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Autore: Snow_Elk    27/01/2017    1 recensioni
Che cosa hanno in comune un mercenario di Reilly e una predatrice ribelle? Niente, probabilmente si sparerebbero a vicenda ancor prima di chiedere "Ehi, hai una sigaretta??". Ma non è il caso di Jeff e Dave che, catturati dall'Enclave, si ritroveranno ad affrontare un viaggio lungo che li costringerà ad attraversare tutta la zona contaminata di DC. Tra incontri fuori dal comune, scontri all'ultimo sangue e disavventure di ogni genere i due scopriranno che la zona contaminata non è semplicemente una distesa in rovina, un monumento ai peccati dell'uomo, bensì un luogo che ha una vita propria e secondo alcuni...anche una coscienza.
NOTA BENE: questa è una storia scritta a 4 mani in cui io sarò il mercenario"Jeff" mentre madame_red_, l'altra scrittrice, interpreterà la predatrice "Dave". Qui potrete trovare il suo profilo: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=141224
Speriamo che questo nostro esperimento vi piaccia.
Enjoy and stay close!
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Odissey in the Wasteland



Capitolo XIV- Se vuoi chiudere con il passato, non dimenticarti la chiave.

Nota dell'autore: Ed eccoci, ritornati dopo le feste, l'anno nuovo, i postumi dell'anno nuovo e in piena sessione invernale ( perché gli esami sono come i deathclaw, quando ne incontri uno vorresti avere con te un disintegratore molecolare sub atomico, o nella maggior parte dei casi, correre a gambe levate fino a dare una testata contro l'orizzonte ). Ci siamo, siamo tornati, con un nuovo episodio, con una nuova copertina ( work in progress ) e vicini ad un momento davvero importante per il futuro dei nostri due protagonisti. Che cosa accadrà? 
Armatevi, non dimenticate il rad away e immergetevi nella lettura.

PS: Ci scusiamo per il doppio capitolo. Ieri quando ho pubblicato non me ne ero accorto, ma l'occhio attento di madame ha fatto il suo dovere e ora ho risolto. Buona lettura! Snow & Madame


Jeff Callaghan
 
Twin Sisters Den                                                                  6 Settembre 2275

 
Barcollò verso la parete più vicina e si lasciò andare contro di essa, ignorando sedie, letti e tutto il gran seguito dell’arredamento a seguire.
Non voleva parlare, non voleva dormire, mangiare, non voleva fare nulla.
“To the God of death what do we say?”
Non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che era successo, di ciò che aveva fatto, ma con ogni probabilità il tempo e un paio di bottiglie avrebbero fatto il loro dovere.
Chinò la testa e la fece scomparire tra le mani per alcuni minuti, continuando a rimanere in silenzio, ignorando Dave e i suoi sguardi, perché sentiva che lo stava fissando in attesa di chissà cosa.
“Not today, not today...”
Se guardava le mani le vedeva ancora coperte dal suo sangue, se restava in ascolto poteva ancora sentire quell’ultima frase, quell’ultima volta che sussurrava il suo nome, annegando in qualcosa di incompleto.
Lucy era morta, di nuovo, e dentro di lui qualcosa era morto. Di nuovo.
Quante volte una persona può andare in frantumi e ricostruirsi prima di rimanere lì a terra in mille pezzi per il resto dei suoi giorni? Lo avrebbe scoperto, a breve lo avrebbe scoperto, se lo sentiva.
- Not today, not today...-
Alzò lo sguardo e incrociò quello di Dave che lo fissava tra un misto di angosciante attesa e puro terrore, misto a qualche scintilla di rabbia che fluttuava nell’aria della camera come un veleno incorporeo.
- Jeff...- stava per dire qualcosa ma la fulminò con lo sguardo, facendole morire le parole in gola.
 
Si rialzò da quel baratro invisibile in cui stava precipitando e si avvicinò alla porta della stanza, che mostrava alcune piccole sbarre in pieno stile cella, nonostante il resto della camera fosse l’esatto opposto.
Afferrò le piccole sbarre e inspirò profondamente:
- In questa merda di posto c’è qualcosa con cui bagnarsi le labbra? – chiese ad alta voce, sentendo l’eco della propria voce perdersi nelle viscere di quell’oscura dimora.
Non ottenne alcuna risposta, se non un triste silenzio.
- Allora? Un cazzo di goccio, è chiedere troppo? Dannati bastardi, oltre che senza cuore siete anche astemi?! – aveva agitato le piccole sbarre facendo richieggiare il suono del metallo della porta che cigolava.
Quel concerto di echi improvvisati attirò l’attenzione di una delle guardie che pattugliava quel groviglio di corridoi.
- C’è una bottiglia sul tavolo, testa di cazzo, offerta dalle Twin Sisters. Se ti sento ancora urlare nel corridoio te la spacco in testa prima di picchiarti a sangue. Chiaro?-
- Sisgnore, sissignore! – rispose lui di rimando con cinismo abbandonando la presa sulla porta e voltandosi per puntare al tavolo – coglione...- sibilò a denti stretti.
 
