Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    28/01/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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RICORDI E FANTASMI

 
Tre settimane erano volate in un lampo.
Per Fabrizia le cose da fare erano state tante, ogni giorno, ogni notte: turni di guardia, addestramenti vari, i cavalli da curare… e un paio di battaglie che l’avevano terrorizzata ma dalle quali, al tempo stesso, aveva finito per uscire più sicura e temprata.
Andava a dormire distrutta, ma i suoi sonni erano come sempre tormentati, anche se aveva smesso di bere Coca-Cola a tutte le ore e non toccava quasi più il caffè vero e proprio.
E poi… c’erano le ore obbligate da passare con Pete.
Lui imparava ad andare a cavallo, e lei si impegnava per ridimensionare la quantità di caffeina e a rosicchiarsi le unghie: erano ormai venti giorni che si inventava di tutto, per tenerle lontane dai denti; quando non ci riusciva, ci pensava Pete a levargliele di bocca con gesti bruschi e lievi schiaffetti sul dorso delle mani.
Alla fine le unghie si erano allungate di un paio di millimetri e quel giorno, nonostante diverse cose da fare, in un impeto di frivolezza aveva persino trovato mezz’ora per laccarle di rosa fluo.
Gli incontri a cui Daimonji li aveva costretti non avvenivano mai nelle stesse ore del giorno, e loro cercavano di infilarli dove potevano, in mezzo a tutti i loro impegni: a volte si vedevano al mattino, altre il pomeriggio, spesso si erano limitati a fare due chiacchiere con gli altri dopo cena, poiché c'erano stati giorni in cui altro tempo era stato impossibile da trovare; ma avevano capito che Doc apprezzava i loro sforzi.
Effettivamente i loro rapporti erano un po' migliorati, e le discussioni tra loro non sfociavano più in veri e propri litigi; però, quando si vedevano, tutto cominciava sempre nello stesso modo, con Pete che, dovunque fossero, faceva ogni volta la stessa domanda:
– Dov'è Tom?  
La risposta era invariabilmente la stessa:
– Te lo dirò, ma non oggi.
Così lui passava alla domanda numero due:
– Che ti succede nella carlinga di Balthazar quando combatti?
E anche qui, la risposta non cambiava mai:
– Quinto emendamento.
Al che, Pete sbuffava e lasciava perdere.
Bisogna dire che, dopo quel primo incontro alle scuderie, avevano evitato di andare in discorsi troppo personali, e i loro sforzi si limitavano a chiacchierare di futilità, come i film, la musica, gli animali, cercando di non punzecchiarsi troppo.
Ma c’era stata una volta in cui Briz era rimasta davvero sconcertata: Pete stava strigliando Obi-wan, e sicuramente non si era reso conto che lei fosse a portata di voce, altrimenti non si sarebbe lasciato andare a… canticchiare! E già qui, c’era di che stupirsi.
Lei aveva trattenuto il respiro e non si era fatta sentire: il fatto che fosse pure piuttosto bravo, benché non stesse spingendo sulla voce, l'aveva incuriosita ulteriormente, ma la ciliegina sulla torta era stata che la canzone era una delle più famose del suo gruppo musicale preferito: “What I've done”, dei Linkin Park!
La sera stessa non aveva resistito e aveva mandato un messaggio a Tom:
"Ricordi quando hai detto di essere convinto che Pete avesse ancora, nascosto dentro di lui, il ragazzo che era una decina di anni fa? Oggi credo di essere riuscita ad intravederlo per qualche attimo: lui non se n’è accorto, ma l'ho sentito cantare una canzone dei Linkin Park, mentre strigliava uno dei miei cavalli! Avresti mai immaginato qualcosa di simile?" 
La risposta di Tom non si era fatta attendere:
"I Linkin Park1 sono sempre stati tra i suoi gruppi preferiti! Potrà sembrarti strano, ma mio fratello ha una voce notevole: alle feste del liceo lo facevano cantare spesso, e i loro pezzi erano il suo cavallo di battaglia! Te l'avevo detto che il suo cuore è ancora vivo, anche se lui si ostina a tenerlo in ibernazione! Continua di lì: sfiniscilo di Linkin Park, e anche con i Simple Plan vai sul sicuro! Ciao, microonde!" 
