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"L'odio
è cieco, la collera sorda,
e colui che vi mesce la vendetta,
corre pericolo di bere una bevanda amara"
[Alexandre
Dumas, Il Conte di Montecristo]
I
cavalli si impennarono, impauriti, roteando
gli occhi e sbuffando dalle nari. Il cocchiere della Regina ebbe il suo
bel
daffare con le redini e temette di perdere il controllo degli animali.
“Che
cosa succede?”, gridò Regina, sporgendo la
testa dal finestrino della carrozza.
“Mi
dispiace, Maestà. I cavalli sono
terrorizzati.”, si scusò il cocchiere. Gli animali
si impuntarono. Per quanto
lui li spronasse e cercasse di calmarli, non sembravano intenzionati a
fare un
solo passo.
La
strada davanti a loro si perdeva nel buio di
una fitta foresta. Gli alberi erano antichi, alti e solenni come
palazzi. I
vapori che salivano dal terreno avevano cominciato a turbinare intorno
alla
diligenza. La luce della luna pareva ancora più chiara e
vivida, un fulgore
pulsante.
“Datti
una mossa, idiota. Così perderemo le
tracce di Biancaneve.”, disse Regina.
“Con
il dovuto rispetto, Maestà... i cavalli
sanno dove ci troviamo. Forse è meglio... se posso
suggerirlo, sarebbe meglio
tornare dopo il sorgere del sole.” La voce del cocchiere era
incerta. Si
mordeva le labbra, perché non desiderava morire solo per
avere dato un
consiglio alla sua Regina. Sperava che il suo tono suonasse il
più possibile
sottomesso.
“Anch’io
so dove ci troviamo, razza di
incompetente! La Foresta dei Morti non mi fa alcuna paura! Sprona quei
cavalli!”
E detto questo si ritirò nuovamente nella carrozza.
Il
cocchiere lottò ancora un po’ con le redini,
poi riuscì a convincere gli animali ad avanzare. Il sentiero
si allargò e prese
a scendere. Il soldato che sedeva con la Regina dentro alla carrozza
sbirciava
continuamente dai finestrini e teneva una mano sull’elsa
della spada, timoroso.
Poi
una sagoma voluminosa sbarrò loro la strada.
Si piantò in mezzo al sentiero, proprio come avrebbe potuto
fare un fantasma.
Era una figura incappucciata e alta, non sarebbe potuta essere
più immobile se
fosse stata di pietra.
I
cavalli impazzirono. Il cocchiere tirò le
redini con forza, ma lui stesso pensò si trattasse di uno
spirito e gridò in
preda al panico.
“Cosa
c’è adesso?!”, domandò
Regina.
Con
un potente strattone, i cavalli si mossero
e presero a galoppare alla cieca. Il cocchiere venne sbalzato di sella.
La
carrozza urtò il tronco di un albero e si
ribaltò.
Oltretomba. Oggi.
Henry
si destò e gli ci vollero un paio di minuti per capire che
cosa stesse
succedendo, come mai vedesse il mondo capovolto e perché si
muovesse pur non
toccando l’asfalto.
Qualcuno
lo stava trasportando in spalla come un sacco di patate.
-
Ehi... – cominciò Henry, ancora stordito dal colpo
alla testa. Gli ronzavano terribilmente
le orecchie. – Ehi, dove mi stai portando? Chi sei?
L’uomo
non rispose. Camminò ancora per un po’, fino a
quando non raggiunse il porto di
Storybrooke. Lì, salì su un ponticello di legno e
poi balzò sul ponte di una nave.
-
Credevo ti avessero preso. – disse un’altra voce
maschile, che ad Henry sembrò
di conoscere.
-
No. Gli scherzetti di Ade sortiscono sempre l’effetto
desiderato.
Il
suo rapitore lo mise giù con poco riguardo e si
accosciò davanti a lui. Henry vide
le vele arrotolate di una grande nave, l’albero maestro che
pendeva, sbilenco.
Alcune assi del ponte erano divelte e il legno era graffiato e bucato
in più
punti.
-
La
Jolly Roger? – domandò Henry, battendo le
palpebre.
-
Non la Jolly Roger, moccioso. Ma è comunque una bella nave,
non pensi?
Erano
in due. Quello che lo aveva tenuto in spalla non l’aveva mai
visto prima. Era
un uomo alto e castano, con una casacca azzurra e un paio di pantaloni
neri
infilati in vecchi stivali di cuoio.
L’altro,
invece, era uno dei cavalieri di Artù, quello che aveva
ballato con Lily e
anche con sua madre. Quello che aveva tentato di ucciderla. Percival.
-
Dunque è questo il bimbo della Regina. – disse lo
sconosciuto, sorridendo
furbescamente. – Henry Daniel
Mills.
Pronunciò
il suo secondo nome, Daniel, dopo una brevissima esitazione.
-
Chi sei? Che cosa volete? – domandò Henry.
-
Non sa come pulirsi la conoscenza e dà il nome di mio
fratello a suo figlio. Patetica.
– commentò, parlando più a se stesso
che a lui. Si fece passare delle corde. –
Vediamo se sei un ragazzino ubbidiente. Dovrai stare fermo mentre ti
lego.
“Non
sa come pulirsi la conoscenza e dà il nome
di mio fratello a suo figlio.”
-
Le
mie mamme verranno a riprendermi. – disse Henry. –
Tutta la mia famiglia verrà.
Ve lo assicuro.
-
Non vediamo l’ora, ragazzo. – rispose Percival, con
quel sorrisetto astuto che
ricordava dalla sera del ballo al castello di Artù.
Henry
iniziò a dimenarsi non appena l’uomo gli prese i
polsi per legarglieli. Allora
Percival estrasse un sacchetto di cuoio, sciolse i lacci e
versò sulla mano del
complice una polverina dorata. Gliela soffiò in faccia e ad
Henry si confuse la
vista.
-
Peccato, non volevo sprecarla.
-
Non
preoccuparti di questo, William. – Percival guardò
la città, chiedendosi quando
avrebbe visto arrivare le madri del ragazzino, con tanto di famigliola
al
seguito.
Non
vide nessuna famigliola. Ma lontano, più o meno dalle parti
del cimitero, notò
il tornado.
Era
decisamente un tornado di dimensioni consistenti, nero come le tenebre
che
aveva dovuto sopportare quando Ade l’aveva sprofondato nelle
sue prigioni. Nero
come lo era stato il mondo subito dopo la morte. Prima il fuoco, la
sofferenza
infinita... poi il buio totale. La caduta interminabile.
-
Cos’è? – domandò William,
schermandosi gli occhi con una mano.
-
Un
portale. – rispose Percival, contrariato. – Credo
che qualcuno sia appena
arrivato negli Inferi.
Regina
si precipitò in casa, seguita a ruota da Biancaneve.
-
Emma! – chiamò, la voce piena di panico e collera.
– Emma, dove sei?!
Emma
scese le scale di corsa. Marian rimase in cima ad esse, fissando Regina
in un
modo che le fece capire che aveva saputo ogni cosa. Non aveva idea se
Marian fosse
più stordita o più arrabbiata. Se fosse
più confusa di prima o se stesse
cominciando ad uscire dal labirinto che era diventato la sua mente. Il
suo
sguardo era impenetrabile.
Ma
Regina non poteva occuparsene, ora.
-
Ho
visto il tornado. – disse Emma. – Credo che
qualcuno abbia appena raggiunto gli
Inferi... attraverso un portale.
-
Tornado? – fece sua madre.
-
Emma, nostro figlio è sparito! – si
affrettò a dire Regina.
-
Come sparito?
-
Non ho potuto fare niente... non ho nemmeno visto chi l’ha
portato via!
-
Non è stata colpa tua, Regina. – intervenne
Biancaneve. – C’è sicuramente di
mezzo Ade. Non possono essere andati lontani.
Gli
altri erano accorsi.
-
Ehi! – cominciò Lily. – Guardate
là.
Qualcuno
aveva appena infilato un foglio di carta ingiallito sotto la porta
d’ingresso.
Regina lo prese subito, mentre Lily spalancava la porta. Vide il
bambino che
attraversava la strada, fuggendo a tutta birra. Malefica fu
più veloce di
tutti. Si dissolse in una nube viola e ricomparve di fronte al
fuggitivo,
acchiappandolo per un braccio. I suoi occhi grandi e pieni di fuoco
zittirono
subito le sue proteste.
