Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tada Nobukatsu    29/01/2017    0 recensioni
Eccoti qua! Sai, mi aspettavo una tua visita. Ho visto come lo guardi, ho letto la curiosità e il disagio nei tuoi occhi. Hai bisogno di una guida, non è così? Un guida per poter leggere i pensieri del capitano Levi, perché vedere costantemente quel suo sguardo freddo, come se disprezzasse ogni cosa, ti turba. È normale, lui è fatto così. Ma, vedi, Levi in realtà è più semplice di quello che sembra e, che tu ci creda o no, nemmeno lui è immune ai sentimenti profondi di affetto. Posso assicurartelo, io c'ero, l'ho visto con i miei occhi.
Per il momento però tutto ciò che ti serve sapere è che ci sono tante cose che Levi può disprezzare, ma tra queste quelle assolutamente da evitare sono tre: lo sporco, il colore rosso e le Calendule.
Sii tenace, non demordere e avrai la meglio, perché, vedi, alla fine Levi ha il cuore tenero.
Adesso però siediti e lascia che ti racconti una storia...
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Chi sei veramente


Centro d'addestramento

Anno 846


Angelica si guardò attorno, china su se stessa, schiacciata contro il casolare in legno. Fece un paio di passi verso l'angolo, da cui poi si sporse leggermente. In giro non c'era nessuno, se non il capitano Levi diretto chissà dove.

"Spia Angy in azione!" pensò euforica, prima di voltare l'angolo e continuare a seguire di soppiatto il capitano. Era la prima volta che faceva qualcosa di tanto audace, per quanto fosse sempre stata una ragazza che si cacciava spesso nei guai questo era dovuto per la maggior parte delle volte solo a causa della sua bocca che non stava zitta. Mai si era beccata qualche rimprovero o punizioni a causa di guai veri e propri: alla fine era una brava ragazza. Ma forse proprio quell'essere brava ragazza l'aveva spinta a esagerare l'incarico di aiutare Mari, ritrovandosi addirittura a pedinare di nascosto un ufficiale dell'esercito. In fondo, la sua vita era sempre stata così noiosa che non appena era successo qualcosa di interessante, come poteva esserlo Mari e la sua missione, ci si era immersa completamente. Vide Levi sparire dal suo sguardo, camminando di fronte a quello stesso casolare, e silenziosa ne raggiunse l'estremo che dava sul cortile, camminando lungo il fianco. Si sporse, per controllare la posizione del capitano e capire dove fosse diretto, ma la vista non riuscì ad andare oltre il proprio naso, che si andò quasi a schiacciare contro la camicia di Levi, ora fermo, in piedi davanti a lei, che la fissava.

«Lo sai che potrei farti rinchiudere in cella d'isolamento per questo?» la minacciò Levi, seccato.

«Mi dispiace!» sobbalzò Angelica, ora verde in volto dalla paura. Chissà per quale motivo non aveva messo in conto il pericolo di poter essere scoperta.

«Che cosa vuoi?»

«Mari vuole tanto entrare nell'Armata Ricognitiva e mi ha mandato in avanscoperta per studiarla e capire come convincerla ad accettarla!» disse Angelica tutto d'un fiato. Levi spalancò appena gli occhi, stupito nel sentirla confessare con così tanta facilità.

«Complimenti per la capacità di mantenere un segreto. Ricordami di non coinvolgerti mai in qualche piano che ne preveda.»

«Chiedo scusa!» mugolò Angelica, abbassando la testa. Non poteva farci niente, lei era fatta così: la lingua andava sempre per conto proprio, non era capace di averne il controllo.

«Lei dov'è?» chiese Levi, cambiando tono e incrociando le braccia al petto.

«In questo momento è in esercitazione nel bosco con l'istruttore Keith.»

«Dille di passare da me quando avrà finito» e si voltò, intenzionato a non aggiungere altro.

«Le darà una possibilità?» chiese istintivamente Angelica, emozionata al pensiero che forse la sua amica avesse potuto avere una chance.

«No» rispose seccamente Levi, allontanandosi. «Ma riferisci il messaggio e non farti più vedere in giro, o la prossima volta potrei non essere di così buon umore.»

"Buon umore? Io l'avevo detto che gli avevano raccontato una barzelletta!" pensò Angelica, sorridendo divertita, prima di darsela a gambe. Corse senza fermarsi, diretta nella foresta dove in quel momento Mari era impegnata al suo addestramento. Ci mise un po' a trovarla, ma alla fine riuscì a distinguere la sua sagoma accovacciata su di un ramo. Era impegnata a guardarsi attorno, forse studiando la zona circostante, quando sentì la voce di Angelica arrivare come un uragano nella sua direzione pronunciando quasi senza prendere fiato: «Mari Mari Mari...»