Briz aveva scosso la testa, divertita e sorpresa da quella scoperta che rivelava un altro lato normale del capitano Richardson.
Anche lei si divertiva a cantare, ma le capitava di farlo, a squarciagola, solo quando era sicura che nessuno la potesse sentire. Quanto al fatto di essere a conoscenza di questo talento nascosto di Pete, aveva deciso che, per il momento, se lo sarebbe tenuto per sé.
Il giorno successivo era apparso, appeso nella selleria, un altro quadretto con uno di quegli aforismi che piacevano a lei: 
"Se senti qualcuno cantare, fermati e ascoltalo, perché chi odia non ha canzoni". 
Briz si era chiesta se Pete avesse colto l'allusione. Boh! Vai a sapere! Probabilmente non lo aveva nemmeno notato.
Dopo quel pomeriggio non si erano più visti per tre giorni, ma Briz non se ne era stupita: il dottor Daimonji stava lavorando, insieme a Sakon e Jamilah, per dotare il Drago Spaziale di nuove armi e tecnologie, e anche Pete era molto coinvolto.
E ora erano quasi le sette e mezza di sera: con il vassoio in mano che conteneva la sua cena, Fabrizia si sedette a un tavolino da quattro, di fronte a Midori.
– Ehi, Dori, tutto bene?
– Abbastanza, anche se comincio a preoccuparmi un po': dopo gli ultimi due scontri ravvicinati, gli Zelani non si sono più fatti sentire per due settimane… Troppa calma: non mi convince.
– Hai ragione. Almeno c'è stato il tempo per fare le migliorie necessarie al Drago, e con Doc abbiamo lavorato anche su alcune cose riguardo a Balthazar. Sai, quella faccenda di migliorare la percentuale del DNA…
– Perché non vuoi dire a nessuno questa cosa? Dei particolari di come funziona la connessione, intendo – le chiese Midori.
– Così… Lo sai, questa cosa mi fa sentire… Niente, dai, non voglio parlarne, ecco.
In quel momento si avvicinò Sanshiro, anche lui con il vassoio della cena tra le mani.
– Mi prendete al tavolo con voi, belle ragazze? – chiese, sedendosi senza aspettare la risposta.
– Che dici, Midori? Lo teniamo? – scherzò Briz.
– Mmm… Visto che è bello anche lui, perché no? – rispose Midori con una disinvoltura che la sorprese.
"Wow, stai a vedere che la mia amica si sta svegliando!" si disse Briz. Poi sbottò scherzando:
– In Italia esiste un proverbio: “Un cavaliere tra due dame, fa la parte del salame!”
– A questo poniamo rimedio – disse una quarta voce.
Pete posò il suo vassoio tra le due ragazze, di fronte a Sanshiro.
Fabrizia lo guardò quasi divertita ed esclamò:
– Toh! Eccolo qui, il quarto bello! Che ti succede? Non dirmi che, siccome non ci vediamo da qualche giorno, ti sono mancata!
– Scherzi? Tantissimo: come una bomba in tasca! – rispose lui con un sorriso ironico, mettendosi a sedere.
– Scemo! – replicò lei, fingendosi offesa; poi aggiunse: – Battuta carina, però: passare del tempo con me comincia a farti bene.
– Allora… – cominciò Pete.
– …dov'è Tom? – proseguì Briz, interrompendolo – La risposta è sempre quella: “Non oggi”. E dato che ora mi chiederai cosa mi succede nella carlinga di Balthazar, anche qui ti rispondo come tutti i giorni: “Quinto emendamento”, così anche ‘sto giro archiviamo la questione – Poi cambiò improvvisamente argomento: – Guarda un po'! – esclamò, sollevando le mani e mostrando a Pete le unghie rosa shocking.
Lui le prese una mano fra le sue per osservarle meglio:
– Tu ti ci metti proprio d'impegno, quando ti sfidano su qualcosa, eh?
– Credo che dopo aver imparato a connettermi con Balthazar e a combattere, qualunque altra sfida sia una cazzatella. Che sarà un po’ di manicure?
–  Hai usato un colore che mi fa venire mal di testa a guardarlo, come le tue camicie, i tuoi braccialetti o i tuoi lacci per le scarpe, ma non sono male, davvero. Se ci riesci, lasciale in pace: almeno adesso hai le mani da ragazza.
– Seh… mani di fata: ormai son grandi come le tue… – si lamentò Briz, togliendo la sua da quelle di lui.
– Scusate… cosa mi sono perso? – esclamò Sanshiro, sconcertato da quello scambio di battute scherzose.
Lui non sapeva della loro punizione ed era la prima volta che li vedeva insieme da parecchio tempo; fu Midori a spiegargli brevemente la faccenda, concludendo poi:
– …così Briz sta insegnando a Pete a cavalcare.
– Bah! C'è rimasto ben poco da insegnargli! – brontolò lei – Questo qui va a cavallo meglio di Pecos Bill2: in meno di tre settimane ha imparato cose che io, per riuscire a farle, ho dovuto sputare l'anima per mesi! Però le prime volte l'ho strapazzato per bene – si voltò a guardarlo e aggiunse: – Devo ammettere che c'è una certa soddisfazione a insegnare, a un primo della classe come te, qualcosa che io so fare meglio.
– Cavolo, ma ho davvero l'aria del secchione? – chiese Pete guardando i tre amici.
– M-mm…! – fu il commento del trio, che gli regalò tre sorrisetti ironici, muovendo appena le teste su e giù, prima di cominciare a mangiare.
Briz attaccò la sua bistecca e mangiò in silenzio per qualche minuto; quello scambio di scherzi leggeri l'aveva un po' tirata su, ma in linea di massima si sentiva ancora piuttosto depressa: quello era un brutto periodo dell’anno per lei, anche se si sforzava di non darlo a vedere. Doc, seduto a un altro tavolo con Sakon e Jamilah, la guardò per un po': era contento di vedere che il suo stratagemma per farla andare un po' più d'accordo con Pete stesse funzionando, ma era anche preoccupato nel vederla spesso così triste, pur conoscendone il motivo.
Quando per caso incrociò il suo sguardo, le fece un sorriso di incoraggiamento; lei lo ricambiò, con un sorrisetto che era più una smorfia, e decise di continuare a fare l'allegrona.
– Pete, ma tu in che giorno sei nato? – gli chiese all'improvviso.
– Il ventuno dicembre, perché?
– Fantastico, il solstizio d'inverno, uno dei giorni più freddi dell'anno; non poteva esserci data più adatta. Sagittario, e in cuspide col Capricorno, poi! Un incrocio da paura!
– Non crederai a stupidaggini come gli oroscopi, vero? – le chiese lui.
– Ma secondo te? Certo che no, anche se mi capita di leggere il mio, ogni tanto, giusto per riderci su!
– E in che giorno sei nata, tu?
– Il nove di agosto: avrei mai potuto avere un segno zodiacale diverso dal Leone?
– Ma solo io, a chiedertelo… – concluse Pete.
– Il nove agosto è fra pochi giorni, – commentò Sanshiro – ma non mi sembri molto contenta di compiere gli anni.
– Capirai, e son solo ventidue – disse Pete.
– Ventuno: ne compio ventuno – precisò Briz.
– Ma all'inizio di aprile, quando ci siamo conosciuti, hai detto che eri maggiorenne già da tre anni! Hai barato! – esclamò lui.
– Solo di qualche mese; proprio come  te, se è per questo, visto che li fai a dicembre! A meno che tu non vada già per i ventisette!
– No, no… devo compiere i ventisei – rispose lui, con aria quasi colpevole per essere stato sgamato a mentire sull’età.
– Ecco, alla fine la differenza fra noi due è solo di cinque anni, e pure scarsi, che facevi tanto il grosso! E comunque… il compleanno c’entra, ma relativamente, con la mia tristezza – finì lei, tornando sul discorso.
– Che ti succede? – le chiese Sanshiro – Lo abbiamo visto tutti che ultimamente sei più depressa e stressata del solito.  
Briz sospirò e finì le patate che aveva nel piatto, poi sollevò lo sguardo e disse:
– La settimana scorsa sono stati due anni che mio padre e Ale sono morti…
Midori lo sapeva già, ma tacque, e anche i due ragazzi non seppero cosa dire. Poi Pete la fissò tanto intensamente che lei, sentendosi osservata, si costrinse a sollevare gli occhi e a guardarlo.
– Cos'è successo alla tua famiglia, Briz? – le chiese semplicemente.
Lei deglutì e poi rispose: – In fin dei conti, te lo devo: dopotutto, noi sappiamo cos'è successo ai tuoi genitori.
– Adesso non si sta parlando di me, e non mi devi nulla, su questo argomento. Dimmi cos'è successo ai tuoi, ma solo se ti va.
– Ti avviso che potrei aprire i rubinetti.
– Spero che manterrai il controllo: non so cosa fare con una ragazza che piange! Ma nell’eventualità, vedrei di adeguarmi.
Sanshiro e Midori si scambiarono un'occhiata, chiedendosi se quei due si fossero accorti che sembrava quasi avessero escluso gli altri dalla conversazione, come se fossero soli. Ma poi Fabrizia si girò verso di loro e si appoggiò allo schienale della sedia, con un sospiro.
– Mia mamma è morta sei anni fa, quando io ne avevo quindici: un cancro se l'è mangiata lentamente, senza scampo; la mia adolescenza è finita quel giorno. Non ero certo la prima ragazzina al mondo che perdeva la mamma, ho cercato di aggrapparmi a questo, per farmene una ragione. Papà ne uscì devastato, e io e Alessandro ci attaccammo ancora di più l'una all'altro. Mio padre era amico di Doc da tanti anni, avevano già subodorato la minaccia zelana, e mentre Doc lavorava al progetto del Drago Spaziale, papà lavorava a quello di Balthazar. Dopo la morte della mamma ci si buttò a capofitto, forse il lavoro gli serviva da antidoto contro il dolore, proprio come serviva ad Ale: anche se frequentava il liceo scientifico, mio fratello impiegava la maggior parte del suo tempo facendo da assistente a nostro padre. Io pure andavo al liceo, anche se con un altro indirizzo, e lo studio mi impegnava parecchio; fra quello, e occuparmi dei cavalli e della casa, riuscii a rientrare in carreggiata. Finché, due anni fa… non so come sia accaduto, me lo chiederò per sempre… le spie di Darius scoprirono il progetto Balthazar. Sui giornali e in TV scrissero e dissero di tutto, ma alla fine la notizia ufficiale fu che la nostra casa era stata colpita da un piccolo meteorite. Sì, un meteorite il cazzo! Quello era un missile zelano!
– Ma io me la ricordo, questa cosa! – fece Sanshiro, allibito – Fu una notizia di portata mondiale, il meteorite che distrusse una fattoria in Italia. Non riesco a credere che fosse casa tua! E molta gente diceva di non crederci, alla storia del meteorite: se fosse stato davvero così, si sarebbe saputo molto prima, avrebbero fatto evacuare la zona, no?
– È vero, me lo ricordo anch'io, ed ero uno degli scettici – commentò Pete – Cavoli! La ragazza superstite senza nome di cui tutti parlavano… eri tu!
– Ero io, sì. Secondo me i giornalisti e le autorità mentirono per non scatenare il panico da invasione aliena, – proseguì Briz – e in effetti devo dire che funzionò: credo che la gente sia propensa a credere a quello che la spaventa di meno. Comunque… mio padre e Ale erano in casa, quando ciò avvenne. Forse gli Zelani credevano che Balthazar e il laboratorio fossero da quelle parti in un sotterraneo, o si sono accontentati di uccidere il suo progettista e il suo futuro pilota… O forse avrebbero voluto rubarlo… Non lo so, non capisco come ragionano, quegli esseri. Ma il leone robot e il laboratorio erano in una immensa grotta, dentro una collina, ad alcuni chilometri dalla nostra casa: non lo hanno mai trovato.
– Ma tu dov'eri, quando è successo? – le chiese Pete.
– Ero sui pascoli, a recuperare Indy e Obi-Wan: dovevo riportarli in scuderia prima di sera. Io… avevo litigato con papà, perché quel giorno ero stanca, volevo starmene a casa, a leggere un libro, e non avevo voglia di arrivare fino al pascolo; ma poi decisi di obbedirgli: ricordo che mi affacciai alla porta del suo studio, per dirgli che andavo su a recuperare i cavalli. Lui mi sorrise, e pace fu fatta: tra noi funzionava così. Salutai Ale, che stava studiando con lui, e me ne andai. Senza saperlo, mio padre mi ha salvato la vita, costringendomi a fare un lavoro che non mi andava. È stata l'ultima volta che li ho visti… le ultime parole che papà mi rivolse furono: "Brava, piccola", quelle di Ale: "A stasera, gnappetta" – concluse con gli occhi appena luccicanti.
– Gnappetta? E cosa sarebbe? – chiese Sanshiro.
– E che ne so, io? Era uno dei nomignoli che mi appioppava mio fratello; se li inventava: Rompina, Folletta… Gnappetta. Lui era così… e lo adoravo anche per quello…
A quel punto la voce le si spezzò e tacque per qualche istante, ma riuscì a mantenere il controllo.
– Dunque doveva essere davvero Alessandro il pilota di Balthazar – affermò Sanshiro.
– Già. Mio padre all'inizio non voleva, lo riteneva troppo giovane, e poi odiava l’idea di mettere a repentaglio proprio la vita di suo figlio! Ma Ale aveva già deciso, e lo convinse a testare su di lui la sua invenzione. I comandi di combattimento del leone funzionano tramite la NGC, NeuroGeneticConnection: Balthazar obbediva solo al DNA di Alessandro. So che mio padre lavorava per estendere questa possibilità anche ad altri piloti, ma i suoi studi sono andati distrutti con la casa, e sono morti con lui…
Midori la guardava con gli occhi spalancati, chiedendosi fin dove sarebbe arrivata l’amica con quella confessione.
Gli altri due non erano da meno, per quel che riguardava l'espressione stupita; quanto a Briz, era talmente presa dal suo racconto, che non si curò del fatto che anche tutti gli altri si erano zittiti da un po' e la stavano ascoltando.
– Per la miseria – disse Pete, sottovoce – Ecco perché sei l'unica che può comandare Balthazar: sei la persona con il DNA più simile a quello di Alessandro.
– Più o meno…
– Ma tu e Ale… – chiese Sanshiro – …non ho capito: hai detto che frequentavate il liceo. Ma tu due anni fa dovevi avere appena finito l'ultimo anno, quindi tuo fratello… era addirittura più giovane di te…?
A Fabrizia sfuggì un sorrisetto furbo ma pieno di affetto, prima di rispondere:
– In realtà, se è vera la teoria che il più vecchio è quello che nasce per secondo… allora Ale era il maggiore, perché è arrivato un quarto d'ora dopo di me.
– Eravate gemelli! – intervenne Bunta che, come tutti, aveva ascoltato sconvolto.
Pete, sorpreso quanto gli altri da quella rivelazione, non riusciva a staccare gli occhi da Briz: si aspettava di vederla scoppiare in lacrime da un momento all'altro, dopo una rivelazione come quella. Invece la ragazza diede prova di notevole autocontrollo.
– Gemelli! – esclamò Yamatake – Ecco perché il DNA…
– No, Yamatake – lo corresse Daimonji – Fabrizia e Alessandro erano di sesso diverso, e quindi gemelli dizigoti, o eterozigoti: il loro DNA era come quello di qualunque altra coppia di fratelli di età diverse. Simile, ma non identico.3 
– Esatto – confermò lei – Infatti con Doc ci stiamo lavorando sopra, ma, come ho detto, l'esperto di genetica, per quel che riguarda la NGC, era mio padre. Siamo riusciti ad aumentare la percentuale di somiglianza del DNA, ma siamo ancora lontani dal cento per cento, nonostante l'aiuto di alcuni esperti che facevano parte della squadra scientifica di papà: per questo soffro ancora di alcuni effetti collaterali, soprattutto dopo la disconnessione.
– Ma come avviene la connessione? – chiese Pete, già sapendo che entrava in territorio proibito.
– Sei pagnòcco quando vuoi, eh? Sei in zona Quinto emendamento!
– E dai, ci ho provato, scusami – ammise Pete, chiedendosi cosa fosse quella strana parola con cui Briz lo aveva appellato.
– Ti somigliava Ale? – le chiese Sanshiro, per disinnescare quello che avrebbe potuto essere un inizio di battibecco.
– Per essere gemelli dizigoti, e in più maschio e femmina, eravamo parecchio simili, soprattutto da ragazzini, anche perché io facevo di tutto per somigliare a lui: ero un vero maschiaccio.
– Sì, perché adesso, invece… – sogghignò Pete.
Briz lo guardò e gli fece una boccaccia; poi prese il cellulare dalla tasca e, facendo scorrere le immagini della galleria, cercò una vecchia foto che aveva sempre conservato, prima in versione cartacea e ora in digitale. La mostrò a Sanshiro, che rimase piuttosto sorpreso.
Midori la conosceva già e il telefonino passò a Pete, che fissò la foto in cui erano ritratti due ragazzini di circa tredici anni, appoggiati l'uno all'altro con la schiena e le braccia conserte, che indossavano t-shirt larghe e colorate e blue-jeans. Con i volti leggermente girati verso il fotografo, guardavano l'obiettivo sfoggiando sorrisini furbetti e capelli corti e scuri, tenuti dritti sparati sulle teste da una dose industriale di gel. Entrambi erano alti e magri, avevano gli occhi verdi e una spruzzata di efelidi sui nasi praticamente identici.
 
Briz-e-Ale-piccoli  
 

– Briz, sto per dirti una cosa cattiva – cominciò Pete.
– Sai che novità! Credo di conoscerla già: stai per dirmi che non sai quale dei due io sia. Non preoccuparti, è quello che dicono tutti, quando vedono questa foto. Ti aiuto: io sono quella miope.
– Cos…? Ma tu non sei miope…
–  Adesso, non lo sono. Se ci guardi bene, io nella foto tengo gli occhi un po' più strizzati…
– Va bene, allora sei quella di destra: noto ora che hai anche un paio di occhiali appesi alla tasca dei jeans.
– Sì, occhiali… due fondi di bicchiere, vorrai dire!
– Ma ci vedevi così poco?
– Poco è un eufemismo: non vedevo un prete nella neve, ed ero costretta a quegli orrendi occhiali perché ero allergica alle lenti a contatto. A diciotto anni, per fortuna, ci sono state le condizioni per fare l'intervento.
Midori e Sanshiro tornarono a guardarsi: Pete e Fabrizia sembravano di nuovo soli e che avessero escluso tutti gli altri. Si riscossero solo con la voce tonante di Yamatake:
– Ehi, posso vedere anch'io?
Briz recuperò il cellulare e glielo passò.
– Certo, fai pure.
Tirò su col naso e si riappoggiò allo schienale della sedia; Pete la osservò per qualche secondo, l'espressione pensierosa, poi disse:
– Sei stata brava: non hai nemmeno aperto i rubinetti.
– Ci sono andata vicino, ma ho voluto risparmiarti. A forza di passare del tempo con te, avrò imparato qualcosa anch'io, no? Magari l'autocontrollo non è una brutta cosa… – rispose lei, con un sorriso stanco.
Si alzò e guardò i compagni d'avventura:
– Non so voi, ma io sono cotta. Se mi ridate il mio cell, mi ritirerei nei miei alloggi: ho dei lavori da finire al computer, e poi avrei un appuntamento con il mio letto.
Fan Lee le restituì il telefono che aveva girato tra i ragazzi: le sembrò molto colpito da quella foto, forse addirittura commosso. Briz, che adesso sapeva di avere qualcosa in comune con l'amico cinese, gli rivolse un sorriso triste, che lui ricambiò: forse sapeva… che lei sapeva; ma non ebbe il coraggio di dirgli nulla.
Si rimise lo smartphone in tasca e fece per andarsene. Pete, mentre lei gli passava accanto, la fermò prendendole un braccio.
– Ehi, vedi di dormire, fanciullina, okay?
– Ci proverò, pupone secchione – e così dicendo gli passò una mano sui capelli, arruffandoglieli.
– E piantala! – protestò lui, sottraendosi a quella carezza sgarbata – Non sono mica il tuo cane!
– Mah! Andate talmente d'accordo, tu e Atlas, che qualcosa in comune, ce l'avrete! Certo che, prima che tu diventi il mio migliore amico come lui, ce ne vorrà, ancora! Buenas noches!
Un attimo, e Briz era sparita, lasciando ai presenti nella sala una strana sensazione: come di vuoto.
 
* * *
 
 
Fabrizia lanciò Balthazar fuori dai pannelli di uscita del Drago Spaziale: un'occhiata veloce al mostro, che stava già affrontando il Gaiking, e diede il via alla NGC, diventando tutt'uno col grande leone robot, lasciandosi ricoprire dall'armatura bianca e oro.
Una battaglia: il regalo per il suo ventunesimo compleanno.
Lei stessa aveva dato l'allarme, dopo aver avvistato il mostro sui radar che monitoravano la Terra, sulle coordinate delle isole Hawaii, e lo avevano raggiunto prima che atterrasse da qualche parte.
Sanshiro lo teneva impegnato già da qualche minuto, e lei si affrettò ad affiancarlo: lo bersagliò con i boomerang luminosi e i raggi laser, mentre il Gaiking faceva altrettanto con i raggi ottici e una serie di piccoli missili che gli uscivano dalle mani.
Tutto a un tratto accadde una cosa che li colse di sorpresa: la testa del mostro si staccò e si ingrandì, dando vita ad un secondo nemico. Mentre Sanshiro si occupava del corpo, a cui era spuntata un'altra specie di testa, Balthazar si gettò contro il mostro più piccolo, prima addentandolo e poi colpendolo con gli Artigli di Luce; l'essere zelano le si rivoltò contro, colpendola prima con dei raggi rossastri e poi con delle sfere luminose che la scagliarono attraverso il cielo.
Si riprese velocemente e lo attaccò di nuovo con il Ruggito Paralizzante, ma il mostriciattolo – che era comunque grande quasi quanto Balthazar – sembrava indistruttibile e, come sempre, aveva un aspetto disgustoso, simile a un grosso scarafaggio; Briz non riusciva a trovare un punto debole su cui dirigere i suoi assalti.
All'improvviso fu travolta da un’ondata di luce che la accecò temporaneamente: il mostro ne approfittò e le si gettò sulla schiena, abbarbicandosi con le sue innumerevoli zampe. A nulla valsero le manovre, le acrobazie e gli avvitamenti per scrollarselo di dosso: Balthazar – Briz se ne rese conto in un attimo – non aveva armi sulla schiena. Tentò di muovere le ali e di colpirlo con la coda, usandola come una frusta, ma non funzionò. Si accorse che, insieme al Mostro Nero, stava precipitando in mare: in pochi secondi si ritrovò a sprofondare negli abissi del Pacifico, trascinata dal peso del suo nemico.
Sanshiro se ne accorse, ma era troppo impegnato a respingere gli attacchi dell'altro mostro. Il Drago intervenne in aiuto di Sanshiro e, contemporaneamente, Pete gridò a Bunta di uscire col Nessak per andare ad aiutare Balthazar. Fabrizia, collegata con gli auricolari, sentì la voce di Pete:
– Briz, sta arrivando il Nessak a darti man forte! Mi senti?
Per sentirlo, lo sentiva; ma mentre rotolava sul fondo dell'oceano, tentando di schiacciare il nemico contro le rocce, Briz ebbe la netta sensazione che nella sala comandi del Drago non sentissero lei.
– Doc, non la sento più! – esclamò infatti Midori, tentando tutti i canali possibili; eppure, lei li sentiva.
– Briiiz! – urlò Pete assordandola negli auricolari – Che diavolo succede? Stai bene?
– Sto bene, ma dite a Bunta di sbrigarsi! – gridò lei, continuando a sballottare il mostro contro il fondo senza riuscire a liberarsene; ma nessuno la sentì.
– Non risponde – la voce di Pete era tesa e preoccupata.
Briz capì di aver visto giusto: avevano proprio perso la comunicazione con lei. Ma che cosa stava succedendo? Forse dentro il suo casco si era danneggiato un contatto!
Il robot zelano, intanto, stava ribaltando la situazione, e Fabrizia si ritrovò a sua volta ad essere sballottata e schiacciata contro il fondo roccioso: perse l'equilibrio dentro alla carlinga e, nonostante la sua testa fosse protetta dal casco dalla forma felina, prese un colpo molto violento e rimase rintronata per un po'.
Nello stesso momento, sul Drago, tentavano inutilmente di mettersi in contatto con lei: la preoccupazione e la tensione stavano diventando tangibili, mentre Pete doveva pensare anche ad aiutare Sanshiro, e quel maledetto doppio essere zelano sembrava invincibile.
Bunta, ai comandi del Nessak, stava scendendo nelle profondità oceaniche, dove Balthazar era stato visto affondare; finalmente lo individuò, alquanto lontano di lì, prigioniero sotto allo pseudo-scarafaggio che lo colpiva ripetutamente con scariche di raggi accecanti.
Briz riprese i sensi rendendosi conto di essere ancora martellata dal nemico: era confusa, dolorante e anche impaurita. Si chiese se la comunicazione vocale con i suoi compagni fosse ancora fuori uso, ma dalle frasi che sentiva negli auricolari, le sembrava di sì. Diede un paio di colpi sui lati del casco, sperando di ripristinare la comunicazione.
E poi lo vide, sollevando appena la testa del leone, tra i riflessi deformanti dell'acqua: il Nessak la stava raggiungendo.
– L'ho trovata! – la voce di Bunta risuonò nella sala comandi del Drago dove, su un monitor, comparve l'immagine di Balthazar trasmessa dal Nessak: il leone aveva ricominciato ad agitarsi per liberarsi del nemico, e fu a quel punto che, per qualche sconosciuto motivo, la trasmissione audio tornò in funzione.
Con gran sollievo di tutti, il grido di Fabrizia echeggiò a bordo del Drago:
– Buntaaa! Levami dalle palle questo rompicoglioniii!
A Pete e agli altri venne quasi da ridere, nonostante la situazione.
– Bentornata, Cuordileone, mi par di capire che stai bene! 
Bunta colpì il mostro con due missili subacquei per distoglierlo da Balthazar, poi lo imprigionò in una specie di sacca violacea luminescente con cui lo trascinò verso la superficie.
Briz li seguì velocissima e tutti e tre uscirono dall'acqua in una fontana di spruzzi; al contatto con l'aria, la sacca violacea che conteneva il mostro si dissolse.
Improvvisamente, a Briz accadde una cosa imprevista: la strana sensazione che a volte provava in carlinga, quella di non essere sola, si acutizzò. Gettò uno sguardo intorno a sé, sgomenta: ovviamente non c’era nessuno, per lo meno a livello fisico, ma nella sua mente sentì dilatarsi una presenza, come un sussurro incessante.
Ebbe la fugace visione di una nuova arma che non conosceva, e a quel punto il sussurro si amplificò, in una voce che non sentiva da tanto, tanto tempo, e che le rimbombò nelle orecchie, suggerendole un nome.
Pensò di stare per impazzire, non trovò un'altra spiegazione, tuttavia, prima che potesse ragionarci sopra, si ritrovò a urlare:
– Thunderbolt!4 
La stranezza era che nemmeno lei sapeva bene cosa fosse, tantomeno come funzionasse: si ritrovò a sollevare il braccio destro, come se fosse qualcun altro a muoverlo, e fra le punte delle ali che sormontavano le spalle di Balthazar, si formò come una linea frastagliata bianca, luminosissima, praticamente una saetta. Il braccio della ragazza compì un movimento semicircolare e la coda del leone si piegò, formando un arco sulla schiena, attingendo con la punta l'energia della scarica: un ultimo rapido movimento di Briz, come quello di lanciare una frustata, e la coda di Balthazar scagliò il fulmine contro il mostro con un rombo di tuono.
 
 
Thunderbolt  

Il nemico fu imprigionato in una micidiale rete luminosa che, nel giro di qualche istante, lo polverizzò.
Briz, a occhi spalancati, sconvolta e frastornata, rimase a guardare l'esplosione e, al di là di essa, il Drago e il Gaiking che finalmente riuscivano a sconfiggere l'altro mostro.
Poco dopo, il Drago Spaziale atterrò sulla spiaggia di un atollo per dar modo a tutti di rientrare più agevolmente. Briz eseguì la manovra, poi avviò la disconnessione e, eliminata l’armatura, ricadde seduta al suo posto, cercando di infilarsi faticosamente il giubbotto viola con le membra scosse dalla solita nausea e da violenti brividi.
– Cavolo, Briz! Qualunque cosa sia questo Thunderbolt, funziona una meraviglia! Da dove ti sei tirata fuori questa novità? – le chiese Pete, mentre il contatto visivo tornava sui monitor.
– C-Credimi, n-non vuoi d-davvero sa-saperlo – rispose lei, con le labbra scosse da un tremito incontrollabile.
– Ehi, ma che ti succede? Sei pallida da far paura, sembra che tu abbia visto un fantasma! – le disse, con un tono ansioso che non gli aveva mai sentito: se non fosse stato che lo riteneva impossibile, avrebbe quasi pensato che si stesse preoccupando per lei.
– P-più che vederlo l'ho s-sentito. Ho b-bisogno di D-Doc – balbettò, confusa e agitata.
Cosa accidenti era accaduto?
Probabilmente stava davvero impazzendo: la voce che le aveva urlato nella mente la parola Thunderbolt… era quella di Alessandro!

> Continua…




Note:

1 Linkin Park: me li ha fatti scoprire mio figlio. Fanno rock-pop-metal da circa vent’anni, ma le tre canzoni che ce li hanno fatti conoscere sono “What I’ve done”, “New Divide” e “Iridescent”; noi la chiamiamo la magica tripletta e appaiono nei titoli di coda dei primi tre film della saga “Transformers”. Io li adoro, tranne alcuni pezzi troppo urlati e rappati. Quando scrissi questa storia, Chester Bennington, il loro frontman e voce principale, era ancora vivo. Con grande dolore mio e dei miei figli, si è tolto la vita il 20 luglio 2017 😢.  Se la cosa vi interessa, vi rimando ai soliti Google e Youtube, dove trovate di tutto, di più.
Insieme a quelle dei Simple Plan, (altro gruppo piacevolissimo, almeno per me) le loro canzoni contribuiranno a un avvicinamento tra Briz e Pete.
Più avanti.
Forse.



Pecos Bill è una figura di cowboy leggendaria americana, l’eroe nazionale dello stato del Texas. Negli anni ’50 del XX secolo esistevano gli albi a fumetti venduti in edicola (a 20 lire!) Io ce li ho tutti, raccolti dal mio papà quando era ragazzino e rilegati in due volumi 🤩. Da bambina li ho letti e riletti, è stato il mio primo eroe. Poi sono arrivati Goldrake, Mazinga & C. 😏😍

3 I gemelli eterozigoti e omozigoti. Non credo che sia proprio necessaria questa spiegazione, ma a scanso di equivoci, la differenza consiste in ciò: gli eterozigoti, come Fabrizia e Alessandro, nascono da due ovuli, fecondati da due spermatozoi, nello stesso momento. Sono solo due fratelli che per caso condividono l’utero materno nello stesso tempo, e possono essere di sesso diverso e con caratteristiche fisiche agli antipodi. Gli omozigoti, invece, detti anche gemelli identici, nascono da un ovulo, fecondato da uno spermatozoo, che poi si divide, dando vita a due individui con lo stesso patrimonio genetico e che sono sempre e comunque, per forza di cose, dello stesso sesso.

4 Il Thunderbolt… Che cos’è? Oh, lo chiedete a me? Non penserete mica che lo sappia! Non ne ho la più pallida idea, è uscito così…  mi suonava bene il nome…



 
  
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