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Autore: Antys    27/01/2017    5 recensioni
Nel liceo di Beacon Hills si era sviluppata una strana mania, una tradizione, da diversi anni e quasi ogni studente tra quelle mura vi partecipava.
Tutto ruotava intorno agli anelli che si indossavano quotidianamente e, a seconda della loro collocazione, esprimevano un significato da trasmettere ai presenti ed era una continua caccia: tutti controllavano chi stava indossando quale anello su quale dito.
Ma l’ambizione consisteva nel riuscire a scambiarsi due anelli gemelli che comunicavano il significato di coppia e che autenticasse quel loro modo di essere.
Anche Stiles possedeva un anello, un anello che casualmente aveva il significato di single, ma che non era in alcuna maniera collegata a quella sciocca tradizione che non apprezzava. Quello che non sapeva, era che qualcun altro all’interno di quel liceo portava il suo stesso identico anello, nello stesso medesimo dito ed era la persona che meno si sarebbe mai aspettato.
[…]
«È come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi?
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16° Capitolo

 

Stiles non sapeva bene perché, ma Malia gli aveva dato appuntamento ai confini della tenuta Hale, spiccicando una materia qualsiasi ‒ chimica, aveva detto lei. Ma non abbiamo il corso di chimica insieme, aveva ribattuto lui ‒ e chiudendogli il telefono in faccia senza aggiungere altro. Non aveva avuto molta scelta. 

Quindi adesso si trovava lì, proprio davanti all’inizio dei territori della famiglia Hale, con la Jeep azzurra abbandonata sul ciglio della strada ed una tracolla troppo vissuta contenente ciò che sarebbe servito loro per studiare.

Peccato che la coyote mannara avesse altri progetti per il loro intenso pomeriggio di studio e, quando lo vide arrivare e scendere dall’auto, si precipitò verso di lui, trascinandoselo via per mano, senza nemmeno dargli il tempo di prendere la borsa che aveva preparato in due minuti, cronometrati e molto frettolosi, dovuti allo scarso tempo di preavviso.

«Malia, dove stiamo andando?» domandò lui disorientato, non capendo le intenzioni della ragazza e sballottato da una parte all’altra, senza curarsi minimamente della sua persona.

«Penso che dovresti vederlo» disse invece la mannara, non lasciandosi scoraggiare e fermare dall’ostilità dell’umano.

«Cosa dovrei vedere?» chiese allora il figlio dello sceriffo, prendendo fiato ogni volta che pensava di poterlo fare, ma venendo tirato in malo modo ad ogni occasione ed aguzzando la vista per intravedere una qualsiasi cosa a cui si riferisse la sedicenne.

«Sta imparando a controllarlo» proferì lei, ignorandolo ancora una volta e rispondendo a domande che Stiles non aveva mai formulato, soprattutto perché non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando e dove lo stesse conducendo.

«Questa conversazione mi lascia perplesso» ed insoddisfatto e lo faceva credere un po’ fuori di testa, perché non potevano seriamente essere così incompatibili ed incomprensibili.

Malia si fermò di botto, senza avvisare il suo interlocutore che le andò a sbattere contro, ma lei non sembrò notarlo né si infastidì. «È qui».

Stiles, una volta che si fu scostato dall’ostacolo su cui aveva urtato, aprì malamente le palpebre, incontrando un’enorme distesa verde, piena di fiori di campo ed alberi sempreverdi di ogni forma e dimensione, così alti ed imponenti da toccare il cielo con le loro cime. Era uno spettacolo ed era una parte di foresta che apparteneva alla famiglia del sovrannaturale. «Cosa c’è qui?» perché per quanto fosse maestoso e pazzesco, non riusciva proprio a capire l’urgenza della ragazza coyote, costringendolo quasi con la forza a trovarsi lì proprio in quel momento, come se potesse scappare.

Ma si dimenticò immediatamente della sua domanda nel momento in cui capì cosa ci fosse lì.

«Derek?» proferì alla sommità della natura quando vide un enorme e splendido lupo nero che si aggirava nel verde della privatissima tenuta Hale, con imponenti ed enormi occhi blu metallico. Era il lupo che compariva nelle sue raffigurazioni, nel libro che sua madre gli aveva comprato anni prima e che era abbellito di ogni metamorfosi che un lupo mannaro potesse affrontare. Era il lupo che guardava nelle notti, sotto il chiaro di luna, nel suo letto e nell’immaginario che l’aveva accompagnato per tutto quel tempo. Quello era il lupo nero dagli occhi blu metallico di cui si era innamorato. «Derek, sei tu?».

Il lupo parve percepire la loro presenza soltanto in quel momento, alzando di qualche centimetro il muso e rivolgendolo verso di loro, richiamato dal suono che proveniva dalla sua sinistra.

Annusò l’aria e le iridi blu elettrico incontrarono quelle di ambrosia pura e si tirò indietro.

«Derek, aspetta» non ci pensò un secondo di più a lasciare la presa della ragazza e fiondarsi nella direzione presa dal nuovo lupo completo, che scappava innegabilmente da lui, sottraendogli la possibilità di farsi guardare in quella forma. «Aspetta».

Il richiamo per l’animale doveva essere troppo forte, perché si fermò proprio quando fu pronunciata l’ultima preghiera disperata e supplichevole, voltandosi circospetto verso il ragazzo, non ancora convinto di quella scelta e quasi costretto a doverlo fare.

Stiles rallentò, incespicando sui passi fino ad arrestare la corsa completamente, ritrovandosi faccia a faccia, scrutandosi negli occhi. «Der, sei davvero tu?» non aveva bisogno di certezze o prove, conosceva perfettamente quegli occhi blu così provati e sofferti, quelli che riuscivano a scavargli l’anima e che rispecchiavano tutta quella di Derek Hale.

Aveva passato un’ora intera, tre giorni prima, con quelle iridi che ripudiavano se stesso, ma che si erano manifestate quando il suo incubo aveva attraversato i territori dell’unico branco presente a Beacon Hills, scatenandosi e svegliando completamente il lupo che giaceva in lui.

