6.
Fenna tornò in camera seguita
da due inservienti che
portavano con loro un carello con delle pietanze. Aspettò
che i due uomini
fossero usciti e poi si sedette sul letto. Dannick non
poté fare a meno di
notare che la giovane aveva un’aria affranta.
«Qualcosa non
va?», le
chiese.
«Quella è la
tua cena.
Mangia e poi lascia il palazzo», disse secca.
Era chiaro che il re e la
regina non lo volevano avere attorno, ma non sapeva per quale motivo.
Il ragazzo ringraziò per
il cibo e, mentre cercava una
soluzione al quesito, si avvicinò al carello e
assaggiò qualche vivanda.
«Cosa devo fare per
chiedere
un’udienza ai sovrani?», chiese poco dopo.
La
sua domanda colse di sorpresa Fenna che sbarrò gli occhi e
poi scosse la testa. «Non
è una buona idea. Se la prenderanno con me.»
«Se la
prenderanno con te, perché? Non hai fatto niente di
male», replicò il sensitivo.
«Loro non vogliono che
perda
tempo con certe
cose», riprese la ragazza, «e hanno ragione. Sono la futura
governante della metropoli. Devo
concentrare le mie energie per cercare di intraprendere una saggia
politica di
pace e legalità. Se ti presenti a loro come sensitivo
capiranno che ho mentito
per tutto il tempo riguardo i miei veri interessi.»
Dannick si convinse che quelle non fossero
parole che nascevano
dal cuore della giovane, bensì dalla bocca dei due sovrani.
Da quello arrivò
alla conclusione che i genitori dovevano averle appena fatto una
ramanzina. Ora
era indeciso sul da farsi: andarsene senza opporre resistenza, o
cercare di
ottenere un’udienza con il re. I sovrani di qualsiasi regno,
dopotutto, non
potevano negare a un sensitivo il desiderio di parlare con loro.
C’era una
regola, e lui la conosceva bene, che prevedeva che a quelli della sua
specie
dovesse essere concesso sempre il permesso di essere ascoltati. Certo,
avrebbe
potuto lasciare il palazzo reale e tornarsene da dove era venuto, ma se
la sua
ultima premonizione lo aveva condotto fino a lì, lui era
convinto che dovesse
esserci un motivo
serio. Non
poteva lavarsene le mani da un momento
all’altro.
Provò, dunque, a far
ragionare Fenna
partendo da un altro punto. «Ho visto
che possiedi un raro libro scritto dai primi manipolatori della
realtà», disse.
«Sì. Ma come
avrai potuto
notare, possiedo molti più libri sull’arte del
governo», rispose lei insistendo
a voler soffocare la voce del suo cuore.
«Io scommetto che
preferisci
il Majimentalis e
ciò che sta nascosto oltre la porta
segreta», la provocò il ragazzo, scrutandola con
sguardo severo.
«Hai frugato tra le mie
cose!», proruppe lei con una certa irritazione.
«Devi andartene. Anche se
ottenessi di parlare con i sovrani, che cosa avresti da
dire?»
Dannick sospirò. Quella ragazza
sapeva essere molto testarda.
«Fen,
sono arrivato a Seresix
guidato da una premonizione
che ti riguardava, ok? Mi aspettavo che ne sarebbe seguita
un’altra, ma non è
stato così. In compenso tu mi hai fatto entrare a palazzo,
perché? La risposta
mi pare ovvia: a te piace la scienza della sensitività e
vorresti imparare. Se
ora ci troviamo entrambi faccia a faccia, sono sicuro che
c’è un
motivo più profondo di quanto
si possa immaginare, qualcosa che non possiamo ignorare
perché collegato alla
trama del destino.»
A quelle parole la
principessa non replicò e rimase per qualche attimo assorta
nei suoi pensieri,
poi annuì.
All’inizio
Fenna non era
molto convinta di quello che stava facendo, temeva che i suoi
l’avrebbero
punita, ma non poteva sopportare di perdere un’occasione che
probabilmente non
le si sarebbe più ripresentata. Era la prima volta che
parlava direttamente con
un sensitivo, ma Dannick
sembrava una brava persona:
sebbene lo conoscesse da pochissimo, in qualche modo si sentiva
già legata a
lui. Così aveva finito per raccontare al re e alla regina
della sua presenza
corte. Non l’avevano rimproverata in modo diretto per aver
accolto uno
straniero entro le mura del palazzo, ma lo sguardo severo del re era
già
abbastanza intimidatorio anche senza parole. Sua madre, la regina,
aveva
espresso un singolo pensiero: «Proprio oggi che ho perso mio
figlio dovevi
portare a corte un sensitivo.»
