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Autore: Roiben    28/01/2017    1 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 34 – Teorie




«Così, non porti più incubi la notte, ora?» chiede Katherine, da poco risvegliatasi.


È un lunedì mattina caliginoso quello che Pitch osserva dalla finestra della camera. Il cielo è coperto da grigie nuvole che promettono neve e le persone già in strada si muovono frettolose e infagottate nei loro pesanti cappotti.


«No, non ne ho più il potere, ormai» conferma.


«Ti dispiace?» soffia la bambina, cauta.


Pitch finalmente si volta e posa i suoi occhi brillanti su di lei, reclinando appena la testa e osservandola pensoso.


«Non proprio, no. Non è qualcosa che possa seriamente mancarmi. Tuttavia…».


L’attenzione dello spirito scivola via, vagando altrove, perdendosi in luoghi che Katherine non potrà mai veramente raggiungere.


«Pitch».


Lui si riscuote e scrolla le spalle, cercando il modo per spiegarsi a dovere.


«Non so più cosa sono. Non ho idea di ciò che sto diventando, di ciò che sarò. Non sono più l’Uomo Nero, ma non sono neppure la persona che ero prima delle Ombre. Sono… qualcosa di diverso, di nuovo, di… mai davvero sperimentato».


«E questo è male?» indaga Katherine.


I suoi occhi la guardano con attenzione e un’intensità tale da far quasi paura.


«Non ne sono certo. So che mi spaventa, però. Mi spaventa l’idea di non capire, di non sapere cosa aspettarmi, di non avere il controllo… di nuovo» ammette teso.


«Di nuovo?» domanda lei, confusa.


Le labbra di Pitch si storcono in una smorfia amareggiata.


«Negli ultimi secoli non ho mai avuto la possibilità di decidere. Qualcos’altro lo ha fatto al mio posto. Non… non credo che riuscirei a sopportarlo nuovamente. Sono stato, per troppo tempo, solo uno stupido fantoccio, una marionetta manovrata dalle mani di qualcosa di più potente, troppo per essere ostacolato».


«E ora?» sussurra Katherine, spaventata.


Pitch sospira e torna a osservare il cielo nuvoloso.


«Ciò che temo è di essermi liberato da una costrizione solo per ritrovarmi nuovamente manovrato da altro».


«Quella luce» ipotizza lei.


Lui annuisce piano e volta appena la testa.


«Forse».


«Forse?».


Annuisce nuovamente. «Ho alcune teorie al riguardo, e tutte ruotano attorno all’attacco di venerdì scorso, proprio qui, in questa stessa camera. Ci ho riflettuto molto. Il fatto che ora possa sfruttare un po’ di quella stessa luce potrebbe avvalorare la mia ipotesi».


Katherine lo fissa insistentemente. Quanto pagherebbe per poter vedere nella sua testa e carpire tutti i suoi pensieri, certamente uno più ingarbugliato dell’altro. Peccato non lo possa proprio fare. Ma questa mancanza non la fa certo rinunciare alla sua inesauribile curiosità.


«E quindi?» incalza, dopo aver lungamente e inutilmente atteso, fremente, una qualche spiegazione.


Pitch ghigna, vedendola già contorcersi per l’impazienza. Le si avvicina e si piega su di lei ricoprendola della sua ombra. Punta un dito sul suo naso e pigia piano.


«Sei davvero troppo curiosa. Una vera scimmietta. Non hai intenzione di desistere, vero?» si accerta, già conoscendo il responso.


Lei spalanca gli occhi, sorpresa, ma poi scuote la testa con decisione.


«Proprio no. Voglio sapere ogni cosa. Se no, poi, come faccio ad aiutarti?».


Come spesso accade, lei, ancora una volta, è riuscita a colpirlo e sorprenderlo.


«Molto bene. Hai vinto tu. Come sempre, del resto» sbuffa Pitch, rassegnato.


Katherine invece solleva le braccia al cielo, vittoriosa, ma rimane in silenzio, un sorriso trionfante a parlare per lei.


Pitch si appollaia sul davanzale, sbircia fuori ancora una volta, poi riporta l’attenzione sulla camera da letto.


