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Autore: Elayne_1812    21/01/2017    2 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma come vi avevo preannunciato i prossimi mesi saranno abbastanza impegnativi per me!
Come al solito inizio con una premessa. Questo capitolo è interamente dedicato a Siwon, Heechul e compagnia. Avendo ricevuto pochi commenti per l’altro capitolo che avevo trattato in questo modo (salvo la scena finale) non posso sapere se la cosa sia stata gradita o meno, spero quindi che la cosa non vi infastidisca. Ho deciso d’inserire questo capitolo sia perché scrivere le parti di Heechul mi diverte parecchio, sia perché mi sembrava doveroso a questo punto della storia in modo mettere le basi per i capitoli successivi.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, e vanefreya. Grazie per il vostro sostegno!
Un grazie ancora più speciale a MagicaAli che mi ha lasciato una recensione a tutti i capitoli che aveva in arretrato <3 Hai una pazienza infinita!
Negli ultimi tempi i commenti che mi lasciate mi danno l’ispirazione per costruire scene all’inizio non avevo programmato, quindi dedico la prima parte del capitolo a Saranghae_JongKey, capirai perché XD
Spero di aver eliminato buona parte degli errori di battitura.
Buona lettura a tutti!
 
 
Capitolo 23
Devil
 
 
“The stars show my fate
And now I desperately want you
All day, I’m in desire and despair,
Everything is just so amazing.”
Super Junior, Devil
 
 
Flashback, metà estate
 
Il caldo e l’umidità erano appiccicosi quanto le ragnatele che si erano incollate ai suoi abiti, ai suoi capelli e al suo viso. Era fradicio di sudore e riconosceva con orrore di avvertire un’ansia crescente prossima ad inghiottirlo, la percepiva nell’aria che respirava, nel fiato caldo dei cani che correvano ringhiando e stridendo i denti, era nel clangore metallico delle armi dei cavalieri alle sue spalle, nella corsa agile del principe davanti a lui. Incombeva su di lui come le fauci fameliche di un lupo, scintillanti in quel fogliame impervio e senza via d’uscita.
Siwon non si era mai sentito così impotente, inutile, perso, perché sì, erano persi in quella boscaglia labirintica fatta di rami pungenti e ragnatele che luccicavano fosforescenti, uniche luci malevole in quella notte tetra. Affrontare un esercito nemico, ritto su un campo di battaglia e con la spada in mano, gli avrebbe dato più conforto. Quello invece era un incubo, un incespicare insensato che sembrava non portarli da nessuno parte. Solo avanti e avanti, ma avanti dove? Aveva fine quel fogliame e se sì, dove conduceva?
I rami gli graffiavano il viso, tiravano e strattonavano come mani scheletriche ed artigliate. Guardò il principe davanti a lui correre, saltare tronchi ed evitare agilmente dei rami, ma i loro inseguitori erano ogni secondo più vicini. Non sarebbero mai riusciti a fuggire, erano persi in labirinto di rami pungenti che, insieme ai loro abiti, facevano a brandelli anche le sue speranze.
Che cosa ho sbagliato? Si domandò Siwon bloccandosi di colpo.
Come aveva potuto condurre il suo principe per quel sentiero impervio e senza via d’uscita? Si passò una mano tra i capelli sudati. Stava davvero fallendo e infrangendo un giuramento sacro al quale aveva consacrato la propria vita?
-Siwon? – la voce del principe giunse flebile, ansimante e stanca.
Siwon lo guardò voltarsi verso di lui, il viso arrossato e sudato per la corsa, i capelli appiccicati alla fronte ed il mantello ridotto ad uno straccio. La guardia del corpo ebbe un tuffo al cuore.
Con quale coraggio, no, con quale senso di irresponsabilità l’ho condotto sin qui?, si chiese.
Era stata una follia, l’aveva sempre saputo.  Tuttavia, alla fine aveva acconsentito, la voce accorata dell’altro, gli occhi lucidi quasi supplicanti, il vederlo ogni giorno sempre più stretto in un angolo solitario che man mano lo soffocava…non poteva più permetterlo. Era il suo protettore, dopotutto, non il suo carceriere.
Da tempo Siwon non sapeva più cosa fare per proteggerlo. Si sarebbe frapposto ad un esercito per lui ma cosa poteva fare contro le ombre, contro il senso d’oppressione e vuoto che divorava il suo lord da dentro? E cosa poteva fare contro il lord di Busan al quale il principe era stato promesso? Non aveva alcun potere contro di lui, né il diritto di difendere l’altro. Condurlo lontano poteva davvero essere l’unica soluzione. Tuttavia, innanzi all’ignoto che si dispiegava davanti e intorno a loro, con solo la certezza di ciò che avevano alle spalle, un brivido lo agitò come una foglia al vento. Si chiese se, alla fine, non avesse acconsentito per provare a sé stesso di mantenere fede al giuramento.
La sua mano cercò l’elsa della spada che teneva al fianco.
Ora, non vi era più nulla che potesse fare se non guardargli le spalle e sperare che il principe raggiungesse la fine di quel dedalo impervio, che seguisse il filo rosso del suo destino.
-Andate! – disse estraendo la spada, mentre Kyuhyun ed i suoi spuntavano tra i tronchi.
-Ma…-
Il principe lo fissò interdetto, gli occhi sgranati e prossimi al panico. Siwon lo vide mordicchiarsi il labbro e stropicciarsi le mani.
-Andate! – gridò spingendolo.
Il principe gli lanciò un’ultima occhiata prima di sobbalzare e sparire nella boscaglia.
Siwon divaricò leggermente le gambe in cerca di stabilità, si umettò le labbra e assottigliò gli occhi per fendere l’oscurità dilagante. La cosa più luminosa che incontrò fu il sorriso irritante di Kyuhyun che avanzava rilassato, quasi scivolando tra le ombre. Siwon fece per flettersi sulle ginocchia e alzare la spada quando una freccia sibilò nell’aria, volteggiò con orrore inseguendo ad occhi sgranati la traiettoria del dardo che correva in direzione del principe. Solo quando lo vide conficcarsi in un tronco il suo cuore riprese a battere ed il sangue a fluire nelle sue vene.
-Sei impazzito? – sentì urlare Kyuhyun isterico ad un cavaliere, -è il principe, vuoi forse ucciderlo? –
Kyuhyun tornò poi a rivolgergli la propria attenzione, i tratti isterici mutati in una maschera di compiacimento. Sollevò la lama puntandola verso di lui e Siwon strinse con più forza l’elsa della propria.
-Mandate avanti i cani e inseguitelo, forza! – ordinò Kyuhyun ai cavalieri, senza staccare gli occhi da Siwon.
Le iridi della guardia del lord di Busan lampeggiavano come quelli di un lupo, le labbra di ripiegate in un ghigno soddisfatto.
-Dovresti arrenderti – disse in tutta tranquillità. – Andiamo, non sarai così stupido da credere che questa fuga insensata possa portarvi da qualche parte, vero? –
Siwon non rispose, cosa avrebbe potuto dire? Erano in trappola o persi, oppure entrambi.
Con movimento agile e preciso si scagliò contro il suo eterno rivale. Delle foglie caddero dai rami all’intorno e dei rametti si spezzarono.
Quale modo migliore di dar seguito alle proprie intenzioni se non facendo danzare la spada? Siwon non aveva mai amato perdersi in chiacchere futili e preferiva di gran lunga i fatti.
Kyuhyun saltò all’indietro digrignando i denti, ruoto su sé stesso e, come Siwon si aspettava, non perse tempo nel mostrare la propria maestria.
Le loro lame mulinarono e fendettero l’aria alternando stoccate e parate. I loro piedi si muovevano sulla sterpaglia in movimenti prima lenti e studiati, poi complessi e simili ai passi di una danza frenetica sulle note del metallo cozzante.
Siwon scordò il ringhiare dei cani e le urla dei cavalieri. La sua mente era unicamente concentrata su Kyuhyun, le sue gambe rapite da quel balletto assurdo e gli occhi fissi sul brillio delle spade.
Poi bastò un urlo terrorizzato che s’alzò sulle chiome aggrovigliate degli alberi per infrangere la trance in cui era stato inghiottito. Sobbalzò, riconoscendo in quel suono la voce del principe e poi fu un attimo, un piede incapace di seguire quella danza mortale, la perdita del ritmo, le note metalliche che iniziano a stonare e perdersi nella notte. Un attimo e il sipario cala, la musica si fa ovattata e il silenzio riempie l’aria. Niente applausi, niente grida esultanti…dopotutto, chi esulterebbe mai per un ballerino che inciampa nei suoi stessi piedi, che scivola e cade gettando in ridicolo l’intera performance? Nessuno. Tutto ciò che sentì fu il freddo del metallo sul suo fianco, sostituito poi dal calore umidiccio e dell’odore pungente del sangue.
La voce dal timbro serpentino di Kyuhyun gli giunse alle orecchie insieme al suo fiato caldo ma, nonostante questo, un brivido lo percorse come se una lingua biforcuta gli sfiorasse il lobo.
-Un ballerino che non si regge sulle sue gambe è inutile. -
 