-
È
uno di quelli che mi hanno aggredita al cimitero. – disse
Regina, allungando
una mano a mo’ di artiglio.
Il
bambino, pallido e cencioso, si ritrasse. Lily lo fermò
prima che potesse
pensare di scappare di nuovo.
-
Sai, non mi piacciono molto i bambini. – disse, voltandolo
verso di sé. - E
credo che a te non piacciano i draghi, vero? Vuoi dirci
dov’è Henry o vuoi
vederne uno, che potrebbe anche decidere di mangiarti?
-
Io
sono morto. – disse il bambino, a muso duro. – Puoi
anche mangiarmi, quindi,
Oscuro.
-
Non sono più un Oscuro, ma sono capace di cavarti una cosa
di bocca, se voglio.
Regina
fece per parlare, ma Emma la bloccò, mettendole una mano sul
braccio.
-
Lily... – disse.
Lei
lasciò il bambino.
Emma
si inginocchiò davanti a lui. – Ehi, senti... so
che non fai tutto da solo.
Qualcuno ti ha detto di farlo e ti ha promesso qualcosa, vero?
Non
parlò. Anzi, la fissò con astio. Evidentemente,
se sapeva che Lily era stata un
Oscuro, doveva sapere anche di lei.
-
Forse ha davvero bisogno di una spintarella. – disse Regina.
Nella voce di lei
c’era una minaccia, un pericolo in agguato. –
È di mio figlio che stiamo
parlando.
Uno
strano, improvviso silenzio riempì la cucina, come se ognuno
dei presenti
stesse trattenendo il respiro. Emma avvertiva fin troppo chiaramente la
forza
della sua rabbia. E l’ombra della donna che era stata un
tempo, la donna che
aveva lanciato la maledizione e perseguitato Biancaneve.
Marian
si mise tra Regina e il bambino e gli tese una mano. Lui la
guardò, indeciso.
-
Qui nessuno vuole farti del male. – disse Marian, sorridendo.
Ed Emma si
accorse subito di quanto fosse convincente il sorriso di lei. Di quanto
fosse
puro e assolutamente amorevole.
-
Nemmeno la Regina?
Regina
non avrebbe dovuto essere così ferita dalle parole di un
bambino che poteva
essere poco più grande di Roland, dalle parole di un bambino
che era stata lei
ad uccidere... eppure fu una pugnalata. Fredda. Glaciale. Come il colpo
di
spada che uno dei suoi soldati doveva aver inferto a lui. Si
girò dall’altra
parte, incontrando lo sguardo verdazzurro di Emma.
-
Nemmeno la Regina. – rispose Marian. – Quelle
persone... potrebbero non averti
detto la verità, qualsiasi cosa ti abbiano promesso. Loro
vogliono fare...
delle cose brutte ad Henry. E lui è come te.
-
Morto?
-
No. Innocente. – Ora il tono di Marian era più
serio, molto più determinato.
Il
bambino si morse il labbro.
-
Il
biglietto dice che l’hanno portato alla libreria. –
disse Lily, sottraendolo a
Regina. – E sarà di certo una trappola.
-
Loro hanno detto... che l’avrebbero portato là. Ma
non hanno detto nient’altro.
– ammise il bambino. – Non hanno detto che gli
avrebbero fatto male. Solo che
dovevano spaventare la Regina.
-
Chi erano? Conosci i loro nomi?
-
Uno sì. Parsifal. – Ci pensò su. Scosse
il capo. – No, non era proprio così.
Era...
Lily
sgranò gli occhi. – Percival. Emma, andiamoci
subito.
-
Sì.
– disse Emma. - Papà... vai con Killian a vedere
che cos’era quel tornado.
Cos’ha portato qui, almeno. Noi ci occuperemo di Percival.
Fate attenzione.
Foresta dei Morti. Più di trent’anni fa.
Regina riuscì a sgusciare fuori dai resti della
sua carrozza, nonostante il dolore alla spalla destra.
Schiantandosi,
il suo mezzo di trasporto aveva
perduto una ruota ed era ora un ammasso legnoso e contorto. Il soldato
che
viaggiava con lei giaceva, forse morto, all’interno, con
l’elmo ammaccato che
gli pendeva sbilenco sulla testa e una gamba in una posizione
innaturale. Il
cocchiere era sparito. I cavalli giacevano poco più avanti.
Qualunque
cosa avesse causato quel disastro non
c’era più.
“Ma
perché i miei uomini sono solo degli idioti
incompetenti?”, mormorò Regina, districando lo
strascico del suo lungo
soprabito rosso da ciò che rimaneva del finestrino.
La
spalla le doleva. Di certo era dislocata e
il dolore le impediva di ragionare lucidamente. La indeboliva. Doveva
andarsene
da quel posto, su quello non aveva dubbi. Andarsene prima che
Biancaneve
acquisisse troppo vantaggio. Anzi, era più che probabile che
fossero caduti
tutti in una delle sue orride trappole.
“Saranno
stati i suoi nani disgustosi.”,
continuò, arrancando per allontanarsi dal luogo
dell’incidente.
Si
fermò. Qualcosa si muoveva, nel folto della
boscaglia, proprio dietro di lei. Udì il secco spezzarsi di
un rametto e un
fruscio guardingo tra il fogliame del sottobosco. Suoni che andavano
quasi
perduti sotto il sussurro del vento tra gli alberi.
“Chi
è là?”, chiamò con voce
alterata. “Chi
sei? Mostrati.”
Una
figura alta ed incappucciata sostava fra
due tronchi, ma lei non riusciva a scorgerne il viso. Era troppo buio.
La luce
della luna piena non era sufficiente.
“Mostrati,
se ne hai il coraggio.”, insistette
Regina.
L’uomo
scostò leggermente i lembi del
cappuccio, facendo in modo che lei vedesse solo una parte del suo
volto. La
linea della mascella. Le labbra sottili. Un occhio azzurro.
“Daniel...?”
Il solo rendersi conto di quello
che stava dicendo bastò a farla rabbrividire
incontrollabilmente, come se fosse
stata in preda ad un delirio mortale.
Ma
era sicura di non sbagliarsi. Non avrebbe
mai potuto scordare il volto del suo amore.
“Daniel,
sei tu? Sei... tornato?”
Il
ragazzo si voltò, mettendosi a correre.
“No,
Daniel, aspetta!”, gridò Regina,
seguendolo nelle tenebre della Foresta dei Morti. “Sono io.
Sono Regina!”
Lui
la stava distanziando. Fuggiva, come
spaventato dalla sua presenza. Persino il modo in cui correva, il modo
in cui
si spostava tra un albero e l’altro, bastarono a farle capire
che la sua mente
sovraeccitata non la stava ingannando. Quel luogo era popolato dagli
spiriti,
che lo rendevano tenebroso con la loro presenza. Rischiavi, voltandoti,
di
vedere cose che potevano farti uscire di senno. Ma non voleva pensarci.
Non
c’era alcun bisogno di pensarci...
“Daniel,
qualsiasi cosa ti abbiano detto di me,
non è vera.”, gridò Regina.
“Devi credermi.”
Continuò
a corrergli dietro, fino a quando non
giunse in uno spiazzo in cui gli alberi erano stati tagliati e
c’erano solo
monconi di tronchi.
E
una fossa. Una fosse molto profonda. Regina
ci finì dentro con un urlo. Cadde, battendo la spalla
già dislocata. Fu
momentaneamente accecata dal dolore. Si morse il labbro e
serrò le palpebre,
aspettando che si placasse.
Infine,
una risata. Proprio sopra di lei.
“Daniel?”
“Regina.”,
rispose. E la voce aveva
un’inflessione completamente diversa. Più dura.
Era più profonda e rauca. “O
forse dovrei chiamarvi... Regina Cattiva?”
“Tu
non sei Daniel.”, constatò, sentendosi una
vera idiota.
L’uomo
si accucciò sul bordo della fossa.
Avrebbe dovuto capirlo subito perché era più alto
di Daniel e aveva le spalle
più larghe. Inoltre, quando abbassò il cappuccio
della mantella grigia, per
quanto i lineamenti fossero simili e gli occhi del medesimo azzurro, i
capelli
erano folti e castano chiaro.
“Certo
che no.”, rispose l’uomo, divertito.
“Mio fratello giace sottoterra, Regina Cattiva. Da
tempo.”
“William?”
Regina si rialzò, tenendosi la
spalla dolorante con una mano. “Daniel... lui aveva detto che
te ne eri andato.