In effetti c’era davvero una bottiglia sul tavolo, correlata di due bicchieri, ed ironicamente era whiskey, per l’esattezza un “Verdens Fall” gran riserva, qualcosa che non doveva più esistere in quel mondo.
La osservò, pregustando il momento in cui ci avrebbe affogato dentro tutto il male che si portava dentro, e se le cose andavano nel verso giusto anche se stesso.
- Non dovresti, sei ancora...- provò a dire Dave
- Non dovrei, Dave? Non dovrei, eh?! – tirò un pugno sul tavolo facendo tremare la bottiglia e la ragazza rabbrividì, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni, nascondendo una rabbia che aspettava solo di esplodere e urlare.
- Non dirmi che cosa dovrei fare, non sai nulla, non puoi capire...- lasciò la predatrice a crogiolarsi nella sua rabbia e tornò a concentrarsi sulla bottiglia: la stappò con nonchalance, come se fosse stata la cosa più normale del mondo, al pari di respirare o parlare, e se ne versò tre dita in uno dei bicchieri, afferrandolo con decisione.
Normalmente se lo sarebbe gustato per bene, assaporandone le note dolciastre, il gusto deciso e quel lieve sapore di mobile antico, ma non oggi, non in quelle circostanze, così ne tirò giù metà in un sorso.
 
Sentì il calore intenso del distillato scivolargli in gola, bruciando tutto, compreso i suoi pensieri. Increspò il viso in una smorfia mentre il sapore dolciastro gli violentava le papille gustative e poco dopo le sue labbra tornarono a poggiarsi sul bicchiere, finendo ciò che aveva iniziato.
- Non puoi star male per una che ha tentato di ucciderti! – esclamò Dave ritrovando il coraggio di parlare e quella frase risuonò nella sua testa come un’esplosione atomica.
Si morse le labbra e scagliò il bicchiere contro la parete, mandandolo in mille pezzi:
- Quella che ha tentato di uccidermi...- sentiva crescere la frustrazione dentro di sé, ma ciò non gli impedì di afferrare la bottiglia di whiskey e tirare giù un altro sorso che gli spezzò il fiato – Quella donna era mia moglie! – lanciò la bottiglia in direzione di Dave e la predatrice rimase di sasso mentre il whiskey andava in frantumi a pochi centimetri da lei. Una piccola scheggia di vetro le graffiò la guancia e la ragazza rabbrividì, fissandolo dritto negl’occhi.
Si avvicinò a passo spedito, spingendola con forza contro la parete, Dave tentò di opporre resistenza a quel blocco imposto, ma non reagiva come avrebbe fatto normalemente, lo vedeva.
- Quando la smetterai di sputare veleno su di lei, eh? Quando?! -
Caricò un gancio, pronto a colpirla in pieno volto, e la ragazza sembrò capire e abbassò il viso pronta ad incassare.
- Fanculo! – scagliò un pugno contro il muro, proprio accanto al volto inerme della predatrice che rimase immobile, incredula per quella reazione senza senso.
Abbassò lo sguardo, sentendo il desiderio di continuare a prendere a pugni il muro fino a spaccarsi le ossa delle mani:
- Non...non voglio fare del male ad un’altra persona a cui tengo – disse, arretrando, e se ne tornò a scivolare contro la parete dove si trovava poco prima, fissando ancora una volta il vuoto.
 
