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Autore: Sophja99    22/01/2017    5 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo diciassette

Occhi


Corsero a perdifiato e si fermarono per riprendere fiato solo quando si inoltrarono nella fitta foresta di Hoddmímir. Silye si appoggiò al tronco di un albero. Le venne quasi voglia di ridere; come poteva quello stupido ragazzino pensare di poter beccare lei? Era agile, molto più di ogni altro uomo che avesse incontrato, eccetto Vidar, l'unico che fosse mai riuscito a batterla.

Socchiuse gli occhi per un attimo e, quando li riaprì, si trovò lo sguardo infuocato di Vidar puntato su di lei con aria accusatrice.

«Hai derubato quel ragazzo?» chiese e lei sentì di nuovo raffiorare quel tono da giudice che tanto odiava.

«La risposta è ovvia» ribatté, alzando il viso e tendendolo verso l'alto, indirizzato al cielo, per evitare il suo sguardo.

«Era solo un ragazzo.»

Anch'io ero solo una ragazza quando mio padre è morto e ho dovuto badare a me stessa completamente da sola. Hai la più pallida idea di quanto questo sia potuto essere duro e doloroso? avrebbe voluto dirgli, ma, invece, si chiuse in un silenzio ostinato, fin quando non realizzò i veri motivi che fomentavano la rabbia di Vidar.

«Stai reagendo così solo perché non vuoi che io venga arrestata dai Liði e frustata. O peggio ancora: impiccata. Ti farei perdere del tempo prezioso e, se io mi indebolissi o morissi, dopo chi ci sarebbe a darti quella stupida e dannata visione?» gridò alle foglie e alle nuvole, perché continuava a rifiutarsi di guardarlo.

«Davvero pensi questo di me? Mi reputi così infimo ed egoista?»

«Tu non puoi sapere quello che ho passato in diciassette anni di vita o quanto feroce e crudele possa essere il mondo qua fuori. Tu sei sempre rimasto nella tua cappa di cristallo, prottetto e reverito, intoccabile e pieno fino alla testa di oro nel tuo bel regno. Asgard, giusto?» pronunciò, con la voce carica di disprezzo.

«Credi che, perché sono un dio, questo mi abbia reso le cose più facili? Hai ragione, forse un tempo, prima che vedessi mio padre ucciso davanti a me, tutti i regni distrutti, gli altri dei, miei amici e compagni, morti, insieme ad ogni altro essere vivente» disse e Silye si sentì quasi in colpa per avergli rivolto parole tanto dure, ma cercò di non darlo a vedere.

«Pensavo fossi meglio di così» rincarò Vidar.

Questo le fece abbassare la testa, contrariamente ai suoi propositi, e il rimorso cedette subito il posto alla rabbia. Silye gli rivolse uno sguardo gelido. «Cosa ti aspettavi da una ladra? Che passassi le giornate a raccogliere fiorellini e far crescere piantine nel mio giardino, sperando che i soldi mi cadano dal cielo o spuntino dalla terra miracolosamente? Per più di sette anni non ho fatto altro che rubare per guadagnarmi da vivere. Ormai è diventato un'abitudine. È come una malattia che ha contaminato parte del mio corpo. Dovrei amputare le zone infette per fermare la sua avanzata e impedire che mi uccida, ma non ci riesco. Non ce la faccio. Senza quella parte di me, il mio corpo non sarebbe più lo stesso. Io non sarei più la stessa.» Parlò di getto, senza neanche meditare su ciò che diceva.

Lui le venne accanto e il suo sguardo si addolcì. «Non hai bisogno di rubare per essere te stessa. Sono certo che Silye Dahl è molto più di una semplice ladra; in te ci sono ancora molte qualità da scoprire, cose che potrebbero stupire il mondo e avere la forza di cambiarlo» le appoggiò una mano sulla guancia e asciugò l'unica, solitaria lacrima che fuoriuscì dall'occhio di Silye.

Lei fu tentata di credergli, di fidarsi di quelle parole sincere. Sarebbe stato bello lasciarsi cullare dalla convinzione di essere destinata a più di quanto avesse pensato fino ad allora. Avrebbe voluto poter cancellare o dimenticare il passato, per ricominciare tutto da capo, ma lei sapeva bene che era impossibile e che quello che le stava dicendo di Vidar era solo mera illusione. Ma, almeno per quel momento, le stava bene.