«Quelle che tu chiami cose luminose sono magia della luce. Scacciano il buio, i pensieri negativi, tengono lontani gli incubi o più in generale paura e tristezza».


«Sono praticamente cioccolato luminoso» offre Katherine.


Pitch sbuffa una risata divertita e le lancia un’occhiataccia che vorrebbe essere di ammonimento ma che ha come unica conseguenza di farla ridacchiare felice.


«Mh» commenta solo Pitch, passandosi le dita fra i capelli in un chiaro gesto esasperato.


«Vai avanti. Sto buona e zitta, giuro» promette Katherine.


Lui la guarda dubbioso e lei gli offre una linguaccia dispettosa, poi fa segno di cucirsi le labbra.


«D’accordo, uhm… Quando mi hanno preso di mira, l’altra notte, è stato evidente che lo hanno fatto perché in me hanno visto uno spirito oscuro e potenzialmente pericoloso per l’incolumità degli esseri umani presenti, te in particolare» spiega Pitch, pacato.


Katherine invece lo fissa sconvolta, scuotendo la testa con palese incredulità.


«Ma non è vero! Tu… non lo faresti mai!» esclama, quasi offesa al solo pensiero.


Lui sbatte le palpebre, confuso. «Mh… In realtà io ero davvero uno spirito oscuro. Quindi, suppongo avessero ragione loro nel volermi rendere inoffensivo» prova.


Katherine si imbroncia e gli lancia un’occhiata infuocata che, se solo potesse, lo farebbe arrosto.


«E quando l’hai fatto?» chiede seria.


«Che cosa?» si accerta lui, interdetto.


«Quando è che hai cercato di farmi del male?» insiste lei.


«Ecco, io… non l’ho fatto» bisbiglia Pitch, stranamente intimidito dal cipiglio belligerante della bambina.


«Oh, sul serio?!» domanda, con un pesante tono sarcastico. «Strano. Non hai appena detto che quelle cose volevano difendermi da te? Dì, pensi che sono stupida solo perché sono piccola?» sibila minacciosa.


«N-no, io… non lo penso» tenta Pitch, decisamente preso in contropiede.


«Bene» sbotta spazientita. «Perché se no, tutte le volte che t’ho detto che per me non sei cattivo non mi hai sentita».


Lo spirito abbassa lo sguardo e trae un piccolo sospiro colpevole.


«Ti ho sentita» assicura. «Solo… Mi dispiace. È passato davvero troppo tempo dall’ultima volta in cui qualcuno mi ha rivolto la parola senza l’intento di maledirmi o insultarmi. Credo di aver perso l’abitudine, semplicemente» commenta incerto.


Katherine osserva lungamente la sua figura nera raggomitolata sul davanzale e infine decide di tentare, anche sapendo che, con tutta probabilità, non otterrà una risposta, non in quel momento almeno.


«Pitch, perché nessuno ha mai provato ad aiutarti contro quelle ombre?».


Lo spirito trema, stringendosi strettamente le ginocchia al petto.


«K-Katherine, ti prego. N-non adesso» rantola, gli occhi fissi sulle sue mani artigliate alla stoffa nera.


Katherine sospira ma non insiste. Si limita ad annuire e lasciare a Pitch un po’ del silenzio e della tranquillità necessari a farlo tornare padrone di sé e delle sue emozioni.



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«Attaccandomi, l’altra notte» riprende debolmente la parola Pitch «il loro intento principale era quello di scacciarmi, di farmi allontanare da qui. In fondo è il loro compito: preservare la serenità epurando l’oscurità al loro passaggio».


Appoggia una mano sul vetro della finestra e osserva assorto l’alone di condensa che si crea attorno a essa a causa dell’umidità e della differenza di temperatura.


«Credo che sia esattamente ciò che hanno fatto».


Katherine scuote la testa, perplessa. «Non capisco» ammette.


Pitch sospira e si raggomitola meglio su sé stesso.


«Il Nightmare King era… una creatura composita: non un’unica essenza, ma molte tutte assieme, condensate in un’unica entità corporea, ma comunque distinte, in qualche modo. Tuttavia, quindici anni fa è accaduto un fatto che ne ha modificato l’equilibrio».


