7
“I
am a stag: of seven tines,
I
am a flood: across a plain,
I
am a wind: on a deep lake,
I
am a tear: the Sun lets fall,
I
am a hawk: above the cliff,
I
am a thorn: beneath the nail,
I
am a wonder: among flowers,
I
am a wizard: who but I
Sets
the cool head aflame with smoke?”
[Song
of Amergin]
Oltretomba.
La
notte
nel regno di Ade era nera come la pece.
Un’oscurità terribile e tinta di rosso
porpora. Le nuvole sembravano più basse e incombenti. Le
strade erano deserte e
ogni edificio era immerso nel buio. Nessun lume. Nessun bagliore.
Però
Uncino aveva la sensazione che molti occhi lo stessero fissando, mentre
camminava, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Si guardava
costantemente
intorno, sempre all’erta.
Posò
la mano sulla maniglia di una porta e spinse. Si aprì e il
suo arrivo fu
annunciato da una breve scampanellata. Si fermò poco oltre
la soglia, cercando
di mettere a fuoco l’ambiente.
-
C’è
qualcuno? – disse.
Non
ottenne risposta.
Gli
oggetti nelle vetrine e sugli scaffali del negozio di Gold erano solo
forme
vaghe e sinistre. Sul bancone polveroso c’era un cubo
sormontato da una pietra
rossa. Il Vaso di Pandora. Killian si avvicinò lentamente,
circospetto.
-
Dunque
siete venuto, capitano. – Il Coccodrillo scostò il
tendaggio che separava il
negozio dal retro e fece il suo ingresso. Calmo, placido come un vero
coccodrillo che scivola silenzioso sotto il pelo dell’acqua e
punta la preda con
occhi maligni e furbi.
-
Sono
venuto per sentire che cos’hai da dirmi. – rispose
Killian, acidamente. - Sono
abbastanza sicuro che i tuoi accordi non mi interesseranno.
-
Io
non ne sarei così convinto. Non avete ancora sentito la
parte migliore.
-
Non
esistono parti migliori, con te.
-
Tuttavia
siete qui. Ne sono lieto, perché quello che ho da dirvi
riguarda anche voi. –
asserì il Coccodrillo, con malcelata soddisfazione.
-
Arriva al dunque, allora.
-
Sì.
– disse un’altra voce maschile alle spalle di
Killian. - Arriviamo al dunque.
Immagino che al capitano manchino il rum e la sua donna.
Killian
sollevò l’uncino, girandosi di scatto, pronto a
colpire.
La
prima impressione fu quella di un ragazzino che aveva deciso di
infilarsi gli
abiti del padre per gioco. Era in giacca e cravatta, elegante e posato
come
Tremotino. Ma era impossibile non scorgere l’astuzia e la
malvagità in quegli
occhi verdi.
Pan
rise, divertito. – Non siate così precipitoso,
capitano.
-
Tu,
maledetto demonio. – sibilò Killian.
-
Già,
io. L’uncino non vi servirà. Potreste anche
provarci, ma perdereste tempo. –
Pan sfiorò il Vaso di Pandora con le dita. –
Parliamo.
-
Vi
ho già detto che non farò niente che possa
nuocere ad Emma. – replicò Killian,
risoluto, guardandosi bene dall’avvicinarsi ai due.
-
Non
siamo qui per parlare di Emma, infatti. Capitano, perché
dovremmo fare qualcosa
per nuocere ad Emma Swan? Vi ho aiutati a liberarla. –
osservò Tremotino.
-
E
abbiamo perso Milah!
-
Un
imprevisto. Si trova nelle prigioni di Ade. Possiamo ancora
recuperarla. Ma
prima... abbiamo altro a cui pensare. Mettetevi comodo.
Killian
non si mise affatto comodo. Il suo pensiero andò
improvvisamente a Belle. Lei
era a Storybrooke, ignara di ciò che il marito stava
facendo. Ignara di quello
che Gold era diventato.
Di
nuovo.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
“Belle!”, gridò Tremotino. “Si
può sapere dove
siete finita?”
Belle
lo ignorò e lottò per riuscire ad
allacciarsi la mantella alla base del collo.
“Oh,
eccovi, finalmente. Dove credete di
andare, mia cara? Pensavate, per caso, di uscire?”, chiese
l’Oscuro,
appoggiandosi alla parete, con le braccia conserte.
“Sì,
è proprio ciò che intendo fare,
Tremotino.”,
rispose lei, armeggiando ancora con la spilla, che aveva deciso di non
collaborare
e di non chiudersi. “Abbiamo bisogno di provviste. O almeno,
io ne ho bisogno.
Quindi andrò al mercato. Non preoccupatevi. Sarò
di ritorno il prima possibile.”
“Ovviamente
sì.” Scivolò alle sue spalle e
allungò le mani, prendendo la spilla. In un baleno, le
allacciò la mantella
verde. “Non potreste andare lontano, del resto. La mantella
è incantata. Se
scappate, verrò a saperlo.”
“Mi
chiedo quando capirete che sono una donna
di parola. “, fu la risposta di Belle. “Ho promesso
che sarei rimasta con voi e
così sarà.”
Tremotino
non commentò quell’esternazione. Le
sistemò meglio il cappuccio sul capo. “Badate a
non perdervi nella foresta. E
non prendete freddo. Non vorrei mai che qualche malanno vi costringesse
a letto.”
Belle
uscì, portandosi un cestino e una sacchetta
piena di monete. “Non converrebbe nemmeno a voi. Questo
castello finirebbe col
cadere a pezzi senza di me.”
Il
villaggio era in fermento. I mercanti
avevano esposto la merce poco dopo l’alba e si sgolavano per
attirare i clienti.
Alcuni soldati pattugliavano le strade.
Belle
non impiegò molto tempo a rendersi conto
degli occhi puntati su di lei. Due donne, una delle quali con un
bambino
piccolo tra le braccia, la fissarono a lungo e poi bisbigliarono
qualcosa
sull’Oscuro. Un paio di uomini si fecero da parte, come se
temessero di
intralciare Tremotino in persona.
Belle
li ignorò e si avviò verso il banco della
verdura. “Salve, Robert.”
“Oh!”,
esclamò lui, levandosi il cappello e iniziando
a sudare copiosamente. “Belle. Che piacere vedervi. Cosa
posso fare per voi?”
“Ehm,
veramente ero io il primo della fila...”,
cominciò un uomo.
Il
mercante gli diede una spinta tale che
l’altro quasi finì gambe all’aria.
“Dovrai aspettare. Prima le signore!”
“Posso
attendere, Robert. Non ho fretta. Servi
prima lui, ti prego.”, rispose Belle, gentilmente.
“No!”
Robert scosse il testone calvo, risoluto.
“Cosa cercate? Oggi ho tutto. Qualsiasi cosa. Non esitate a
chiedere!”