Atterrò pesantemente al suo fianco, facendo traballare pericolosamente il ramo su cui si trovavano, tanto che Mari dovette artigliarlo per evitare di perdere l'equilibrio e cadere giù.

«Che c'è? Che succede?» chiese abbastanza contrariata per l'irruenza con cui l'aveva assalita.

«Grandi notizie!» disse Angelica, con le guance rosse per l'emozione e afferrando l'amica per le spalle le rivelò: «Ho scoperto qualcosa sul capitano Levi di molto interessante!»

«Sul serio? Tanto interessante da non poter aspettare stasera per dirmela? Lo sai che se Keith ci vedesse perdere tempo ci concerebbe per le feste?»

«Gli piace bere il tè!» disse repentinamente Angelica, ignorando i rimproveri di Mari. Ci fu un lungo silenzio in risposta a quella rivelazione, silenzio in cui Mari tentò in qualche modo di rendere quell'informazione qualcosa di utile ai suoi scopi, senza riuscirci pienamente. Come poteva una cosa simile aver esaltato tanto l'amica da farla correre da lei e rischiare di essere scoperta e ripresa dall'istruttore? Si corrucciò, mentre chiedeva ironica: «Mi vesto da maid e gli servo il tè?»

«Perverso!» esclamò Angelica, arrossendo mentre la mente partiva a immaginare scenari non troppo casti la cui protagonista era appunto Mari con su un costumino da Maid. «Ma geniale!»

«Mi rifiuto!» urlò Mari, pervasa da un profondo imbarazzo nel rendersi conto di cosa stesse cercando di suggerirle l'amica. Aveva già provato più volte la sensazione di dover compiacere gli uomini con cose del genere e l'aveva sempre trovato disgustoso, non avrebbe permesso a Levi di entrare a far parte di quei ricordi da cancellare. E poi quel tipo di attenzioni non erano quelle che cercava da parte sua!

«Non sei collaborativa» brontolò Angelica.

«Inventati qualcos'altro!»

«Il capitano Levi ha chiesto di te.»

Mari spalancò la bocca, pronta a brontolarla ancora, credendo che le avesse suggerito qualcos'altro di inutile e imbarazzante, ma si paralizzò quando cominciò a realizzare.

«Come, scusa?» chiese poi, inarcando un sopracciglio.

«Mi ha scoperto mentre lo pedinavo.»

«Lo stavi pedinando?» urlò Mari, sempre più sconvolta.

«E mi ha minacciato di chiudermi in isolamento.»

«Sei folle! Hai idea del rischio che hai corso?»

«Sì, è stato divertente!» ridacchiò Angelica.

«Ma che dici? Sei impazzita?»

«Comunque gli ho detto tutto.»

«Tutto? Tutto cosa?» cominciò a tremare Mari. Non che si vergognasse della sua missione di dimostrarsi forte per farsi accettare, ma la spaventava l'eventualità che Angelica avesse interpretato a modo suo le cose come a volte faceva su quella faccenda e quella che avesse rivelato fosse solo l'idea che si era fatta e non la realtà. Come avrebbe potuto guardarlo di nuovo in faccia, se gli avesse detto che lei stava cercando di "fare colpo" su di lui?

«Gli ho detto che stai cercando la sua approvazione per entrare nell'Armata Ricognitiva e per questo lo stavo seguendo» e Mari tirò un sospiro di sollievo. Aveva riferito le cose come stavano davvero, senza aggiungere niente di suo che avrebbero potuto creare fraintendimenti. A dir il vero, il fatto che lui avesse espressamente chiesto di vederla dopo aver scoperto Angelica che lo pedinava avrebbe dovuto solo farla preoccupare maggiormente, ma per il momento si godeva semplicemente il sollievo di non dover spiegare i fraintendimenti.

«Si batte la fiacca?» l'imperativa voce di Keith, arrivata improvvisamente, fece urlare entrambe per lo spavento.

«Vi toglierò dei punti per questo! Muovetevi! Non siamo in villeggiatura, femminucce!»

Mari e Angelica, prese dal panico per il rimprovero, fecero scattare immediatamente i propri dispositivi tridimensionali e volarono via, ognuna verso una direzione diversa.