- Tua... tua moglie? – la ragazza quasi balbettò quella domanda, come se si fosse appena ripresa da una botta di Jet.
La vide titubante, indecisa se avvicinarsi o meno, alla fine optò per la seconda.
- Sì, Lucy era mia moglie, porto ancora la fede che ci siamo scambiati quel giorno, è appesa alle mie piastrine – sfilò la piccola collanina e la lasciò oscillare nel vuoto per alcuni secondi, la piccola fede in argento rifletté la luce dei neon che illuminavano la stanza. Dave osservò la collanina, rimanendo in silenzio.
Non sapeva il perché, non ne aveva motivo, ma decise di andare avanti:
- L’ho conosciuta quando sono entrato nei mercenari di Reilly, era una ragazza scappata da Rivet City, perché non si sentiva in alcun modo di appartenere a quel luogo. Una motivazione semplice, ma valida. Eravamo gli ultimi arrivati, così abbiamo iniziato a conoscerci e ci siamo trovati subito bene. Nel corso dell’addestramento e delle successive missioni abbiamo legato sempre di più, finché non abbiamo capito che c’era qualcosa di più dell’amicizia che ci spingeva l’uno contro l’altro – ricordare quei momenti bruciava più del whiskey, faceva più male della ferita che lo aveva quasi spedito all’altro mondo e l’alcool stava solo accentuando il tutto.
- Vai avanti...- mormorò Dave, accomodandosi su una sedia, ma rimanendo ugualmente a debita distanza.
- Ci eravamo innamorati, una cosa quasi anormale in un mondo come questo. Sei così impegnato a cercare di sopravvivere, a contare quanti proiettili ti restano, a controllare il contatore geiger, che non pensi all’amore o a qualsiasi altra emozione che non sia la paura, la rabbia o l’odio. Lei mi ha permesso di vedere che non ci sono solo rovine radioattive e ghoul del cazzo che voglio morderti il culo, in questa fottuta zona contaminata, ma c’è altro, molto altro –
 
Cercò le sigarette nella tasca dei pantaloni ma si accorse che nello scontro si erano ridotte ad un ammasso informe di tabacco e carta straccia.
- Al diavolo – sibilò, lanciandone i resti sul pavimento.
- Ehi – dave gli fece un cenno con la testa, lanciandogli un pacchetto logoro di Harver blue con dentro un piccolo zippo in acciaio.Sfilò una sigaretta e se l’accesse con estrema lentezza.
Fece un tiro, assaporò il tabacco che bruciava ed espirò osservando la piccola nuvoletta di fumo diradarsi.
- Eravamo felici, avevamo una sorta di famiglia tra Reilly e gli altri mercenari, non ci serviva altro, ma non avevamo dimenticato in che razza di posto vivevamo. Potevamo morire da un giorno all’altro, così abbiamo deciso di sposarci, più come un gesto simbolico di ciò che provava più che per altro. Non dimenticherò mai quel momento- sentì gli occhi inumidirsi, ma trattenne le lacrime, non sarebbero servite a nulla in quel momento.
- E poi? – Dave sembrava presa dal racconto della sua vita, o forse semplicemente stava assecondando il suo sfogo.
- Due anni fa eravamo in missione all’ospedale di Nostra Signora della Speranza, non ricordo neanche il perché. Eravamo io, Lucy, Donovan e Reilly stessa, stava andando tutto secondo i piani, poi sono arrivati i supermutanti – fece un altro tiro e rimase alcuni secondi a riflettere, cercando di mettere insieme i tasselli di quel momento fatidico.
- Abbiamo combattuto al meglio delle nostre possibilità, riuscendo quasi ad uscire da quell’inferno che si era scatenato dal nulla, quando quei bastardi hanno fatto brillare alcune cariche e quell’ala dell’ospedale è stata letteralmente sventrata in due. L’ultima cosa che ricordo è l’immagine di Lucy che si trovava accasciata dall’altra parte del corridoio in cui ci trovavamo, al centro c’era una voragine di tre piani. Mi ha sussurrato qualcosa, dopodiché il tetto è crollato e gli altri mi hanno trascinato via. Credevo fosse morta, fino a ieri... – finita quella frase calò il silenzio.
Strinse i pugni per la rabbia, la confusione che lo stava divorando, e nel farlo spezzo la sigaretta che finì a consumarsi a terra.
- Non pensavo che...-
- Scusami, ma ho bisogno di dormire – la interruppe e alzandosi si diresse verso uno dei due letti, lanciandosi a peso morto sul materasso, dandole le spalle. Non voleva incrociare il suo sguardo, non voleva vedere quegli occhi che lo giudicavano, lo compativano. Non voleva vedere niente, non voleva sentire niente, aveva solo bisogno dell’oscurità e del silenzio.
Il whiskey avrebbe fatto il resto.
 
 
 
 
Dave Campbell    
 
Twin Sister’s Den.                                                                                                                             6 settembre 2275

 
Jeff era ora sdraiato a letto, quello che Dave aveva appena appreso l’aveva sconvolta nel profondo, si sentiva confusa e disorientata, quella donna era sua moglie.
Era sua moglie e lei aveva oltraggiato il suo cadavere davanti ai suoi occhi.
Pensieri orrendi e striscianti come vermi nel fango le assalivano la testa, soffocandola come in una morsa gelida, la stanza di botto le sembrava contorcersi e mille occhi sembravano fissarla, il senso di colpa era un sentimento che non provava da anni e le era piombato addosso così in fretta schiacciandola sotto il suo peso.
 
Si sedette a terra, prese una sigaretta e l’accese con le mani ancora tremanti.
Un grosso sbuffo di fumo impregnó l’aria intorno a lei.
Si sfioró la guancia, la ferita procuratale dal pezzo di vetro sanguinava ancora un po’ e si pulí malamente con la mano.
Il silenzio intorno a loro era inquietante, assorbiva i suoi pensieri e non la lasciava quasi libera di respirare, guardava Jeff, sdraiato a letto e non riusciva a capire se fosse sveglio o già nel mondo dei sogni.
 
Di fianco a lei su un tavolino c’erano dei frutti mutati, non che avesse fame ma aveva bisogno di mettere qualcosa  sotto i denti per distrarsi e riprendersi da quei pensieri orribili, ne afferró uno e lo morse distrattamente, rimase quindi cosí per un po' seduta sul pavimento con in una mano la sigaretta e nell’altra dei frutti dal sapore orribile.
 
Le dispiaceva terribilmente, non avrebbe mai voluto fargli del male né ricordargli eventi fin troppo spiacevoli per lui.
Tiró ancora dalla sigaretta e sbuffó.
In quel momento realizzó che quando lui stava per colpirla lei non aveva reagito, era rimasta lì a fissarlo come una completa idiota, non le sarebbe mai accaduto in un’altra situazione, in altre circostanze avrebbe attaccato l’uomo senza alcun ripensamento ma con Jeff non era stato così, aveva accettato il suo comportamento addirittura disposta ad incassare il colpo e si sentì impotente come mai si era sentita prima.
E la stanza intorno a lei, in penombra e silenziosa la faceva sentire sola come non mai.
 
-Dave, stai impazzendo-si disse- chiusa qui dentro, non riesci neanche a tenerti un compagno di viaggio, li fai scappare tutti, non puoi continuare così, guarda in che guaio ti sei cacciata, non potevi continuare a derubare i poveracci come hai sempre fatto? Non potevi continuare  a scoparti i ghoul al Museo di Storia? No,testa di cazzo tu hai preferito seguire un mercenario che non conosci i e immischiarti in una storia che non ti riguardava neanche...te lo meriti tutto questo-
 Si rimproverava da sola e tutti i pensieri si sovrapponevano nella sua testa facendola sentire confusa, stressata, tremava e non sapeva come togliersi da quella situazione, si sentiva come se l’intero mondo le fosse crollato addosso e lei dovesse uscire da macerie troppo pesanti per essere spostate e troppo spesse perché le sue grida di aiuto potessero essere udite dall’esterno.
 
Scoppió in lacrime, un pianto silenzioso, sommesso ,di quelli che ti stringono il cuore dall’interno.
Era rannicchiata sul pavimento e fissava la stanza che si appannava dietro le lacrime, tiró ancora una volta dalla sigaretta, che ormai si era consumata, bruciandosi le dita.
Quasi non sentí il dolore, era distrutta e per la prima volta non sentiva in lei la rabbia crescere ne la voglia di combattere: Provava dispiacere per ciò che aveva fatto, certamente ,ma in lei sentiva montare anche un senso di delusione che cercava di scacciare in ogni modo, non poteva sentirsi delusa, non in quel momento e non per quella ragione : non lo ammetteva neanche a se stessa e non se lo sarebbe mai ammesso.
 
Si avvicinó gattonando verso Jeff cercando di fare il meno rumore possibile, ancora con gli occhi appannati di lacrime, voleva controllare se stesse ancora dormendo o se aveva solo fatto finta.
Quando fu di fianco al suo letto si sedette a terra e lo guardó: i letti per fortuna erano abbastanza bassi da permetterle una visuale decente: il mercenario aveva gli occhi chiusi ma il respiro troppo affannoso perché stesse dormendo, anche se non ne era così sicura, probabilmente era solo troppo ubriaco per poter reagire e del tutto probabilmente non capiva nulla di ciò che gli accadeva attorno.
Ancora tremante dal pianto ebbe l’impulso di sfiorargli il volto con un dito e Jeff non si mosse.
 
