16° Capitolo
Stiles non sapeva bene perché, ma Malia gli
aveva dato appuntamento ai confini della tenuta Hale, spiccicando una materia
qualsiasi ‒ chimica, aveva
detto lei. Ma non abbiamo il corso di
chimica insieme, aveva ribattuto lui ‒ e chiudendogli il telefono in
faccia senza aggiungere altro. Non aveva avuto molta scelta.
Quindi adesso si trovava lì, proprio davanti
all’inizio dei territori della famiglia Hale, con la Jeep azzurra abbandonata
sul ciglio della strada ed una tracolla troppo vissuta contenente ciò che sarebbe
servito loro per studiare.
Peccato che la coyote mannara avesse altri
progetti per il loro intenso pomeriggio di studio e, quando lo vide arrivare e
scendere dall’auto, si precipitò verso di lui, trascinandoselo via per mano,
senza nemmeno dargli il tempo di prendere la borsa che aveva preparato in due
minuti, cronometrati e molto frettolosi, dovuti allo scarso tempo di preavviso.
«Malia, dove stiamo andando?» domandò lui
disorientato, non capendo le intenzioni della ragazza e sballottato da una parte
all’altra, senza curarsi minimamente della sua persona.
«Penso che dovresti vederlo» disse invece la
mannara, non lasciandosi scoraggiare e fermare dall’ostilità dell’umano.
«Cosa dovrei vedere?» chiese allora il figlio
dello sceriffo, prendendo fiato ogni volta che pensava di poterlo fare, ma
venendo tirato in malo modo ad ogni occasione ed aguzzando la vista per
intravedere una qualsiasi cosa a cui si riferisse la sedicenne.
«Sta imparando a controllarlo» proferì lei,
ignorandolo ancora una volta e rispondendo a domande che Stiles non aveva mai
formulato, soprattutto perché non aveva la più pallida idea di cosa stesse
parlando e dove lo stesse conducendo.
«Questa conversazione mi lascia perplesso» ed
insoddisfatto e lo faceva credere un po’ fuori di testa, perché non potevano
seriamente essere così incompatibili ed incomprensibili.
Malia si fermò di botto, senza avvisare il suo
interlocutore che le andò a sbattere contro, ma lei non sembrò notarlo né si
infastidì. «È qui».
Stiles, una volta che si fu scostato
dall’ostacolo su cui aveva urtato, aprì malamente le palpebre, incontrando
un’enorme distesa verde, piena di fiori di campo ed alberi sempreverdi di ogni
forma e dimensione, così alti ed imponenti da toccare il cielo con le loro
cime. Era uno spettacolo ed era una parte di foresta che apparteneva alla
famiglia del sovrannaturale. «Cosa c’è qui?» perché per quanto fosse maestoso e
pazzesco, non riusciva proprio a capire l’urgenza della ragazza coyote,
costringendolo quasi con la forza a trovarsi lì proprio in quel momento, come
se potesse scappare.
Ma si dimenticò immediatamente della sua
domanda nel momento in cui capì cosa ci fosse lì.
«Derek?» proferì alla sommità della natura
quando vide un enorme e splendido lupo nero che si aggirava nel verde della
privatissima tenuta Hale, con imponenti ed enormi occhi blu metallico. Era il
lupo che compariva nelle sue raffigurazioni, nel libro che sua madre gli aveva
comprato anni prima e che era abbellito di ogni metamorfosi che un lupo mannaro
potesse affrontare. Era il lupo che guardava nelle notti, sotto il chiaro di
luna, nel suo letto e nell’immaginario che l’aveva accompagnato per tutto quel
tempo. Quello era il lupo nero dagli occhi blu metallico di cui si era
innamorato. «Derek, sei tu?».
Il lupo parve percepire la loro presenza
soltanto in quel momento, alzando di qualche centimetro il muso e rivolgendolo
verso di loro, richiamato dal suono che proveniva dalla sua sinistra.
Annusò l’aria e le iridi blu elettrico
incontrarono quelle di ambrosia pura e si tirò indietro.
«Derek, aspetta» non ci pensò un secondo di più
a lasciare la presa della ragazza e fiondarsi nella direzione presa dal nuovo
lupo completo, che scappava innegabilmente da lui, sottraendogli la possibilità
di farsi guardare in quella forma. «Aspetta».
Il richiamo per l’animale doveva essere troppo
forte, perché si fermò proprio quando fu pronunciata l’ultima preghiera
disperata e supplichevole, voltandosi circospetto verso il ragazzo, non ancora
convinto di quella scelta e quasi costretto a doverlo fare.
Stiles rallentò, incespicando sui passi fino ad
arrestare la corsa completamente, ritrovandosi faccia a faccia, scrutandosi
negli occhi. «Der, sei davvero tu?» non aveva bisogno
di certezze o prove, conosceva perfettamente quegli occhi blu così provati e
sofferti, quelli che riuscivano a scavargli l’anima e che rispecchiavano tutta
quella di Derek Hale.
Aveva passato un’ora intera, tre giorni prima,
con quelle iridi che ripudiavano se stesso, ma che si erano manifestate quando
il suo incubo aveva attraversato i territori dell’unico branco presente a
Beacon Hills, scatenandosi e svegliando completamente il lupo che giaceva in
lui.
Derek non aveva mai affrontato l’argomento
quando era tornato a casa sua, dopo che Malia gli aveva confidato la verità e
lui non aveva osato chiedere, ma ora quel lupo l’aveva davanti e non poteva
ignorarlo.
Uno scintillio provenne da sotto la testa del
quadrupede, rievocato e stuzzicato dal sole che procedeva nella sua discesa,
per completare il suo giro orbitale alcune ore più tardi.
Stiles lo notò subito e ne fu attratto,
riconoscendo il piccolo cilindro metallico che veniva trattenuto da un lungo
laccio marrone scuro, appeso al collo. La triscele d’oro rosso ed argento si
mostrava indisturbata. «Sei tu» Derek non avrebbe mai sopportato di essere
nuovamente separato dal suo anello, non dopo averlo perso una volta ed in quel
momento gli mostrava il suo totale attaccamento ed il desiderio e l’impegno di
non smarrirlo mai più e di portarlo con sé in ogni forma che avrebbe assunto.
Il canide indietreggiò di un passo, non
confermando o negando nulla, ma la certezza nella voce di Stiles era
predominante e non lasciava spazio alle incertezze; era la sola verità che
potesse esistere.
Com’era vero che il lupo completo non si sarebbe
avvicinato, più propenso a volersi allontanare il più possibile che ad
affrontare il figlio dello sceriffo e ciò che aveva da dire.
«Va bene» disse l’unico umano a distanza di
miglia, sedendosi per terra ed incrociando le gambe sull’erba verde ed incolta,
accerchiato dai fiori di campo e con vari tronchi d’albero a fargli da sfondo.
«Aspetterò qui finché vorrai» e Derek poteva anche decidere di non raggiungerlo
mai, di ignorarlo, guardarlo un’ultima volta e battere in ritirata, dedicandosi
al resto della tenuta Hale che aveva a disposizione.
Entrambi si erano dimenticati completamente
della presenza della ragazza coyote.
Il lupo gli fu davanti agli occhi diversi
minuti dopo, a distanza di sicurezza, annusando l’aria con il naso bagnato ed
indeciso se proseguire, studiando ciò che si trovava dinnanzi.
Stiles lo guardò un po’ sorpreso, non
aspettandosi che la sua attesa fosse così breve, ma non poteva cantare vittoria
finché non avrebbe azzerato completamente la distanza che si poneva tra loro,
rendendo completamente reale l’esistenza della sua forma da lupo completo,
quella che si era manifestata quando il desiderio ossessivo e vero, totalmente
dedito a ciò che amava, aveva sopraffatto ogni logica, dandogli la forza e la
potenza di non farsi più sottrarre ciò che gli era più caro.
L’umano mosse le dita, tendendo la mano destra
annessa di anello, sporgendola oltre il ginocchio e lasciandola a mezz’aria,
sotto le iridi blu elettrico che non si staccavano guardinghe da lui.
Il naso nero si mosse, riconoscendo l’odore che
proveniva da quell’arto che si faceva più intenso, le lunghe dita affusolate
che aspettavano di essere riconosciute e di poterlo toccare, affondare nel suo
pelo folto e morbido.
Il lupo si avvicinò, odorando la mano di Stiles
quasi a contatto con la pelle, con una zampa non completamente avanzata e
sicura della sua scelta, lasciandosi un ultimo margine di fuga nel caso non
fosse stato convinto e volesse tirarsi indietro, non permettendo
quell’incontro.
Ma la zampa si mosse in avanti e le dita del
figlio dello sceriffo scivolarono sul lato della testa dell’animale, pizzicate
dal pelo scuro che lo invogliava, lasciando poggiare la mano direttamente sulla
pelliccia, entrando finalmente a contatto e lasciando cadere qualsiasi
reticenza.
Stiles trattenne il fiato stupito e folgorato,
muovendo appena le falangi non totalmente certo delle proprie azioni e del
completo lasciapassare del licantropo. «Ciao, Sourwolf» lo salutò con ardore e
sentimento, immergendo tutta la mano ed assaporando la magnificenza che era
quella pelliccia, morbida al tatto e confortevole. «Sei bellissimo» disse con
l’autenticità premente nella voce, unica verità ed accettazione, un balsamo
eterno per il tormento del lupo che si fece circondare da entrambi gli arti
dell’umano, che presero ad accarezzarlo amorevolmente, prima di sbilanciarsi ed
abbracciarlo, poggiando il capo su quello dell’animale. «Davvero bellissimo».
Derek non lo scacciò minimamente, ma l’accolse
come nella forma umana non avrebbe mai fatto, lasciandosi vezzeggiare e
corteggiare dall’apprezzamento che Stiles gli stava infondendo, l’affetto e
l’accettazione con cui lo inondava sempre, accompagnato dall’enorme entusiasmo
ed eccitazione costante che non l’abbandonavano mai.
«Sei il lupo dei miei sogni» rivelò il figlio
dello sceriffo con una nota dolce e scherzosa, burlona e leggera, quella che
sapeva avrebbe indispettito il mutaforma, portandolo a roteare gli occhi e a
guardarlo giudicante, perseguitato dalla fissazione perenne per lupi e lupi
mannari che Stiles aveva sempre dimostrato. Purtroppo per Derek, corrispondeva
perfettamente all’immaginario di Stiles.
Dopo una quantità di tempo minima, il lupo
completo tese le orecchie e si mosse appena, chiamando il corpo di Stiles che
rispose all’istante, allargando le braccia e scostandosi appena, mentre Derek
si rivolgeva alla loro destra ed il sedicenne lo imitava.
«Malia?» davanti a loro vi era uno splendido
coyote con varie sfumature, il pelo alternava tra grigio scuro, grigio chiaro e
bianco, dagli occhi blu metallico come quelli di Derek ed uguali a quelli che
più di una volta si mostravano sul viso della ragazza quando ringhiava verso
qualcuno o qualcosa che le faceva un dispetto e tutto il branco, più Stiles,
doveva correre ai ripari per salvare la situazione.
Malia era proprio lì, nella sua forma da coyote
completo, esposta e messa sotto lo sguardo di un estraneo, di un ragazzo non
appartenente al branco che l’aveva presa con sé, reintegrandola nella famiglia
e prendendosene cura, dandole tutto quello che le era stato sottratto e quello
che aveva perso.
Al di fuori della famiglia Hale e dei branchi
alleati, non si era mai mostrata e mai nessuno si sarebbe aspettato che
l’avrebbe fatto proprio dinnanzi ad un ragazzo umano, invaghito del loro mondo.
Quella era la piena fiducia che riponeva in Stiles Stilinski.
Ma nella mente di Malia, ancora ingenua e
diffidente al mondo, viveva l’immagine di uno Stiles che accettava tutto ciò
che vi era in Derek Hale, dalla sua parte più mostruosa ed omicida a quella più
premurosa e paziente.
Accettava la sua natura di lupo mannaro,
accettava i suoi occhi blu metallici testimonianza dell’abominio di cui si
erano macchiati ed accettava la sua ultima forma di lupo completo.
Non solo le accettava, ma le esaltava.
E faceva lo stesso con lei e sperava che
continuasse a farlo.
La coyote rimase a pochi passi dal ragazzo con
il suo lupo nero e, mentre Stiles continuava a circondare con un braccio il
collo del quadrupede, sfiorandogli un orecchio, tese la mano libera verso di
lei, muovendo le dita ed incitandola a raggiungerli.
Malia non aveva bisogno di accertarsi
dell’odore buono e genuino del figlio dello sceriffo, quello stesso odore che
non avrebbe arrecato alcun danno a nessuno di loro, quello che li avrebbe amati
per ciò che erano e per le fantastiche creature che rappresentavano; Malia
semplicemente si lasciò sedurre dal tocco leggero dell’umano, quello pieno di
sentimento e meraviglia. «Sei bellissima anche tu».
Derek strusciò il muso sul collo di Stiles e
Malia si fece più vicina, lasciandosi catturare completamente dall’abbraccio
del ragazzo che li conteneva entrambi, senza avere alcuna intenzione di
lasciare che uno dei due si allontanasse.
Quelli erano i suoi mannari, quelli erano il
suo lupo e la sua coyote che si mostravano a lui in tutta la loro forma, con
tutte le loro difficoltà e complessi. Si mostravano a lui sapendo di essere
giudicati e con il timore di essere rifiutati, ma Stiles provava soltanto
profondo amore per quelle creature straordinarie ed uniche; quelle creature che
si fidavano ciecamente di lui. «Siete bellissimi tutti e due».
L’allarme della sveglia risuonò nefasto per
tutte le quattro mura, entrando con perfidia dentro il nervo acustico,
assordandolo e lasciandolo dimenarsi tra le lenzuola.
Stiles mugugnò offeso e colpito a tradimento,
proprio dietro le spalle e precisamente in mezzo alle scapole, scappando ai
raggi solari che lo bersagliavano proprio all’altezza degli occhi e che gli
bruciavano la retina, costringendolo ad alzarsi e ricordandogli di correre.
Stiles non aveva alcuna intenzione di
abbandonare quel letto, le sue belle e confortevoli lenzuola che lo
proteggevano dalle temperature ancora gelide, benché la primavera fosse sempre
più prossima, e si appallottolò contro il torace del lupo mannaro che gli
dormiva a fianco, intrecciando le gambe con le sue ed incastrandosi nell’antro
caldo fatto su sua misura, creato dal corpo del capitano della squadra di
basket.
Sulle labbra del figlio dello sceriffo vi era
una curva lieta e benevola, completamente assuefatto dalla posizione perfetta
in cui si trovava, che l’accoglieva come se lo aspettasse da tempo immemore.
«Dobbiamo alzarci» ma Derek Hale aveva un
talento innato per distruggere tutto quello che di buono Stiles trovava.
Gli sbuffò contro, ignorandolo deliberatamente
e divenendo sordo alla sua voce, raggomitolandosi meglio su di lui.
«Stiles» lo ammonì il lupo completo,
riportandolo alla realtà e conscio del tempo che stava scorrendo e che si
sarebbe fatto sempre più corto per quel ritardatario cronico che era Stiles
Stilinski.
«Non mi va» bofonchiò l’umano con fare
infantile, immergendo la testa nell’ascella del licantropo e sfuggendo alla
luce mattutina che penetrava nella stanza. «Voglio rimanere qui, si sta così
bene. Posso anche perderlo un altro giorno di scuola».
«Sono piuttosto sicuro che hai un esame oggi»
lo riprese il mutaforma, spegnendo i sogni proibiti e casalinghi del sedicenne,
che desiderava semplicemente rimanere accoccolato contro di lui e continuare a
dormire per tutte le ore mattutine.
Il figlio dello sceriffo piagnucolò sconsolato,
trascinato contro la sua volontà verso la perfida realtà che l’attendeva, la
dura vita da studente che gli rodeva gli organi, annientando la sua felicità
spensierata e genuina. «Che importa, posso recuperarlo un altro giorno» tutto
da solo, ma non gli cambiava granché.
Derek gli solleticò la cute, scompigliandogli i
capelli e depositandogli un debole bacio tra di essi, prima di alzarsi e
raggiungere l’armadio, aprendo le ante ed afferrando una nuova maglietta pulita
e stirata, liberandosi di quella con cui aveva dormito, che lanciò ai piedi del
padrone di casa, ed indossando la nuova arrivata; in tutto quel percorso era
stato accompagnato dai mormorii sconsolati del sedicenne. «Avanti, o farai
troppo tardi».
Stiles non era entusiasta per niente, era
ancora bloccato nell’offuscamento che gli dava il risveglio, il terribile
trauma che aveva subìto nel momento in cui la sveglia aveva suonato e l’aveva
strappato al magnifico ed adorante mondo dei sogni; avrebbe carburato con molta
difficoltà quel giorno ed una sola colazione non sarebbe servita. Ma, a
differenza sua, Derek Hale aveva già tutti i sensi attivi, nessun annebbiamento
o riluttanza, nessuna incapacità motoria o intorpidimento dei muscoli. Era
sveglio e pronto ad affrontare il nuovo giorno con la sua cupezza ed era già
davanti alla finestra, appena aperta e pronta per essere varcata. «Non c’è
bisogno che levi le tende» lo fermò un attimo prima che Derek fosse pronto a
scavalcare il davanzale e trasformarlo nel saluto che li rimandava ad ore più
tardi. «Puoi rimanere».
Rumori molesti di posate e porcellana
provenivano dal piano di sotto, stipetti che si aprivano e sportelli che
sbattevano, uniti al passo pesante dello sceriffo che si aggirava per tutta la
cucina, non lasciando equivoci alla mattina che si era appena affacciata.
Derek si permise di ascoltare quei suoni così
casalinghi e di quotidianità per qualche secondo, giusto il tempo di imprimerli
nella mente e definirli. «Ci vediamo a scuola, Stiles» aveva l’incredibile
abilità di svanire in un turbine di nuvole.
Stiles sospirò rassegnato, totalmente immune
alle sue uscite e rimase altri cinque minuti buttato a letto, con le lenzuola
che lo ricoprivano fino alla testa.
Stiles scese al piano di sotto ancora
assonnato, nemmeno l’abbondante acqua che si era gettato in faccia aveva avuto
effetto e si era rassegnato decidendo di raggiungere direttamente il padre,
sperando di riempirsi lo stomaco e di scacciare via quella malia che gli
offuscava le membra.
Si strinse nel suo pigiama, cercando riparo dal
freddo e sedendosi svogliatamente e senza forze su una sedia, afferrando la
tazza che l’uomo aveva riposto sul tavolo e che riempì di latte caldo,
passandogli la scatola dei suoi cereali preferiti al miele.
Benché fosse una pessima idea per la sua
iperattività che quella mattina scarseggiava, si permise di macchiare il suo
latte bianco ed immacolato con del caffè nero ed amaro ‒ il miele dei
cereali avrebbe addolcito l’insieme appena creato.
«È andato via?» domandò con disinvoltura lo
sceriffo, porgendogli un cucchiaio appena estratto dal cassetto delle posate.
«Sì» confermò la sua progenie, sbadigliando
incontrollatamente a bocca aperta e tuffando il cucchiaio nel latte, versando una
dose considerevole di occhielli al miele.
«Potresti anche informarlo che può rimanere a
fare colazione» lo sceriffo si era ormai arreso; in verità non ci aveva nemmeno
provato seriamente, qualunque cosa avesse fatto o impedito, Derek Hale avrebbe
continuato ad entrare dalla finestra della camera di suo figlio come se fosse
la porta principale, in piena notte ed incurante della situazione incresciosa
che poteva creare, infilandosi dentro il letto ed addormentandosi con Stiles
spalmato su di lui e la sua volpe astuta, che corrispondeva alle fattezze del
suo unico figlio, avrebbe permesso quelle continue visite senza vederne alcuna
ripercussione e lasciandogli completamente campo libero, sordo al rimprovero
del padre che gli aveva concesso un’ultima notte due settimane e mezzo prima.
Lo sceriffo poteva anche provare a controllare
le volte in cui era presente, le visite che Derek Hale faceva alla sua casa ‒
quelle pomeridiane non avevano restrizioni ‒, ma una volta crollato sul
materasso, non aveva modo di scoprire se il tenebroso diciottenne irrompesse
nella camera di Stiles, ristabilendo la loro quotidianità notturna e
scomparendo alle prime luci dell’alba com’era stato agli inizi e per mesi
interi. Ma non poteva nemmeno sapere se, una volta che aveva il turno notturno,
quei due si fossero comportati come meglio credevano.
Alla fine si era dato costretto a lasciarli
fare e ad essere messo minimamente al corrente delle loro mosse.
«Mh, la prossima
volta» proferì Stiles con la mente altrove e distante mille miglia, prendendo
la sua bella tazza che raffigurava un lupo nero dagli occhi di rubino su sfondo
bianco ‒ se n’era innamorato all’età di sette anni e lo sceriffo si era
visto obbligato a comprargliela, come la madre che ogni mattina doveva fargli
trovare la tazza perfettamente pulita e pronta per contenere il suo latte
caldo; quell’accuratezza ricadeva sull’unico genitore che gli era rimasto ‒
e bevendo il liquido caldo che gli riscaldò la gola e tutti gli altri organi,
cullandolo dolcemente. «La prossima volta rimarrà».
Il figlio dello sceriffo si sedette a peso
morto sulla panca che solitamente occupava, privo di vassoio e leccornie al
seguito e poggiando la testa cadente sulla spalla di Derek, abbandonandosi
completamente, senza che quello lo scacciasse infastidito.
Era un gesto insolito, che non manifestava mai
in pubblico, ma la mente continuava ad essere offuscata ed a pulsare,
impedendogli di pensare lucidamente e di controllare la familiarità che aveva
con il corpo di Derek Hale.
«Hai in programma uno sciopero della fame?»
domandò con sorpresa Erica, vedendo tutta la scena e trovando la postazione di
Stiles ancora vuota e senza nemmeno una bottiglietta d’acqua.
«No, in realtà ho molta fame o qualcosa di
simile» mugugnò l’umano con un lamento debole in fondo alla gola, la bocca
secca e gli occhi che faticava a tenere aperti. «Non ho le forze per mettermi
in fila» e la coda alla mensa era sempre molto lunga, indipendentemente
dall’ora e Scott, Allison e tutto il gruppo del secondo anno non era ancora arrivato
e non poteva delegare quell’ingrato compito a nessuno di loro.
«Stai male?» chiese Malia dritta al punto, che
si era appena seduta al suo fianco, con il vassoio pieno di ogni squisitezza
che forniva la cucina della scuola.
«Ho solo sonno» la rassicurò il sedicenne,
abbozzando un pio sorriso e sminuendo la cosa.
«Chi ti ha tenuto sveglio, Stiles?» si
intromise la bionda con una cadenza maliziosa ed allusiva, rivolgendo un ghigno
pieno di doppi significati al lupo mannaro che sosteneva la figura del figlio
dello sceriffo.
«Ha studiato fino a tarda sera» spiegò
brevemente il capitano della squadra di basket, rivolgendo alla lupa
un’occhiata di sdegno per quel riferimento inesatto e che lo accusava di colpe
inesistenti.
«Vado io» tutti erano sicuri che Erica ne
avrebbe sparata un’altra delle sue, ma fu interrotta da un Boyd
che si alzò dalla panca e si allontanò velocemente.
Stiles lo vide avviarsi in lontananza,
strizzando gli occhi e tentando di focalizzare la figura che si era separata
dal gruppo. «Dove va?».
«A prenderti qualcosa da mangiare» rispose la
lupa mannara per tutti, una carezza morbida ed affettuosa che racchiudeva tutta
l’essenza di una famiglia, quella che Stiles aveva acquisito da quando Derek
Hale era nella sua vita.
«Oh» soffiò l’umano sbalordito ed intontito,
strusciando una guancia sulla spalla del diciottenne. «Grazie. Siete tutti così
carini con me».
Improvvisamente tutto il tavolo smise di far
rumore e di mangiare, spostando tutta l’attenzione sul figlio dello sceriffo
che era sempre più propenso a lasciarli per raggiungere le braccia di Morfeo.
«Come puoi avere ancora così tanta sonnolenza?»
domandò Derek per il branco intero, benché lui fosse stato presente al
risveglio di Stiles, dandogli il suo buongiorno ed invitandolo a rivedersi più
tardi all’istituto scolastico dov’erano attesi.
«Oh, uhm. A volte succede. Non ricarico le
pile» ed era un’eresia sentire una cosa simile dalle labbra del logorroico
iperattivo per eccellenza, che perfino alle prime luci del sole poteva
conquistare il mondo.
Derek si girò con circospezione, senza muoversi
troppo e sballottolarlo o indurlo a scostarsi da lui, chiara evidenza che fosse
l’unica cosa a reggerlo. «È soltanto questo, bisogno di dormire?» era troppo
strano per il mutaforma, Stiles riusciva a studiare per notti intere di fila;
quella sera non era certo stata la prima e non sarebbe stata l’ultima ed ogni
mattina, benché ci mettesse qualche attimo di troppo a carburare, saltava giù
dal letto pronto per investire con il suo eccessivo entusiasmo e vitalità
chiunque incontrasse. Quella reazione così pacata e spenta non lo rispecchiava
in alcuna maniera.
Stiles lo guardò senza capire, senza riuscire a
cogliere l’allarmismo che sprigionava la sua voce controllata che non si
lasciava dominare dalle emozioni. «Sto bene, Der».
Lo sguardo di Derek era dubbioso e poco
propenso a credergli, anche se le pulsazioni che arrivavano dall’umano
sembravano sincere, ma non per quello dovevano essere veritiere. «Quando hai il
tuo compito in classe?».
«Alla prossima ora» rispose svogliatamente il
sedicenne, sentendo tutto il peso delle ore del giorno precedente passate a
studiare sulle spalle.
«Quando avrai finito, ti riaccompagnerò a casa»
disse assoluto il lupo completo, senza ripensamenti o trattative, ma in un
chiaro ordine che non lasciava spazio ad ulteriori possibilità.
Stiles si scostò immediatamente dal corpo di
Derek, abbandonando il suo caldo e pacifico sostegno, sbattendo ripetutamente
le palpebre e guardandolo come se fosse un alieno. «Cosa? No. C’è ancora tutta
la giornata davanti e ci sono gli allenamenti. Non posso lasciare la scuola
così» anche se quella stessa mattina era proprio quello il suo magnifico piano
per la giornata.
L’espressione del mutaforma si fece più dura e
severa, sempre più vicina all’autorità, girandosi completamente verso di lui.
«Ti riaccompagnerò a casa. Non dovevo nemmeno permetterti di alzarti dal letto»
e forse, forse, c’era un senso di colpa in agguato, pronto ad emergere ed a
prendersi responsabilità che non erano sue.
«Ma sto bene, sto bene» farfugliò l’umano,
agitandosi sul posto e lasciando vagare gli arti in ogni direzione possibile,
ma i suoi occhi erano vitrei e pieni d’acqua.
Derek gli prese il viso con entrambe le mani,
fermando all’istante le movenze confuse ed ingarbugliate del figlio dello
sceriffo, costringendolo a guardarlo dentro le iridi ed a prestargli ascolto.
«Andremo a casa» ed era imperativo ed univoco e non avrebbe mai dato retta alle
pessime decisioni del sedicenne.
Stiles spostò le pupille da una parte
all’altra, come se cercasse delle risposte indelebili impresse in quelle del
lupo mannaro e l’unica certezza che poteva trovargli, era la testardaggine con
cui Derek avrebbe compiuto quell’unica azione. «E la mia bambina? Non voglio
lasciarla un’altra volta qui» erano passati secoli da quell’unica volta,
quell’unica volta in cui la Jeep azzurra era rimasta al parcheggio per tutta la
notte e Derek l’aveva condotto tra le mura di casa senza nemmeno conoscerlo ‒
o era quello che si raccontava in un primo tempo. Quell’unica volta accaduta
quasi cinque mesi prima, la luna piena che l’aveva condotto a quel tetto
specifico della scuola, trovando un Derek rannicchiato contro se stesso,
combattendo ciò che gli viveva dentro, reprimendolo e causandosi dolore
volontario. Quella era stata la prima volta che aveva incontrato i suoi occhi
da lupo, quelli blu metallici che Derek tanto odiava, ma che Stiles amava in
modo quasi disperato. Ed era stata la prima luna piena che avevano affrontato insieme.
«La porteremo con noi» Stiles non era lucido e
non connetteva com’era solito fare, ma se l’avesse fatto, si sarebbe ricordato
che l’amata Camaro che Derek Hale sfoggiava in ogni occasione possibile e che
sostava costantemente al parcheggio della scuola, testimonianza della sua
presenza lì, era ormai più di un mese che non si faceva viva, se non in rare
occasioni, proprio perché il mannaro non aveva più il tempo materiale per
ritornare a casa e cambiarsi, prendendo le sue cose e raggiungendo l’istituto
scolastico con la sua auto.
Derek restava il più possibile dentro la camera
del figlio dello sceriffo, in sua compagnia sul letto che ormai condividevano
regolarmente; il tempo che gli rimaneva, una volta varcata la finestra, era
necessario a raggiungere in tutta calma il liceo, entrare in palestra e
cambiarsi completamente con ciò che lasciava dentro l’armadietto. Si cambiava
tutto, eccetto la maglia che era impregnata dell’odore di Stiles.
La Jeep azzurra era l’unico mezzo che avevano a
disposizione in qualunque caso.
Le iridi d’ambrosia si ingrandirono, stuzzicate
dalla luce elettrica che illuminava la grande sala e che gli urtava la vista.
«Tu la disprezzi, non hai mai voluto che ti dessi un passaggio e adesso vuoi
guidarla?» Stiles poteva anche essere poco se stesso e con la reattività sotto
zero, ma aveva quei barlumi di lucidità che potevano spaventare e allo stesso
tempo far tirare un sospiro di sollievo.
Derek appoggiò la fronte contro quella
dell’umano, irradiandolo con il suo calore ed avvolgendolo, intensificando
l’intreccio dei loro sguardi che si scrutavano da due altezze quasi identiche.
«Mi dispiace» Stiles non se la prendeva seriamente perché il mannaro si burlava
spesso della sua adorata auto, nessuno l’apprezzava seriamente a parte lui stesso
ed era qualcosa a cui aveva fatto il callo, seppur la difendesse sempre a spada
tratta, facendo riecheggiare la sua voce; ma era il rifiuto implicito da parte
del lupo che l’urtava ad ogni nuova occasione, ogni volta che la proposta
veniva rinnovata e che semplicemente veniva lasciata aperta, pronta per essere
accolta in ogni momento. Ma Derek non si muoveva mai verso quella direzione e
per Stiles era una piccola scheggia incastrata in mezzo al petto.
Stiles annuì contro di lui, non ancora
convinto, ma completamente con la testa da un’altra parte, annebbiata ed
immersa in una foschia confusa e poco chiara. «Va bene» acconsentì alla fine,
consapevole che non sarebbe riuscito ad uscire vincitore da quella battaglia,
era nettamente in svantaggio.
Derek gli scompigliò i capelli, trattenendosi
dallo scoccargli un nuovo bacio sulla fronte e Boyd
arrivò nell’immediato, depositando il vassoio appena riempito davanti alla
postazione del sedicenne.
L’umano lo guardò un po’ di traverso, non
riuscendo a capire che cosa gli sfuggisse ad una prima analisi, sfiorando il
bordo del piatto e trovando tutte le cibarie che in un altro momento avrebbe
scelto. «Come mai tutto il branco sembra sapere cosa mi piace mangiare?».
«Siamo degli impeccabili osservatori» rivelò
Erica con una buona dose di divertimento mascherato e leggerezza, sorridendogli
cordiale e complice.
«E perché dovreste osservare proprio me?»
domandò con ingenuità, guidato da quella foschia che non gli permetteva di
ragionare e di trarre le soluzioni autonomamente com’era abituato a fare, senza
porre davvero quesiti che in un contesto e momento diverso, con il controllo
delle sue facoltà mentali, non avrebbe mai formulato.
Un silenzio attanagliante scese su tutto il
tavolo, molto diverso dal primo che era avvenuto durante l’ora del pranzo,
interrompendo il loro pasto. Tutto intorno a lui era immobile.
Stiles si girò con circospezione, incerto di
essere stato ascoltato e che avessero davvero una risposta. A volte buttava lì
delle domande senza che avessero davvero bisogno di una replica.
«Ho preso la torta alle carote, vuoi
assaggiarla?» gli propose la coyote mannara con nonchalance, mostrandogli il
piattino in cui era stata adagiata la fetta del dolce in questione ed appoggiandola
in mezzo ai loro vassoi per condividerla meglio.
Stiles la guardò in un primo momento senza
riuscire bene ad identificarla, accertandosi di cosa realmente Malia gli stesse
offrendo, ed una volta che l’ebbe inquadrata e che il profumo gli invase le narici,
corteggiandolo, sorrise alla ragazza in apprezzamento, pronto a fare quella
nuova esperienza in due e dimenticandosi completamente della reazione
pittoresca che aveva scatenato con quel quesito innocente di cui non aveva più
memoria.
Il viaggio in macchina fu estremamente
silenzioso, così lontano dalla realtà che solitamente li coglieva quando Derek
ascoltava nel suo mutismo l’irrefrenabile Stiles, avendo già perso la battaglia
in partenza.
Ma Stiles non era irrefrenabile e non aveva
nulla da dire a Derek; era seduto sul sedile del passeggero anteriore, la
cintura allacciata e la testa abbandonata contro lo sportello chiuso, con le
palpebre abbassate ed il respiro sereno e profondo di chi fosse prossimo ad
addormentarsi.
Il lupo cercò in ogni modo di non disturbare la
sua quiete.
Quando giunsero alla casa del figlio dello
sceriffo, Derek parcheggiò nel vialetto, dove mancava l’auto della massima
autorità della città e scese dal mezzo, precedendo il sedicenne, ed andandogli
ad aprire lo sportello, per scortarlo dentro l’abitazione, ma quando Stiles
riaprì gli occhi ed incontrò le gemme boscose di Derek, riconoscendole con
distanza, si avviò da solo, aprendo distrattamente la porta e fiondandosi
traballando verso le scale per raggiungere la propria stanza da letto ‒
quella era la prima volta che Derek usava l’ingresso principale e vedeva un
ambiente diverso dalla camera di Stiles.
Avrebbe quasi mancato il materasso se il
licantropo non fosse stato più veloce di lui, riuscendo a fargli centrare
l’obiettivo.
Si arrampicò con fatica, lasciando i piedi a
penzolare nel vuoto senza nemmeno togliersi le scarpe, scarpe di cui si occupò
il mannaro, seguendolo a ruota subito dopo.
«Tu stai covando qualcosa» sentenziò il lupo
completo, osservandolo scrupolosamente dalla sua postazione e trattenendosi
dall’ispezionarlo come si conveniva.
L’umano ridacchiò deliziato, strusciando una
guancia tra le coperte e girando il capo verso di lui. «Ti preoccupi troppo, Der. Devo solo farmi una bella dormita. Ho davvero tanto,
tanto sonno».
Non aveva bisogno di vedere l’incredulità e la
diffidenza di Derek per sapere che era lì, impressa nel suo volto che non si
permetteva nemmeno di sbattere le ciglia per non perderlo di vista. Di fatti,
il mutaforma scivolò verso di lui, scostandogli le ciocche con la punta delle
dita e scoprendogli la fronte, dove vi depositò le labbra, imprimendole per
bene. «La tua temperatura è più alta» che nel linguaggio del lupo cattivo per
eccellenza voleva dire che l’influenza e la febbre erano in agguato.
«Avrò preso un colpo di freddo, passerà in
fretta» sintetizzò in breve il figlio dello sceriffo, senza dargli la giusta
importanza ed ignorando il malessere che lo portava ad un letargo in ritardo.
«Se non ti ostinassi a tenere la finestra
aperta in pieno inverno, questo non accadrebbe» lo rimproverò poco magnanimo il
licantropo, descrivendogli una diapositiva chiara e d’impatto che riassumeva le
avventatezze dell’altro.
Stiles mugolò in diniego, scuotendo la testa
negativamente, bocciando nell’immediato quell’accusa che gli veniva impartita.
«Devo tenerla aperta, altrimenti come entreresti con le tue entrate ad effetto
portandomi sempre più vicino ad un principio d’infarto?».
Derek sbuffò a quell’uscita, perfino quando la
lucidità era l’ultima cosa presente nel ragazzo iperattivo, il sarcasmo
pungente la faceva da padrone. «So aprirla dall’esterno».
Stiles lo sapeva bene, se lo ricordava
perfettamente, non aveva mai dimenticato la prima volta che Derek era stato lì
mentre lui era incosciente, abbandonato alle braccia di Morfeo e trasportato da
quelle di un lupo mannaro. Derek l’aveva condotto fin dentro casa sua con il
presente ostacolo di una finestra chiusa, una finestra chiusa di cui non
avrebbe dovuto conoscere la sua ubicazione. «Voglio tenerla aperta. Devo
tenerla aperta» rivelò nella nebbia che lo avvolgeva, con l’ansia ed il timore
che crescevano a dismisura, senza che il mannaro potesse capirne la ragione.
«Se… se un giorno tu dovessi trovarla chiusa, potresti fraintendere. Potresti
pensare che non ti voglia qui, che non sei gradito, che non c’è posto per te e
che non ti voglia in giro. Non voglio che tu trovi una finestra chiusa che ti
sbarri le porte e che ti tenga lontano da me».
Derek rimase per alcuni momenti completamente
ammutolito, investito in pieno dalle parole del sedicenne che avevano abolito
qualsiasi filtro e lo toccò con le falangi, facendogli sentire la sua presenza
ed il suo calore vivo e pulsante, accarezzandogli uno zigomo con le nocche.
«Non lo penserei, perché posso sentire ciò che provi. Lo saprei immediatamente
se non mi volessi».
Stiles sospirò stremato e rincuorato, con un
enorme peso che gli gravava sul cuore e che si andava lentamente ad
alleggerire, vezzeggiato dalle movenze del diciottenne che lo tenevano ancorato
a sé. «Non riesco più ad immaginare la mia vita senza di te, Der. Sei troppo importante per me».
Derek respirò direttamente nella sua bocca,
lambendogli le labbra e facendo congiungere le loro fronti; quello era il
contatto più intimo a cui si lasciavano andare. «Lo sei anche tu».
Il figlio dello sceriffo mugugnò in
apprezzamento contro di lui, chiudendo le palpebre ed incastrandosi
perfettamente con il suo corpo. «Potremmo trovare un compromesso, per quanto
riguarda la finestra».
«E sarebbe?» domandò il capitano della squadra
di basket guardingo e sospettoso, percependo una nuova proposta improbabile e
che non gli sarebbe piaciuta.
Stiles strusciò il naso contro quello del
mannaro, sorridendogli con quella sfumatura scaltra che ricordava
spaventosamente una volpe rossa, una volpe che aveva la situazione in pugno.
«Potrei essere protetto da un bellissimo e caldissimo manto nero».
Derek gli schioccò due dita davanti gli occhi,
colpendogli parte del setto nasale e della fronte, indispettendolo non poco, ma
scatenandogli una risata leggera. «Ed io dovrei trasformami per compiacerti e
provvedere ai tuoi capricci?».
«Amo quel lupo» proferì Stiles con un piccolo
broncio che si disegnava su tutte le labbra carnose, provando ad ingraziarsi il
suo interlocutore con scarsi successi. «Amo davvero quel lupo».
«Lo so» sovvenne il mutaforma, conoscitore dei
sentimenti positivi che l’umano manifestava ogni volta che il lupo nero
compariva o si parlava di lui; era un amore sconfinato e perpetuo ed era
evidente il desiderio di Stiles di incontrarlo più spesso. Il lupo nero si
lasciava andare a gesti più plateali che sembravano piacergli molto,
lasciandosi viziare dalla cura e dall’affetto che il bipede gli dava; erano
delle osservazioni che Derek non avrebbe mai dovuto tenere sottogamba.
«E mi piaci anche tu» dichiarò il figlio dello
sceriffo senza accorgersi di cosa stava rivelando, con la piccola malia portata
dalla sonnolenza che gli ingarbugliava i pensieri e la lucidità. «Amo quel
lupo, lo amo davvero, ma anche tu mi piaci. Mi piaci tantissimo, forse anche
più del lupo e… tu sei Derek. Sei il mio Derek».
Il corpo di Derek che tremava era percepibile a
contatto con il suo, Stiles non avrebbe potuto ignorarlo in nessuna
circostanza, nemmeno se si fosse tappato le orecchie ed avesse serrato gli
occhi, allontanandosi da lui così tanto da non avvertire più la sua presenza.
Ma avrebbe percepito sempre la sua presenza, perché Derek era nella sua testa,
era in ogni cosa che faceva e diceva, era in ogni suo gesto e parola ed era
sempre al suo fianco, indipendentemente dalle circostanze avverse che potevano
abbattersi su di loro.
«Stiles» era l’unica cosa che la creatura della
notte riusciva a pronunciare, un richiamo che voleva quasi imporre un punto, un
allarme, un freno che l’umano avrebbe dovuto sentire e tirare; qualcosa che lo
svegliasse da quella mente intorpidita che stava giocando un brutto scherzo ad
entrambi.
«Mi dispiace, non è quello che avresti voluto sentire» espirò affranto, il diaframma che si incendiava ed il bisogno di ricevere nuovo ossigeno che si faceva sentire, implorando di cercarne ancora, di prendere nuove boccate d’aria e di spegnere tutto, di darsi una calmata e di cedere alla sonnolenza che lo stava reclamando. «Stai aspettando da così tanto ed io continuo a non avere una risposta. Sono così confuso, Der; ho così tanti pensieri nella testa ed in ognuno ci sei tu» strizzò gli occhi, aprendoli subito dopo come se si aspettasse una rivelazione, una visione diversa e più chiara, la risposta che tutti e due stavano attendendo. «Non riesco ancora a visualizzarla, è così intricata e sfuggente, ma ci sono quasi, Der. Sono così vicino».
«Stiles, non devi darmi alcuna risposta» la
menzogna nella sua voce era qualcosa che perfino uno Stiles a metà tra il mondo
dei ridestati e dei dormienti poteva udire, classificandola per quello che era
e con l’unica scappatoia che Derek si permetteva ancora di tenere a
disposizione, tentando di salvare sia lui che l’umano.
La mano destra di Stiles saettò sul letto,
cercando quella del suo interlocutore che si parava ancora dalle sue parole e
dalle sue rivelazioni, sfiorandogli le dita ed accarezzandogli con il
polpastrello del pollice il cilindro d’argento da cui non si separava in alcun
caso, perfino quando era sotto le vesti di un lupo completo. «Aspettami ancora
un po’».
Le dita del mannaro si aprirono, creando gli
spazi tra una falange e l’altra, dando l’opportunità al figlio dello sceriffo
di fare quello che riteneva opportuno, mettendo un cancelletto nell’unica via
d’uscita che gli era rimasta. «Aspettarti è quello che faccio» era fregato.
Ogni singola cellula dell’umano vibrò tutta e
le gemme ambrate si accesero, concentrandosi unicamente sulle perle di giada
che aveva di fronte e che cedevano ad ogni suo mormorio contorto, a quella
mancanza di controllo che aveva avuto per tutto il tempo sul definire il loro
rapporto, senza mai permettersi di cadere in domande scomode; ma alla fine aveva
ceduto, alla nebbia che gli offuscava il cervello e il senso critico, il buon
senso e il riconoscimento del momento più adatto per rivelare quello che c’era
sempre stato tra loro.
Stiles sfilò l’anello dal dito medio di Derek,
facendolo oscillare e strofinare contro la punta delle sue dita, come se non
fosse ancora certo di poterlo fare e toccandolo, come se potesse andare a
fuoco, senza alcuna via di salvezza.
Lo accostò alla mano sinistra, sfiorando il
polpastrello dell’indice che si attivò, defibrillando tutto ed arcandosi verso
l’oggetto che gli veniva posto, precipitando verso la falange ed incastrandosi
perfettamente.
A distanza di quel primo mese del suo secondo
anno, l’anello tornò ad impossessarsi del suo posto sull’anulare sinistro di
Stiles Stilinski. «È questo il loro segreto?» che segreto non era, perché tutti
quelli che avevano assistito al loro primo incontro ufficiale erano stati
testimoni di quell’incidente che non si era più ripetuto.
Derek non rispose e Stiles era troppo in là per
insistere, troppo provato e corteggiato dalle braccia di Morfeo per costringere
il mannaro a confessare ed a dirgli tutto, a mettere in chiaro le cose,
cancellando tutti i segreti che girano intorno alle loro vite.
Stiles si abbandonò completamente al proprio
cuscino, afferrandolo dall’alto e portandolo giù, ancora privo della forza di
ricoprire tutto il materasso nella posizione più comoda, e socchiuse le
palpebre, lasciandosi vezzeggiare dall’esperienza confortevole che il suo letto
poteva dargli e di cui necessitava con ogni atomo del corpo.
La mano che si era impadronita dell’anello di
Derek stringeva il guanciale, mostrando tutta l’essenza di quel piccolo
cilindro metallico, mentre la mano destra sostava sul materasso, accanto al
corpo nel mannaro, trattenendogli parte della maglia con il mignolo piegato.
Derek sfiorò le dita con delicatezza, partendo
dal più piccolo per arrivare a quello centrale che conteneva l’anello d’argento
di Stiles, gemello al proprio. Lo toccò appena, quasi incerto di poterlo fare seriamente
e scoccando un’occhiata veloce alla figura incosciente che gli stava a fianco;
gli sfilò l’oggetto, guardandolo con occhi nuovi e con una nuova
consapevolezza, facendolo ruotare tra le falangi come aveva fatto il sedicenne.
Ma lo studio di Derek era molto diverso da
quello più attento ed interrogativo del figlio dello sceriffo che aveva domande
che gli risuonavano, echeggiando nella scatola cranica, bersagliandolo così
tanto da fargli scoppiare il cervello.
Era uno studio approssimativo, di chi conosceva
già ogni risposta e lato nascosto. Assomigliava molto di più ad un bentornato a casa.
L’anello appartenente a Stiles Stilinski, che
indossava sul medio destro, gemello ed affine a quello del lupo mannaro, fu
indossato egregiamente e con portamento perfetto sull’anulare sinistro di Derek
Hale, calzandogli a pennello. «È questo».
Stiles assistette inerme ed attonito davanti a
quella rivelazione, strappato alla coscienza dalla divinità greca dei sogni.
Ebbene, qui abbiamo il primo incontro tra Stiles il nostro lupetto
preferito.
Siccome Malia si è sentita tanto invogliata e incoraggiata dalla reazione
di Stiles alla vista di Derek, ha voluto provare anche lei e… Stiles accetta
tutti.
Accadono piccole cose qui, un padre che si è arreso a voler separare quei
due, ma che vorrebbe Derek a colazione perché non ha senso andarsene via prima,
un branco che sa anche troppe cose intorno al piccolo Stiles ed un Derek
eccessivamente iperprotettivo – ah, ma quella non è una novità.
E poi… arrivano parole pesanti, confessioni a metà da mezzo ubriaco di
sonnolenza e verità che tutti conoscono, ma a cui nessuno a
voluto dare voce, perché… sono tanto complicati. E confusi. Indecisi e non sicuri.
A quanto pare il segreto degli anelli è appena stato svelato, siete
riusciti a coglierlo completamente?
Le lancette stanno per arrivare al rintocco dell’ora fatidica, non c’è più
molto tempo per temporeggiare.
A settimana prossima,
Antys