Derek non aveva mai affrontato l’argomento quando era tornato a casa sua, dopo che Malia gli aveva confidato la verità e lui non aveva osato chiedere, ma ora quel lupo l’aveva davanti e non poteva ignorarlo.

Uno scintillio provenne da sotto la testa del quadrupede, rievocato e stuzzicato dal sole che procedeva nella sua discesa, per completare il suo giro orbitale alcune ore più tardi.

Stiles lo notò subito e ne fu attratto, riconoscendo il piccolo cilindro metallico che veniva trattenuto da un lungo laccio marrone scuro, appeso al collo. La triscele d’oro rosso ed argento si mostrava indisturbata. «Sei tu» Derek non avrebbe mai sopportato di essere nuovamente separato dal suo anello, non dopo averlo perso una volta ed in quel momento gli mostrava il suo totale attaccamento ed il desiderio e l’impegno di non smarrirlo mai più e di portarlo con sé in ogni forma che avrebbe assunto.

Il canide indietreggiò di un passo, non confermando o negando nulla, ma la certezza nella voce di Stiles era predominante e non lasciava spazio alle incertezze; era la sola verità che potesse esistere.

Com’era vero che il lupo completo non si sarebbe avvicinato, più propenso a volersi allontanare il più possibile che ad affrontare il figlio dello sceriffo e ciò che aveva da dire.

«Va bene» disse l’unico umano a distanza di miglia, sedendosi per terra ed incrociando le gambe sull’erba verde ed incolta, accerchiato dai fiori di campo e con vari tronchi d’albero a fargli da sfondo. «Aspetterò qui finché vorrai» e Derek poteva anche decidere di non raggiungerlo mai, di ignorarlo, guardarlo un’ultima volta e battere in ritirata, dedicandosi al resto della tenuta Hale che aveva a disposizione.

Entrambi si erano dimenticati completamente della presenza della ragazza coyote.

Il lupo gli fu davanti agli occhi diversi minuti dopo, a distanza di sicurezza, annusando l’aria con il naso bagnato ed indeciso se proseguire, studiando ciò che si trovava dinnanzi.

Stiles lo guardò un po’ sorpreso, non aspettandosi che la sua attesa fosse così breve, ma non poteva cantare vittoria finché non avrebbe azzerato completamente la distanza che si poneva tra loro, rendendo completamente reale l’esistenza della sua forma da lupo completo, quella che si era manifestata quando il desiderio ossessivo e vero, totalmente dedito a ciò che amava, aveva sopraffatto ogni logica, dandogli la forza e la potenza di non farsi più sottrarre ciò che gli era più caro.

L’umano mosse le dita, tendendo la mano destra annessa di anello, sporgendola oltre il ginocchio e lasciandola a mezz’aria, sotto le iridi blu elettrico che non si staccavano guardinghe da lui.

Il naso nero si mosse, riconoscendo l’odore che proveniva da quell’arto che si faceva più intenso, le lunghe dita affusolate che aspettavano di essere riconosciute e di poterlo toccare, affondare nel suo pelo folto e morbido.

Il lupo si avvicinò, odorando la mano di Stiles quasi a contatto con la pelle, con una zampa non completamente avanzata e sicura della sua scelta, lasciandosi un ultimo margine di fuga nel caso non fosse stato convinto e volesse tirarsi indietro, non permettendo quell’incontro.

Ma la zampa si mosse in avanti e le dita del figlio dello sceriffo scivolarono sul lato della testa dell’animale, pizzicate dal pelo scuro che lo invogliava, lasciando poggiare la mano direttamente sulla pelliccia, entrando finalmente a contatto e lasciando cadere qualsiasi reticenza.

Stiles trattenne il fiato stupito e folgorato, muovendo appena le falangi non totalmente certo delle proprie azioni e del completo lasciapassare del licantropo. «Ciao, Sourwolf» lo salutò con ardore e sentimento, immergendo tutta la mano ed assaporando la magnificenza che era quella pelliccia, morbida al tatto e confortevole. «Sei bellissimo» disse con l’autenticità premente nella voce, unica verità ed accettazione, un balsamo eterno per il tormento del lupo che si fece circondare da entrambi gli arti dell’umano, che presero ad accarezzarlo amorevolmente, prima di sbilanciarsi ed abbracciarlo, poggiando il capo su quello dell’animale. «Davvero bellissimo».

Derek non lo scacciò minimamente, ma l’accolse come nella forma umana non avrebbe mai fatto, lasciandosi vezzeggiare e corteggiare dall’apprezzamento che Stiles gli stava infondendo, l’affetto e l’accettazione con cui lo inondava sempre, accompagnato dall’enorme entusiasmo ed eccitazione costante che non l’abbandonavano mai.

«Sei il lupo dei miei sogni» rivelò il figlio dello sceriffo con una nota dolce e scherzosa, burlona e leggera, quella che sapeva avrebbe indispettito il mutaforma, portandolo a roteare gli occhi e a guardarlo giudicante, perseguitato dalla fissazione perenne per lupi e lupi mannari che Stiles aveva sempre dimostrato. Purtroppo per Derek, corrispondeva perfettamente all’immaginario di Stiles.

Dopo una quantità di tempo minima, il lupo completo tese le orecchie e si mosse appena, chiamando il corpo di Stiles che rispose all’istante, allargando le braccia e scostandosi appena, mentre Derek si rivolgeva alla loro destra ed il sedicenne lo imitava.

«Malia?» davanti a loro vi era uno splendido coyote con varie sfumature, il pelo alternava tra grigio scuro, grigio chiaro e bianco, dagli occhi blu metallico come quelli di Derek ed uguali a quelli che più di una volta si mostravano sul viso della ragazza quando ringhiava verso qualcuno o qualcosa che le faceva un dispetto e tutto il branco, più Stiles, doveva correre ai ripari per salvare la situazione.

Malia era proprio lì, nella sua forma da coyote completo, esposta e messa sotto lo sguardo di un estraneo, di un ragazzo non appartenente al branco che l’aveva presa con sé, reintegrandola nella famiglia e prendendosene cura, dandole tutto quello che le era stato sottratto e quello che aveva perso.