Fine flashback…
 
 
Il sobbalzare del veicolo a quattro ruote lo strappò dalle braccia di Morfeo e fu una condanna ed una consolazione al contempo. Il suo corpo riprese sensibilità, così spossatezza e testa martellante gli diedero il benvenuto nel mondo reale. Lentamente, Siwon aprì gli occhi e la luce che filtrava dalle tendine di velluto rosso della carrozza lo ferì quanto una stilettata. Qualcuno picchiò iroso sul tetto del veicolo. Era come essere rinchiuso sotto una campana di bronzo ed avere la sensazione che ogni colpo rintocchi nella propria testa.
-Fai attenzione -, gridò una voce che il cavaliere riconobbe essere quella di Kyuhyun.
Aish…, pensò Siwon mugugnando e massaggiandosi il capo.
Che cos’era accaduto? Ricordava la foresta, i cani e i cavalieri…e poi…
No no, pensò, questo è stato prima, molto prima.
Pian piano, la sua mente rimise insieme i ricordi come tante tessere di un puzzle e si domandò come un sogno, o meglio un incubo, per quanto reale potesse risultare così fuorviante al risveglio. Come poteva dimenticare i mesi passati nelle prigioni del palazzo reale di Soul, il caldo umido e soffocante dell’estate, l’aria sottile e fredda dell’autunno che aveva portato dalla feritoia della sua lugubre dimora i resti di foglie morte, mesi che aveva passato in catene, il torso scoperto percorso da sangue e sudore che, pian piano, era gelato in brividi? E poi era giunto quell’inverno gelido, il ferro arrugginito e graffiante delle catene si era assottigliato, il suo corpo sempre più magro era scivolato a terra per accartocciarsi in un angolo come un foglio di carta. La sua unica consolazione era stata una coperta pungente che lo riscaldava appena.
Infine, delle mani a lui sconosciute e rudi l’avevo tratto da quel buco fetido ripulendolo e vestendolo per poi gettarlo su quella carrozza.
Non aveva avuto né la forza, né la voglia di chiedere dove fossero diretti e per quanto ne sapeva poteva essere il patibolo la sua destinazione. Aveva contato i minuti, uno ad uno, per capire quanta strada avessero percorso, ma l’oblio l’aveva avvolto, lentamente ed inesorabilmente.
Ora, Siwon non aveva idea di quanto tempo fosse passato, tanto sospettava. Troppo perché fosse il patibolo la sua destinazione. Non sapeva se sentirsi sollevato o intimorito. La morte poteva essere una liberazione da quell’incessante martellare del capo, dalle membra spossate e dalle articolazioni doloranti. Inoltre, gli veniva in mente un’unica altra destinazione possibile...la prigione più temuta del regno, quella a cui erano destinati i peggiori assassini e traditori. L’inferno di Pyongyan[1] lo stava forse aspettando? E quale nauseabondo buco gli sarebbe stato riservato, un pozzo forse? Pareti alte e strette che lasciavano intravedere oltre una grata derisoria lo splendere di una luna ormai impossibile d’ammirare se non attraverso le sbarre?
-Vedo che ti sei svegliato – risuonò divertita la voce di Kyuhyun.
Siwon alzò lo sguardo e si mise a sedere composto. Kyuhyun l’osservava da sotto la frangia lunga, una mano che tamburellava sul ginocchio e l’altra rilassatamente posata sul davanzale della finestrina della carrozza.
-Non temere -, proseguì, - ti stiamo portando in un posto speciale. Il mio padrone si è premurato che tutto fosse preparato con cura in attesa del tuo arrivo. –
-Dove? –
Siwon stentò a riconoscere la propria voce, perché ciò che era appena fuoriuscito dalle sue labbra screpolate e sanguinanti sembrava più lo scricchiolare di foglie secche.
Un sorriso balenò sul volto dell’altro.
-Busan –
Busan, pensò Siwon. Quale assurdo piano avevano in mente per strascinarlo a Busan?
-Guarda – fece Kyuhyun scostando la tendina.
Siwon si sporse leggermente, la schiena dolorante.
Tornerò mai lo spadaccino di un tempo, si chiese?
Il profumo della salsedine l’investì in pieno. Sbirciò fuori schermandosi gli occhi con una mano. Un sole freddo e color platino osservava vigile il porto della città in pieno fermento. Il mare era placido, appena pettinato dal vento gelido che soffiava da nord, l’azzurro spennellato dalla spuma che scorreva sulla superficie, simile a sottili ricami di pizzo. Le navi erano rare in quella stagione e le poche attraccate impressionavano per dimensioni e magnificenza, le grandi vele bianche gonfie del profumo della salsedine e di una pungente brezza invernale.
La carrozza procedette sulla strada lastricata al ritmo degli zoccoli dei cavalli, risalendo la via principale. Siwon intravide, oltre le pagode lignee e colorate, svettare il sontuoso palazzo dei Kim di Busan, un tripudio di marmo e oro, pinnacoli e cupole lucenti che spezzavano l’azzurro terso del cielo.
Giunti davanti al portone si chiese se, davvero, Pyongyan non sarebbe stata una meta preferibile. Essere seppellito vivo in un buco a morire di stenti o essere usato per piani contorti di lord Heechul? Davvero era una scelta ardua ma, dopotutto, lui aveva ben poco da scegliere.
 
 
***
 
 
Un sospiro leggero fuoriuscì dalle labbra carnose del lord. Con gli occhi chiusi, i tratti distesi ed il corpo rilassato elegantemente adagiato su un’ampia poltrona foderata di velluto rosso, sembrava apparentemente addormentato e solo i movimenti molli della mano affusolata che scorreva sul pelo grigio lucido del felino, che faceva le fuse sulle sue gambe, tradivano il fatto che era sveglio. La mente di Heechul aveva, per poco, deciso di abbandonare il flusso contorto dei complotti che stava abilmente intrecciando in un nodo complesso ed affasciante. Voleva solo rilassarsi, lasciarsi trasportare dalle note suadenti emesse dalle dita piccole e sottili del giovane che suonava seduto a gambe incrociate su un cuscino di seta. Una musica dolce e sensuale capace di traghettarlo in un mondo onirico, dove tutti i suoi desideri erano appagati. Se teneva gli occhi chiusi poteva immaginare ciò voleva e, per incanto, le pareti della sua dimora mutavano in quelle del palazzo reale, le tende rosse e oro che drappeggiavano le ampie vetrate si tingevano di blu e argento, così come i tappetti e il mobilio. Le mani del giovane ai suoi piedi divenivano più eleganti, più abili, gli occhi più sottili e magnetici, le labbra più rosa, la chioma più corvina e la pelle più candida. Le labbra di Heechul s’inclinarono appena in un sorriso, mentre quelle mani aggraziate scivolavano sulle corde del kayagun[2].
-Mio lord –
La voce di Kyuhyun lo riportò in sè. Aprì lentamente gli occhi per godere di quegli ultimi istanti di piacere sublime, per scoprire, infine, che ogni drappo all’intorno, mobile e tappeto era rosso e oro, così come il cuscino di seta su cui il giovane ai suoi piedi era adagiato. In quello stesso istante la musica cessò, smorzandosi in un singulto strozzato e stonando con la perfezione di poco prima. Le iridi ambrate di Heechul incontrarono la figura elegante ai suoi piedi avvolta in un corto hanbok di seta blu appena sprezzato da ricami argento e oro. Quando il giovane alzò lo sguardo il sorriso di Heechul mutò in un lampo di disappunto, appena addolcito dal sorriso accondiscendente che lo seguì.
-Vai – gli ordinò con gesto annoiato della mano che, subito dopo, tornò ad accarezzare il gatto.
Heebum fece le fusa socchiudendo gli occhietti giallognoli.
Il giovane si alzò e sorrise con un misto di irriverenza e dolcezza appena simulata, s’inchinò e sparì oltre le porte dell’ampio salone.
Heechul arricciò il naso. Per quanto si fosse sforzato di addestrarlo, un gatto randagio non avrebbe mai potuto eguagliarne uno di razza. Quei sorrisi irriverenti non avevano alcuna eleganza e non accendevano in lui alcuna eccitazione, a meno che non fossero già impegnati in ben altre effusioni, e quei sorrisi dolci erano finti quanto l’apparente innocenza del giovane. Era come ammirare un campo fiorito da lontano, per poi avvicinarsi ed accorgersi che è solo erbaccia.
Non si può ricreare la perfezione, pensò.
Finalmente, il lord decise di concentrarsi unicamente suoi nuovi arrivati ed un sorriso divertito gli sfuggì a fior di labbra.
Kyuhyun era ritto in piedi nel suo completo rosso e oro che denunciava la sua fedeltà ai Kim di Busan, la mano orgogliosamente posata solo pomo della spada che pendeva al suo fianco. Non aveva un’espressione rilassata, ma Heechul riconobbe che i suoi tratti risultavano molto più distesi rispetto al solito. Dopotutto, il cavaliere aveva avuto ben poco di cui vantarsi negli ultimi tempi. Tutto ciò che aveva ottenuto dall’ultima missione degna di nota era stato portargli la conferma che il principe era prigioniero dei ribelli.
Heechul represse un verso di stizza. Una conferma importante, ma tutto sommato abbastanza inutile da rifilare all’imperatore, dato che già aveva utilizzato quella scusa per giustificare la scomparsa del principe. Il lord assottigliò gli occhi. La sua situazione a Soul diveniva sempre più precaria.
Spostò lo sguardo su Siwon e questa volta dovette utilizzare tutto il suo autocontrollo per non ridere. L’impeccabile guardia del corpo era ridotta ad uno straccio, gli abiti consunti e macchiati, la barba incolta ed i capelli scarmigliati. Sembrava un cane randagio. A vederlo così nessuno avrebbe mai detto che era, o forse era stato, la guardia del corpo dell’erede al trono. Tuttavia, oltre quella barba incolta, quel viso smagrito e le occhiaie profonde, ciò che stonava di più era l’assenza della sua fedele spada al fianco. I suoi occhi, invece, rimanevano inalterati brillando di una luce metallica e belligerante.
-Siete disgustoso – fece Siwon con voce alterata da mesi di mutismo.
Le labbra carnose di Heechul si deformarono in una smorfia, tuttavia si lasciò scappare una risata di fronte al puro ribrezzo trasparito dalle parole Siwon. Naturalmente, al cavaliere non era sfuggita la lieve somiglianza tra il giovane ed il suo principe, così come al lord non era sfuggita la momentanea esitazione e sorpresa dell’altro.
Heechul non poté fare a meno di trovare tutto molto esilarante.
-Sono un uomo innamorato – si ritrovò a dire in un sospiro.
-No, siete solo un uomo perverso. -
Il sogghigno di Heechul si tramutò in una smorfia. Sapeva essere immune agli insulti, ma questo era davvero troppo, soprattutto se era quel cane ad abbaiare! Quanto lo odiava! Ma gli serviva, ecco perché l’aveva fatto condurre lì.
Il lord strinse il bracciolo della poltrona, poi emise un sospiro e distendendo i nervi si alzò. Heebum saltò sul pavimento di marmo, accompagnato dal tintinnare della campanellina dorata appesa al collo, si strusciò sulle gambe del padrone e, leccandosi la zampetta grigia, iniziò a dedicarsi alla toilette mattutina.
Heechul incrociò le braccia e si umettò le labbra. – Dovresti essere più cortese con il tuo benefattore -, disse sospirando con finto rammarico.
Solo il leggero inarcarsi di un sopracciglio tradì il viso marmoreo di Siwon.
-Benefattore? – domandò poi, - mi avete fatto torturare a lasciato mesi a marcire in una cella. –
Heechul mise le mani avanti. – Perdono, perdono…vedi -, disse massaggiandosi le tempie, - sono una persona molto impegnata. –
Si picchiettò l’indice sulle labbra. – Temo di essermi scordato di te ad un certo punto. –
Siwon rimase impassibile. Rispondere alle pagliacciate del lord non aveva alcun senso, tanto meno gli interessava. L’aveva fatto condurre lì per una ragione precisa, contorta con ogni probabilità, ma certamente non per buon cuore dato che non ne aveva uno. Dimenticato di lui non era la definizione appropriata, divertito all’idea di saperlo rinchiuso, forse, o indeciso su cosa fare di lui, ma non dimenticato. Lord Heechul non dimenticava mai nulla, tanto meno se si trattava di una pedina che poteva usare a suo vantaggio.