Mi diceva... che non ti vedeva da anni. Eri partito in cerca di
fortuna.”
“Ed
è così. Ma sono tornato. Dopo la sua morte,
sono tornato e ho saputo cos’è accaduto. Sai,
Regina... io volevo bene a mio
fratello. È anche per lui che me ne sono andato. Questo te
l’ha detto? La mia
fortuna sarebbe stata anche la sua. Eh? Τe l’ha
detto?”
“Sì...”
“Ti
dirò una cosa io, allora.” William
intrecciò le mani. “So cos’hai fatto.
Daniel è morto per colpa tua. L’hai
ucciso tu. È giunto il momento di pagarne il prezzo, Regina
Cattiva. E il
prezzo è molto alto.”
Oltretomba.
Il
tornado
aveva lasciato dietro di sé una scia di cianfrusaglie, i
pezzi di quello che
sembrava un telone verde e persino una cuffietta bianca da neonato.
David
l’ha raccolse, esaminandola, perplesso. Il cimitero, con le
sue lapidi disposte
in file irregolari, era deserto. Il tornado era passato in mezzo alle
tombe, ma
esse erano intatte.
Killian
osservò le zolle di terra e i cespugli di alloro e ginepro
divelti, in cerca di
orme o di qualche altra traccia. Un vecchio salice era spaccato
malamente e la
rottura era così fresca che la sua polpa biancastra ancora
perdeva linfa.
Dall’altro lato c’era un pugnale. Lo prese.
-
Quello apparterrebbe a me. – disse una voce, che fece
sobbalzare Killian. –
Potrei riaverlo?
L’uomo
che si era rivolto a lui tendeva una mano, mentre reggeva con la
sinistra una
faretra piena di frecce, decorate con piume rosse.
-
Penso di no, amico. – rispose Killian, occhieggiandolo,
sospettoso. David si avvicinò,
preparandosi ad estrarre la spada. - Chi sei?
-
Mi
chiamo Fiyero. Fiyero Tiggular. E vengo da Oz. – Lui
occhieggiava l’uncino che
aveva al posto di una delle mani.
-
Non si direbbe. – rispose Killian. Fiyero aveva la pelle
nerissima e le braccia
ricoperte di tatuaggi a forma di diamante. Ne aveva anche sulle nocche
e sul
collo. – Io direi che vieni dai Mari del Sud. Dal profondo
Sud. Quei
tatuaggi... non sono in molti ad averli.
-
Sì, devo dire che il mio vero padre veniva da là.
– Fiyero liquidò la questione
con un’alzata di spalle. - Avete viaggiato molto, a quanto
pare. Ma la mia casa
è nel regno dei Winkie. Mi trovavo ad Oz quando il
portale...
-
Sei solo? – domandò David.
-
Non lo ero. Ma la strega è sparita con la bambina prima che
potessi fare
qualsiasi cosa.
-
La
Strega Perfida. Per tutti i diavoli... – Killian
guardò David. Poi si rivolse
di nuovo a Fiyero. – Forse è il caso che tu ci
dica che cosa è successo. Poi,
forse, potrai riavere il tuo pugnale.
-
Beh, vi ringrazio. Però anch’io ho una domanda:
perché il cielo di questo posto
è rosso? Dove mi trovo esattamente?
Le
porte della libreria erano chiuse. Quando Lily tirò i
battenti per aprirli, la
magia la respinse, scintillando.
-
Un
incantesimo di protezione. – disse Emma.
-
State indietro. – Malefica aprì la mano destra e
in essa comparve lo scettro. Lo
impugnò saldamente, puntandolo contro le porte e
scagliò il potere su ciò che
proteggeva quel luogo. Regina, Emma e Lily si schermavano gli occhi.
La
barriera andò in frantumi.
-
Beh, non era così potente, come incantesimo. –
osservò Lily.
-
Già. Il che vuol dire che è una trappola.
– concluse Emma.
A
Regina poco importava che fosse una trappola. Spinse i battenti della
libreria,
spalancandoli e si precipitò dentro, chiamando il figlio a
gran voce.
-
Regina,
aspetta... – disse Emma, cercando di fermarla.
Il
ragazzino era appeso al soffitto, la corda legata intorno al collo, le
braccia
penzoloni lungo i fianchi e la faccia messa in ombra dal cappuccio
della
mantella. Muoveva ancora le gambe. Debolmente. I piedi calzavano le
stesse
scarpe che portava Henry quando era sparito, al cimitero. E portava gli
stessi
jeans.
Regina
rimase là, raggelata. Sentiva che un urlo lacerante stava
salendo dal profondo.
Sentiva che il suo stesso equilibrio mentale cominciava a cedere. Era
una
sensazione troppo materiale. Autentica. Di certo, un albero
sovraccarico di
neve, durante una tremenda tormenta, doveva sentirsi così un
attimo prima di
abbattersi al suolo.
Lily
ebbe la prontezza necessaria e abbrancò le gambe di Henry
prima che soffocasse.
Malefica bruciò la corda e il corpo cadde sul pavimento.
-
Henry! – gridò Regina, gettandosi in ginocchio
accanto a lui.
Quando
scostò il cappuccio per scoprirgli il viso vide che non si
trattava affatto di
Henry. Era un ragazzo con la sua stessa struttura fisica e i suoi
vestiti,
ma...
-
Regina,
attenta! – Emma si lanciò su di lei e la spinse
via prima che il pugnale la
raggiungesse. La lama fendette l’aria tra di loro e la finta
vittima grugnì il
suo disappunto. Lily lo disarmò con un calcio e lo prese per
il colletto della
giacca.
Nel
frattempo, ne arrivarono altri. O meglio, non arrivarono. Comparvero
dal nulla.
Come se l’unico ragazzo presente avesse iniziato a
moltiplicarsi.
Uno
cercò di colpire Emma e lei gli afferrò il polso.
Con un piede, agganciò la sua
caviglia e lo fece cadere. Prima che potesse rialzarsi, gli fu addosso,
bloccandolo a terra con un ginocchio.
-
No...
– sibilava... l’essere sotto di lei, dimenandosi e
torcendo il collo all’insù,
gli occhi malevoli, quasi da insetto nel loro stupido odio. La faccia
cominciò
a mutare; era quella di Neal, dallo sguardo spento e fisso; era quella
incredula di Graham nell’attimo in cui Regina aveva
polverizzato il suo cuore;
era quella di suo figlio, paurosamente pallida. Infine
cambiò di nuovo e
diventò il volto di un’entità con la
fronte bassa, gli occhi gialli, la lingua
appuntita e biforcuta.
Ma
Emma non era l’unica a vedere altre facce in quelle dei
demoni che le
circondavano. Regina, prima di scagliare la sua sfera di fuoco, scorse
la
faccia di sua madre, che la guardava così come
l’aveva guardata quando aveva
usato le cinghie dei cavalli per legarla. Scorse le facce dei bambini
del
cimitero. Scorse la sua stessa faccia, i lineamenti distorti dalla
furia.
Lily
vedeva i suoi genitori adottivi. Prima suo padre e poi sua madre.
Vedeva
Murphy, che le sussurrava parole orribili, accuse e minacce. Le
ricordava che
aveva privato una bambina innocente di un padre, lasciandola sola al
mondo.
Malefica
atterrò uno dei demoni, mandandolo prima a sbattere contro
uno scaffale e poi
tenendolo fermo sul pavimento con la magia. Lui si portò le
mani alla gola,
annaspando. Batté i piedi e tese il corpo. Infine, rivolse
la faccia a
Malefica. Il suo viso divenne quello di un uomo urlante, quello di una
donna le
cui guance erano bruciate dal fuoco, quello di un giovane con i capelli
ridotti
ad un groviglio ardente. Divenne il volto di una ragazza che altri non
era che
lei, trecento anni prima, un drago inesperto, incapace di controllare
il
proprio potere, che aveva commesso una strage, uccidendo e
distruggendo, salvo
poi rintanarsi nella grotta dove la madre aveva protetto
l’uovo da cui era nata.
-
Τu
perdi sempre, Malefica... vieni sempre sconfitta. Anche oggi.
– gracchiò il
demone.
Malefica
l’afferrò per i capelli biondo grano e fece per
spezzarle il collo. Poi vide
che sua figlia era stata sospinta contro uno scaffale e le dita di uno
dei
mostri le arpionavano la gola. Stringevano. Lily annaspava. Malefica
colpì con
violenza l’essere che aveva assunto le sue sembianze e fece
per scagliarsi in
avanti.