Al di fuori della famiglia Hale e dei branchi alleati, non si era mai mostrata e mai nessuno si sarebbe aspettato che l’avrebbe fatto proprio dinnanzi ad un ragazzo umano, invaghito del loro mondo. Quella era la piena fiducia che riponeva in Stiles Stilinski.

Ma nella mente di Malia, ancora ingenua e diffidente al mondo, viveva l’immagine di uno Stiles che accettava tutto ciò che vi era in Derek Hale, dalla sua parte più mostruosa ed omicida a quella più premurosa e paziente.

Accettava la sua natura di lupo mannaro, accettava i suoi occhi blu metallici testimonianza dell’abominio di cui si erano macchiati ed accettava la sua ultima forma di lupo completo.

Non solo le accettava, ma le esaltava.

E faceva lo stesso con lei e sperava che continuasse a farlo.

La coyote rimase a pochi passi dal ragazzo con il suo lupo nero e, mentre Stiles continuava a circondare con un braccio il collo del quadrupede, sfiorandogli un orecchio, tese la mano libera verso di lei, muovendo le dita ed incitandola a raggiungerli.

Malia non aveva bisogno di accertarsi dell’odore buono e genuino del figlio dello sceriffo, quello stesso odore che non avrebbe arrecato alcun danno a nessuno di loro, quello che li avrebbe amati per ciò che erano e per le fantastiche creature che rappresentavano; Malia semplicemente si lasciò sedurre dal tocco leggero dell’umano, quello pieno di sentimento e meraviglia. «Sei bellissima anche tu».

Derek strusciò il muso sul collo di Stiles e Malia si fece più vicina, lasciandosi catturare completamente dall’abbraccio del ragazzo che li conteneva entrambi, senza avere alcuna intenzione di lasciare che uno dei due si allontanasse.

Quelli erano i suoi mannari, quelli erano il suo lupo e la sua coyote che si mostravano a lui in tutta la loro forma, con tutte le loro difficoltà e complessi. Si mostravano a lui sapendo di essere giudicati e con il timore di essere rifiutati, ma Stiles provava soltanto profondo amore per quelle creature straordinarie ed uniche; quelle creature che si fidavano ciecamente di lui. «Siete bellissimi tutti e due».

 

L’allarme della sveglia risuonò nefasto per tutte le quattro mura, entrando con perfidia dentro il nervo acustico, assordandolo e lasciandolo dimenarsi tra le lenzuola.

Stiles mugugnò offeso e colpito a tradimento, proprio dietro le spalle e precisamente in mezzo alle scapole, scappando ai raggi solari che lo bersagliavano proprio all’altezza degli occhi e che gli bruciavano la retina, costringendolo ad alzarsi e ricordandogli di correre.

Stiles non aveva alcuna intenzione di abbandonare quel letto, le sue belle e confortevoli lenzuola che lo proteggevano dalle temperature ancora gelide, benché la primavera fosse sempre più prossima, e si appallottolò contro il torace del lupo mannaro che gli dormiva a fianco, intrecciando le gambe con le sue ed incastrandosi nell’antro caldo fatto su sua misura, creato dal corpo del capitano della squadra di basket.

Sulle labbra del figlio dello sceriffo vi era una curva lieta e benevola, completamente assuefatto dalla posizione perfetta in cui si trovava, che l’accoglieva come se lo aspettasse da tempo immemore.

«Dobbiamo alzarci» ma Derek Hale aveva un talento innato per distruggere tutto quello che di buono Stiles trovava.

Gli sbuffò contro, ignorandolo deliberatamente e divenendo sordo alla sua voce, raggomitolandosi meglio su di lui.

«Stiles» lo ammonì il lupo completo, riportandolo alla realtà e conscio del tempo che stava scorrendo e che si sarebbe fatto sempre più corto per quel ritardatario cronico che era Stiles Stilinski.

«Non mi va» bofonchiò l’umano con fare infantile, immergendo la testa nell’ascella del licantropo e sfuggendo alla luce mattutina che penetrava nella stanza. «Voglio rimanere qui, si sta così bene. Posso anche perderlo un altro giorno di scuola».

«Sono piuttosto sicuro che hai un esame oggi» lo riprese il mutaforma, spegnendo i sogni proibiti e casalinghi del sedicenne, che desiderava semplicemente rimanere accoccolato contro di lui e continuare a dormire per tutte le ore mattutine.

Il figlio dello sceriffo piagnucolò sconsolato, trascinato contro la sua volontà verso la perfida realtà che l’attendeva, la dura vita da studente che gli rodeva gli organi, annientando la sua felicità spensierata e genuina. «Che importa, posso recuperarlo un altro giorno» tutto da solo, ma non gli cambiava granché.

Derek gli solleticò la cute, scompigliandogli i capelli e depositandogli un debole bacio tra di essi, prima di alzarsi e raggiungere l’armadio, aprendo le ante ed afferrando una nuova maglietta pulita e stirata, liberandosi di quella con cui aveva dormito, che lanciò ai piedi del padrone di casa, ed indossando la nuova arrivata; in tutto quel percorso era stato accompagnato dai mormorii sconsolati del sedicenne. «Avanti, o farai troppo tardi».

Stiles non era entusiasta per niente, era ancora bloccato nell’offuscamento che gli dava il risveglio, il terribile trauma che aveva subìto nel momento in cui la sveglia aveva suonato e l’aveva strappato al magnifico ed adorante mondo dei sogni; avrebbe carburato con molta difficoltà quel giorno ed una sola colazione non sarebbe servita. Ma, a differenza sua, Derek Hale aveva già tutti i sensi attivi, nessun annebbiamento o riluttanza, nessuna incapacità motoria o intorpidimento dei muscoli. Era sveglio e pronto ad affrontare il nuovo giorno con la sua cupezza ed era già davanti alla finestra, appena aperta e pronta per essere varcata. «Non c’è bisogno che levi le tende» lo fermò un attimo prima che Derek fosse pronto a scavalcare il davanzale e trasformarlo nel saluto che li rimandava ad ore più tardi. «Puoi rimanere».

Rumori molesti di posate e porcellana provenivano dal piano di sotto, stipetti che si aprivano e sportelli che sbattevano, uniti al passo pesante dello sceriffo che si aggirava per tutta la cucina, non lasciando equivoci alla mattina che si era appena affacciata.

Derek si permise di ascoltare quei suoni così casalinghi e di quotidianità per qualche secondo, giusto il tempo di imprimerli nella mente e definirli. «Ci vediamo a scuola, Stiles» aveva l’incredibile abilità di svanire in un turbine di nuvole.

Stiles sospirò rassegnato, totalmente immune alle sue uscite e rimase altri cinque minuti buttato a letto, con le lenzuola che lo ricoprivano fino alla testa.

 

Stiles scese al piano di sotto ancora assonnato, nemmeno l’abbondante acqua che si era gettato in faccia aveva avuto effetto e si era rassegnato decidendo di raggiungere direttamente il padre, sperando di riempirsi lo stomaco e di scacciare via quella malia che gli offuscava le membra.

Si strinse nel suo pigiama, cercando riparo dal freddo e sedendosi svogliatamente e senza forze su una sedia, afferrando la tazza che l’uomo aveva riposto sul tavolo e che riempì di latte caldo, passandogli la scatola dei suoi cereali preferiti al miele.

Benché fosse una pessima idea per la sua iperattività che quella mattina scarseggiava, si permise di macchiare il suo latte bianco ed immacolato con del caffè nero ed amaro ‒ il miele dei cereali avrebbe addolcito l’insieme appena creato.

«È andato via?» domandò con disinvoltura lo sceriffo, porgendogli un cucchiaio appena estratto dal cassetto delle posate.

«Sì» confermò la sua progenie, sbadigliando incontrollatamente a bocca aperta e tuffando il cucchiaio nel latte, versando una dose considerevole di occhielli al miele.

«Potresti anche informarlo che può rimanere a fare colazione» lo sceriffo si era ormai arreso; in verità non ci aveva nemmeno provato seriamente, qualunque cosa avesse fatto o impedito, Derek Hale avrebbe continuato ad entrare dalla finestra della camera di suo figlio come se fosse la porta principale, in piena notte ed incurante della situazione incresciosa che poteva creare, infilandosi dentro il letto ed addormentandosi con Stiles spalmato su di lui e la sua volpe astuta, che corrispondeva alle fattezze del suo unico figlio, avrebbe permesso quelle continue visite senza vederne alcuna ripercussione e lasciandogli completamente campo libero, sordo al rimprovero del padre che gli aveva concesso un’ultima notte due settimane e mezzo prima.

Lo sceriffo poteva anche provare a controllare le volte in cui era presente, le visite che Derek Hale faceva alla sua casa ‒ quelle pomeridiane non avevano restrizioni ‒, ma una volta crollato sul materasso, non aveva modo di scoprire se il tenebroso diciottenne irrompesse nella camera di Stiles, ristabilendo la loro quotidianità notturna e scomparendo alle prime luci dell’alba com’era stato agli inizi e per mesi interi. Ma non poteva nemmeno sapere se, una volta che aveva il turno notturno, quei due si fossero comportati come meglio credevano.

Alla fine si era dato costretto a lasciarli fare e ad essere messo minimamente al corrente delle loro mosse.

«Mh, la prossima volta» proferì Stiles con la mente altrove e distante mille miglia, prendendo la sua bella tazza che raffigurava un lupo nero dagli occhi di rubino su sfondo bianco ‒ se n’era innamorato all’età di sette anni e lo sceriffo si era visto obbligato a comprargliela, come la madre che ogni mattina doveva fargli trovare la tazza perfettamente pulita e pronta per contenere il suo latte caldo; quell’accuratezza ricadeva sull’unico genitore che gli era rimasto ‒ e bevendo il liquido caldo che gli riscaldò la gola e tutti gli altri organi, cullandolo dolcemente. «La prossima volta rimarrà».

 

Il figlio dello sceriffo si sedette a peso morto sulla panca che solitamente occupava, privo di vassoio e leccornie al seguito e poggiando la testa cadente sulla spalla di Derek, abbandonandosi completamente, senza che quello lo scacciasse infastidito.

Era un gesto insolito, che non manifestava mai in pubblico, ma la mente continuava ad essere offuscata ed a pulsare, impedendogli di pensare lucidamente e di controllare la familiarità che aveva con il corpo di Derek Hale.

«Hai in programma uno sciopero della fame?» domandò con sorpresa Erica, vedendo tutta la scena e trovando la postazione di Stiles ancora vuota e senza nemmeno una bottiglietta d’acqua.

«No, in realtà ho molta fame o qualcosa di simile» mugugnò l’umano con un lamento debole in fondo alla gola, la bocca secca e gli occhi che faticava a tenere aperti. «Non ho le forze per mettermi in fila» e la coda alla mensa era sempre molto lunga, indipendentemente dall’ora e Scott, Allison e tutto il gruppo del secondo anno non era ancora arrivato e non poteva delegare quell’ingrato compito a nessuno di loro.

«Stai male?» chiese Malia dritta al punto, che si era appena seduta al suo fianco, con il vassoio pieno di ogni squisitezza che forniva la cucina della scuola.

«Ho solo sonno» la rassicurò il sedicenne, abbozzando un pio sorriso e sminuendo la cosa.

«Chi ti ha tenuto sveglio, Stiles?» si intromise la bionda con una cadenza maliziosa ed allusiva, rivolgendo un ghigno pieno di doppi significati al lupo mannaro che sosteneva la figura del figlio dello sceriffo.

«Ha studiato fino a tarda sera» spiegò brevemente il capitano della squadra di basket, rivolgendo alla lupa un’occhiata di sdegno per quel riferimento inesatto e che lo accusava di colpe inesistenti.

«Vado io» tutti erano sicuri che Erica ne avrebbe sparata un’altra delle sue, ma fu interrotta da un Boyd che si alzò dalla panca e si allontanò velocemente.