«Cos’è accaduto?» mormora Katherine sulle spine.


«La Paura» rivela Pitch.


«Ma… credevo che lui era la paura» obbietta lei.


Lui annuisce lentamente. «Come creatura sì, avresti ragione. Ma se separiamo le diverse essenze che la formavano, allora no, non è esattamente così. Vi erano differenti tipologie di essenze, ogn’una di esse possiede differenti peculiarità. I Dream Pirates non sono, di per sé, portatori di paura, ma creature parassite che si nutrono di sogni, lasciando il vuoto dietro di sé. Gli Incubi e i Fearlings fanno l’esatto contrario: portano con sé le paure sopite e da esse creano incubi capaci di terrorizzare le loro vittime. Infine le Ombre, creature pressoché incorporee; penetrano nel cuore e nell’anima e vi depositano la loro oscurità, sporcando e torturando fino a ridurne l’anima stessa in brandelli».


Katherine lo fissa a occhi sgranati, costernata. Trema, raggomitolata in fondo al letto.


Avvertendola silenziosa, Pitch le rivolge uno sguardo cauto e nota presto il suo turbamento.


«Io… Perdonami, non intendevo spaventarti. Cercavo di spiegare…» prova a giustificarsi impacciatamente.


Ma lei scuote la testa e balza già dal letto, raggiungendolo alla finestra e appollaiandosi ai suoi piedi.


«Non mi hai spaventata. È solo che… non avevo capito. Tu e Lui non siete mai stati davvero la stessa cosa».


Pitch si rabbuia e, per un momento, chiude gli occhi, vagando alla deriva dentro di sé.


«No. Mai» conferma cupo.


Sospira stancamente, strofinando i palmi delle mani sugli occhi affaticati.


«Dicevo» riprende, tentando di regolarizzare il respiro. «Quindici anni fa c’è stato uno spostamento di equilibri. Le Ombre, assieme ai Fearlings e agli Incubi, hanno preso il sopravvento. La Paura ha spezzato il delicato equilibrio che teneva assieme il Nightmare King in quanto creatura, e il potere è… passato di mano, diciamo. Se un tempo veniva detenuto dai Dream Pirates, dopo quel momento è stato trasferito agli Incubi che, a quel punto liberi di scorrazzare a piacimento, hanno abbandonato la nave che colava a picco e si sono… dispersi nel mondo, immagino. Ciò che è rimasto erano Ombre, per lo più».


«Sono… rimaste dentro di te?» chiede Katherine, titubante.


Pitch nega silenziosamente. «Solo Fearlings e i pochi Dream Pirates superstiti. Le Ombre… Loro non hanno mai tollerato molto bene gli spazi angusti e chiusi. Sono… scivolate fuori alla prima buona occasione e…». Pitch si interrompe con un brivido violento.


Katherine assottiglia gli occhi e si fa sospettosa.


«E?» indaga, innervosita.


Pitch socchiude le labbra, ma nessun suono ne esce.


«Pitch» insiste Katherine.


«Loro... tendono a essere piuttosto vendicative» ammette con un filo di voce. «E c’ero solo io, lì».


Katherine gli pianta addosso uno sguardo inorridito. Le sue labbra tremano, prima di esclamare «Quelle cose ti hanno fatto del male!» e non è neppure una domanda, a quel punto. Poi sgrana gli occhi e impallidisce improvvisamente, rammentandosi d’un tratto un particolare cui non aveva prestato sufficiente attenzione in precedenza. «Per… p-per quindici anni?» geme sconvolta.


Vorrebbe urlare e magari spaccare qualcosa, ma si rende conto che questo non sarebbe di alcun aiuto al suo Pitch, così tenta in tutti i modi di darsi una calmata.


«Odio quelle Ombre» sibila inviperita.


«Ah, a chi lo dici» mormora Pitch in tono traballante.



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«Così, cosa pensi che è successo con quella… magia della luce?» torna a informarsi Katherine.