Heechul allargò le braccia. – Ti offro la mia ospitalità. Decisamente meglio di una cella, dico bene? – disse accennando al lusso del palazzo.
Il cavaliere squadrò il lord, senza degnarsi d’ammirare il vasto salone che li circondava.
Il pavimento di marmo riluceva in un alternarsi di piastrelle bianche e rosse, le pareti erano intonacate di porpora ed impreziosite da sottili motivi dorati. Un grande camino di marmo bianco dalle spesse volute laterali riscaldava l’ambiente arredato con mobili ricercati verniciati d’oro, poltrone e divani foderati di velluto rosso, tavolini dai piedi leonini ed i piani impreziositi da intarsi in madreperla. Dei poderosi vasi di ceramica troneggiava ai quattro lati della sala rischiarata dalle vetrate ad arco che incorniciavano il porto, simili a grandi quadri prospettici drappeggiati da tendaggi porpora. Tutto sfavillava dei colori dei Kim di Busan e dello sforza che contraddistingueva la più alta nobiltà di Chosun.
 -E a cosa devo tutta questa…generosità? –
Per un attimo, quando aveva visto quel giovane, aveva creduto di aver ritrovato il suo principe. Per quanto saperlo a Busan gli avesse fatto stringere il cuore in petto, saperlo vivo gli aveva dato conforto. Tuttavia, aveva dovuto ricredersi e se da un lato ne era stato sollevato, dall’altro percepiva una profonda preoccupazione.
Heechul tornò ad incrociare le braccia passeggiando all’intorno con fare pensoso. Il suono dei suoi passi, per quanto leggeri, riecheggiò nella sala.
-Devo ammettere che ero molto adirato con te, ma riconosco che ogni tua azione è stata dettata dalla fedeltà che porti al tuo padrone. Decisamente ammirevole -, disse guardandolo negli occhi con approvazione.
Di nuovo, Siwon non tradì alcuna emozione.
-Tuttavia, ti sarai reso conto di quanto questa tua fedeltà abbia portato unicamente al disastro. –
Il cavaliere fremette invaso da un’ansia sottile, riconoscendo della verità nelle parole odiose dell’altro. Siwon era stato consapevole sin dall’inizio di quanto il piano di fuga del principe fosse pericoloso, ma malgrado i tentativi di persuaderlo l’eccessiva fiducia in sé stesso l’avevano portato a cedere. Poi tutto era precipitato. Da mesi sopravviveva nella completa ignoranza, una tortura ben peggiore di quelle che gli erano state fisicamente inflitte. 
Heechul scosse il capo e sospirò. – Oh povero Bummie -, fece affranto.
Questa volta Siwon non riuscì a trattenersi. Cos’era successo, perché lui era lì e del principe non vi era traccia, se non uno scadente surrogato per il diletto di quel pazzo?
-Dov’è, cosa gli è successo? – domandò serrando i pugni.
Heechul emise l’ennesimo sospiro afflitto e questa volta la furia di Siwon si rivelò incontenibile. Scattò verso il nobile afferrandolo per il colletto merlettato e sollevandolo di pochi centimetri da terrà.
-Parla! – gli urlò in viso prima di ritrovarsi la lama di Kyuhyun puntata alla gola.
Heebum soffiò artigliandogli le caviglie.
Siwon deglutì, la tempia pulsante e prossima da esplodere. Che cosa gli era preso? Era sempre stato calmo e controllato imponendosi di tenere sotto controllo il proprio istinto che, in quel momento, gli suggeriva di ridurre il volto ghignante di lord Heechul in una poltiglia di sangue ed ematomi.
Calmati, s’impose.
Lentamente lo lasciò andare. Heechul si spolverò la giacca di velluto rosso e ravvivò lo spumoso merletto del colletto, poi, come se nulla fosse, tornò a sorridere, benché il suo più grande desiderio fosse quello di vedere la testa si Siwon su un piatto d’argento. Ma l’aveva condotto sin lì per ammansirlo, renderlo collaborativo e fargli abbassare la guardia una volta ripreso Kibum e, come si dice, chi ben inizia è a metà dell’opera. Tuttavia non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una frase spezzante, seppur pronunciata in tono accondiscendente.
-Tutti quei mesi in quel “canile” e senza padrone ti hanno inselvatichito -, osservò, -ma non temere, ora che sarai mio ospite avrai modo di riprendere dimestichezza con le buone maniere. –
-Dov’è? – ripeté Siwon, - ditemi che è vivo. –
-Sua grazia è stato rapito dai Ribelli. –
Gli occhi di Heechul lampeggiarono di fronte al boccheggiare del cavaliere il quale si passò una mano tra i capelli scarmigliati.
-Ma è vivo, non temere -, disse sedendosi comodamente su un divanetto. –Quella plebaglia è molto più astuta di quanto molti non abbiano il coraggio di ammettere. –
Heechul accavallò le gambe e rilassò la schiena sui cuscini. Heebum saltò sulla testata del divano facendo le fusa contro il suo capo.
-Conoscono il valore dell’erede al trono, non si azzarderanno a fargli del male. -
-Hanno chiesto un riscatto? – domandò Siwon, serio.
Heechul represse un sorriso vittorioso, conscio di avere attirato l’interesse del cavaliere. Dopotutto, ora, non erano entrambi dalla stessa parte, non volevano la stessa cosa: Kibum vivo e tra le pareti sicure di un palazzo?
-No, ma non si lasceranno di certo scappare la possibilità di usarlo per i loro scopi abietti –, rispose.
L’ultima parola gli fece guadagnare un’occhiataccia da parte dell’altro.
-Come vedi sei stato sciocco ad assecondare il principe. –
Heechul allungò una mano verso il tavolino di fronte a lui e si versò del tè. Il liquido scivolò fumante da una teiera d’argento ad una tazzina altrettanto preziosa e raffinata.
-Oh, che sbadato – fece, - non mi sono nemmeno premurato di offriti del tè ed invitarti a sedere. –
-Potete tenervi il vostro tè e le vostre premure, desidero solo salvare sua grazia e assicurami che sia al sicuro -, disse Siwon tra i denti.
Il lord roteò gli occhi e si portò la tazza fumante alle labbra.
-Credevo di essere stato chiaro sulle buone maniere. Comunque -, proseguì aggiungendo una zolletta di zucchero al tè, - per una volta mi torvi d’accordo.  Nulla è più importante dell’incolumità di sua grazia. Il mio povero e dolce Kibummie deve essere terrorizzato, ma di questo non hai che da biasimare te stesso. –
Heechul gli rivolse un’occhiata obliqua per testare l’effetto delle sue parole sul cavaliere ed esultò silenziosamente tra sé. Siwon aveva un’espressione affranta e fissava il pavimento, perso nel suo triste riflesso sul marmo.
-Kibummie è come un bambino, capriccioso, infantile e tu hai assecondato i suoi desideri folli spuntati da tutti quei libri che leggeva. –
La guardia del corpo fremette dalla tentazione di frantumare il volto di quell’insopportabile damerino pieno di sé. Ma, soprattutto, il rendersi conto che quelle parole rispecchiavano un fondo di verità lo faceva infuriare ancora di più. Il principe era sempre stato immerso in un mondo diverso, tagliato fuori dal mondo reale e assorbito in uno fatto di libri, storie… Siwon allontanò un sorriso triste. Quei libri erano stati per l’altro la sua l’unica forma di evasione, gli unici compagni di giornate infinitamente solitarie. Lo vedeva chino sull’ennesimo volume, assorbito in carta e inchiostro come se potessero trasportarlo in un altro universo.