“Mi
servono delle patate. Se aveste qualcuna di
quelle patate gialle...”
“Le
ho! Beh, non molte... però le ho. Potete
averle tutte.” Robert non se lo fece ripetere. Prese un
sacchetto e mise dentro
tutte le patate gialle che erano rimaste sul bancone.
Belle
si costrinse a non badare all’agitazione
che stava creando e pagò il mercante, infilando il sacchetto
nel cestino.
‘Tremotino’,
pensò, roteando gli occhi.
“Largo!
Fate largo!”
La
folla si divise subito in due ali, lasciando
passare un carro trainato da un paio di muli stanchi e magri. Un
soldato in
cotta di maglia ed elmo guidava il carro, frustando gli animali.
Sistemato sul
retro, sopra ad un mucchio di sacchi di farina, c’era un uomo
ferito ad una
gamba.
“Muovetevi,
bestiacce! E voi fate largo! Non
vedete che è ferito?”
Una
vecchia mormorò qualcosa a proposito degli
orchi che infestavano le regioni a nord. Belle si fece da parte,
osservando il
giovane. La gamba destra era stata fasciata, ma le bende erano
già intrise di
sangue ed erano sporche di terra. Il ragazzo era incosciente e aveva la
fronte
madida di sudore. Era anche incredibilmente pallido.
Era...
“Fermi!”,
gridò Belle, avvicinandosi al carro.
“Fermi, lo conosco!”
L’uomo
tirò le redini e i muli recalcitrarono. “Lo
conoscete?”
Belle
si sporse per guardare il ragazzo disteso
sul carro. Quello sollevò leggermente le palpebre,
fissandola con occhi verdi,
arrossati e opachi.
“Samuel?”
Le
palpebre si abbassarono di nuovo.
“Giocavamo
insieme quando eravamo bambini.”,
disse Belle.
“È
una ferita molto seria.”, le spiegò il soldato,
che era sceso dal carro. “Non guarisce. L’arma era
incantata. Lo stiamo
portando all’accampamento più in fretta che
possiamo.”
“Quanto
dista l’accampamento?”
“Due
giorni di viaggio.”
Belle
appoggiò una mano sul petto di Samuel.
Pensò febbrilmente per alcuni secondi, mentre la gente si
stava assiepando
intorno al carro per vedere meglio. Era chiaro che Samuel non sarebbe
mai
sopravvissuto altri due giorni in quelle condizioni. La benda andava
cambiata e
la ferita doveva essere curata in qualche altro modo. Inoltre, doveva
riposare
in un luogo sicuro.
“Io
posso aiutarlo.”, decise Belle.
Storybrooke.
Oggi.
-
Ehi,
Neal. - Belle si chinò sulla culla che era stata riservata
al figlio degli
Azzurri e accarezzò la pancia del bambino, che
gorgogliò qualcosa e socchiuse gli
occhi.
Roland
si avvicinò e infilò la testa tra le sbarre di
legno, osservandolo. Allungò la
mano, offrendo l’indice a Neal, che lo strinse leggermente
con le dita
minuscole.
-
Come
stai, Roland? – domandò Belle, scompigliandogli i
capelli scuri.
-
Le
fate fanno i biscotti al cioccolato. – rispose lui, sfiorando
la tutina azzurra
di Neal. Sul davanti, Mary Margaret aveva cucito un unicorno con la
criniera
dorata. – Quando torna il mio papà?
Belle
si diede da fare per trovare la risposta adeguata. – Presto.
Lui deve... deve
aiutare la tua sorellina. Vedrai che tornerà il prima
possibile.
Voleva
aggiungere qualcos’altro, rassicurarlo, ma le parole le
morirono in gola e si
rifiutarono di venir fuori. Intorno a lei, sembrava tutto normale. Le
fate
erano impegnate nelle loro attività. Alcune si occupavano
dei fiori in
giardino, altre tenevano d’occhio i bambini, altre ancora
rassettavano e
pulivano le stanze finché esse non risplendevano come
specchi. Erano tutte cose
che lei aveva fatto per Tremotino, molto tempo prima, quando ancora
viveva nel
suo castello.
Le
aveva detto che non sarebbe stato via tanto, ma era trascorsa quasi una
settimana e di lui non c’era traccia. La sera prima, spinta
da un sogno
distorto che l’aveva svegliata, si era recata sulle rive del
lago, che era la
porta per l’Oltretomba. Aveva guardato i raggi della luna
riflettersi sulle
acque calme e aveva atteso, sperando di vedere il fumo bianco che
annunciava
l’apertura dei cancelli, sperando di vedere la barca guidata
dal demoniaco
traghettatore con i suoi occhi cerchiati di fuoco. Sperando che
Tremotino
tornasse da lei.
Tornerà,
si
disse, decisa. Tornerà
insieme agli altri ed Emma sarà con loro.
Mantenne
la sua routine quotidiana e lasciò il convento delle fate
per recarsi da Granny
a prendere il pranzo. Quel giorno aveva ordinato anche qualcosa per
Merida, che
passava le sue notti alla centrale di polizia.
Posò
il sacchetto con i panini e la crostata alla frutta preparata da Granny
sulla
scrivania di David. Scrivania sulla quale Merida aveva comodamente
appoggiato i
propri piedi.
-
Ti
ho portato qualcosa da mangiare. – annunciò Belle.
Adocchiò Artù, disteso sulla
branda nella sua cella. Era sveglio. I suoi occhi verde chiaro erano
terribilmente vigili.
-
Beh... grazie. – disse Merida, afferrando il sacchetto e
sbirciandoci dentro.
-
Granny fa un’ottima torta. Dovresti provare anche gli
hamburger.
Artù
si alzò, facendo cigolare la branda e si sgranchì
il collo.
La
porta della centrale si aprì. Ginevra entrò senza
degnare di un’occhiata le due
donne presenti e si diresse verso la cella.
-
Ehi.
Aspettate. Non potete stare qui. – disse Merida.
-
È
mio marito. Certo che posso. – Ginevra sorrise
all’uomo nella cella. Aveva
risposto con un tono di voce calmo, annoiato persino. Privo di
qualsiasi
inflessione. Si muoveva come se stesse fluttuando, come se non ci fosse
niente
da vedere eccetto l’uomo che l’aveva legata a
sé con un incantesimo.
Artù
tese le mani tra le sbarre e prese quelle di Ginevra. – Mia
cara... sono felice
che tu sia qui. Finalmente qualcosa di bello.
Merida
roteò gli occhi. Provava solo repulsione per lui e teneva a
freno a stento il
desiderio di conficcargli una freccia in un ginocchio.
-
Presto sarò fuori da questa cella. Questa gente non sa con
chi ha a che fare. –
disse Artù, parlando alla moglie. Passò il
pollice sulle labbra di Ginevra con
una lieve carezza. – La pagheranno cara.