Non
vide l’altro, quello che sopraggiunse alle sue spalle. Non
l’aveva neppure
sentito.
La
lama di un pugnale le trapassò la giacca e si
piantò nella sua schiena.
Foresta
dei Morti. Più di trent’anni fa.
Tenendosi la spalla dislocata, Regina sollevò
la testa e spalancò gli occhi, esterrefatta.
“Morto per colpa mia? Ma di che
cosa parli? Come osi?”
“Come
oso?” Lui rivolse la faccia alla luna.
“Direi che ho tutte le ragioni per osare, Regina. Hai ucciso
mio fratello. O
non era vero che volevi fuggire con lui, nonostante il parere contrario
della tua
famiglia?”
“Io...”
“Mi
hanno anche detto che lo amavi. Ma io non
credo. Se ciò fosse vero, l’avresti lasciato in
pace. Avresti...”
“Non
sono io la colpevole, William!”, gridò
Regina, sconcertata da quelle parole così intrise di veleno.
“La vera colpevole
è Biancaneve! Se non avesse rivelato il nostro segreto...
saremmo riusciti a
fuggire e Daniel sarebbe vivo!”
“Poco
importa ciò che ha fatto Biancaneve. Non
ho alcun interesse per quella bandita.” William
posò un ginocchia a terra ed estrasse
qualcosa dalla casacca. Se lo rigirò tra le mani per qualche
istante, prima di
sciogliere i lacci. “Sei stata tu a convincerlo a scappare.
L’hai spinto a
credere alle tue fantasie! L’hai spinto a credere che vivere
una vita felice
fosse possibile! Bugie.”
“Le
bugie sono quelle che hanno raccontato a
te.”, replicò Regina. “Lo amavo... lo
amavo davvero. Non ho potuto
impedirlo...”
“Potevi,
invece.”, disse William, con
un’arroganza e una testardaggine che lei non avrebbe mai
creduto possibili. “Da
quando una storia d’amore tra uno stalliere e una ragazza di
nobile famiglia,
promessa ad un re... è finita bene?”
“William...
io pensavo...”
Il
fratello di Daniel aveva smesso di ascoltarla.
Non aveva la minima intenzione di stare là a sentirsi
ripetere che era
Biancaneve la causa di tutto. ‘Parla pure, Regina
Cattiva’, sembrava dire la
sua postura rigida, la sua fronte aggrottata, la bocca stretta in una
linea piatta
e dura. ‘Parla fino ad diventare blu. Non servirà
a niente’.
Ma
doveva provare. “William, smettila. Non
voglio farti del male. Io voglio proprio ciò che vuoi tu.
Vendetta per Daniel.
Sto facendo questo per lui!”
“Non
sei altro che una bambina viziata. La tua
vita ti annoiava e hai pensato di gettare la tua noia su mio fratello.
Sei
bella...”, mormorò William, alzandosi in piedi e
riversando il contenuto della
sacchetta nella mano destra. “Sei bella e sono sicuro che sai
persuadere
chiunque. Sei una manipolatrice nata. Mi hanno parlato anche di tua
madre, sai?
Cora. Da come me l’hanno descritta, direi che le
somigli.”
“Oh,
non hai idea di quanto ti sbagli! Se mi
dessi la possibilità di spiegare...”
William
gettò nella fossa la polvere che aveva tirato
fuori dalla sacchetta. Non appena i granelli dorati le scivolarono
lungo il
braccio, Regina avvertì i suoi muscoli indurirsi, contrarsi
dolorosamente. Era
una polvere magica.
“Sei
già ferita. Mi sono assicurato che uscissi
viva dall’incidente in carrozza, perché volevo che
avessi modo di cadere in
questa trappola, dove resterai. A lungo. Così potrai pensare
ai tuoi errori. A
ciò che avresti dovuto fare e non hai fatto,
perché sei un’egoista.”
Riversò su
di lei quel fiume di parole senza nemmeno guardarla. “Una
sirena di un regno
lontano mi ha procurato questa sabbia. Mi disse che avrebbe
neutralizzato
qualsiasi magia. Quando ne sarai ricoperta... non potrai nemmeno uscire
dalla
fossa. E nessuno potrà aiutarti ad uscirne.”
Oltretomba. Oggi.
-
Mamma!
– gridò Lily, raggiungendo Malefica e gettandosi
in ginocchio accanto a lei.
Regina
neutralizzò il demone che l’aveva pugnalata,
spezzandogli il collo. Emma
accorse a sua volta, dopo essersi occupata dell’ultimo
mostro. La giacca grigia
di Malefica era già zuppa di sangue. Nel tessuto si apriva
uno squarcio, attraverso
il quale Emma poteva vedere la ferita provocata dal pugnale.
-
Mamma... – ripeté Lily, con una voce che ad Emma
ricordò fin troppo il tono
della ragazzina che si era nascosta nel garage della sua famiglia
adottiva. La
ragazza che aveva gridato il suo nome sporgendosi dal finestrino di
un’automobile.
Malefica
la fissò, da sotto le palpebre appena dischiuse.
È
proprio come a Camelot, pensò
Emma. Solo che quella volta era Lily ad
essere in fin di vita. E lei aveva commesso l’errore di
moltiplicare
l’oscurità. Scacciò quel pensiero dalla
mente con tutta la rapidità possibile.
Regina
si concentrò al massimo delle sue possibilità per
guarirla. Avvertì il potere
che si faceva strada dentro di lei e cercava una via per uscire. La sua
mano
scintillò, emanò un’intensa luce bianca
per alcuni secondi... poi si spense. A
Regina sembrò di premere contro una robusta parete di gomma,
che cedette un po’
permettendole di usare la magia, ma poi la risputò fuori.
-
Che
cosa succede? Perché non funziona? –
domandò Lily, con il respiro corto per
l’agitazione.
Regina
fu presa dalla stizza. Aveva il cuore in tumulto e la testa che le
bruciava.
Sentiva un ronzio nelle orecchie che pareva un battito d’ali
e avvertiva una
presenza vicina che rideva di lei, dei suoi goffi tentativi.
Emma
afferrò saldamente la sua mano e la strinse così
forte che Regina ne fu
sconcertata. – Insieme. Possiamo farcela.
Dopo
un istante di incertezza, Regina annuì. Malefica
rantolò, mentre la macchia di
sangue si allargava sotto di lei, intaccando e macchiando la rilegatura
di un
libro precipitato da uno scaffale.
La
magia proruppe di nuovo, più forte. La barriera invisibile
che aveva respinto
il primo attacco si tese, sembrò in procinto di scacciarle
un’altra volta,
rendendo vano anche il secondo tentativo. Emma sentì che la
magia di Regina si
univa alla sua in una girandola di potere.
Non
era abbastanza. Quel mondo si opponeva con tutte le sue forze. La morte
che
impregnava ogni cosa nel regno di Ade si aggrappò a
Malefica, cercando di
trascinarla giù con sé.
Lily
prese la mano libera di Emma, imponendosi di ricordare quello che aveva
imparato da sua madre, e appoggiò l’altra sopra le
dita intrecciate delle due.
Foresta
dei Morti. Più di trent’anni fa.
“Basta, William!”, gridò Regina,
sollevando
entrambe le braccia e ignorando la fitta di dolore alla spalla.
Qualunque
effetto dovesse avere quella sabbia
magica, non fu quello sperato dal fratello di Daniel. Regina
percepì solo una
minima resistenza intorno a sé, poi la magia esplose verso
l’alto in un mare di
scintille rosse. William ne fu sopraffatto e il sacchetto gli cadde di
mano. La
sabbia si rovesciò, disperdendosi.
“Maledetta!
Cos’è questo? Uno dei tuoi
trucchetti, vero?”, esclamò il giovane, mettendo
mano alla spada.
Regina
scomparve in una nube densa e riapparve
fuori dalla fossa, accanto a William. Usare la magia le stava rubando
le
energie, perché era già ferita. Aprì
mani in segno di resa.
“Quella
sirena ti ha ingannato, William. Molte
sirene lo fanno.”, gli spiegò, rimanendo a
distanza di sicurezza. “È la loro
voce. Può ammaliarti e farti credere qualsiasi cosa.
Più la sirena è vecchia,
più è potente.”
William
sostenne lo sguardo di Regina,
ricambiandola con un’occhiata colma di odio e di furia
omicida.