Siwon sapeva quanto il mondo fosse diverso da come il principe sperava, ma aveva sperato di essere al suo fianco quando l’avesse scoperto. Invece l’aveva perso.
Siwon alzò il capo, deciso. Non gl’importava se lord Heechul era una serpe dalla quale bisognava guardarsi costantemente, il principe era in pericolo e non aveva alcuna intenzione di starsene con le mani in mano.
-Se me lo permettete andrò a cercare i ribelli e lo riporterò a Soul. –
Heechul lo soppesò attentamente. Sapeva che il cavaliere avrebbe avanzato quella richiesta, ma non aveva alcuna intenzione di fargli una tale concessione. Per quanto far leva sui sentimenti di Siwon fosse da sempre rientrato nei suoi piani non poteva arrischiarsi sino a quel punto. Certo, mandarlo nei dintorno di Hanamsi poteva fargli risparmiare tempo, puntare sull’abilità dell’altro e sulla fiducia che il principe riponeva nella sua guardia, ma poteva anche rivelarsi un totale disastro. Cosa gli assicurava che una volta in salvo, Kibum non si rivelasse così testardo e sprovveduto dal non riconoscere l’assurdità della propria fuga e convincere Siwon a lasciare il regno?
Heechul si mordicchiò le unghie. No, non era disposto a correre un simile rischio. Siwon era utile, ma non così. Era una lama a doppio taglio che doveva essere maneggiata con estrema cura.
-No, non farai nulla di tutto ciò. Sarò io a preoccuparmi della mia dolce e capricciosa metà, tu starai qui come mio ospite in attesa del suo ritorno. –
Siwon lo fissò interdetto. La sua presenza lì continuava a risultargli assurda e questo non faceva che aumentare la sua preoccupazione e diffidenza.
-Perché mi avete condotto qui? – chiese alla fine.
Heechul si alzò e incrociando le braccia passeggiò per la sala.
-Per quanto ti ritenga irritante, sei pur sempre il cavaliere del principe e per Kibum sarà positivo riaverti al suo fianco. –
Heechul avrebbe desiderato mordersi la lingua, ma se voleva ottenere dei risultati doveva quanto meno fingere di sopportare quel cane.
Heechul non aveva ancora definito i suoi piani nel dettaglio, ma aveva da tempo raggiunto la conclusione che tenere in prigione Siwon era poco produttivo. Kibum non glielo avrebbe mai perdonato, tanto meno se il cavaliere fosse perito in una cella, e rivederlo lo avrebbe forse reso più malleabile e meno diffidente nei suoi confronti. Al fine di ottenere il favore di Kibum era uno sforzo che poteva compiere.
Dopotutto, pensò umettandosi le labbra, il piacere che potrei ricavarne sarà di gran lunga maggiore.
D’altra parte Siwon si sarebbe presto reso conto che aver tentato di condurre il principe fuori dal regno era stato un totale disastro. Inoltre, considerati i recenti sviluppi, sarebbero stati davvero degli sciocchi a riprovarci.
Heechul sperava che i mesi di prigionia rendessero entrambi più collaborativi e docili. Avrebbe offerto la sua spalla a Kibum per riprendersi da quell’esperienza traumatica e si sarebbe dimostrato accondiscendente con Siwon al fine di fargli abbassare la guardia. Un piano semplice e logico che avrebbe, lentamente, piegato entrambi al suo volere.
-Kyuhyun, conduci il nostro ospite nelle sue stanze. –
Ne aveva abbastanza di quella conversazione.
Tra i due cavalieri intercorse una silenziosa battaglia di sguardi, sembravano lupi pronti a saltare l’uno al collo dell’altro.
-Mi aspetto che andiate d’accordo – disse Heechul con una punta di divertimento.
Heechul si spostò verso l’ampia vetrata, unì le mani dietro la schiena e volse lo sguardo alla sua città. Finalmente, aveva di nuovo un po' di tranquillità. Il cielo era azzurro e splendente, il sole simile ad un disco platinato e gelido quanto l’aria che soffiava gonfiando le vele bianche accecanti delle navi ed i vessilli colorati sugli alberi maestri, piccole figure s’aggiravano per le strade, simili a formiche strette nei mantelli alla ricerca di un briciolo di tepore. I raggi quasi metallici del sole invernale s’infrangevano sul marmo dei palazzi della nobiltà e sulle tegole d’ardesia delle pagode laccata con colori sgargianti. Dall’alto del suo palazzo, Heechul poteva vedere tutto questo sino a perdersi nell’orizzonte blu e azzurro dove mare e cielo si fondevano. Una visione pacifica, calma, rilassante e capace di stendere i nervi più tesi, sarebbero bastate solo quelle note melodiose vibrate da mani eleganti per avvolgerlo, ancora, in un sogno ad occhi socchiusi. Tuttavia, non era quel panorama freddo e luminoso che voleva ammirare, né il suo sguardo vedeva davvero l’orizzonte appena sfumato da nubi bianche e sottili. In realtà era perso in visioni immaginarie che, poco a poco, lo calamitavano verso un desiderio sempre più irrefrenabile fatto di occhi calamitici che voleva possedere e domare, avvolgendoli in spire apparentemente benevoli e rassicuranti. Heechul non chiedeva di meglio, la sola idea di avere Kibum ai suoi piedi lo allettava parecchio e sperava davvero di non dover usare le maniere forti, sarebbe stato un vero peccato rinunciare alle fusa spontanee di quel micetto che agognava, ormai, in modo quasi ossessivo. Kibum gli apparteneva di diritto e intendeva riprenderselo per farlo finalmente suo. Non poteva più aspettare, ogni giorno era una tortura e la brama di possederlo sempre più forte al punto che lo sognava la notte, udiva la sua voce in un alternarsi di acido sarcasmo e miagolii ansimanti che solo lui doveva provocargli.
Un’ombra passò sul viso del lord. Non vedeva l’ora che l’inverno giungesse al termine per recarsi a nord e prendere in mano la situazione, se solo le strade lo avessero premesso si sarebbe già trovato da settimane su una carrozza in quella direzione. Dei solati che aveva mandato in ricognizione vicino ad Hanamsi non aveva più avuto notizie e ciò gli faceva presagire il peggio. Quei Ribelli erano astuti e molto più organizzati del previsto a differenza di ciò che molti nobili si ostinavano a sostenere. Heechul intendeva muoversi a nord con diversi soldati e prendere residenza ad Haehwan[3], il palazzo estivo riservato all’erede al torno, dove ufficialmente si trovava Kibum. La sua posizione strategica lungo l’Han, nei pressi di Hanamsi, lo rendeva un ottimo quartier generale dal quale agire, inoltre in qualità di promesso poteva facilmente giustificare la sua presenza lì.
 Ma doveva pazientare, sperava solo che la primavera giungesse presto. Intanto, aveva altri piani che richiedevano la sua attenzione a Busan e a Soul.
 
 
***
 
I giardini del palazzo di Busan erano forse i più curati del regno, se si escludeva quelli del palazzo reale. Nulla era lasciato al caso e anche dove la natura sembrava primeggiare o i sentieri si perdevano in curve complesse, quasi labirintiche, tutto era perfettamente studiato per conferire ordine logico. Ora, tutto pareva gelato, morto, ma poche settimana e finalmente i giardini si sarebbero tinti delle sfumature delle più di mille specie di rose che ospitavano. Anche Heechul non voleva lasciare nulla al caso, le sue trame erano come i sentieri di ghiaia gelata che si dispiegavano tra i roseti dormienti che, proprio come lui, attendevano la primavera per sbocciare in un prevalere di rosso scarlatto e profumi soavi. Heechul amava passeggiare per quei sentieri, seguirli era come rincorrere i fili intricati dei suoi pensieri che, spesso, sembravano correre davanti a lui senza dargli tregua. Così, in quelle situazioni si rifugiava lì per dare un senso logico ai mille fili che aveva teso ed uscire da quel labirinto che era la sua stessa mente.
Tuttavia, quel giorno non era solo e al suo fianco passeggiava un’altra persona i cui passi militareschi facevano scricchiolare la ghiaia ad un ritmo cadenzato e snervante.
Heechul alzò gli occhi al cielo che riluceva di riflessi perlati, mentre il sole giocava a nascondino tra nubi grigie dalla consistenza di veli sottili. L’aria odorava di neve, un fatto strano per una città costiera come Busan e relativamente calda anche nei mesi invernali. Heechul fu percorso da un brivido sia di freddo che di eccitante aspettativa. L’idea di vedere la neve scendere di Busan lo incuriosiva, ma per qualche strano motivo lo metteva anche in ansia, come se quel fatto strano presagisse qualcosa di funesto.
Il lord sorrise tra sé. Stava diventando paranoico.
Volse lo sguardo al colonnello dell’esercito imperiale di Chosun che camminava al suo fianco. Benché l’uomo non indossasse l’uniforme la sua ascendenza militare traspariva limpida come un ruscello di montagna. Posava rigido e ritto come un palo, lo sguardo duro e la mascella serrata, solo gli occhi tradivano un crescente lampeggiare.
-Dunque – fece il colonnello schiarendosi la voce, - se appoggerò la vostra posizione avrò quell’avanzamento e quei possedimenti, è così? -
Heechul era davvero indeciso: ridere o riservare a quell’uomo uno sguardo sprezzante? Probabilmente nessuna delle due opzione avrebbe giocato a suo vantaggio, così gli rivolse un sorriso rassicurante per poi rispondergli serio e pacato, l’unico vero linguaggio che i soldati comprendevano.
-E’ solito per me mantenere le promesse che faccio, colonnello Kang, soprattutto se coloro che ne devono beneficiare si dimostrano degni di fiducia. Voi siete sotto ogni punto di vista un uomo valoroso e degno di fiducia -, aggiunse.
Una buona dose di lusinghe era spesso l’arma migliore, infatti Kang gonfiò il petto con orgoglio.
Heechul provava un certo disprezzo. Tutti erano pronti ad accaparrarsi la propria fetta di torta a qualunque costo, ma nessuno dotato del fegato necessario per afferrarla da solo. Lui era diverso, sapeva ciò che voleva e intendeva prenderselo con ogni mezzo, facendo affidamento unicamente sulla propria astuzia e spregiudicatezza. Ma, dopotutto, quelli come lui avevano bisogni di gentaglia ambiziosa e sciocca per tessere le proprie trame, erano pedine necessarie ed Heechul non aveva alcun remore ad usarle come tali.
In segno di ringraziamento, l’uomo si profuse in un rigido inchino.
Heechul lo guardò di sottecchi unendo le mani dietro la schiena.
Il colonnello Kang ricopriva una delle cariche più alte dell’esercito imperiale e da anni attendeva una promozione e dei possedimenti dei quali non vedeva ancora l’ombra. Decisamente un uomo frustrato e sul piede di guerra. Heechul intendeva dargli tutto questo in cambio del suo appoggio. Avere un alto grado dell’esercito dalla propria parte non era di certo un vantaggio da sottovalutare.
-Il generale Yoon gode dei massimi favori di sua maestà, ma non si può dire lo stesso all’interno dell’esercito. I suoi metodi severi e le sue idee belligeranti verso il regno di Nihon l’hanno portato ad inimicarsi sia molti degli alti ufficiali, sia molti soldati semplici. Confido di trovare facilmente sostegno quando sarà il momento opportuno -, disse Kang.
Heechul annuì tra sé continuando a passeggiare. Una volta spirato l’imperatore intendeva ottenere l’immediato controllo della capitale e del palazzo di Soul, non poteva rischiare che il generale o qualche nobile troppo ardito che non aveva incluso nei suoi complotti approfittasse della situazione. Sarebbe stato un momento cruciale, soprattutto data l’assenza di una figura di riferimento a Soul. Il principe era lontano e lui intendeva trovarsi ad Haehwan nel momento stesso in cui l’imperatore fosse passato a miglior vita. L’unico modo per avere sotto controllo la situazione era ottenere la fedeltà dell’esercito e portare parte dei suoi soldati di Busan a Soul.
Il colonnello Kang era l’uomo che faceva al caso suo.
-Quando il nostro amato imperatore ci lascerà mi aspetto che voi ed i vostri sostenitori prendiate il controllo della città e del palazzo, vi invierò dei soldati da Busan a supportarvi. Non voglio correre il rischio che qualcuno approfitti della situazione per derubare sua grazia il principe e me della nostra posizione gettando il regno nel caos. Il regno di Nihon ci sta già sufficientemente con il fiato sul collo. –
Kang annuì.
Heechul lo fissò dritto negli occhi, della brama appena assopita che aveva brillato nelle iridi scure del colonnello Kang non vi era più traccia, solo un ghiaccio freddo ed inespressivo. Davvero l’uomo che faceva per lui, una macchina, una pedina fredda ed ubbidiente pronta ad eseguire i suoi ordini alla lettera.
-Quando la capitale sarà sotto il vostro controllo voglio che facciate sventolare lo stendardo dei Kim di Busan e quello del daegun[4] sulle mura di Soul. Voglio un messaggio forte e chiaro affinché tutta Chosun sappia a chi deve la propria lealtà. –
Il colonnello Kang s’inchinò, rigido, ma quando alzò il viso uno strano brillio tornò ad illuminare i suoi occhi freddi. Una lastra di ghiaccio colpita dai riverberi del sole al tramonto.
-Sarà fatto, mio lord. -
 