Fenna non capì che cosa
volesse dire, ma il tono
amareggiato che aveva usato l’aveva fatta sentire abbastanza
in colpa.
Poco dopo, raggiunse di
nascosto il soppalco della sala delle udienze –̶ una
specie di loggione
situato sopra la porta principale –
pronta
a osservare
l’incontro tra Dannick
e i sovrani. Presenziavano
all’evento anche alcuni dei principali consiglieri: erano
disposti a
semicerchio ai lati dei due troni, pronti a intervenire fornendo al re
suggerimenti.
Come Dannick
aveva previsto, i reali di corte non avevano potuto negargli
un’udienza. Quando
l’orologio a pendolo della sala scoccò le dieci e
mezza di sera, il re e la
regina si accomodarono nella sala e il sentivo fu condotto al loro
cospetto.
I sovrani sedevano
su due troni affiancati posti sopra un piccolo palchetto tappezzato di
rosso.
Indossavano entrambi l’abito nero del lutto. La regina aveva,
posato sui
capelli color cenere, un diadema, anch’esso di colore nero.
Il re, invece,
teneva l’elaborata corona dorata sul capo, con atteggiamento
fiero; il suo
linguaggio non verbale sembrava voler sottolineare la sua
nobiltà e potenza.
Dannick era piuttosto teso e questo non
gli era per niente
d’aiuto. Sapeva che se non avesse trovato le parole giuste
avrebbe rischiato di
essere frainteso e cacciato. Fece un breve inchino e, quando gli fu
concessa la
parola, prese un profondo inspiro prima di cominciare. Si
rivolse a entrambi:
«Vostre Maestà, giungo a Seresix
guidato da una
premonizione che riguarda vostra figlia, la principessa Fenna. Io credo che ella abbia
dentro di sé delle capacità nascoste che
potrebbe sviluppare, per
guidare al meglio il regno. Se mi darete il permesso, le
farò
io stesso da
maestro. Se deciderete di non assecondare la premonizione, io me ne
andrò, ma la
trama dei fili del destino non permetterà a questo paese di
vivere serenamente
il prossimo futuro.»
Si interruppe, rendendosi
conto che l’ultima frase poteva apparire leggermente
intimidatoria, se mal interpretata, ma ormai il
danno era fatto. Si augurò che i sovrani non intendessero
male.
Uno dei consiglieri si
avvicinò al re e gli disse qualcosa all’orecchio.
Il sovrano, però, sembrava
alquanto irritato e alzò una mano per dirgli di stare zitto.
«Signor Dannick
Pascal, lei entra nella dimora d’altri e si permette di
dettare condizioni»,
disse quasi urlando.
«Non era mia intenzione,
io…»
Non riuscì a terminare
la
frase perché il re proruppe ancora più alterato.
«Basta! Non tollero una tale
mancanza di rispetto! Ma non si dica mai che il sovrano di Seresix
non fu magnanimo. Le do cinque settimane per insegnare quello che deve
a mia
figlia. Se Fenna
avrà imparato per tempo, lei se ne potrà andare,
se non avrà imparato, non
lascerà più il paese e sarà
giustiziato
in piazza per oltraggio alla nobiltà del paese!»
La principessa rabbrividì dal suo nascondiglio segreto sul soppalco della sala, protetta dal parapetto in legno stuccato d’oro. Si raggomitolò e si abbracciò le ginocchia, per quanto l’ampia gonna le permettesse. La sensazione d’impotenza che si era intrufolata nella sua mente le fece pensare alle cose peggiori. Si sentì responsabile, perché era stata tutta colpa sua se Dannick era finito in quella situazione.
All'inizio aveva pensato che
chiamarlo a palazzo fosse una buona idea, ma non poteva tenere testa
alle obbiezioni dei suoi genitori. Avrebbe dovuto insistere, essere
irremovibile nel
suo desiderio di cacciarlo di corte. Prima lo invitava e poi lo
cacciava: era un controsenso, ma non ci poteva fare nulla. Per quanto le sarebbe dispiaciuto
vederlo
andar via, almeno gli avrebbe salvato la vita.
Udì la porta principale della sala richiudersi sotto di lei e il vociare confuso farsi sempre più debole, finché non si ritrovò da sola, in completo silenzio.
"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie