Camminavo per le vie del Centro di Roma, avvolta dal fascino delle vetrine luminose, dalla scia dei profumi diversi provenienti dai negozi, dall'insieme delle voci dei passanti: chi smaniava dalla voglia di entrare in un negozio troppo costoso per il suo budget, chi litigava con il fidanzato, chi impazziva per non aver ancora trovato il vestito perfetto per il cocktail alla Terrazza del Vittoriano...
Insomma era una normale,caotica giornata estiva romana a via del Corso.
Tra il chiacchiericcio diffuso, si distingueva una voce: era uno di quei senza tetto che suonavano sul marciapiede per raccogliere qualche spicciolo. Era altro circa un metro e sessanta,carnagione olivastra, tozzo; portava un basco e un maglione grigio, una sciarpa a quadri nera e viola sbiadito, pantaloni larghi rossi e capelli corti ricci e neri.
Suonava un'arpa stupenda, imponente, di un legno color quercia, le sue dita scorrevano in modo cosi armonioso sulle corde di rame che sembrava quasi ci ballassero il waltzer: si intersecavano, le accarezzavano, sfioravano il legno e poi, timidamente, ritornavano indietro.
A primo impatto mi sembrò quasi un Orfeo moderno, preso e catapultato qualche migliaio di anni più tardi dall'antica Grecia a Roma: anche lui sembrava suonare per la sua amata, la cercava con lo sguardo tra la folla e gridava, gridava!
“Cosa mai dovrò fare per farti ritornare?” cantava.
Così io, incuriosita dallo strano personaggio, mi avvicinai lentamente e mi accorsi che in realtà, quell'uomo  non cercava la sua amata, non poteva, era cieco.
Nonostante ciò, non saprei dire come, si accorse di me, o meglio si accorse che qualcuno gli si era avvicinato; esitò per un attimo e poi disse “Volete sapere un segreto?” rimasi sbigottita dalla sua franchezza, dalla sua spontaneità ma lui non mi diede il tempo di rispondere “Silenzio! Silenzio!” disse gridando, “Sto per rivelarvi l'evidente inevidenza!”
Naturalmente il caos non cessò, ma io decisi di rimanere ad ascoltarlo, avevo propria voglia di capire se mi trovassi davanti ad un genio o ad un ubriacone qualsiasi.
Le sue dita e ricominciarono a danzare il waltzer con le loro fidate corde e, accompagnato da una dolce melodia, iniziò: Avete mai pensato di scegliere quali cose sono “ i pezzi del puzzle della vostra vita”? Mi spiego meglio: se vi chiedessero di riassumere la vostra vita in nomi, frasi ,attimi, quali scegliereste? E poi, una volta selezionati, fermatevi a pensare se avete ancora tutti i “pezzi” nella scatola. Probabilmente no... Andando avanti ci si rende conto che alcuni pezzi sono fondamentali per dare senso all'immagine, nonostante l'angolo di uno sia spiegazzato, o le foglie del prato,dipinte su un altro, siano diventate gialle a causa dell'aranciata che ci è caduta sopra.
Insomma a volte i pezzi, nonostante rovinati, vanno tenuti, e se persi vanno ritrovati. Bisogna cercarli sotto il letto, dietro al comodino, dentro ai cassetti...Ma sopratutto vanno accettati per quelli che sono, perchè,forse,sarà proprio quella fogliolina ingiallita a rendere quel prato “il nostro prato”, a rendere quel puzzle “il nostro puzzle”.
Non fraintendetemi non voglio di certo incoraggiarvi ad accontentarvi, ma voglio farvi capire che ,a volte,bisogna rendersi conto che “ne vale la pena”, e quindi bisogna accettare certe situazioni, arrivare a compromessi per tenere viva quell'immagine, che alla fine, nel bene e nel male, è ciò che rimane di noi.”
 
Era chiaro, non era un ubriacone.
Quell'uomo stava cercando alcuni dei pezzi del suo puzzle, e io adesso andrò a ritrovare i miei.