-
Con
chi abbiamo a che fare? Con un re senza regno. – rispose
Merida. Belle le posò
una mano sul braccio per trattenerla.
-
Camelot sarà anche stata distrutta, ma la ricostruiremo. Lo
abbiamo già fatto
una volta, vero? – disse Artù, sprezzante.
Ginevra
annuì.
-
Presto sarai tu quella senza regno. – disse Artù.
– Avresti dovuto uccidermi
quando ne avevi l’opportunità.
-
Io
non sono come te. – rispose Merida, duramente.
-
No.
Su questo sono d’accordo. Io sono un re. Tu... sei solo una
pessima imitazione
di ciò che dovrebbe essere una regina. Non sei stata nemmeno
capace di aiutare
tuo padre.
-
Non
parlare di mio padre!
Ma
Artù perseverò. – Almeno lui
è morto sul campo di battaglia. Tu avrai il
coraggio di combattere e morire?
-
Mi
stai sfidando? – chiese Merida.
-
Merida, no... – mormorò Belle.
-
Sì.
– rispose Artù. Lasciò le mani di
Ginevra per aggrapparsi alle sbarre della
cella. Il suo sguardo dardeggiava. La sua bocca era distorta in un
ringhio. –
Esigo un verdetto per singolar tenzone.
L’aria
sembrò addensarsi e riempirsi di pericolo e morte. Belle lo
leggeva nei
lineamenti di Artù, nell’intensità con
cui la guardava. Merida rimase
perfettamente immobile, senza distogliere lo sguardo
dall’uomo che aveva ucciso
re Fergus, infilzandolo alle spalle. Dall’uomo che la fissava
come un predatore
che pensava di aver costretto la vittima in un angolo.
-
Noi
due ci affronteremo. Oggi, al tramonto. Ti lascio scegliere il posto.
– Artù
sogghignò. – Se perdi, morirai. Farò in
modo che la tua gente abbia indietro la
sua regina. A pezzi. La tua adorata madre riceverà la tua
testa. I tuoi
fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si inginocchieranno
a me.
Merida
aveva l’impressione che gli occhi le bruciassero nelle
orbite. Si sentiva
intorpidita e distaccata dal suo stesso corpo. – Non lo
faranno mai.
-
Lo
faranno. – ribatté Artù. –
Quando vedranno cos’è capitato alla loro sorella,
lo
faranno. In caso contrario, ciò che avranno in cambio
sarà la morte.
-
Parliamo di cosa accadrà se tu perderai.
Belle
notò che Artù non aveva la minima intenzione di
perdere e non pensava che
sarebbe successo. Finse di rifletterci. – Sentiamo. Cosa
succederà? Detta le
condizioni.
-
Verrai con me a Dunbroch. Come prigioniero. E sarai giudicato dopo un
processo.
Sarai giudicato non solo da me, ma anche dal mio popolo.
A
Belle gelò il sangue nelle vene. Stava ancora trattenendo
Merida per un
braccio. Lei era rigida come un tronco di legno, con gli occhi sgranati
e fissi
su Artù.
Il
prigioniero sorrise. – E sia.
Foresta Incantata. Più di trent’anni fa.
“Sapevo
che sareste tornata con qualcosa di più
di un sacco di patate o un po’ di frutta.”,
esclamò Tremotino, quando Belle
fece la sua comparsa sul viale sterrato che conduceva al castello.
Guidava un
carro e dietro ad esso giaceva un uomo ferito e pallido.
Belle
si affrettò a saltare giù e a correre
verso Tremotino. “Ha bisogno del vostro aiuto!”
“E
perché mai dovrei aiutarlo?”
“La
vostra magia è ciò che gli serve.
Morirà.
Lui è... era un mio amico.” insistette Belle. Il
soldato che lo stava
trasportando all’accampamento non aveva protestato quando si
era offerta di
guidare il carro, soprattutto sapendo dove voleva condurre il ferito.
Aveva persino
rifiutato il denaro che Belle gli aveva teso.
“La
vera domanda è: cosa ottengo io in cambio?”
Era
furibonda. Gli puntò contro un dito. “Niente.
È solo la cosa giusta da fare. Non siete in grado di
vederlo?”
Tremotino
sbirciò l’uomo sul carro. Si stava
lamentando nel suo stato di incoscienza. “La mia dimora non
è per gente come
lui.”
“Siete
orribile.”, fu la risposta di Belle. Si
scostò, con una smorfia. “Non me ne
starò qui ad aspettare che muoia. Provate
ad impedirmi di portarlo dentro, se ne avete il coraggio.”
Tremotino
ne avrebbe anche avuto il coraggio,
tuttavia scrollò le spalle. “Bene. Portatelo pure
dentro, allora. Ma non
aspettatevi che vi aiuti. Non lo ucciderò, ma
lascerò che sia il fato a
scegliere. Se morirà... morirà.”
“B-Belle?”
‘Non
lo ucciderò, ma lascerò che sia il fato a
scegliere. Se morirà... morirà.’
Belle
si voltò, udendo la voce smorzata di
Samuel, che giaceva nel letto, con la gamba posata su una pila di
cuscini.
Aveva cambiato la fasciatura, ma la ferita era ancora aperta.
Continuava a
sanguinare e non accennava a guarire. La pelle intorno ad essa era
violacea.
Belle aveva preso tutti i libri che parlavano di armi magiche e li
aveva
portati nella stanza di Samuel. Li aveva sfogliati a lungo, fino a
quando non
aveva trovato delle pozioni che potevano alleviare il dolore e farle
guadagnare
tempo. Ma non aveva idea di quale arma lo avesse ferito.
“Sì,
Samuel. Sono io... bevi.” Gli porse
dell’acqua, sorreggendogli la testa.
“Dove...
dove siamo?”
Belle
gli scostò ciuffi di capelli biondi dalla
fronte sudata. “Nel castello dell’Oscuro.”
“Oscuro?”
Si allarmò, spalancando i grandi
occhi verdi. “Siamo prigionieri?”
“No...
non proprio. Tu non sei un
prigioniero... ti ho trovato al villaggio e ti ho portato
qui.”, spiegò
Belle.
“Non
capisco.”
Belle
prese una sedia e si accomodò accanto al
letto. Gli raccontò tutto dall’inizio, ovvero da
quando le truppe di suo padre
avevano richiesto rinforzi contro gli orchi per proteggere i villaggi
vicini
fino al momento in cui Tremotino aveva proposto l’accordo.
“Belle...
questo è... non è possibile. Dobbiamo
andarcene. Siamo in pericolo.” disse Samuel, tirandosi su.
“Non
devi preoccuparti. Andrà tutto bene.