Stiles lo vide avviarsi in lontananza, strizzando gli occhi e tentando di focalizzare la figura che si era separata dal gruppo. «Dove va?».

«A prenderti qualcosa da mangiare» rispose la lupa mannara per tutti, una carezza morbida ed affettuosa che racchiudeva tutta l’essenza di una famiglia, quella che Stiles aveva acquisito da quando Derek Hale era nella sua vita.

«Oh» soffiò l’umano sbalordito ed intontito, strusciando una guancia sulla spalla del diciottenne. «Grazie. Siete tutti così carini con me».

Improvvisamente tutto il tavolo smise di far rumore e di mangiare, spostando tutta l’attenzione sul figlio dello sceriffo che era sempre più propenso a lasciarli per raggiungere le braccia di Morfeo.

«Come puoi avere ancora così tanta sonnolenza?» domandò Derek per il branco intero, benché lui fosse stato presente al risveglio di Stiles, dandogli il suo buongiorno ed invitandolo a rivedersi più tardi all’istituto scolastico dov’erano attesi.

«Oh, uhm. A volte succede. Non ricarico le pile» ed era un’eresia sentire una cosa simile dalle labbra del logorroico iperattivo per eccellenza, che perfino alle prime luci del sole poteva conquistare il mondo.

Derek si girò con circospezione, senza muoversi troppo e sballottolarlo o indurlo a scostarsi da lui, chiara evidenza che fosse l’unica cosa a reggerlo. «È soltanto questo, bisogno di dormire?» era troppo strano per il mutaforma, Stiles riusciva a studiare per notti intere di fila; quella sera non era certo stata la prima e non sarebbe stata l’ultima ed ogni mattina, benché ci mettesse qualche attimo di troppo a carburare, saltava giù dal letto pronto per investire con il suo eccessivo entusiasmo e vitalità chiunque incontrasse. Quella reazione così pacata e spenta non lo rispecchiava in alcuna maniera.

Stiles lo guardò senza capire, senza riuscire a cogliere l’allarmismo che sprigionava la sua voce controllata che non si lasciava dominare dalle emozioni. «Sto bene, Der».

Lo sguardo di Derek era dubbioso e poco propenso a credergli, anche se le pulsazioni che arrivavano dall’umano sembravano sincere, ma non per quello dovevano essere veritiere. «Quando hai il tuo compito in classe?».

«Alla prossima ora» rispose svogliatamente il sedicenne, sentendo tutto il peso delle ore del giorno precedente passate a studiare sulle spalle.

«Quando avrai finito, ti riaccompagnerò a casa» disse assoluto il lupo completo, senza ripensamenti o trattative, ma in un chiaro ordine che non lasciava spazio ad ulteriori possibilità.

Stiles si scostò immediatamente dal corpo di Derek, abbandonando il suo caldo e pacifico sostegno, sbattendo ripetutamente le palpebre e guardandolo come se fosse un alieno. «Cosa? No. C’è ancora tutta la giornata davanti e ci sono gli allenamenti. Non posso lasciare la scuola così» anche se quella stessa mattina era proprio quello il suo magnifico piano per la giornata.

L’espressione del mutaforma si fece più dura e severa, sempre più vicina all’autorità, girandosi completamente verso di lui. «Ti riaccompagnerò a casa. Non dovevo nemmeno permetterti di alzarti dal letto» e forse, forse, c’era un senso di colpa in agguato, pronto ad emergere ed a prendersi responsabilità che non erano sue.

«Ma sto bene, sto bene» farfugliò l’umano, agitandosi sul posto e lasciando vagare gli arti in ogni direzione possibile, ma i suoi occhi erano vitrei e pieni d’acqua.

Derek gli prese il viso con entrambe le mani, fermando all’istante le movenze confuse ed ingarbugliate del figlio dello sceriffo, costringendolo a guardarlo dentro le iridi ed a prestargli ascolto. «Andremo a casa» ed era imperativo ed univoco e non avrebbe mai dato retta alle pessime decisioni del sedicenne.

Stiles spostò le pupille da una parte all’altra, come se cercasse delle risposte indelebili impresse in quelle del lupo mannaro e l’unica certezza che poteva trovargli, era la testardaggine con cui Derek avrebbe compiuto quell’unica azione. «E la mia bambina? Non voglio lasciarla un’altra volta qui» erano passati secoli da quell’unica volta, quell’unica volta in cui la Jeep azzurra era rimasta al parcheggio per tutta la notte e Derek l’aveva condotto tra le mura di casa senza nemmeno conoscerlo ‒ o era quello che si raccontava in un primo tempo. Quell’unica volta accaduta quasi cinque mesi prima, la luna piena che l’aveva condotto a quel tetto specifico della scuola, trovando un Derek rannicchiato contro se stesso, combattendo ciò che gli viveva dentro, reprimendolo e causandosi dolore volontario. Quella era stata la prima volta che aveva incontrato i suoi occhi da lupo, quelli blu metallici che Derek tanto odiava, ma che Stiles amava in modo quasi disperato. Ed era stata la prima luna piena che avevano affrontato insieme.

«La porteremo con noi» Stiles non era lucido e non connetteva com’era solito fare, ma se l’avesse fatto, si sarebbe ricordato che l’amata Camaro che Derek Hale sfoggiava in ogni occasione possibile e che sostava costantemente al parcheggio della scuola, testimonianza della sua presenza lì, era ormai più di un mese che non si faceva viva, se non in rare occasioni, proprio perché il mannaro non aveva più il tempo materiale per ritornare a casa e cambiarsi, prendendo le sue cose e raggiungendo l’istituto scolastico con la sua auto.

Derek restava il più possibile dentro la camera del figlio dello sceriffo, in sua compagnia sul letto che ormai condividevano regolarmente; il tempo che gli rimaneva, una volta varcata la finestra, era necessario a raggiungere in tutta calma il liceo, entrare in palestra e cambiarsi completamente con ciò che lasciava dentro l’armadietto. Si cambiava tutto, eccetto la maglia che era impregnata dell’odore di Stiles.

La Jeep azzurra era l’unico mezzo che avevano a disposizione in qualunque caso.

Le iridi d’ambrosia si ingrandirono, stuzzicate dalla luce elettrica che illuminava la grande sala e che gli urtava la vista. «Tu la disprezzi, non hai mai voluto che ti dessi un passaggio e adesso vuoi guidarla?» Stiles poteva anche essere poco se stesso e con la reattività sotto zero, ma aveva quei barlumi di lucidità che potevano spaventare e allo stesso tempo far tirare un sospiro di sollievo.

Derek appoggiò la fronte contro quella dell’umano, irradiandolo con il suo calore ed avvolgendolo, intensificando l’intreccio dei loro sguardi che si scrutavano da due altezze quasi identiche. «Mi dispiace» Stiles non se la prendeva seriamente perché il mannaro si burlava spesso della sua adorata auto, nessuno l’apprezzava seriamente a parte lui stesso ed era qualcosa a cui aveva fatto il callo, seppur la difendesse sempre a spada tratta, facendo riecheggiare la sua voce; ma era il rifiuto implicito da parte del lupo che l’urtava ad ogni nuova occasione, ogni volta che la proposta veniva rinnovata e che semplicemente veniva lasciata aperta, pronta per essere accolta in ogni momento. Ma Derek non si muoveva mai verso quella direzione e per Stiles era una piccola scheggia incastrata in mezzo al petto.

Stiles annuì contro di lui, non ancora convinto, ma completamente con la testa da un’altra parte, annebbiata ed immersa in una foschia confusa e poco chiara. «Va bene» acconsentì alla fine, consapevole che non sarebbe riuscito ad uscire vincitore da quella battaglia, era nettamente in svantaggio.

Derek gli scompigliò i capelli, trattenendosi dallo scoccargli un nuovo bacio sulla fronte e Boyd arrivò nell’immediato, depositando il vassoio appena riempito davanti alla postazione del sedicenne.

L’umano lo guardò un po’ di traverso, non riuscendo a capire che cosa gli sfuggisse ad una prima analisi, sfiorando il bordo del piatto e trovando tutte le cibarie che in un altro momento avrebbe scelto. «Come mai tutto il branco sembra sapere cosa mi piace mangiare?».

«Siamo degli impeccabili osservatori» rivelò Erica con una buona dose di divertimento mascherato e leggerezza, sorridendogli cordiale e complice.

«E perché dovreste osservare proprio me?» domandò con ingenuità, guidato da quella foschia che non gli permetteva di ragionare e di trarre le soluzioni autonomamente com’era abituato a fare, senza porre davvero quesiti che in un contesto e momento diverso, con il controllo delle sue facoltà mentali, non avrebbe mai formulato.

Un silenzio attanagliante scese su tutto il tavolo, molto diverso dal primo che era avvenuto durante l’ora del pranzo, interrompendo il loro pasto. Tutto intorno a lui era immobile.

Stiles si girò con circospezione, incerto di essere stato ascoltato e che avessero davvero una risposta. A volte buttava lì delle domande senza che avessero davvero bisogno di una replica.

«Ho preso la torta alle carote, vuoi assaggiarla?» gli propose la coyote mannara con nonchalance, mostrandogli il piattino in cui era stata adagiata la fetta del dolce in questione ed appoggiandola in mezzo ai loro vassoi per condividerla meglio.

Stiles la guardò in un primo momento senza riuscire bene ad identificarla, accertandosi di cosa realmente Malia gli stesse offrendo, ed una volta che l’ebbe inquadrata e che il profumo gli invase le narici, corteggiandolo, sorrise alla ragazza in apprezzamento, pronto a fare quella nuova esperienza in due e dimenticandosi completamente della reazione pittoresca che aveva scatenato con quel quesito innocente di cui non aveva più memoria.

 

Il viaggio in macchina fu estremamente silenzioso, così lontano dalla realtà che solitamente li coglieva quando Derek ascoltava nel suo mutismo l’irrefrenabile Stiles, avendo già perso la battaglia in partenza.

Ma Stiles non era irrefrenabile e non aveva nulla da dire a Derek; era seduto sul sedile del passeggero anteriore, la cintura allacciata e la testa abbandonata contro lo sportello chiuso, con le palpebre abbassate ed il respiro sereno e profondo di chi fosse prossimo ad addormentarsi.

Il lupo cercò in ogni modo di non disturbare la sua quiete.

Quando giunsero alla casa del figlio dello sceriffo, Derek parcheggiò nel vialetto, dove mancava l’auto della massima autorità della città e scese dal mezzo, precedendo il sedicenne, ed andandogli ad aprire lo sportello, per scortarlo dentro l’abitazione, ma quando Stiles riaprì gli occhi ed incontrò le gemme boscose di Derek, riconoscendole con distanza, si avviò da solo, aprendo distrattamente la porta e fiondandosi traballando verso le scale per raggiungere la propria stanza da letto ‒ quella era la prima volta che Derek usava l’ingresso principale e vedeva un ambiente diverso dalla camera di Stiles.

Avrebbe quasi mancato il materasso se il licantropo non fosse stato più veloce di lui, riuscendo a fargli centrare l’obiettivo.

Si arrampicò con fatica, lasciando i piedi a penzolare nel vuoto senza nemmeno togliersi le scarpe, scarpe di cui si occupò il mannaro, seguendolo a ruota subito dopo.

«Tu stai covando qualcosa» sentenziò il lupo completo, osservandolo scrupolosamente dalla sua postazione e trattenendosi dall’ispezionarlo come si conveniva.

L’umano ridacchiò deliziato, strusciando una guancia tra le coperte e girando il capo verso di lui. «Ti preoccupi troppo, Der. Devo solo farmi una bella dormita. Ho davvero tanto, tanto sonno».

Non aveva bisogno di vedere l’incredulità e la diffidenza di Derek per sapere che era lì, impressa nel suo volto che non si permetteva nemmeno di sbattere le ciglia per non perderlo di vista. Di fatti, il mutaforma scivolò verso di lui, scostandogli le ciocche con la punta delle dita e scoprendogli la fronte, dove vi depositò le labbra, imprimendole per bene. «La tua temperatura è più alta» che nel linguaggio del lupo cattivo per eccellenza voleva dire che l’influenza e la febbre erano in agguato.

«Avrò preso un colpo di freddo, passerà in fretta» sintetizzò in breve il figlio dello sceriffo, senza dargli la giusta importanza ed ignorando il malessere che lo portava ad un letargo in ritardo.

«Se non ti ostinassi a tenere la finestra aperta in pieno inverno, questo non accadrebbe» lo rimproverò poco magnanimo il licantropo, descrivendogli una diapositiva chiara e d’impatto che riassumeva le avventatezze dell’altro.

Stiles mugolò in diniego, scuotendo la testa negativamente, bocciando nell’immediato quell’accusa che gli veniva impartita. «Devo tenerla aperta, altrimenti come entreresti con le tue entrate ad effetto portandomi sempre più vicino ad un principio d’infarto?».

Derek sbuffò a quell’uscita, perfino quando la lucidità era l’ultima cosa presente nel ragazzo iperattivo, il sarcasmo pungente la faceva da padrone. «So aprirla dall’esterno».

Stiles lo sapeva bene, se lo ricordava perfettamente, non aveva mai dimenticato la prima volta che Derek era stato lì mentre lui era incosciente, abbandonato alle braccia di Morfeo e trasportato da quelle di un lupo mannaro. Derek l’aveva condotto fin dentro casa sua con il presente ostacolo di una finestra chiusa, una finestra chiusa di cui non avrebbe dovuto conoscere la sua ubicazione. «Voglio tenerla aperta. Devo tenerla aperta» rivelò nella nebbia che lo avvolgeva, con l’ansia ed il timore che crescevano a dismisura, senza che il mannaro potesse capirne la ragione. «Se… se un giorno tu dovessi trovarla chiusa, potresti fraintendere. Potresti pensare che non ti voglia qui, che non sei gradito, che non c’è posto per te e che non ti voglia in giro. Non voglio che tu trovi una finestra chiusa che ti sbarri le porte e che ti tenga lontano da me».

Derek rimase per alcuni momenti completamente ammutolito, investito in pieno dalle parole del sedicenne che avevano abolito qualsiasi filtro e lo toccò con le falangi, facendogli sentire la sua presenza ed il suo calore vivo e pulsante, accarezzandogli uno zigomo con le nocche. «Non lo penserei, perché posso sentire ciò che provi. Lo saprei immediatamente se non mi volessi».

Stiles sospirò stremato e rincuorato, con un enorme peso che gli gravava sul cuore e che si andava lentamente ad alleggerire, vezzeggiato dalle movenze del diciottenne che lo tenevano ancorato a sé. «Non riesco più ad immaginare la mia vita senza di te, Der. Sei troppo importante per me».

Derek respirò direttamente nella sua bocca, lambendogli le labbra e facendo congiungere le loro fronti; quello era il contatto più intimo a cui si lasciavano andare. «Lo sei anche tu».

Il figlio dello sceriffo mugugnò in apprezzamento contro di lui, chiudendo le palpebre ed incastrandosi perfettamente con il suo corpo. «Potremmo trovare un compromesso, per quanto riguarda la finestra».

«E sarebbe?» domandò il capitano della squadra di basket guardingo e sospettoso, percependo una nuova proposta improbabile e che non gli sarebbe piaciuta.

Stiles strusciò il naso contro quello del mannaro, sorridendogli con quella sfumatura scaltra che ricordava spaventosamente una volpe rossa, una volpe che aveva la situazione in pugno. «Potrei essere protetto da un bellissimo e caldissimo manto nero».

Derek gli schioccò due dita davanti gli occhi, colpendogli parte del setto nasale e della fronte, indispettendolo non poco, ma scatenandogli una risata leggera. «Ed io dovrei trasformami per compiacerti e provvedere ai tuoi capricci?».

«Amo quel lupo» proferì Stiles con un piccolo broncio che si disegnava su tutte le labbra carnose, provando ad ingraziarsi il suo interlocutore con scarsi successi. «Amo davvero quel lupo».

«Lo so» sovvenne il mutaforma, conoscitore dei sentimenti positivi che l’umano manifestava ogni volta che il lupo nero compariva o si parlava di lui; era un amore sconfinato e perpetuo ed era evidente il desiderio di Stiles di incontrarlo più spesso. Il lupo nero si lasciava andare a gesti più plateali che sembravano piacergli molto, lasciandosi viziare dalla cura e dall’affetto che il bipede gli dava; erano delle osservazioni che Derek non avrebbe mai dovuto tenere sottogamba.

«E mi piaci anche tu» dichiarò il figlio dello sceriffo senza accorgersi di cosa stava rivelando, con la piccola malia portata dalla sonnolenza che gli ingarbugliava i pensieri e la lucidità. «Amo quel lupo, lo amo davvero, ma anche tu mi piaci. Mi piaci tantissimo, forse anche più del lupo e… tu sei Derek. Sei il mio Derek».

Il corpo di Derek che tremava era percepibile a contatto con il suo, Stiles non avrebbe potuto ignorarlo in nessuna circostanza, nemmeno se si fosse tappato le orecchie ed avesse serrato gli occhi, allontanandosi da lui così tanto da non avvertire più la sua presenza. Ma avrebbe percepito sempre la sua presenza, perché Derek era nella sua testa, era in ogni cosa che faceva e diceva, era in ogni suo gesto e parola ed era sempre al suo fianco, indipendentemente dalle circostanze avverse che potevano abbattersi su di loro.

«Stiles» era l’unica cosa che la creatura della notte riusciva a pronunciare, un richiamo che voleva quasi imporre un punto, un allarme, un freno che l’umano avrebbe dovuto sentire e tirare; qualcosa che lo svegliasse da quella mente intorpidita che stava giocando un brutto scherzo ad entrambi.