Si soffermò a guardare gli occhi di Vidar. Quante volte li aveva guardati con rabbia, orgoglio e disprezzo? Non riusciva a contarle. Eppure, allora le sembrò che ogni conflitto che avevano avuto fosse sparito, le barriere abbattute e le liti dimenticate. Si stupì a notare che le sue pupille erano di un giallo tanto chiaro da sembrare il sole nelle prime ore del mattino, appena faceva capolino tra le montagne e quando il suo calore non bastava ancora a spazzare via la brezza notturna. Avrebbe voluto esplorare quegli occhi, perdervisi dentro, provare all'infinito le scariche di calore che la assalivano ogni volta che il loro tocco accarezzava la sua pelle e le sue labbra, ma Vidar si allontanò repentinamente, interrompendo quel profondo contatto. L'improvviso freddo che le provocò la mancanza della sua mano sulla guancia e la sua presenza accanto a sé la lasciarono stordita.

Lo seguì mentre compivano il viaggio a ritroso verso la casa di Silye. Lasciò volutamente diverso spazio tra loro, per poter dimenticare le sensazioni che lui le aveva fatto provare solo pochi secondi prima e che le provocavano una fitta di imbarazzo ogni volta che vi ripensava. Nessuno le aveva mai provocato delle emozioni così forti. A dire il vero, gli unici ragazzi della sua età che aveva mai incontrato erano gli abitanti dei villaggi in cui andava e l'unico pensiero che faceva su di loro era il modo più efficace per derubarli, anziché se fossero belli o no.

Scosse la testa per cancellare quei pensieri. Nella sua vita non c'era mai stato spazio per i ragazzi o per l'amore. Innamorarsi, vivere insieme, fare figli, mettere su famiglia... erano tutte cose a lei estranee. E tali rimarranno si disse. L'unica cosa che conta è sopravvivere. Si era ripetuta quella frase costantemente in ogni attimo delle giornate. Ormai era diventato il suo motto, l'unica regola che doveva seguire, ad ogni costo e con ogni mezzo.

Quando arrivarono trovarono Úlfur intento a giocare con Sleipnir. O almeno a tentare di farlo, perché il cavallo non era molto partecipe e non sembrava avere tanta voglia di correre con il cane. Lo ignorava e mangiava, brucando l'erba. Il sole aveva sciolto gran parte della neve ed ora non rimanevano altro che pozzanghere d'acqua, da cui spuntavano in alcuni punti ciuffi di piantine di cui andava proprio alla ricerca il cavallo.

Silye chiamò con un fischio Úlfur e quello la raggiunse scodinzolando e facendo le feste. Lei gli sorrise ed entrò dentro casa per preparare qualcosa da mangiare in vista dell'ora di pranzo, ma, come mise piede nell'abitazione, la ferita fasciata dalla forma della runa Wyrd sul polso iniziò a pulsare e Silye fu assalita da sprazzi di immagini, ognuna della durata di pochi secondi.

Dopo averne avute un paio, capì che era sempre la stessa, ma non riusciva ad essere continua. C'era un qualcosa che le impediva di vederla chiaramente, come fosse stata intercettata da una forza esterna. Tutte raffiguravano la medesima creatura: Nidhöggr, racchiuso in uno spazio stretto, buio ed angusto. Era circondato da spesse e grandi radici e quel luogo così chiuso le provocò un forte senso di claustrofobia, perché era come se anche lei fosse rinchiusa all'interno. La fiera aveva i piccoli occhi serrati e sembrava che stesse dormendo. Ma nell'ultima sequenza qualcosa era cambiato rispetto alle precedenti: i suoi occhi ora erano aperti e parevano poter attraversare la sottile barriera che separava Silye da ciò che accadeva nella visione. La stava guardando e gli occhi della serpe sembravano due fessure nere ricolme di odio e morte.

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Angolo dell'autrice:

Voglio solo fare un ringraziamento speciale sia ai nuovi lettori e recensori, sia ai vecchi per il continuo sostegno. Inoltre, in questo capitolo troviamo una Silye molto confusa riguardo a degli strani sentimenti verso Vidar: chissà cosa proverà la veggente verso il bel dio. Al momento, non lo sa nemmeno lei. XD Un abbraccio a tutti!^^

   
 
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