L’Oscuro ha promesso che non ti farà alcun male. E
credimi... saresti già morto,
se non fosse stato sincero.” Belle prese una pezza bagnata e
gliela passò sulla
fronte. Poi gli diede l’intruglio che aveva preparato.
“Bevi questo. Non
guarirà la ferita, ma dovrebbe abbassare la
febbre.”
“Sei
sempre... la ragazza gentile che
ricordavo.”, sorrise lui, prendendo la tazza dalle sue mani e
sfiorandole le
dita. Le sue erano molto calde. Bruciavano, persino. “Non hai
perso la
speranza.”
“No.”,
rispose Belle. “Ma ora raccontami cosa
ti è successo. Come ti sei procurato quella ferita? Che tipo
di arma era?”
Samuel
aggrottò la fronte. Si portò una mano
alla testa, come se gli dolesse più della gamba.
“È... difficile ricordare.
L’orco aveva una spada. Una spada con l’elsa
argentata e piena di gemme rosse.
Questo lo ricordo... qualcuno ha scagliato una freccia e lo ha
centrato, ma
poi... è tutto confuso.”
“È
la febbre. Quando ti passerà, ricorderai.”
“Guarirò?”
Belle
cercò di sembrare il più rassicurante
possibile. “Certo. Lascia fare a me.”
Storybrooke.
Oggi.
David
le aveva detto dove trovare le armi se ne avesse avuto bisogno e Merida
prese
la spada che faceva al caso suo.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi. La tua adorata madre
riceverà la
tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché
si inginocchieranno
a me.”
-
Merida...
-
Hai
detto ai nani di tenerlo d’occhio? Non credo che
scapperà. È troppo sicuro di
vincere.
Belle
la
guardò mentre saggiava la sua arma, provava un affondo e poi
un fendente. Non
aveva idea di quanto fosse bravo Artù con la spada, ma era
comunque preoccupata
e non poté nasconderlo. – Merida, forse dovresti
prendere tempo. Lui non
combatterà lealmente.
-
No,
non lo farà. – ammise, portando la spada fuori dal
deposito, accanto al
Granny’s. – Ma non posso rifiutarmi di combattere.
Ha ucciso mio padre. E mi ha
sfidata.
-
Gli
altri torneranno presto. Forse David ed Emma...
-
Sono
andati nell’Oltretomba, Belle! Non sappiamo quando
torneranno. Se torneranno.
-
Certo che torneranno!
-
Non
puoi esserne certa.
-
Lo sono!
– Belle ripensò al sogno di quella notte. Non
ricordava più molto, ma ricordava
bene Tremo avvolto da una spirale di fiamme azzurre. Nel sogno aveva
udito
anche una risata beffarda.
-
Spero che tu abbia ragione. Ma anche se fossero qui non potrebbero
fermarmi. –
Menò qualche altro fendente, con una e con entrambe le mani.
La spada era
robusta, ma poteva maneggiarla facilmente.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”
-
So
che sei molto forte, Merida. – disse Belle. – Ma
potrebbe essere una trappola.
E se cadi in quella trappola... sarà la fine per il tuo
popolo. Loro hanno
bisogno di te. Tua madre, i tuoi fratelli...
“La
tua adorata madre riceverà la tua testa. I
tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si
inginocchieranno a me.”
-
E
mio padre ha bisogno di giustizia! – replicò
Merida, furente. - Ho già fallito
una volta. Questa volta non sbaglierò.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
“Belle!”, gridò Tremotino.
Lei
alzò il capo dal libro di erbe medicinali
che stava consultando e lanciò un’occhiata a
Samuel, che dormiva avvolto nelle
coperte. Gli aveva messo la pezza umida sulla fronte e ogni tanto
gliela
passava sul viso arrossato per rinfrescarlo. La febbre era scesa grazie
all’infuso che gli aveva preparato, ma era sicura che non
bastasse. Era solo un
sollievo momentaneo.
Andò
alla porta e scivolò fuori dalla stanza.
Tremotino se ne stava appoggiato alla parete, con il solito ghigno
stampato sul
viso verdognolo e squamoso.
“Si
può sapere perché urlate?”
“Non
si sa mai, mia cara. Sembrate così
occupata con il vostro infermo.” Nella voce di Tremotino
c’era un certo
scherno, ma anche una qualche forma di fastidio e una punta di collera.
“Se
avessi saputo che avrebbe impiegato così tanto a
morire...”
“Non
morirà!”, esclamò Belle. “Non
contateci.
La febbre è scesa e troverò un modo per guarire
la ferita.”
“Bene.
In ogni caso, prima se ne andrà e meglio
sarà.” Tremotino sbirciò il giovane nel
letto. L’aveva visto chiaramente quando
la domestica l’aveva trasportato in casa. Un bel giovane. Di
sicuro Belle lo
trovava piacente, con quei capelli biondo grano e i grandi occhi verdi,
il
fisico forte, un’ombra di spavalderia sul viso sbarbato e
accaldato per la
febbre.
Non
che a lui importasse, ovviamente...
“Il
castello è vostro. Devo occuparmi di certi
affari.”, annunciò, poi, Tremotino.
“Ve
ne state andando?”
“Non
starò via molto, cara. Nel frattempo,
evitate che quel soldatino combini qualche pasticcio. Ricordategli che
è solo
un ospite. Un mio ospite. Sono stato fin troppo magnanimo.”
Detto ciò, svanì in
una nube magica.
Belle
roteò gli occhi e rientrò. Samuel dormiva
ancora.
Più
tardi, quella sera, Belle stava armeggiando
con erbe e tazze per preparare un nuovo infuso e intanto sfogliava il
libro
alla ricerca di un’arma simile a quella che Samuel le aveva
descritto. Una
spada con l’elsa in argento e delle gemme rosse.
Trovò svariati pugnali con
un’impugnatura simile a quella, lance, frecce elfiche, spade
di gnomi...
‘Gáe
Bulg, la lancia
dell’eroe Cù Chulainn, affidatagli dalla sua
maestra d’armi, è stata ricavata
dall’osso di un mostro marino, morto in combattimento contro
un altro Leviatano...’
‘Claìomh
Solais,
detta la Spada di Luce, appartenuta a re Nuada dalla Mano
d’Argento, splende
non appena viene estratta dal fodero ed è invincibile in
battaglia...’
‘Fragarach,
conosciuta come ‘colei che dà risposte’,
è una spada capace di placare i venti
e di costringere chiunque a dire la verità, se puntata alla
sua gola...’
‘Nothung,
appartenuta
all’eroe Sigfrido, è una spada dai prodigiosi
poteri, estratta dal tronco di un
melo secolare...’
“Tremotino!”,
esclamò
Belle, parlando con la stanza vuota. “Avreste anche potuto
essere più gentile e
aiutarmi. Ma state pur certo che quando tornerete ve le
canterò, dovesse essere
l’ultima cosa faccio...”
Portò
il vassoio
verso le scale e, nel farlo, dovette attraversare il salone dove
Tremotino
soleva filare.
Qui
vide l’uomo in
piedi davanti alla finestra.
“Che
cosa succede?”
Storybrooke. Oggi.
Era
venuta davvero molta gente.
Gli
uomini di Artù erano schierati a destra e a sinistra, lungo
il bordo dei
marciapiedi. Gli abitanti di Storybrooke erano arrivati alla
spicciolata e sostavano
a gruppetti intorno all’area in cui si sarebbe svolto il
duello tra Merida e il
re di Camelot.
La
strada
era spazzata dal vento e il sole stava tramontando, colorando il cielo
di rosso
e arancione.
Osservando
le ombre della sera che avanzavano, Belle rabbrividì. Aveva
passato le ultime
ore in biblioteca, immersa nella lettura, cercando di non pensare a che
cosa attendeva
Merida. In realtà non era riuscita a concentrarsi sulle
parole stampate e aveva
spesso perso il filo, cosa che l’aveva costretta a
ricominciare daccapo più di
una volta. Aveva persino sfogliato un vecchio volume che parlava di
armi
magiche, che era sicura di aver già sfogliato molti anni
prima, quando aveva
soccorso un vecchio amico di infanzia, costringendo Tremotino ad
accoglierlo
nel suo castello.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi. La tua adorata madre
riceverà la
tua testa. I tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché
si inginocchieranno
a me.”
Alla
fine si era messa a leggere alcuni capitoli di un volume che parlava di
duelli
e verdetti per singolar tenzone.
Avanzò
verso la prima fila e vide Merida che estraeva la spada dal vecchio
fodero in
cui era stata riposta. Aveva posato l’arco e la faretra
sull’asfalto. Le
persone la fissavano, incuriosite, bisbigliando fra di loro.
-
Dov’è? Ho bisogno di sgranchirmi. –
disse Merida.
-
Suppongo
che sarà qui a momenti. – Belle scorse Ginevra in
mezzo al manipolo di
cavalieri, sul lato opposto della strada.
“Non
lo ucciderò, ma lascerò che sia il fato a
scegliere. Se morirà... morirà.”
Continuavano
a tornarle in mente le parole che le aveva detto Tremotino il giorno in
cui era
tornata dal mercato con Samuel.
“Il
fato... se morirà... morirà.”
Belle
vide che l’elsa della spada era molto lunga e su di essa
erano incise delle
parole in filigrana di ottone.
- Am gài i
fodb fras feochtu, Am dé delbas do chind codnu. Coiche
nod gleith clochur slébe. –
lesse Merida, accorgendosi dello sguardo di
Belle. – È la canzone di Amergin. Quando ero
piccola, nelle notti di luna
piena, alcuni uomini di mio padre la cantavano.
-
Amergin?
-
Era
un druido e un bardo. A mia madre la canzone non piaceva. –
Merida sorrise,
presa nel vortice dei ricordi. A Belle sembrò immensamente
giovane, quasi
sperduta, per qualche momento. – Diceva che le metteva i
brividi.
Vennero
interrotte da un brusio concitato e dal rumore di passi in marcia.
Artù fece la
sua poco gradita comparsa circondato dai nani. Tre di loro camminavano
dietro
al re e due davanti a lui, tutti armati di picconi. Intanto Brontolo ed
Eolo lo
accompagnavano, tenendolo per le braccia. Quando giunsero al centro
della strada
principale di Storybrooke, Brontolo, con riluttanza, tirò
fuori una chiave e la
usò per aprire le manette che stringevano i polsi di
Artù.
- Is maith
an scáthán súil charad. –
disse Merida.
Belle
non ebbe modo di chiederle che cosa significasse, perché lei
si allontanò, per
raggiungere il centro della strada, con la spada in pugno.
Artù la fissò con
astio e domandò a gran voce che gli portassero la sua arma.
Ginevra se la fece
consegnare da uno degli uomini di suo marito che,
nell’offrirgliela dentro al
fodero nero, chinò il capo rispettosamente. Poi Ginevra
raggiunse il marito e
gli porse la spada.
-
Fa
attenzione. – disse ad Artù.
Lui
le
accarezzò una guancia. Infine prese l’arma e la
estrasse dal fodero con un
gesto deciso.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
“Samuel.”, mormorò Belle. Il vassoio le
scivolò
di mano e la tazza, cadendo, si ruppe in mille pezzi. “La tua
ferita...”
Samuel
era in piedi davanti ad una delle
finestre e aveva aperto una piccola borsa che portava legata alla
cintura. Non
sembrava che stesse male. Aveva persino spostato il peso sulla gamba
malata e
il suo viso era roseo. Nei suoi occhi brillava un certo senso di colpa.
“Come
fai a... ad essere in piedi?”, domandò
Belle, incredula.
“Mi
dispiace.”, disse Samuel, allargando le
braccia. “Forse è giunto il momento di spiegarti
perché sono qui.”
“Era
tutto falso. Erano bugie...”, disse Belle,
precedendolo. “Non eri davvero ferito.”
“La
ferita me la sono procurata con la magia.
Ma faceva parte del piano.”, spiegò Samuel.
“Sono stato da un mago di nome
Knubbin. La ferita era un’illusione. Così come la
febbre.”
“Quale
piano?!”
“Tuo
padre mi ha assoldato perché ti salvassi,
Belle.”
“Vuoi
dire che ti ha pagato!”, lo interruppe
lei, furiosa. “Sei un mercenario, non è
così?”
“Sono
un messaggero. Durante gli scontri con
gli orchi, facevo da tramite tra gli uomini di tuo padre. Portavo
messaggi e
all’occorrenza la gente mi pagava perché facessi
loro dei favori.” Samuel
appariva fiero dei suoi compiti. Il suo viso era duro, ma deciso. Gli
occhi
scintillavano di orgoglio. “Tuo padre mi ha trovato e mi ha
chiesto di
aiutarlo. Mi ha offerto un compenso notevole, ma l’ho fatto
anche per te. So
che ti ricordi di quando giocavamo insieme da bambini... eravamo
amici.”
“Lo
eravamo, sì...”, mormorò Belle.
Samuel
le prese una mano, stringendola nella
sua, grande e callosa. “Posso portarti via da qui, Belle.
Lascia che ti aiuti.”
“Non
puoi ingannare l’Oscuro, Samuel! Con chi
credi di avere a che fare? E poi ho dato la mia parola...”
“La
tua parola?” Samuele era basito. “Sei stata
costretta a promettere! Ti posso liberare da quell’impegno.
Non sei obbligata a
restare qui con questa... con questa bestia.”
Belle
incrociò le braccia al petto.