 
***
 
 
Il disagio non era tra la gamma di emozioni che Heechul era solito provare, odiava solo l’idea di potersi sentire in quel modo. Tuttavia, quella sera era proprio disagio ciò che provava, se lo sentiva addosso come un abito indossato all’occasione sbagliata, troppo grande o troppo corto o, peggio ancora, maldestramente abbinato agli altri capi. Heechul poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui si era sentito impantanato in una situazione simile e la maggior parte di esse portavano la firma di due occhi felini.
Si trovava in uno dei locali più rinomati di Busan e, come spesso accadeva, si era fatto riservare una saletta privata che era stata adibita unicamente per il suo diletto, benché fossero stati gli affari a condurlo lì. Certo, affari che intendeva condurre nel modo più rilassato e piacevole possibile e con una buona dose di discrezione e, d’altra parte, la discrezione era una delle parole chiave per il successo delle case di piacere riservate all’alta nobiltà. Tuttavia, il disagio non lo abbandonava, rimaneva appiccicato alla sua pelle come stoffa bagnata. Non era lo sfarzoso stile tradizionale che si ammirava in ogni angolo della sala a farlo sentire fuori posto, no, dopotutto per uno come lui il lusso non poteva che metterlo a suo agio. Non era nemmeno il lungo hanbok che indossava, infondo la seta è sempre seta e quella del suo abito riluceva per la preziosità del filato, i motivi in filigrana d’oro ed il colore rosso al quale non rinunciava mai. No, a mettergli agitazione era il motivo dei suoi affari. Non l’avrebbe mai creduto possibile, ma l’avvicinarsi del momento fatidico in ci avrebbe raccolto i frutti della sua ambizione lo metteva sulle spine. Che fosse in realtà l’emozione della trepida attesa ad agitarlo davvero?
Comodamente adagiato su dei cuscini foderati di seta dai colori più svariati, Heechul decise d’ignorare quell’accartocciarsi di viscere che avvertiva nello stomaco. Tentò di concentrarsi sul gruppo di kisaeng che volteggiavano davanti a lui eseguendo il geom-mu[5], muovendosi leggere in uno svolazzare di lunghi abiti e mulinare di spade.
Chiuse lentamente gli occhi e sospirò. Rilassati, si disse.
Prese una tazzina di ceramica fumante di tè al ginseng e la portò alle labbra sorseggiando lentamente. Il suo giovane amante sdraiato vicino a lui si stirò tra i cuscini e si mise a pancia in giù, le mani sotto il mento, e rivolse uno sguardo annoiato alle danzatrici. Heechul affondò le dita affusolate tra la chioma scura dell’altro, accarezzandolo piano. Il giovane fece le fusa sotto il suo tocco e gli rivolse un sorriso tenero. Ogni cosa in lui era falsamente costruita ad arte, tuttavia Heechul sorrise a sua volta. Era sufficientemente magnanimo d’apprezzare lo sforzo, dopotutto per il momento doveva accontentarsi. Continuò ad accarezzarlo distrattamente, finché il sopraggiungere della persona che attendeva catturò tutta la sua attenzione. Le danzatrici furono congedate ed il giovane si mise a sedere iniziando a destreggiarsi con l’haegum[6]  diffondendo una piacevole musica di sottofondo.
Il nuovo arrivato s’inchinò e prese posto davanti ad Heechul, non prima che il lord gli concedesse il permesso.
Heechul si umettò le labbra e squadrò l’uomo. Piccolo, leggermente ricurvo ed il volto segnato da una cicatrice sottile che gli attraversava la guancia destra confondendosi tra le rughe. Heechul non aveva mai saputo dargli un’età, probabilmente meno del previsto e, a dirla tutta, il lord non era nemmeno certo che quello fosse il vero volto dell’uomo. Esistevamo molto modi per camuffarsi, soprattutto se si svolgevano delle attività redditizie e pericolose come quelle di quel tale, Choi Chi-su. Nonostante l’apparenza bastava fissarlo attentamente per accorgersi dello sguardo astuto e spregiudicato incorniciato da occhiaie da palpebre pesanti e rughe sottili simili a rami di un albero. Benché l’uomo fosse ufficialmente il padrone di un negozio di tè, quello era lo sguardo di un assassino. Ed era proprio per esserlo a sua volta che Heechul l’aveva convocato. Oh, naturalmente Heechul non aveva alcuna intenzione di sporcarsi le mani direttamente. Dopotutto il sangue non si lava facilmente. Ecco perché Choi Chi-su faceva al caso suo. Oltre al tè, l’uomo vendeva nel suo retro bottega veleni e sicari, armi che il giovane lord non poteva che apprezzare. La prima, se si sceglieva quella giusta, era inodore, insapore e, soprattutto, niente sangue, solo un corpo morto e freddo tanto inutile per sé stesso quanto infinitamente proficuo per i vivi. Almeno per lui. La seconda gli faceva arricciare il naso, nonostante l’odore pungente del sangue non sarebbe giunto direttamente a solleticare le sue narici. Ma d’altra parte c’erano mali che andavo estirpati come il cancro.
L’uomo puntò gli occhietti scuri sul lord, carichi di aspettativa tanto quanto quelli di Heechul.
-Avete portato quanto vi ho chiesto? – domandò Heechul.
L’uomo sogghignò prima di chinare il capo in modo ossequioso.
Viscido, pensò Heechul. Non amava mischiarsi a gentaglia tanto bassa, ma per ottenere ciò che desiderava era necessario.
-Ho trovato qualcosa, mio lord, che fa sicuramente al caso vostro. –
L’uomo infilò una mano nell’ampia manica dell’hanbok e ne estrasse un’ampolla di vetro colma di un liquido bluastro. Heechul assottigliò gli occhi e la fissò intensamente, perdendosi nei riflessi scuri del liquido. La sua agitazione aumentò.
Dunque, pensò, è con questo che farò esalare l’ultimo respiro all’imperatore.
Gli parve di udire dei tamburi rimbombare lontano, ma solo quando si portò una mano al petto s’accorso che era il suo cuore. Sfiorò con i polpastrelli il vetro dell’ampolla trovandolo gelido. Per qualche strano motivo di era aspettato di trovarlo caldo e pulsante quanto l’eccitazione che pompava nelle sue vene. Infine, la prese tra le mani rigirandola. Più fissava le venature blu e nere del liquido più l’immagine di lui sul trono di Chosun acquisiva limpidezza nella sua mente, come se assistesse personalmente ad una scena che ancora doveva compiersi. La sala del trono in un tripudio di luce e oro ghermita di nobili in lussuosi abiti cerimoniali e lui, finalmente, seduto sul trono di Chosun con Kim Kibum al suo fianco, le loro mani inanellate intrecciate sul bracciolo d’oro e madreperla. Una visione sublime che condensava in un unico immaginario colpo d’occhio ciò che più bramava.
A stento represse una risata, ma un sorriso soddisfatto balenò comunque sulle sue labbra carnose come un lampo. Tornò a fissare l’uomo.
-Parlatemene -, gli ordinò.
Choi Chi-su annuì ripiegando il capo da un lato e schiarì la gola.
-Bastano poche gocce. I sintomi del veleno si manifestano circa ventiquattro ore dopo la somministrazione, i sintomi sono quelli di un’influenza. –
