteva entrare a far parte della loro politica. A Stiles bastavano
quelle poche parole che il licantropo aveva pronunciato nell’intorpidimento
della sua mente nella sera trascorsa.
Quando raggiunse la cucina, allontanandosi quanto bastava dal piano
superiore, fu seguito da Malia che lo scrutava ostentatamente, come se volesse
comunicare con lui in qualche modo. «Devi chiedermi qualcosa?».
«Cosa sai?» domandò senza peli sulla lingua la ragazza, tendendo bene le
orecchie.
«Quasi niente» rivelò l’umano, aprendo il frigorifero ed afferrando una
bottiglia d’acqua minerale, raggiungendo lo stipetto accanto, che conteneva i
bicchieri di vetro. Aveva così tanta sete ed un bisogno primario di schiarirsi
le idee, che avrebbe ingurgitato tutto il contenuto della bottiglia. «Derek
l’ha sentito arrivare e l’ha attaccato».
«Lo stava uccidendo» rivelò diretta la ragazza coyote, intensificando il
suo sguardo. «E si stava facendo ammazzare» se
nessuno fosse intervenuto a fermarli.
Per quanto Stiles fosse arrivato a quella conclusione più di quattordici
ore prima, avere la conferma dei suoi timori, espressi a gran voce e proprio da
un tipo istintivo e propenso all’azione qual era Malia, gli chiuse lo stomaco,
gelandogli la testa e la bottiglia d’acqua che poteva rappresentare il suo
unico sollievo fu dimenticata. Non riuscì a formulare una sola parola.
Malia si guardò attorno circospetta, come se stesse cercando qualcosa e
dovesse accertarsi di essere libera di parlare. «È successo qualcosa in quello
scontro» svelò con circospezione, richiamando tutta l’attenzione del suo
interlocutore ed invitandolo a prestarle ascolto. «Si è trasformato».
E non c’era nulla di strano in quello, Stiles aveva visto parzialmente la
forma che Derek assumeva quando la natura mannara che era in lui prendeva il sopravvento,
amplificando i sensi ed aumentandogli la forza; la forma che lo
contraddistingueva da qualsiasi essere umano.
Trasformarsi durante uno scontro che metteva in ballo due vite era la cosa
principale e più istintiva che si potesse fare. Ma nel modo in cui si stava
porgendo Malia, così circospetto ed inquieto, c’era qualcosa che andava ben
oltre quello. «Non ti riferisci alla sua forma beta, vero?».
L’espressione di Malia divenne mortalmente seria e priva di fraintendimenti
e Stiles sentì i polmoni esplodergli ed il fegato contrarsi. «È un lupo
completo adesso» per te.
Ebbene, non ho proprio idea di dove dovrei
cominciare.
Diciamo soltanto che questo, tutto questo, è
sempre stato un caposaldo della storia, fin dagli albori e che ci ha messo un
po’ ad arrivare, anche se era progettato da tanto tempo.
Loro si comportano da coppietta quale sono, ma
non dicono e poi scoppiano le cose, perché una diga non può reggere per sempre.
Succede ciò di cui Derek ha più paura al mondo
e l’unico posto in cui riesce ad arrivare, ridotto a brandelli com’è, è solo da
Stiles, che è tra l’altro tutta la gran motivazione di quegli incresciosi avvenimenti,
di quella battaglia interiore e corporea in cui Derek si è gettato per
proteggere ciò che ama, ciò che ha il terrore di perdere e che gli venga sottratto
come è già accaduto. Ma è più forte e deleterio e… avviane un cambiamento
sostanziale.
Davvero, Stiles non poteva farla in barba al
proprio padre e perfino lo sceriffo sa cosa sta accadendo tra loro e Stiles…
beh, è difficile ignorarlo adesso. Prima o poi dovrà prenderne coscienza.
Derek è un lupo completo e questo è tutto.
A venerdì prossimo
Antys