“Ascolta,
ho qualcosa che può fermare l’Oscuro
una volta per tutte.” Estrasse un oggetto dalla borsa appesa
alla cintura. Era
un cubo con strani intarsi contorti, sormontato da una pietra rossa.
“Che
cos’è?”
“Il
Vaso di Pandora. Una volta aperto,
intrappolerà l’Oscuro.” Samuel glielo
fece vedere più da vicino. “Non potrà
uscire, Belle. E tu sarai libera.”
“Perché
dovrei fare una cosa simile?”
“Per
tutti. Pensa a come sarebbe il mondo senza
l’Oscuro! Vendicheresti tutte le persone a cui ha fatto del
male! Saresti
un’eroina.” Il sorriso di Samuel era largo e
abbagliante, il sorriso di chi
credeva di avere la vittoria in pugno.
Belle
pensò a suo padre e alla sofferenza che
gli aveva causato quando aveva deciso di accettare l’accordo
di Tremotino.
Pensò a Gaston. Non era l’uomo che amava, solo lo
sposo scelto da Maurice per
lei, un giovane attraente, ma avido, che la vedeva come una delle sue
tante
conquiste. Non aveva idea di che fine avesse fatto, forse combatteva
contro gli
orchi per Maurice.
Pensò
a sua madre... a com’era morta. A tutto
il dolore che aveva provato quando si era destata e le avevano detto
che era
stata uccisa.
“Belle,
non è quello che hai sempre fatto? Hai
sempre aiutato gli altri. Sei sempre stata buona...”,
continuò Samuel.
“È
vero.”, rispose Belle, risoluta. “Hai
ragione. Dobbiamo farlo.”
“Mi
aiuterai, quindi?”
“Sì.
Ti aiuterò.”
Storybrooke. Oggi.
L’atmosfera
era schiacciante, grigia e pensatissima. Non si udiva cantare un
uccello e
tutto era avvolto da un silenzio di tomba angosciante che si
appiccicava ai
vestiti, come se dovesse trascinarli negli abissi più
profondi.
-
Questa è pazzia. Dovremmo usare i picconi e dargli una
lezione. – disse
Brontolo, scuro in volto.
-
Noi
dare una lezione a lui? – intervenne Gongolo.
-
Perché no? Siamo in sette!
-
E lui
ha tutti i suoi cavalieri armati a disposizione!
-
Noi
abbiamo i picconi! Niente ferma il piccone di un nano! E abbiamo
Granny! Lei ha
il fucile.
Belle
guardò con apprensione i due contendenti che si studiavano,
ad una distanza di
un paio di metri.
Merida
stringeva l’elsa della spada così forte da
sbiancarsi le nocche.
“Ah!
Tua madre mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro...
così ho assunto un
soldato perché ti addestrasse nell’arte della
guerra.”
Toccava
a lei vincere per tenere al
sicuro sua madre e i suoi fratelli, ora.
“In
combattimento non vince il più forte, ma il più
furbo.”
I
due
contenenti si studiarono, muovendosi in cerchio, senza mai distogliere
gli
occhi l’uno dall’altro. Il re senza regno era anche
senza armatura.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”
Artù
si mosse con rapidità, tentando un affondo deciso.
Merida
lo parò e scivolò a destra. Rispose con un
manrovescio, al quale lui si oppose,
spingendo per allontanarla da sé. Merida vacillò
sulle gambe, ma riuscì a
parare anche il colpo successivo. Lo incalzò con una serie
di mosse che
miravano alle gambe e alle braccia. La lama lo raggiunse poco sopra il
polso,
aprendo un taglio superficiale. Artù balzò
indietro, digrignando i denti.
Per
Belle era difficile staccare gli occhi dai due.
-
È
una follia. Hai ragione! Non so perché l’abbiamo
permesso! – sussurrò Eolo,
pallido come se uno dei due contenenti fosse stato lui stesso.
-
Sssh.
– gli intimò Gongolo.
-
Biancaneve potrebbe decidere di ucciderci e ne avrebbe tutte le
ragioni. Ci ha
detto di tenere d’occhio la situazione prima di partire...
– continuò Eolo.
Gli
altri
nani strascicarono i piedi.
-
L’abbiamo tenuta d’occhio! –
esclamò Brontolo, irritato. – Che cosa vi avevo
detto? Potevamo usare i picconi!
Merida
menò un fendente che quasi sorprese Artù, ma lui
lo fermò, incrociando la sua
spada con quella dell’avversaria. Artù spinse con
tutte le sue forze, fino a
costringere Merida a piegarsi sulle ginocchia. A lei tremavano i
muscoli delle
braccia. Vide una furia cieca bruciare nello sguardo verde del suo
nemico. Una
furia che gli deformava i lineamenti.
-
Morirai.
Sei finita come tuo padre. – Spinse ancora più
forte. Merida avvertì il morso
gelido della lama vicino al suo volto.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”
“In
combattimento non vince il più forte, ma il più
furbo.”
Merida
afferrò la lama della spada di Artù con la mano
destra, ferendosi. Ignorò il
dolore e usò le sue energie per opporsi al suo tentativo di
chiudere il duello.
Artù si stupì di quell’improvvisa
esplosione di forza e fu costretto ad
indietreggiare di un paio di passi. Il clangore delle armi
vibrò nell’aria,
riecheggiando come se stessero combattendo in un lungo tunnel.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
“Dove
mi stai portando?”, domandò Samuel,
seguendo Belle fino ad una grande porta di legno vecchio.
“Nelle
stanze sotterranee dell’Oscuro. Lui ci
va spesso, soprattutto quando è di ritorno da uno dei suoi
viaggi.”
“Dovrò
aspettarlo là?”
“È
il posto più adatto.”
Samuel
sorrise. Belle aprì la porta e prese una
delle fiaccole appese al muro di pietra, accendendola alla svelta.
Davanti a
loro, poco oltre la soglia, iniziava una serie di scalini che
conducevano nelle
viscere della dimora dell’Oscuro. La scala si avvitava,
perdendosi nel buio.
“Sei
sicura che sia per di qua?”, chiese
Samuel, aggrottando le sopracciglia.
“Sì.
Vivo in questo castello. Ormai conosco
quasi ogni angolo.”
Samuel
la seguì giù per le scale. Il passo di
Belle era sicuro, le fiamme illuminavano i gradini uno dopo
l’altro e ogni
minimo rumore riecheggiava lungo le pareti, spandendosi in una serie di
echi sinistri.
“Siamo
arrivati. Devi passare da qui.”, disse
Belle, sollevando la fiaccola perché Samuel potesse vedere
la seconda porta.
“Quello
non è il magazzino delle provviste?”,
le fece notare lui. “Vuoi che mi riempia la pancia,
prima?”
“No.