Heechul inarcò un sopracciglio. Influenza? Stava di certo scherzando…gli serviva un veleno mortale.
L’uomo dovette intuire le sue perplessità perché sogghignò, come se si fosse aspettato di dover rispondere a delle domande.
-Non temete, il veleno è assolutamente mortale. Non c’è rimedio, apparirà come una semplice influenza, ma la vittima designata perirà nel giro di pochi giorni. –
Heechul si accarezzò il labbro inferiore con l’indice. Quindi un veleno impossibile da individuare. Choi Chi-su aveva fatto un ottimo lavoro portandogli esattamente ciò che gli serviva. Inoltre, considerando le tempistiche del veleno avrebbe avuto tutto il tempo di somministrarlo all’imperatore e lasciare Soul prima che facesse effetto. La notizia della morte del sovrano l’avrebbe raggiunto ad Haehwan nei giorni successivi. Non c’era il rischio che qualcuno potesse far cadere i sospetti su di lui, se non i suoi segreti sostenitori che avevano tutto l’interesse nel tenere la bocca chiusa.
-Ho un’altra cosa per voi -, aggiunse Chi-su estraendo un’altra fiala.
Questa volta un’ampolla verdognola scintillò tra le mani dell’uomo. –Mi avevate chiesto altro stramonio[7], questa è una nuova varietà e viene direttamente da Nihon. Inodore, insapore e soprattutto -, aggiunse con una punta di soddisfazione, - chi lo assume non si accorge di nulla. Niente senso di stordimento, né abbassarsi dei riflessi, percezione dell’udito o dei colori. Nulla. –
Heechul si umettò le labbra e questa volta afferrò l’ampolla titubante, quasi indeciso sul da farsi, poi si morse il labbro. Rimase stupito della sua insicurezza, da quando si era posto dei limiti? Mai. Sensi di colpa, nemmeno. Eppure ora avvertiva quel senso di disagio farsi più acuto. Era indubbiamente un’arma notevole che poteva tornargli utile, anche se sperava non si rivelasse necessario.
Spero davvero di non essere costretto ad utilizzarla su di te, Kibummie.
Sorrise tra sé, davvero stava diventando troppo sentimentale.
Tornò di nuovo a fissare l’uomo ed i suoi occhi si fecero duri, brillando appena di un fuoco latente.
-Sei ancora in contatto con quei sicari di Ming? –
Choi Chi-su sorrise viscido e annuì. – Certamente. –
-Ho un lavoro per loro – disse Heechul quasi in un sibilo, senza staccare gli occhi dall’altro.
Era un problema che andava risolto e più si avvicinava il momento della sua ascesa la trono, più agire diventava necessario. Doveva estirpare quel cancro sul nome della sua famiglia una volta per tutte, reciderlo con lame calde e taglienti.
- Saranno onorati di ricevere un incarico da sua grazia. –
Heechul ignorò la vuota lusinga dell’uomo e rivolse un’ultima occhiata alla fiala di stramonio che teneva in mano, facendola poi sparire negli abiti in un verde palpitare.
-C’è un giovane con l’abilità del fuoco che si aggira nei pressi del villaggio di Hanamsi, opera con quelli che si fanno chiamare Ribelli. –
Quali che fossero i pensieri dell’uomo ad udire quelle parole nessuna emozione trasparì dal suo viso rugoso. Choi Chi-su si limitò ad arricciare il labbro superiore e ad aggrottare la fronte solcata da dune alte e scoscese, un deserto riarso quanto la sua anima.
–Potete fornirmi una descrizione? –
Heechul non conosceva i tratti del suo fratellastro, né ci teneva a conoscerli. Purtroppo non aveva risposte da dare, anche riferire quel semplice dettaglio dell’abilità gli era costato molto, benché non avesse dubbi sull’indiscrezione dell’uomo. L’aveva pagato troppo profumatamente perché si azzardasse a fare un passo falso con lui, senza contare che aprire la bocca sarebbe stato dannoso per i suoi stessi affari.
-Non è molto su cui lavorare…certo l’abilità è un tratto fondamentale, ma dubito che il ragazzo vada in giro a mostrarla tanto facilmente. –
-Abbastanza da potere essere rintracciato –, insistette. Heechul digrignò i denti.
Choi Chi-su scosse il capo. – Avete un nome? –
Un nome?, pensò Heechul cercando di fare mente locale.
-Vedete, i nomi sono fondamentali. Volente o nolente si appiccicano come parassiti alle persone che li portano, non c’è modi di sfuggirvi. –
Heechul sospirò e chiuse gli occhi, lasciando che la sua mente venisse trasportata dalle note melodiose che scivolavano eleganti tra le dita del suo giovane amante.
Un nome, un nome spesso poteva essere una condanna per chi lo portava, una macchia indelebile. Tornò indietro nel tempo e si ritrovò in quella stanza buia e dall’aria pesante. Rivide suo padre morente adagiato sul letto alto, una figura esile che si perdeva tra cuscini e lenzuola, lo scheletro dell’uomo che era stato. Le tende scarlatte del baldacchino ormai tinte del nero funereo della morte che, da giorni, strisciava indisturbata impregnando con il suo miasma tutto ciò che incontrava. Heechul aveva odiato far visita a quella stanza, era una tomba dove solo i singulti e gli spasmi, che fuoriuscivano dalle labbra secche e tagliate di quello spauracchio di stracci che l‘abitava, rammentavano che vi era ancora un alito di vita. Erano state proprio quelle labbra a pronunciare quel nome, parole flebili e stiracchiate come il suono del vento tra i rami disadorni.
-Kim Jonghyun – sussurrò Heechul a fior di labbra, lo sguardo perso sul danzare delle dita del giovane.
Alla fine alzò gli occhi e tornò a fissare l’uomo. – Kim Jonghyun –, disse con voce chiara.
Gli occhi di Heechul iniziarono a bruciare come carboni ardenti.
-Voglio Kim Jonghyun morto, che il suo nome ed il suo ricordo si perda nei venti del tempo come se non fosse mai nato. –
Come se la sua esistenza non avesse mai macchiato di vergogna il nome dei Kim di Busan, aggiunse mentalmente.
L’uomo annuì e le sue labbra di deformarono in una crepa contorta su un tronco nodoso. Un sorriso, forse?
-Consideratelo già fatto. –
I bracieri ardenti di Heechul s’indurirono. – Nulla è fatto finché non si vedono i risultati e questa storia sarà conclusa solo quando avrò la testa di Kim Jonghyun tra le mani. -
 
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vorrete lasciami un commento vi ruberà solo due minuti di e migliorerete la mia giornata! Per me è importante sapere cosa pensate!
Grazie e alla prossima!
 
 
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[1] Prigione di massima sicurezza all’estremo nord del regno di Chosun.
[2] Strumento tradizionale simile ad un’arpa.
[3] Luce del Sole.
[4] Il principe reale, traducibile col titolo di "gran principe del sangue".
[5] Danza tradizionale con le spade.
[6] Strumento tradizionale costruito con il legno di bambù, produce una melodia simile a quella di un violino.
[7] Sostanza che annulla temporaneamente le abilità. 
   
 
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