“Non
voglio farti del male. Siamo dalla stessa
parte.” Regina gli offrì la destra.
Cercò il contatto con i suoi occhi azzurri,
sperando di vedere qualche brandello di Daniel in lui.
Vide
solo uno un lampo feroce, le sclere
iniettate di sangue. William parlò con un tono reso stridulo
dalla collera.
“Non saremo mai dalla stessa parte! Hai ucciso mio
fratello!”
“Io
amavo Daniel! La colpa è di Biancaneve!
Credimi!”
“Soffrirai
per ciò che hai fatto a mio
fratello! Io avrò la mia vendetta, in un modo o
nell’altro.”, insistette
William.
Sfoderò
la spada e tentò un affondo che quasi
la sorprese. Erano vicini. La lama aprì uno squarcio
nell’abito rosso di
Regina, all’altezza del fianco sinistro. Un rivolo di sangue
scivolò sulla sua
pelle.
“Voglio
la stessa vendetta, William. Non lo
vedi?” Regina lo stava supplicando. “Dobbiamo unire
le forze. Insieme, potremo
catturare Biancaneve.”
William
menò un fendente deciso. Regina scagliò
la sua magia contro la spada e lo disarmò
all’istante.
“Sei
tu l’assassina di Daniel! Cosa vuoi che mi
importi di una bandita?” Estrasse un pugnale dalla cintura e
si gettò contro di
lei, la bocca spalancata in un urlo.
Regina,
istintivamente, reagì spedendo un’onda
di potere contro di lui. Usò molta più magia di
quanta fosse necessaria.
William
volò all’indietro. L’arma di fortuna
gli sfuggì. Sbatté con violenza il capo contro il
tronco di un albero e si
afflosciò sulle radici che sporgevano dal terreno duro e
sassoso. Emise un
lungo sospiro, simile ad un rantolo. Quando Regina si
avvicinò, lui la fissò
come se la riconoscesse confusamente.
“William...”,
mormorò, chinandosi. “William,
no... io non volevo...”
Le
palpebre dell’uomo tremolarono, mostrando
uno spicchio di azzurro. Cercò di muovere la testa, ma il
collo era rotto.
Dalle labbra gli uscì un gorgoglio. Tentava di parlare.
Regina afferrò qualche
sillaba, però le parole erano indecifrabili.
“Non
preoccuparti. Andrà tutto bene. Posso
aiutarti.”, disse Regina, in fretta, lasciando scivolare le
dita dietro la sua
nuca. Aveva ancora abbastanza energie per guarirlo, forse. Poteva
provarci.
“Non...
puoi.”, disse William. Sorrise.
Quel
sorriso. Era atroce.
“Non
puoi... aiutarmi. Come non hai...
potuto... aiutare Daniel.”
Regina
avvertì nel suo alito l’odore della
morte, delle ferite interne, del fallimento, della rovina.
“No, io lo amavo...”
William
cominciò a tremare tutto.
Improvvisamente parve bloccarsi in ogni suo muscolo. Gli occhi
divennero vuoti,
senza sguardo, orlati di sangue. Si fecero vitrei.
Rendendosi
conto di quanto era accaduto, Regina
si girò da una parte per non guardare il morto e
abbassò la testa.
Oltretomba. Oggi.
La
ferita di Malefica si richiuse e scomparve. Fu una cosa lenta e
graduale, tanto
che Regina temette che non avrebbe funzionato, che nemmeno il potere di
tre
persone diverse sarebbe bastato a guarirla.
Invece
funzionò.
Lily
abbracciò sua madre non appena lei riuscì a
rialzarsi. Il pugnale usato per colpirla
giaceva sulle piastrelle, ancora sporco di sangue, ma i demoni si era
trasformati in tanti mucchietti di cenere.
-
Ce
l’abbiamo fatta. – disse Emma, che continuava a
stringere la mano di Regina.
-
Sì. – rispose Regina, rimirando le loro dita
intrecciate, ancora sorpresa e
stordita. Fissò Emma negli occhi, così come non
le capitava di fare da tempo.
Per un attimo vide solo il verdazzurro di quello sguardo, come se la
realtà non
conoscesse altri colori. - Ce l’abbiamo fatta.
Emma
lasciò la sua stretta, lentamente. Appoggiò una
mano sulla spalla di Lily.
-
Forse possiamo ancora trovare Henry con un incantesimo di
localizzazione. Credo
che... ora funzionerà. – disse Regina. –
Ho portato qualcosa di suo.
Estrasse
la sciarpa del ragazzino.
Emma
annuì. – Facciamolo. Lily... rimani qui con tua
madre. Ci pensiamo io e Regina.
-
E
Percival? – chiese Lily.
-
Percival vuole me. – rispose Regina, con risolutezza.
– Sono io il suo conto in
sospeso.
La
scia luminosa dell’incantesimo di localizzazione le condusse
direttamente al
porto. Lì era ormeggiata una grande nave, con le vele
rossastre come il cielo
dell’Oltretomba e stracciate. Il legno era scuro e consunto.
Lungo le fiancate,
le bocche dei cannoni erano arrugginite. A prua, una figura femminile,
con i
capelli al vento e un serpente ad abbracciarne il corpo sinuoso,
guardava verso
l’orizzonte.
Sul
ponte, Henry si destò, ancora confuso. Batté le
palpebre più volte per mettere
a fuoco l’ambiente.
-
Henry! – gridò Regina, arrivando di corsa.
Percival
afferrò il ragazzino per il colletto e lo costrinse ad
alzarsi in piedi. Polsi
e caviglie erano legati. Il cavaliere sguainò la spada che
un tempo aveva
cercato di usare contro di lei e gliela appoggiò sulla gola.
Emma
si fermò con un piede già sulla scala che
conduceva sulla nave.
Udì
una risata divertita e un altro uomo comparve da sottocoperta. Non
aveva armi.
I capelli castano chiaro erano tutti arruffati.
Regina
ebbe un tuffo al cuore. – William?
-
Salve, Regina.
Henry
spostò la testa a destra e a sinistra, si dimenò,
ma Percival lo tenne ben
stretto.
-
È
ancora vivo, vedi? – disse William, indicando il ragazzino.
– Il tuo Daniel è
ancora vivo. La domanda è: per
quanto ancora? Basterebbe un graffio con la lama di quella spada per
spedirlo
dritto dalle Anime Perdute. La lama è stata bagnata nelle
acque di quel fiume.
Emma
e Regina si scambiarono un’occhiata.
-
Non pensate neppure di usare la magia. – Il fratello di
Daniel aveva un’aria
annoiata. Nessuna esitazione. Si sentiva in netto vantaggio.
– Se lo farete,
Percival potrebbe essere più rapido di voi. O potrebbe
ferirlo accidentalmente.
Quindi... vogliamo giungere ad un accordo?
-
Quale accordo? – chiese Emma, mentre la sua mente lavorava
senza sosta alla
ricerca di un modo per raggirare quei due.
-
Regina sale sulla nave. Si consegna. A noi. – disse Percival.
Sogghignò
compiaciuto, come al ballo, prima di rivelare la storia del ragazzino a
cui la
Regina Cattiva aveva sorriso, dopo aver portato morte e distruzione nel
suo
villaggio.
-
A
noi. – ribadì William. – E noi, in
cambio, lasciamo il ragazzo. In caso contrario,
sapete che cosa accadrà.
Regina
mosse un passo verso di loro. Emma la prese per un braccio.
-
Emma, non abbiamo scelta.
-
C’è sempre un’altra scelta, Regina.
-
Non questa volta. È nostro figlio...
Scosse
il capo con forza. - Forse se uniamo i nostri poteri possiamo fermarli.
-
Percival potrebbe essere più veloce. Hai sentito? Basta un
graffio. Henry non
può pagare per le mie colpe. William... è il
fratello di Daniel. – le spiegò. –
Sono stata io, Emma. Si trova quaggiù perché
l’ho ucciso io.
-
Intendo
contare fino a cinque. – disse William. – Percival
ha una mano forte e ferma,
ma la lama è ad un paio di millimetri dalla gola di Daniel.
Basterebbe...
Regina
alzò entrambe le mani.
-
Anche
l’Oscuro. – disse Percival, in tono riflessivo.
– Porta l’Oscuro con te. Salite
tutte e due. È un vero peccato che non ci sia anche la mia
assassina. Ma ci
sarà tempo per stanarla.
-
Lascia Emma fuori da questa storia. – replicò
Regina.