Pitch si sente la testa scoppiare, ma al momento la sola idea di chiudere gli occhi e rischiare di assopirsi, con la concreta possibilità di procurarsi qualche sogno orribile direttamente ricollegato ai propri ricordi, lo terrorizza, facendolo desistere da qualunque proposito di quel genere.


«Posso ipotizzare che, al loro passaggio, abbiano operato esattamente come farebbero in qualunque altro contesto simile: scacciando via buio e affini. Infine, ciò che è rimasto lo vedi da te» commenta, con cupo cinismo.


Katherine, inaspettatamente, sorride. «A me piace molto quello che è rimasto» afferma sicura.


Lui la fissa un momento, interdetto, poi arrossisce (o per lo meno ci va vicino, dato che la sua carnagione, per quanto attualmente più simile a quella umana, rimane comunque molto più pallida del normale).


«Mh» sospira imbarazzato, indeciso su cos’altro aggiungere e rimanendo quindi in silenzio.


«E poi?» incalza Katherine «Che altro è successo?».


Pitch torna con la memoria a un momento particolare, lo stesso che sospetta abbia modificato definitivamente la sua esistenza.


«Non posso averne la certezza, tuttavia credo che, nel tentativo di spazzare via l’oscurità, sia stata lasciata indietro una parte di Luce che, non mi è perfettamente chiaro in che modo, dev’essersi legata alla mia essenza. Questo però non è stato un passaggio graduale e naturale ma… guidato, suppongo».


«Non ho capito» mugugna Katherine, persa in ragionamenti un po’ troppo complicati per i suoi gusti.


Pitch ghigna e lei ribatte con una linguaccia indispettita.


«Dopo l’attacco mi sono addormentato, ho anche sognato, ma quando mi sono risvegliato qualcosa, dentro di me, stava già cambiando. La… Luce, immagino, quella residua per lo meno, stava ancora tentando di scacciarmi. Solo che ormai non c’era più molto da allontanare. Oltre a me stesso non rimaneva granché da combattere. Ma, ovvio, una volta attivatasi non è così semplice uscirne tutti d’un pezzo».


«Quindi è per questo che stavi male?» ragiona Katherine, ricordando i dolorosi lamenti dello spirito.


Pitch annuisce. «Sì, la Luce brucia. In realtà è qualcosa che ho sempre saputo, ma non l’avevo mai provato così da vicino».


«E» tituba la bambina «perché poi ha smesso di bruciare?».


Lo sguardo brillante e calcolatore dello spirito la scruta per un lungo momento, prima di offrirle una risposta.


«Per te».


Katherine sfarfalla le ciglia, attonita. «Per me? Cosa vuoi dire?».


«Tu hai interrotto un processo che, altrimenti, si sarebbe probabilmente rivelato irreversibile».


«Come?» chiede confusa.


«È un’ipotesi della quale non ho modo di accertarmi. Sospetto che siano state le tue lacrime, venute a contatto con… il nucleo della mia essenza, credo. E di conseguenza con la Luce residua presente al mio interno, che si è infine placata. Ma non è svanita, non completamente» termina Pitch con le sopracciglia aggrottate per la concentrazione.


Katherine lo fissa a bocca aperta e occhi spalancati per un minuto buono. Poi prorompe in un «Wow!» meravigliato.


E Pitch ridacchia, ora curiosamente sereno e incredibilmente appagato per la reazione della bambina.


«E quindi… ora siete una cosa sola?» chiede Katherine eccitata.


«Così pare» sbuffa lui, solo in parte impressionato.


In fondo ha passato più d’una vita in una condizione analoga. Non è certo qualcosa di eclatante, dal suo punto di vista. La notizia positiva, invece, è che dopo tanto tempo sembra proprio che si sia liberato delle ultime vestigia oscure e che, con un poco di fortuna, se anche dovessero tornare, non avranno vita facile nel fronteggiare tutta quella Luce dentro di lui.



Pitch sembrava senza età, giovane e vecchio al tempo stesso. Un tormento infinito solcava il suo volto e non sembrava volerlo lasciare mai.” (notpoignant)


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Il sole mi è entrato nelle vene e ha trasformato tutto in oro.” (Elizabeth von Arnim)






  
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