Ma le camere dell’Oscuro sono protette dai
suoi incantesimi. L’unico modo per raggiungerle è
passando dai magazzini.” Aprì
i chiavistelli arrugginiti. “Fidati di me. Ho imparato un bel
po’ di trucchi da
quando abito con lui. Non sono solo una domestica.”
Samuel
intervenne per aiutarla a sollevare la trave
che bloccava il passaggio. “Uff. Già... vedo che
ti sei data da fare... uff. È
una vera fortuna, Belle.”
Lei
sorrise leggermente. Scostarono la trave e
Belle aprì la porta, che cigolò orribilmente sui
cardini. “Cerca di fare attenzione.
Potrebbe accorgersi di te non appena metterà un piede nelle
sue stanze.”
“Ma
lui non ha il Vaso di Pandora.”, le ricordò
Samuel, battendo una mano sulla borsa. Si infilò oltre la
soglia. Prima di inoltrarsi
nel magazzino, si girò un’ultima volta,
guardandola, deciso. “Ci riuscirò,
Belle, non preoccuparti per me. Ce ne andremo. Τuo padre
sarà così felice di
rivederti.”
“Ne
sono sicura. E... non ho bisogno di
preoccuparmi per te.”
“Beh...”
Belle
gli chiuse la porta in faccia. Samuel non
se l’aspettava e inciampò, cadendo lungo disteso.
Lei afferrò la trave, scorticandosi
i palmi e usò la forza che aveva per rimetterla al suo posto
e bloccare la porta.
Infine tirò i chiavistelli.
“Belle!”
gridò Samuel, picchiando i pugni
contro il legno. “Belle, che stai facendo? Qui non
c’è niente!
Fammi uscire!”
Belle
appoggiò le spalle contro il legno,
respirando con affanno. “No, non c’è
niente, Samuel. Non si tratta nemmeno del
magazzino. Sei fuori dal castello. Vattene finché sei in
tempo.”
“Non
puoi farlo, Belle! Non puoi chiudermi
fuori!”
“Posso.
Τi ho già salvato la vita una volta. Se
l’Oscuro scopre che cosa intendevi fare, morirai. Quindi va
via. Per favore.”
Samuel
si aggrappò alle sbarre della piccola grata
che si apriva in cima alla porta. “Belle, no... come puoi
farmi questo? Eravamo
amici!”
“Un
tempo lo eravamo. Sono passati anni.”,
osservò Belle, incrociando le braccia. “E
Τremotino sarà anche il Signore
Oscuro, ma non merita di essere ingannato in questo modo.”
Quando
Samuel parlò di nuovo, la sua voce aveva
assunto un tono accusatorio, come quella di un bambino che voleva
essere rispettato
e trattato alla pari, ma che sapeva già di desiderarlo
invano. “Io ero tuo
amico. Sono venuto fino a qui per te. Ho rischiato la mia vita per
riportarti a
casa. Che cosa dirò a tuo padre? Che preferisci la compagnia
dell’Oscuro a
quella della tua famiglia? Lui ti ha traviata, vero? Ha usato la magia
e ora
fai ciò che lui chiede!”
Sul
viso di Belle balenò un lampo di
dispiacere. “Puoi dirgli quello che ritieni più
giusto. E... no, nessuno ha usato
la magia su di me. So quello che faccio. Al contrario di te.”
Storybrooke. Oggi.
Merida
e Artù continuavano a scambiarsi colpi su colpi.
Ormai
l’unico rumore era il clangore delle spade. Sembrava che la
folla stesse trattenendo
il respiro, in attesa della mossa che avrebbe deciso le sorti del
duello. Artù
aveva la fronte imperlata di sudore, ma non cedeva. Merida era
evidentemente stanca,
eppure continuava a parare gli affondi e a restituirli.
“In
combattimento non vince il più forte, ma il più
furbo.”
Artù
cercò di sorprenderla con un colpo di taglio, dato dal basso
verso l’alto.
Sembrava un colpo lento, ma era anche molo potente. Merida lo
sentì riverberare
lungo il braccio. Fu sul punto di lasciar cadere la spada. Strinse
l’elsa più
forte che poté, sbiancandosi le nocche e lo respinse.
Barcollò, trovandosi sbilanciata.
“Se
perdi, morirai. Farò in modo che la tua
gente abbia indietro la sua regina. A pezzi.”
Artù
sollevò la spada, infierendole un colpo in diagonale. Merida
fu costretta ad
usare entrambe le mani per non essere disarmata. Dalle labbra le
sfuggì un
verso inarticolato.
-
Arrenditi. - le disse Artù, fissandola tra le lame
incrociate. – Arrenditi,
maledetta. Non puoi vincere.
“La
tua adorata madre riceverà la tua testa. I
tuoi fratelli riceveranno il corpo. Dopodiché si
inginocchieranno a me.”
Ginevra
assisteva al duello con gli occhi sbarrati, il pugno premuto contro la
bocca.
Belle avvertiva il battito accelerato del proprio cuore. Le rimbombava
nelle tempie,
frastornandola.
“Il
fato... se morirà... morirà.”
Le
lame slittarono e Merida scivolò via. L’arma di
Artù colpì l’asfalto. Lui
gettò
un grido di rabbia e si girò di scatto. La spada fendette
l’aria.
“La
tua adorata madre riceverà la tua testa.”
Artù
vibrò l’ennesimo affondo. Si scagliò
contro di lei come una furia, mirando al
suo petto.
“I
tuoi fratelli riceveranno il corpo.
Dopodiché si inginocchieranno a me.”
Merida
si difese, parando l’affondo e Artù si
ritrovò proiettato dal suo stesso impeto
in avanti. Vacillò e, quando si voltò
d’istinto, aspettandosi un nuovo colpo
morale, Merida gli regalò un fendente che quasi gli
tranciò le dita della mano destra.
Il
suo
polso cedette e Artù lasciò cadere la spada.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
“Complimenti, mia cara! Davvero notevole!”
Τremotino apparve dietro di lei, battendo le mani come se
avesse appena assistito
al migliore degli spettacoli. “Sono felice di essere arrivato
giusto in tempo!
Non avrei mai voluto perdermi una scena simile.”
“Τremotino...”,
iniziò Belle, che se ne stava appoggiata
alla parete, ignorando le grida di Samuel.
“Vi
ringrazio per avermi aiutato a recuperare
qualcosa che desideravo da anni.”, disse l’Oscuro,
aprendo la mano. Vi fu un
pof e il Vaso di Pandora, quella che avrebbe dovuto essere la sua
prigione, si
materializzò. Intanto, due fili di fumo violaceo uscirono
dalla finestrella
sopra la porta sbarrata. “Non ero mai riuscito a metterci le
mani sopra, ma il vostro
molesto amico l’ha portato direttamente da me.”
“Cosa
avete fatto a Samuel?! Non lo avrete mica...”
“Oh,
non preoccupatevi per lui, cara. Non l’ho
ucciso. Ho promesso che non l’avrei fatto ed io mantengo
sempre la parola.”
Rise, accarezzando il Vaso con la punta delle dita. Fece scorrere
l’indice
sulla gemma rossa, che inviò un barbaglio luminoso.
“Però... mi sono permesso
di spedirlo da qualche altra parte... in un posto... molto lontano da
qui e
decisamente meno confortevole.”
Belle
incrociò le braccia e sollevò il mento,
con aria di sfida.
“Sì,
giusto. Devo ringraziarvi per avergli impedito
di rinchiudermi in questa... prigione.”, disse Tremotino,
reggendo l’oggetto
con due dia e sorridendole. “Avete fatto un ottimo lavoro e
me ne compiaccio.
Non oso nemmeno immaginare che cosa avrei combinato lì
dentro. Non lo trovate stretto?
Come avrei fatto a distendere le gambe?”
“Mi
dispiace deludervi, ma non ho chiuso fuori
Samuel per voi.”, lo interruppe Belle.
“L’ho fatto per il popolo della Foresta
Incantata. E perché sono una donna che mantiene la parola.
Proprio come voi.”
“Oh?”
“Volevo
credere alla storia di Samuel. Lo
volevo davvero. Era un mio amico.”, spiegò Belle.
“Ho provato a credergli anche
quando ho scoperto che la sua non era una vera ferita, ma solo un
incantesimo... un’illusione. Volevo credere che almeno lo
stesse facendo per
una buona causa.”
Lui
non disse niente. Aspettò che continuasse.
“Ma
mentiva. Ha sempre mentito. Quando mi ha
raccontato come si era procurato la ferita, ho capito che qualcosa non
andava
nella sua storia e quindi ho frugato fra le sue cose.”
“Molto
acuta.”
“Ho
trovato una mappa che conduceva proprio qui
e un disegno... rappresentava il vostro pugnale. Non era qui per
rinchiudervi
nel Vaso di Pandora. Era qui per il pugnale. Voleva rubarlo e
controllarvi.
Lui... e i suoi uomini.”
“Ah,
il pugnale. Ma guarda...” Τremotino toccò
la propria arma, accuratamente riposa in un fodero in cuoio appeso alla
cintura.
“Era
un mercenario. Se anche fosse vero che mio
padre l’ha assoldato, era qui solo per il suo tornaconto. Non
potevo permettere
che accadesse una cosa simile.” Gli puntò contro
l’indice. “Quindi, c’era di
più in ballo della vostra vita.”
“Già.
Questo lo vedo.”, osservò Tremotino,
corrucciato. Era sorpreso e faticava a nasconderlo.
“Bene.”
Belle si sistemò i capelli dietro le
spalle. “Ne ho abbastanza. Me ne vado a letto, con il vostro
permesso.”
“Fate
pure.”, mormorò l’Oscuro.
“Ho
solo una domanda.”, disse Belle, voltandosi
di nuovo. Sulle labbra aleggiò un sorrisetto.
“Dopo quello che è successo
oggi... vi fidate di me?”
Τremotino
annaspò, alla ricerca di una frase sensata
da rifilare a quella domestica impertinente.
“Non
importa.”, aggiunse Belle, scuotendo il
capo. “Conosco già la risposta.”
Storybrooke. Oggi.
Belle
trattenne
il respiro ancora per qualche momento, dopo che Artù era
stato disarmato.
Merida
gli puntava la spada alla gola.
Le
persone tacevano. Non uno fece un passo verso i due contendenti. I nani
sembravano statue di sale, con i picconi in mano. Granny
impugnò il fucile,
aspettandosi una carica da parte degli uomini del re, che fissavano la
scena
come inebetiti. Ginevra era pallida, con i pugni serrati ai lati del
corpo.
-
È
finita. – annunciò Merida. La sua voce
risuonò forte e chiara, poiché il
silenzio era denso, pesane come un macigno. – Rispettate la
vostra pare
dell’accordo. La ricordate, vero?
Artù
non era mai sembrato così furioso. Così livido.
-
Avete
detto che sareste venuto con me a Dunbroch e che sareste stato
giudicato da me
e dal mio popolo per ciò che avete fatto a mio padre.
– ripeté Merida.
-
Ho
detto questo, sì. – bofonchiò
Artù.
-
Credo che i vostri uomini non vi abbiano sentito.
-
Ho
detto proprio questo!
Un
brusio si diffuse tra la folla, percorrendola come un’onda
anomala.
-
E sappiate
che così sarà. – Merida alzò
gli occhi sui nani e fece loro un cenno.
Quelli
appoggiarono i picconi sulla spalla e Brontolo recuperò le
manette che aveva tolto
ad Artù.
-
Merida! – gridò Belle.
Aveva
alzato
gli occhi solo per un istante, sempre tenendo la spada puntata contro
la gola
dell’uomo. Con la coda dell’occhio, vide il guizzo
della mano di Artù. Fu
rapidissimo. Un lampo. Le dita scattarono come tenaglie verso
l’arma che era caduta
poco più in là. Quelle dita strinsero
l’elsa e il braccio si mosse per sferrare
il colpo morale.
“Ah!
Tua madre mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro...
così ho assunto un
soldato perché ti addestrasse nell’arte della
guerra.”
“In
combattimento non vince il più forte, ma il più
furbo.”
Merida
lo trapassò con la sua spada. La lama fuoriuscì
dalla schiena, insanguinata.
Schizzi di sangue volarono sull’asfalto e quasi raggiunsero
le scarpe di
Gongolo, che si ritrasse con un guaio ansioso, urtando Eolo.
Capitombolarono a terra
entrambi.
Ginevra
gridò.
E
quando Merida estrasse la spada, con gli occhi pieni di lacrime,
fissando il
corpo che si afflosciava, l’incantesimo con cui lui aveva
tenuto la moglie legata
a sé si dissolse.
Granelli
di polvere luminosa piovvero dai capelli e dal vestito color porpora di
Ginevra. Rotolarono sulle maniche dell’abito ed evaporarono
prima di toccare la
strada.
Ginevra
battè le palpebre.
Oltretomba.
Mentre
Killian Jones usciva dal negozio di Gold e si incamminava nuovamente
verso l’appartamento
degli Azzurri, invischiato in una fitta rete di oscuri pensieri, le
lancette
della torre dell’orologio scattarono.
Non
si
mossero in avanti, com’era accaduto quando il padre di Regina
era passato
oltre, ma all’indietro.
Il
suono secco vibrò nell’aria densa e buia di
Underbrooke.
Ade,
nelle profondità del suo covo, lo udì e sorrise,
sorseggiando un calice di vino
rosso.