-
No, Regina. Sono d’accordo con lui. – intervenne
William, con le mani intrecciate
dietro la schiena. - Ti prego, Oscuro. Vieni avanti. Il figlio
è anche tuo. E
credo che tu tenga molto alla Regina. E al tempo stesso dovresti
avercela con
lei. Ti ha tradita. Vieni e goditi lo spettacolo.
Emma
li raggiunse senza pensarci. Henry fissò le sue madri,
angosciato.
A
Regina sembrò che il ponte della nave fosse lontano anni
luce. Il cuore le
rimbombava in testa e il sangue le si rimescolava nelle vene. Non
voleva che
suo figlio la vedesse morire. Non voleva nemmeno che Emma la vedesse
morire, ma
non poteva nemmeno permettere che Henry corresse un rischio terribile
per colpa
sua.
Τremotino
aveva ragione quando aveva detto che l’Oltretomba era un
posto orrendo. Ovunque
si girasse i conti in sospeso la tormentavano. E li aveva voluti. Li
aveva voluti
lei. William, Percival, i ragazzini al cimiero... Marian. Persino Emma.
Sei
stata cattiva troppo a lungo, le
sussurrò Cora. Ora ne paghi le
conseguenze.
-
In
ginocchio, Regina. – disse William.
-
Libera nostro figlio, prima. – rispose lei, furiosa.
-
In
ginocchio. Lo farò quando avremo finito.
Emma
occhieggiò Percival e la sua spada. Henry la guardava con
gli occhi sgranai.
Regina
si inginocchiò davanti a William, che aveva gli occhi vivaci
e scintillanti di
un bambino pronto ad incendiare la tela di un ragno per studiare la
reazione
dell’insetto.
Nella
mano destra di William comparve una spada. La fece roteare. –
Sai, mi dispiace
che tuo figlio debba assistere. Ma l’hai voluto tu.
Emma
pensava di poter disarmare almeno uno di loro. Con il suo potere, forse
poteva
farcela. Ma due... in quel luogo la magia non funzionava nel solito
modo. Avvertiva
la propria magia, ma anche quella del regno di Ade. Era vigile.
Aspettava che
ci provasse, senza aiuti, stavolta. Si sentiva lenta e stordita. Henry
era in
pericolo. La lama di quella spada era vicinissima alla sua pelle.
Regina stava
per essere giustiziata...
-
Questo
è per mio fratello. – disse William, impugnando la
spada con entrambe le mani.
Alzò gli occhi azzurri sul complice. – Questo
è per mio fratello... e per il
bambino a cui una volta sorridesti dopo che i tuoi soldati avevano
ucciso suo
padre, lasciando il suo corpo nel fango.
Regina
guardò Percival e notò che il bambino che ormai
era un uomo adulto stava...
sorridendo. Naturalmente.
William
sollevò la spada, preparandosi a mettere tutta la forza che
aveva nel colpo che
le avrebbe mozzato il capo.
“Sei
stata troppo cattiva. Per troppo tempo.”
La
freccia sibilò vicino all’orecchio di Emma e
centrò William al collo. Lui
lanciò un grido gorgogliante, più per
l’impatto improvviso che per il dolore.
La mano lasciò cadere la spada.
Emma
non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma capì che
doveva approfittarne.
Percival aveva allontanato la lama dal corpo di Henry, preso dallo
sconcerto.
Emma usò la magia per torcergli il polso. Compì
uno sforzo titanico, che la
costrinse a piegarsi su un ginocchio, ma alla fine Percival gemette.
Henry gli
rifilò un gomitata nello stomaco, spezzandogli il fiato e
corse verso sua
madre.
Regina
si girò di schiena e si allontanò strisciando da
William. Lui annaspava e
barcollava. Dalla ferita non zampillava nemmeno una goccia di sangue,
eppure
l’uomo crollò in ginocchio, nella stessa posizione
in cui si trovava Regina
poco prima. Gli occhi azzurri, identici a quelli di Daniel, ma
brillanti di
follia, ruotarono, come cercandola, poi scomparvero, mostrando solo il
bianco
della sclera.
Una
seconda freccia e poi una terza sfiorarono i capelli biondi di
Percival, che si
abbassò d’istinto e poi si gettò
nuovamente sulla spada. Emma prese quella di
William, voltandosi nel momento esatto in cui il cavaliere
vibrò il fendente.
Emma lo parò a fatica. Il colpo riverberò nel suo
braccio, irrigidendole il
muscolo.
Vide
Marian che sfilava un’altra freccia dalla faretra e la
incoccava.
Percival
menò un poderoso manrovescio ed Emma rotolò sulle
assi del ponte.
William
si afflosciò. Un suono orrendo proruppe dalla sua gola, un
suono raspante, di
chi sta soffocando nel suo stesso sangue. Infine il suo corpo si
dissolse.
Diventò acqua, che scivolò tra le fessure delle
assi.
Emma
respinse nuovamente il cavaliere. Percival era rapido e agile, non
appena Emma
parava un colpo, gliene rifilava un altro.
-
Facciamola finita, Percival. – disse Emma, mentre le lame si
incrociavano. –
Ormai sei solo.
-
E
tu sei morta, come me. – ribadì lui, spingendo e
avvicinando di più la spada al
suo viso. – Un piccolo aiuto per passare oltre ti serve,
vero? Non andrai in un
bel posto. Gli Oscuri non ci vanno mai.
Emma
strinse i denti. Usò tutta la sua energia e la sua furia per
spingere verso
l’alto con le braccia e puntando un piede sul ponte della
nave. Percival
barcollò, sorpreso dalla sua forza e indietreggiò
di un paio di passi. Allora
Emma parò un colpo basso, ruotò rapidamente verso
destra e, dando le spalle al
cavaliere, eseguì alla cieca un affondo. Percival
reagì in ritardo. La lama lo trafisse
al petto, affondando attraverso gli abiti per quasi tutta la sua
lunghezza.
Percival
emise un rantolo. La spada di Emma non era incantata come la sua, ma il
colpo
l’aveva spiazzato. L’arma con cui aveva minacciato
Henry cadde. Emma spinse una
gamba in avanti e gli affondò il tacco dello stivale nel
ventre. Percival arretrò
e perse l’equilibrio. Emma si affrettò a prendere
la spada che aveva perduto.
-
Mamma! – gridò Henry ad Emma.
-
Sto bene. – rispose lei, respirando a fatica.
Puntò la spada incantata al collo
del cavaliere.
-
Che cosa stai aspettando? – domandò Percival,
rabbioso, guardandola con aria di
sfida. – Finiscimi, Oscuro.
“Finiscimi.”
Finiscilo,
Emma Swan, suggerì
una vocetta fredda.
Emma
battè le palpebre per scacciarla.
Finiscilo.
Voleva fare del male ad Henry.
Finiscilo.
Per
qualche terribile momento, ebbe la sensazione che la coscienza oscura
che
l’aveva posseduta per settimane le avesse invaso di nuovo il
cervello,
spandendosi come inchiostro nero. La respinse e avvicinò di
più la punta della
lama al viso di Percival.
Poi
avvertì un’altra presenza. Questa sembrava
più cauta. Non invase la sua mente,
ma si limitò a penetrarvi con prudenza, quasi stesse
tastando il terreno.
Lily.
L’altra
si ritrasse, sorpresa. Forse aveva solo tentato di trovarla. Forse
aveva voluto
accertarsi di esserne ancora capace. E ci era riuscita. A fatica.
-
Non deve finire così. – disse Emma. Vide Regina
che si accostava a loro, con
Henry al fianco. – Puoi venirne fuori.
-
Venirne
fuori? Credi che lo voglia? – domandò Percival,
sprezzante e persino incredulo
dinanzi alle sue parole. – Lei mi ha rovinato la vita. Ha
distrutto la mia
casa. E mi chiedi di venirne fuori?
-
Regina non è più la persona che credi.
– Emma le lanciò un’occhiata e le
rivolse un leggero sorriso.
Anche
Marian si avvicinò, una freccia ancora incoccata
nell’arco. Quelle frecce erano
rosse, proprio come le nuvole che incombevano
sull’Oltretomba.
-
Se
le dessi una possibilità, te ne renderesti conto.
– continuò Emma.
-
Lei
non merita una possibilità.
Regina
aprì la bocca per dire qualcosa, ma un attimo dopo Percival
non c’era più.
Emma
si guardò intorno, sconcertata. Solo un secondo prima, era
lì, steso sulle assi
del ponte.