Dave inizió quindi ad accarezzargli i capelli e attaccó a sussurrare di fianco a lui come in una una confessione : “Se quando mi sono unita ai predoni mi avessero detto che mi sarei trovata ad affrontare tutto questo non ci avrei mai creduto, Captain Zak, pace all’anima sua, non mi aveva mai addestrato per questo e non parlo dell’essere intrappolata da due lesbiche psicopatiche con manie al limite del sadico, ma parlo delle emozioni, nessuno mi ha preparato alle mie emozioni che non fossero rabbia o odio e ora sono disarmata davanti a tutto questo,le emozioni mi destabilizzano, sono nata per combattere non per innamorarmi né tantomeno per provare pietà. – fece una lunga pausa e tiró su col naso asciugandosi le lacrime col dorso della mano- Hai detto che tu e Lucy vi amavate e io invidio il tuo coraggio di gestire l’amore in un posto come questo, sei forte Jeff, devo ancora imparare molto e non ho intenzione di lasciarti andare, fammi male davvero la prossima volta se vuoi, uccidimi se necessario, come hai fatto con lei, ma non lasciarmi sola, ho paura ora.”
Si allontanò da lui lasciando scivolare la mano via dai suoi capelli,  aveva forse detto troppo e non era sicura che lui dormisse davvero, non voleva esporsi ancora, andó a rannicchiarsi sul letto, erano passate già due o tre ore da quando li avevano chiusi lì dentro ed era stanca.
 Non fece a tempo ad addormentarsi che subito giunsero davanti alla porta due guardie  una delle due visibilmente ubriaca che da fuori inizió ad urlare sbattendo le chiavi della porta contro le grate:
 “Allora l’haitrovata labbottiglia... Sfigato...” Biascicava le parole attaccandole tra loro.
 
Dave si alzó di botto dirigendosi verso la porta: La guardia quasi non si reggeva in piedi e barcollava in continuazione.
“Porca troia che cazzo urli eh?? Non vedi che sta dormendo?”
 
“Altrimenti che cosssssa fai eh?” Alzó ancora di più la voce e si avvicinò pericolosamente alla loro porta e Dave poté sentire il suo alito vinoso che le diede il voltastomaco.
 
“Allontanati immediatamente, o giuro che ti faccio male - era ovvio che non potesse fare niente, dopotutto era dietro la porta chiusa a chiave dall’esterno ma la guardia era ubriaca e probabilmente non se ne sarebbe mai accorta-  giuro che ti strappo le budella, ti sfilo l’intestino dalla pancia e lo uso come corda per impiccarti-la sua stessa voce le risuonava sibilante nelle orecchie- ti stacco le dita e te le infilò una ad una su per il...” Non fece in tempo a finir la frase che l’altra guardia apparentemente sana che lo aveva accompagnato fino a lì lo prese per un braccio
 
“Andiamo Josh, allontaniamoci di qui, questa è una cazzo di psicopatica, non voglio stare qui un minuto di più” e trascinó via il suo compagno ubriaco nel lungo corridoio che si apriva oltre la porta, sparendo nella penombra.
 
Dalle sue spalle all’improvviso una voce asettica:“Mi spaventi Dave”
La ragazzina quasi trasalí soffocando un grido di terrore e si voltó: “ Jeff! Dio mio perdonami, ho pregato loro di andarsene ma non potevo cacciarli via, mi dispiace che ti abbiano svegliato”
Jeff la guardó , dalla testa ai piedi con occhi vuoti, poi fece un lungo respiro: “ Ma io non stavo affatto dormendo.” Le disse con un sorriso sbilenco.
 
Dave si sentì impallidire, il cuore le batteva all’impazzata nel petto: quindi lui aveva sentito tutto, stupida lei che credeva che uno così cadesse sbronzo dopo una sola bottiglia di whisky, era ubriaco, certo ma non così tanto da addormentarsi, lui l’aveva appena vista debole dopo che aveva cercato di farle molto male, e ora chissá che cosa le avrebbe fatto, sentiva il suo orgoglio ferito bruciarle dall’interno come un fuoco che la riduceva in cenere e al pallore del volto si aggiunse una sudorazione decisamente abbondante, fece per aprir bocca e cercare di giustificarsi con Jeff ma sentí le gambe tremarle e una nausea tremenda salirle improvvisamente e l’unica cosa che riuscì a fare fu raggiungere in tempo il lavandino per vomitare quel poco di frutta che aveva mangiato qualche ora prima.
 
Quando alzó la testa vide che Jeff nel frattempo era rimasto impassibile,in piedi dove lo aveva lasciato e  la fissava con un misto di rimprovero e compassione.
Spostó i capelli da davanti agli occhi e fece un lungo respiro, camminó verso di lui, aveva in testa tante cose, avrebbe voluto sfogarsi nuovamente con lui ma poi i suoi occhi,  incontrarono suo sguardo tagliente e si sentí piccola come un granello di sabbia, voleva solo riparare al suo orgoglio ferito  : “Dimentica tutto ció che hai sentito.” Fu l’unica frase che le scivoló dalle labbra.
   
 
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