Titolo: What
Lies Hidden
Personaggi: Allen,
Lenalee.
Pairing: AllenxLenalee
(implicito).
Rating: Verde
Genere: Angst,
introspettiva.
Avvertimenti: Spoiler,
One-shot.
Note: Questa fanfic è nata così, senza nessun motivo, senza nessuna pretesa. xD E' semplice, diciamo. E' pure corta, per i miei standard. Uh, il titolo è preso dalla traduzione inglese (errata xD) del capitolo 171. Beh, non so più che dire, se non il solito 'Recensite'. Ah, buona lettura!
Disclaimer: D.Gray-man e i rispettivi personaggi non mi appartengono, ma sono di Katsura Hoshino.
What
Lies Hidden
Lenalee
aveva finto a lungo di non notarlo.
Ogni
gesto, ogni parola, ogni sguardo e ogni sorriso; era in tutto
tremendamente
accurato.
Più
che
fingere, però, aveva tentato di convincersi del contrario.
Quella
situazione non le piaceva, per niente.
Proprio
quando aveva iniziato a sospirare e pensare 'finalmente... ora possiamo
tornare
alla vita di prima', era arrivata quella notizia.
Si
sentiva male solo a pensarci, Lenalee.
Si
sentiva male solo ad osservare il diretto interessato mentre cercava di
non far
preoccupare i suoi compagni.
Sentiva
un senso di inquietudine crescerle nel petto ogni qualvolta lui si
voltava –
attirato forse dal suo sguardo – e le sorrideva, come se
nulla fosse. Quegli
occhi cenerei pieni d'angoscia non facevano altro che riflettere una
falsa
felicità e noncuranza per tutta la situazione che si era
creata.
Sentiva
un'ansia enorme prendere possesso di lei quando lo scorgeva assorto nei
suoi
pensieri, mentre fissava con sguardo assente la punta degli stivali.
Aveva
sempre quel sorriso tirato in volto, quella smorfia che tanto la
inquietava.
Allen
non era più se' stesso. Aveva smesso di esserlo da tempo,
ormai, ma non
proferiva parola ad anima viva di quello che gli stava accadendo.
Era
diventato lo spettro di se' stesso.
Non
lo
riconosceva più.
“Se
domani morissi... tu, come reagiresti?”
Una
domanda che premeva di uscire dalla sua bocca sin dalla scomparsa di
Cross, ma
era riuscita a trattenersi nel porla. Si era imposta calma e cautela.
Quel
giorno di gennaio, però, aveva ceduto.
Di
Cross
non avevano notizie ormai da mesi, e Allen sembrava mentalmente
più stabile per
affrontare l'argomento – la scomparsa del maestro aveva
lasciato una ferita
profonda in lui, probabilmente simile a quella lasciata da Mana.
Quel
freddo giorno di gennaio erano in treno, in viaggio per una missione.
Fuori
dai finestrini nevicava.
Dentro
regnava l'assoluto silenzio.
Un
silenzio ovattato. Un silenzio piacevole ed imbarazzante allo stesso
tempo.
Quel
freddo e nevoso giorno di gennaio, Allen era rimasto pietrificato sul
suo
sedile, fissando la compagna in fervida attesa.
“...
Allen-kun?”
Lenalee
lo chiamò con voce bassa, capo inclinato e occhi pieni di
preoccupazione.
Aveva
sbagliato a porre quella domanda, lo sapeva. E già se ne
pentiva.
“Lenalee...”
Abbassò
il capo, si volse verso il finestrino e congiunse le mani, Allen, il
volto che
non trasmetteva alcuna emozione ora.
“Non
importa. Non devi rispondermi ora. Anzi, non devi proprio rispondermi.
Scusa se
te l'ho chiesto, Allen-kun.”
Aveva
sorriso – uno dei suoi sorrisi più calmi e
calorosi – ed aveva lasciato cadere
la questione. Non era quello il momento, probabilmente, per toccare
quell'argomento. Ma, ormai, Lenalee sapeva che quel discorso non
avrebbero
potuto permettersi di evitarlo ancora a lungo. Perché lei lo
aveva visto. Aveva
visto il volto di Allen sfigurato da quello del Quattordicesimo.
E
aveva
paura. Aveva una dannata paura, da quella notte.
“Perché
mi fai questa domanda, Lenalee?”
Sguardo
che non comunica nulla, occhi privi di luce. Allen non era
più Allen.
Quel
ragazzo che aveva di fronte in quel momento era solo una copia del suo
compagno.
Non
era
lui. Non poteva esserlo.
“Perché
io...”, sospirò, iniziando a sudare freddo,
“... io ho paura, Allen-kun.”
Per
un
attimo quegli occhi, che riflettevano il cielo fuori dal finestrino,
furono
attraversati da una luce.
Era
una
luce debole. Ma c'era. Era
viva.
Una
smorfia di dolore balenò sulle labbra pallide del ragazzo e
si trasformò in un
altro sorriso.
“E'
colpa mia, scusa. Perdonami, Lenalee.”
E
Lenalee si alzò dal proprio sedile a quelle parole, andando
ad accomodarsi su
quello opposto.
Appoggiò
il capo sulla spalla del ragazzo, gli strinse una mano e chiuse gli
occhi.
Aveva
paura, anche in quel momento.
“Non
è
colpa tua.”
Strinse
con più forza quella mano.
“Non
scomparire, Allen-kun...”
Trattenne
le lacrime. Doveva essere forte.
Non
poteva più permettersi di tornare ad essere la bambina che
piangeva nel letto,
che scappava da Kanda quando aveva paura di Lvellie o che s'aggrappava
al
braccio del fratello per non andare in missione.
Era
cresciuta.
Era diventata una donna.
“...
ti
prego.”
Lo
sentì
muoversi, mentre la stringeva a se', e Lenalee scorse la sua
espressione
afflitta, senza alcun sorriso.
“...
Allen-kun?”
Morire
per mano di qualche akuma, di qualche
Noah, non la spaventava.
Era
morire
per mano di Allen che lo trovava inconcepibile.