-
Dov’è andato? – domandò
Marian.
-
Non ne ho la minima idea. – rispose Emma.
Percival
precipitò nel vuoto, urlando. Pensò che, alla
fine, il maledetto Oscuro
l’avesse ucciso definitivamente, condannandolo alla pena
eterna. Pensò di
essere spacciato. Pensò che avrebbe continuato a precipitare
in quel buio per
sempre e maledisse sia Emma che la Regina Cattiva. Maledisse anche
William, che
l’aveva trascinato in un’impresa così
folle. Maledisse Lily, che l’aveva
bruciato vivo. Maledisse persino Artù.
Ma
toccò il fondo. Rotolò su una piattaforma sospesa
sul fiume delle Anime
Perdute. Le acque non erano calme, ma ruggivano sotto di lui. Le grida
e i
sospiri dei gusci vuoti che si agitavano senza posa erano stridenti.
Erano come
artigli che avevano deciso di arpionare il suo cervello per
distruggerlo.
-
Che tristezza. – disse Ade, comparendo su uno sperone di
roccia che si protendeva
sul Fiume. – Davvero un tentativo idiota, Sir Percival. Ora
capisco che come re
avevate un mentecatto. I veri cavalieri non si comportano
così.
Un
cerchio di fuoco si accese, disegnando i bordi della piattaforma. Le
fiamme si
levarono alte, riflettendosi nell’acqua e sulle pareti nere
del covo di Ade.
-
Quaggiù avrete modo di riflettere sul vostro operato. E
almeno non mi sfuggirete.
– Il Signore degli Inferi aprì una mano e in essa
comparve la spada che aveva
usato contro il figlio di Emma e Regina.
Percival
si alzò in piedi. – Che cosa intendete farmi?
Volete torturarmi?
-
Perché no? – rispose Ade. – Sapete, odio
quando quell’orologio si mette a ticchettare.
Significa che un’anima ha deciso di spiccare il volo e... non
è ammissibile.
Devo evitare che succeda troppo spesso.
Il
cerchio di fuoco iniziò a stringersi. Percival
indietreggiò, alzando un braccio
per proteggersi da una lingua fiammante che si era buttata su di lui e
voleva
acciuffarlo.
Foresta
Incantata. Più di trent’anni fa.
Regina spalancò le porte delle sue stanze ed
entrò,
arrancando. Il lungo soprabito rosso era infangato. La spalla le doleva
ancora
e lei avanzò verso lo scrittoio, instabile. Alcune ciocche
di capelli erano
sfuggite all’elaborata acconciatura e le dondolavano davanti
al viso.
Girò
una chiave e aprì il cassetto.
“Dov’è?”,
domandò Regina, frugandovi all’interno.
“Dove diavolo è?”
La
sua testa era ancora confusa, con le mani sporche
del sangue di William, che aveva seppellito nella Foresta dei Morti,
vicino al
punto in cui lui aveva scavato la fossa per intrappolarla.
Aprì
il secondo cassetto e trovò lo scrigno in
legno, nel quale era custodito l’anello. Prese il dono che
Daniel le aveva fatto
quando lei era ancora la ragazzina che pensava di poter vivere felice
con il
ragazzo che amava.
“Daniel...
mi dispiace.”, disse, ripensando al
corpo senza vita di William, accasciato contro un albero. “Mi
dispiace
davvero.”
Ripose
l’anello al suo posto. Poi si tolse il soprabito sporco per
prenderne un altro
dall’armadio.
“Guardie!”,
gridò. La magia guarì in un baleno
la spalla dislocata.
Due
uomini si affrettarono ad entrare e ad
inchinarsi.
“Preparatemi
il cavallo. Biancaneve non è
lontana.” Strinse i pugni, lasciando che quella sensazione
così familiare le
invadesse il sangue. Rabbia, odio, frustrazione. Dolore. “E
questa notte... non
troverà pace.”
Oltretomba. Oggi.
Malefica
notò che gli occhi di sua figlia avevano assunto una
colorazione diversa,
mentre tentava di vedere attraverso gli occhi di Emma Swan. Aveva la
fronte
imperlata di sudore per lo sforzo. Lo sguardo assente era fisso. Non
batteva
neppure le palpebre.
Non
la interruppe. Si limitò ad osservarla, sentendosi
incredibilmente orgogliosa
di quello che Lily sapeva fare.
-
È
sparito. – mormorò, rientrando in sé.
-
Chi?
-
Percival. È sparito. Non sono riuscite a... – Lily
barcollò e sua madre la sostenne
prima che potesse cadere.
-
Emma e Regina stanno bene? – chiese Malefica, mentre la
stringeva a sé e le
scostava qualche ciocca di capelli dalla fronte.
-
Sì... sì, loro stanno bene. E anche Henry. Ma
Percival si è come volatilizzato.
Malefica
abbassò il viso e posò un bacio fra i suoi
capelli. Lily si scostò, voltandole
le spalle.
-
Va
tutto bene?
-
Sono io che dovrei chiederlo, non pensi? – Lily rispose
usando un tono seccato.
-
Beh... avete fatto un ottimo lavoro.
Lily
rivolse uno sguardo alla madre. Le lunghe ciglia tremarono sugli occhi
scuri
della ragazza. – Sì, dopo che uno di quegli esseri
ti aveva ferita perché hai
ben pensato di aiutare me.
-
Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che ti uccidesse?
-
Potevo
farcela.
Lily
la fissò in viso e vide la mortificazione nelle sue iridi
azzurre. Quando parlò
di nuovo, la voce di Malefica era cupa. Severa. – Non avevo
questa impressione.
Lily
tacque.
-
Io
sono tua madre. E anche se è difficile per te capirlo...
quello che fanno quasi
tutte le madri è proteggere i propri figli.
-
Io
non... – cominciò Lily. Si morse, nervosa, il
labbro inferiore. – Non ho mai
avuto bisogno di questo.
Malefica
attese il resto.
-
Non ho mai avuto bisogno di qualcuno che mi proteggesse. Ho sempre...
fatto tutto
da sola. – continuò, brusca, con una punta di
disperazione. – Hai visto che
cosa succede quando qualcuno cerca di aiutarmi. Sei quasi morta.
-
Eri in pericolo. Sono pronta a rischiare per te. Ho già
fallito troppe volte. –
Le accarezzò i capelli, ma ritrasse quasi subito la mano,
sapendo che certi
gesti la innervosivano ancora di più. – Quando sei
nata non ho saputo proteggerti.
A Camelot... ho permesso che Emma ti trasformasse, riempiendoti di
oscurità.
-
Volevi salvarmi, l’ho capito.
-
Sono stata egoista.
Lily
non rispose. Alzò un sopracciglio.
-
Ho
molto da farmi perdonare. Ma tu devi... abituarti ad una madre che
vuole proteggerti.
– Malefica le sorrise, per incoraggiarla.
Lily
non era sicura che sarebbe riuscita ad abituarsi tanto presto, ma un
sorriso
riluttante le incurvò gli angoli della bocca.
Provò una sensazione di calore,
un palpito nella mente. Lo avvertì come una cosa del tutto
naturale, qualcosa
che la spaventava, ma che era anche normale, qualcosa che le era
mancato per
trent’anni, persino quando era la madre adottiva ad
abbracciarla o a toccarla.
-
Τi
sto complicando la vita. – disse Lily.
Malefica
voltò la testa di scatto. – Lily... non hai
affatto complicato la mia vita.
L’hai completata.
Marian
sedeva sul retro della casa degli Azzurri, a guardare la strada vuota e
le
ombre della notte che si facevano sempre più lunghe e buie.
David
e Killian avevano portato con loro l’uomo arrivato con il
tornado, che era un
portale. Si chiamava Fiyero Tiggular. Aveva la pelle nerissima e
ricoperta di
tatuaggi a forma di diamante. Veniva da Oz e lei era convinta che non
portasse
buone notizie. Le facce degli altri parlavano chiaro.
Il
bambino che aveva consegnato il messaggio dei due rapitori era stato
restituito
al padre. In ultimo, mentre Marian gli offriva conforto, Aidan,
così si
chiamava, aveva parlato di una nave. Quando l’uomo di nome
Percival l’aveva
reclutato, lui lo aveva incontrato al porto e aveva visto la grande
imbarcazione. Marian si era detta che Henry poteva essere là
e non alla
libreria, dove di certo avevano preparato un’altra trappola.
Regina
si avvicinò, con molta cautela.
Marian
alzò gli occhi.
-
Sono...
– iniziò Regina. Si schiarì la voce.
– Oggi mi hai salvato la vita.
-
A
quanto pare, sì.
-
Potevi non farlo. Immagino quanto ti sia costato...
Marian
strinse gli occhi. - Non mi è costato nulla. Ho fatto
ciò che era giusto fare.
Seguì
un momento di incertezza. Regina si sentiva confusa.
-
Regina...
sono una madre anch’io. Ero... una madre. – disse
Marian. – So che cosa
significa... fare di tutto per il proprio figlio. Riconosco quello sguardo. È una cosa
che non puoi
fingere. Ed io l’ho visto nei tuoi occhi.
Regina
avrebbe voluto dire qualcosa, ma si limitò a fissarla.
-
Molto
tempo fa, quando mi hai catturata, ti ho detto che mi dispiaceva per
te. Perché
se avessi avuto una famiglia, qualcuno da amare... avresti capito che
tutto ciò
che stavi facendo era sbagliato. – Marian si alzò.
La guardava dritta negli
occhi. Doveva essere stata una donna fiera e coraggiosa, che non
abbassava mai
la testa nemmeno davanti al pericolo.
-
Ti
ho chiamata mostro e tu ti sei fatta beffe di me.
-
Mi
dispiace, io... – iniziò Regina. La
osservò, smarrita e colta da un vuoto
improvviso e doloroso.
-
Non dispiacerti di qualcosa che nemmeno ricordi. –
ribatté Marian, seccata. –
Emma ha cambiato gli eventi di quei giorni, salvandomi... provando a
salvarmi.
Ma non ti ricordavi di me nemmeno prima. Ne hai uccisi talmente tanti...
Regina
si sentì punta sul vivo. – Non sono più
quella persona.
-
No. Ti credo. – rispose lei. - Non sei più un
mostro. Hai trovato una famiglia.
Hai un figlio che ti ama, degli amici... sei venuta fino a qui per
aiutare
Emma. Lei... si fida di te. Molto. E Robin... ha visto qualcosa in te.
Regina
non voleva sapere cosa provasse Marian nel pronunciare il nome del
marito in
presenza della donna che l’aveva uccisa.
-
Potevo decidere di odiarti. – continuò Marian.
– E l’ho fatto. Per parecchio
tempo, mentre ero rinchiusa in quel labirinto.
-
Lo
so.
-
Ma
scelgo di non marcire nel passato. Se voglio davvero passare oltre, non
posso
sprecare il mio tempo odiando qualcuno per ciò che
è accaduto. – La oltrepassò,
lasciando là, a scrutare la notte che calava
sull’Oltretomba.
“Scelgo
di non marcire nel passato. Se voglio
davvero passare oltre, non posso sprecare il mio tempo odiando qualcuno
per ciò
che è accaduto.”
Marian
era più forte di quanto aveva immaginato. Di certo, era
stata più forte di lei.
Lei
era precipitata in un turbine di oscurità, fatto di odio,
rancore, sete di
vendetta, dolore. Aveva lasciato che i ricordi si trasformassero in una
moltitudine di frammenti di vetro. Aveva lasciato che quei ricordi la
pugnalassero, in modo da alimentare la sua furia. Così aveva
sterminato
villaggi interi e perseguitato Biancaneve. Così aveva ucciso
suo padre.
-
Regina.
Lei
sobbalzò.
Emma
sorrise, accostandosi a lei. – Ehi. Tutto bene con Marian?
-
Sì. – rispose Regina. – Meglio di quanto
credessi. Come sta Henry?
-
Dorme. Era... sfinito.
-
E
tu?
Emma
incrociò il suo sguardo. Gli occhi nocciola fissarono gli
occhi verdazzurri. –
Sto bene.
Lei
non smise di osservarla e Regina si sentì avvolgere dal
calore. – Cosa?
-
Sono
contenta che tu stia bene. – Lo disse con un tono fermo e
dolce.
Deglutì.
-
Henry non può perdere anche te.
-
Henry non può perdere nessuna di noi, Emma.
In
Regina c’era sempre qualcosa di duro e autoritario. La sua
volontà era così
forte che era difficile resistere quando insisteva.
-
Regina, devi promettermi una cosa. – ricominciò
Emma, seria.
-
Un’altra? – Impallidì, avvertendo un
peso che le gravava sul petto.
“Ricordi
la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per
eliminare
l’oscurità?”
“Ho
bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo
dirai a
nessun altro.”
Si
sforzò di dominare il tremito
che la scuoteva. La osservava, attenta, immobile, con uno sguardo fisso
e
scuro. Sentiva in bocca il sapore della paura, la sentiva battere alle
porte
della propria mente.
-
Questa volta è diverso. Non è una
punizione. – replicò Emma.
Regina
udì le sue stesse parole
riecheggiarle nella testa.
“Hai
detto che ci meritiamo una punizione. È questa? Questa
è la mia punizione per
non aver avuto abbastanza fiducia in te a Camelot? È la
punizione per averti
rinchiusa in quella segreta?”
-
Oh. Quindi quella lo era. – constatò Regina.
-
L’ho fatto perché non avevo altra scelta, Regina.
Credevo che uccidendo me
avremmo distrutto l’oscurità per sempre.
– disse Emma. – Ma io... dentro di me,
ero furiosa... per quello che avevi fatto a Camelot e... sì,
volevo punirti.
Regina
la fulminò con un’occhiata, altrettanto furibonda.
-
Ma
ora... devo chiederti di pensare a nostro figlio e alla mia famiglia.
Devi portarli
via da qui, se le cose si mettono male. Devi portare via tutti.
Bastò
l’intensità di quegli occhi a toglierle la
concentrazione e il respiro. Quegli
occhi che sembravano così verdi, così misteriosi.
Eppure anche così limpidi.
Regina avvertiva il battito accelerato del proprio cuore. Le tuonava
nelle tempie
e il sangue le ribolliva nelle vene. Era spaventata da quella
richiesta, anche
se la capiva, anche se sapeva che al suo posto le avrebbe domandato la
stessa
cosa. Era turbata da quanto la impaurisse l’idea di tornare
indietro senza
Emma. Senza la madre di suo figlio. Senza la Salvatrice. Senza...
-
Regina.
Devi promettermelo. – insistette Emma. – Se non
potrò tornare indietro con voi,
devi promettermi che lo farai.
Regina
si passò una mano tremante sulla fronte. Quando rispose la
sua voce suonò
secca. – D’accordo.
D’accordo, lo farò.
Sei soddisfatta adesso?
Emma
le sorrise, senza badare alla sua rabbia. Le prese una mano,
istintivamente e
le carezzò con il pollice l’interno del polso.
Provò
un nodo alla gola. Una parte di lei avrebbe voluto ritrarre la mano,
perché
aveva come la sensazione che Emma le facesse qualcosa quando la toccava
in quel
modo. Gli occhi di Regina si posarono sulle sue labbra. La forma di
quella
bocca la affascinava, insieme alla luce che sembrava emanare con tanta
chiarezza. Le mise una mano sulla guancia, tracciò con un
dito il contorno ben
delineato della mascella, poi risalì al mento, saggiando la
pienezza del labbro
inferiore.
Emma
la fissava, con gli occhi leggermene sgranati. Il suo cuore ebbe un
sussulto e
sentì un calore vago trasformarsi in una sensazione
distinta, quasi dolorosa. La
mano che stava accarezzando il polso di Regina si sollevò e
scivolò dietro la
sua nuca.
Regina
non ebbe la forza di ritrarsi e non volle neppure cercarla, quando Emma
attirò
a sé la sua testa.
-
Emma... – disse solo.
In
quel momento la bocca di lei toccò la sua e Regina la
percepì fino alla punta
dei piedi. Sussultò alla tenerezza di quel gesto, che era
anche deciso. Regina
incollò la bocca alla sua e la convinse ad aprirsi.
L’aria
parve farsi elettrica. Non esisteva più
nient’altro che le labbra di Emma sulle
sue. Regina si aggrappò alle sue spalle.
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Salve
;) Come sempre, voglio ringraziare quelli che sono ancora qui a leggere
la mia
storia. So che volete più Swan Queen e spero che questo
capitolo vi sia
piaciuto.
La
storia di William, il fratello di Daniel, è una delle
vicende narrate nel
fumetto Out of the Past. La storia
si
chiama Ghosts.