«Mi dispiace, non è quello che avresti voluto sentire» espirò affranto, il diaframma che si incendiava ed il bisogno di ricevere nuovo ossigeno che si faceva sentire, implorando di cercarne ancora, di prendere nuove boccate d’aria e di spegnere tutto, di darsi una calmata e di cedere alla sonnolenza che lo stava reclamando. «Stai aspettando da così tanto ed io continuo a non avere una risposta. Sono così confuso, Der; ho così tanti pensieri nella testa ed in ognuno ci sei tu» strizzò gli occhi, aprendoli subito dopo come se si aspettasse una rivelazione, una visione diversa e più chiara, la risposta che tutti e due stavano attendendo. «Non riesco ancora a visualizzarla, è così intricata e sfuggente, ma ci sono quasi, Der. Sono così vicino».

«Stiles, non devi darmi alcuna risposta» la menzogna nella sua voce era qualcosa che perfino uno Stiles a metà tra il mondo dei ridestati e dei dormienti poteva udire, classificandola per quello che era e con l’unica scappatoia che Derek si permetteva ancora di tenere a disposizione, tentando di salvare sia lui che l’umano.

La mano destra di Stiles saettò sul letto, cercando quella del suo interlocutore che si parava ancora dalle sue parole e dalle sue rivelazioni, sfiorandogli le dita ed accarezzandogli con il polpastrello del pollice il cilindro d’argento da cui non si separava in alcun caso, perfino quando era sotto le vesti di un lupo completo. «Aspettami ancora un po’».

Le dita del mannaro si aprirono, creando gli spazi tra una falange e l’altra, dando l’opportunità al figlio dello sceriffo di fare quello che riteneva opportuno, mettendo un cancelletto nell’unica via d’uscita che gli era rimasta. «Aspettarti è quello che faccio» era fregato.

Ogni singola cellula dell’umano vibrò tutta e le gemme ambrate si accesero, concentrandosi unicamente sulle perle di giada che aveva di fronte e che cedevano ad ogni suo mormorio contorto, a quella mancanza di controllo che aveva avuto per tutto il tempo sul definire il loro rapporto, senza mai permettersi di cadere in domande scomode; ma alla fine aveva ceduto, alla nebbia che gli offuscava il cervello e il senso critico, il buon senso e il riconoscimento del momento più adatto per rivelare quello che c’era sempre stato tra loro.

Stiles sfilò l’anello dal dito medio di Derek, facendolo oscillare e strofinare contro la punta delle sue dita, come se non fosse ancora certo di poterlo fare e toccandolo, come se potesse andare a fuoco, senza alcuna via di salvezza.

Lo accostò alla mano sinistra, sfiorando il polpastrello dell’indice che si attivò, defibrillando tutto ed arcandosi verso l’oggetto che gli veniva posto, precipitando verso la falange ed incastrandosi perfettamente.

A distanza di quel primo mese del suo secondo anno, l’anello tornò ad impossessarsi del suo posto sull’anulare sinistro di Stiles Stilinski. «È questo il loro segreto?» che segreto non era, perché tutti quelli che avevano assistito al loro primo incontro ufficiale erano stati testimoni di quell’incidente che non si era più ripetuto.

Derek non rispose e Stiles era troppo in là per insistere, troppo provato e corteggiato dalle braccia di Morfeo per costringere il mannaro a confessare ed a dirgli tutto, a mettere in chiaro le cose, cancellando tutti i segreti che girano intorno alle loro vite.

Stiles si abbandonò completamente al proprio cuscino, afferrandolo dall’alto e portandolo giù, ancora privo della forza di ricoprire tutto il materasso nella posizione più comoda, e socchiuse le palpebre, lasciandosi vezzeggiare dall’esperienza confortevole che il suo letto poteva dargli e di cui necessitava con ogni atomo del corpo.

La mano che si era impadronita dell’anello di Derek stringeva il guanciale, mostrando tutta l’essenza di quel piccolo cilindro metallico, mentre la mano destra sostava sul materasso, accanto al corpo nel mannaro, trattenendogli parte della maglia con il mignolo piegato.

Derek sfiorò le dita con delicatezza, partendo dal più piccolo per arrivare a quello centrale che conteneva l’anello d’argento di Stiles, gemello al proprio. Lo toccò appena, quasi incerto di poterlo fare seriamente e scoccando un’occhiata veloce alla figura incosciente che gli stava a fianco; gli sfilò l’oggetto, guardandolo con occhi nuovi e con una nuova consapevolezza, facendolo ruotare tra le falangi come aveva fatto il sedicenne.

Ma lo studio di Derek era molto diverso da quello più attento ed interrogativo del figlio dello sceriffo che aveva domande che gli risuonavano, echeggiando nella scatola cranica, bersagliandolo così tanto da fargli scoppiare il cervello.

Era uno studio approssimativo, di chi conosceva già ogni risposta e lato nascosto. Assomigliava molto di più ad un bentornato a casa.

L’anello appartenente a Stiles Stilinski, che indossava sul medio destro, gemello ed affine a quello del lupo mannaro, fu indossato egregiamente e con portamento perfetto sull’anulare sinistro di Derek Hale, calzandogli a pennello. «È questo».

Stiles assistette inerme ed attonito davanti a quella rivelazione, strappato alla coscienza dalla divinità greca dei sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene, qui abbiamo il primo incontro tra Stiles il nostro lupetto preferito.

Siccome Malia si è sentita tanto invogliata e incoraggiata dalla reazione di Stiles alla vista di Derek, ha voluto provare anche lei e… Stiles accetta tutti.

Accadono piccole cose qui, un padre che si è arreso a voler separare quei due, ma che vorrebbe Derek a colazione perché non ha senso andarsene via prima, un branco che sa anche troppe cose intorno al piccolo Stiles ed un Derek eccessivamente iperprotettivo – ah, ma quella non è una novità.

E poi… arrivano parole pesanti, confessioni a metà da mezzo ubriaco di sonnolenza e verità che tutti conoscono, ma a cui nessuno a voluto dare voce, perché… sono tanto complicati. E confusi. Indecisi e non sicuri.

A quanto pare il segreto degli anelli è appena stato svelato, siete riusciti a coglierlo completamente?

Le lancette stanno per arrivare al rintocco dell’ora fatidica, non c’è più molto tempo per temporeggiare.

A settimana prossima,

Antys

   
 
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