«Comunque ti sta aspettando!» urlò Angelica, un attimo prima di sparire tra i rami della foresta.

«Asp...» balbettò Mari. Per lo spavento e la quantità di informazioni inutili con cui Angelica aveva condito il tutto, si era dimenticata di chiedere qualcosa di più su ciò che era veramente importante: Levi aveva chiesto di vederla. Dove? E soprattutto, perché?

«Angy!» provò a urlare, senza successo. «Maledizione!» sibilò tra i denti, prima di ruotare intorno a un albero e tornare indietro. Provò ad inseguirla, prendendo la sua stessa direzione, ma non ci mise molto a rendersi conto che l'aveva persa. Sospirò, sconsolata e decise di ricorrere al piano B: andare direttamente da Levi e scoprire sul momento dal diretto interessato quello che doveva sapere. Angelica non aveva la più pallida idea di dove fosse andata, ma sapeva invece dove trovare l'istruttore Keith e da lui si diresse.

«Capitano Keith!» gridò, raggiungendolo in volo.

«Stai ancora bighellonando? Non ti avevo ordinato di tornare al lavoro?» ringhiò Keith, fulminandola.

«Il capitano Levi ha espressamente richiesto la mia presenza» disse Mari, cercando di risultare formale e ignorando il rimprovero. Con lui era meglio andare subito al sodo, senza girarci troppo attorno, o ci avrebbe sicuramente perso e basta.

«Per quale motivo?» chiese Keith, poco convinto.

«Non ne ho la più pallida idea, Signore!» se solo Angelica glielo avesse detto, invece che parlare di quanto fosse stato divertente farsi quasi sbattere in isolamento.

Keith ringhiò qualcosa di incomprensibile, probabilmente insulti rivolti alla stessa Mari, ma poi esclamò: «Sei congedata, cadetta.»

«Grazie Signore!» esclamò Mari, portandosi il pugno al cuore in segno di saluto e sparì rapidamente, raggiungendo in pochi minuti il confine della foresta, dove aveva legato il proprio cavallo. Lo liberò, vi salì sopra e corse verso il centro di addestramento, sul lato opposto della collina.

Per tutto il tempo del tragitto non potè che chiedersi quale motivo avesse spinto Levi a chiedere di vederla. Non poteva far a meno di pensare che non gli andasse a genio il fatto che lei avesse cercato di fargli cambiare idea, forse desiderava smorzare la cosa, magari lo vedeva come un insulto alla sua superiorità. E forse l'arrivare addirittura a pedinarlo doveva essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, per quanto lei non avesse mai chiesto ad Angelica di fare una cosa simile.

"Non avrei mai dovuto spingermi tanto oltre" pensò, mentre usciva dalla stalla dove aveva legato e sistemato il proprio cavallo. Si liberò dell'attrezzatura per il movimento tridimensionale e si affrettò a raggiungere il casolare destinato al capitano Levi. Entrò e salì le scale: la stanza di Levi doveva essere al piano superiore, visto che un paio di sere prima l'aveva visto sbucare da lì.

"Speriamo di indovinare" pensò mentre si avvicinava alla prima porta sulla sinistra. Alzò il pugno, pronta a bussare, e si scoprì in quel momento in tremenda agitazione. La mano non riusciva a non tremare e la gola raschiava da tanto era secca. Aveva paura, una paura folle! Levi era un tipo brusco e potente, poteva permettersi di fare qualsiasi cosa, persino cacciarla.

"E se mi rispedisse nella città sotterranea?" il pensiero le chiuse lo stomaco. Poteva farlo, poteva farlo eccome e poteva essere incazzato abbastanza da permetterselo. Si morse un labbro, mentre il fiato cominciava a mancarle.

"Non posso. Non voglio tornare là!" pensò, mentre in lei cominciava a farsi strada il desiderio di fuggire via. Era una ladra, scappare era sempre stata la sua specialità, se si fosse data alla fuga nessuno sarebbe più riuscito ad acchiapparla e Levi non avrebbe potuto ricacciarla là sotto. No, non era vero. Ovunque andasse, finché restava ancorata al suolo, le mani avrebbero sempre potuto raggiungerla. Solo chi volava era irraggiungibile e inafferrabile, e lei aveva sognato troppo a lungo.

Chiuse gli occhi, cominciando a pregare qualsiasi divinità fosse potuta esistere e alla fine bussò. L'attesa parve estenuante, poi finalmente una voce: «Avanti».

Femminile.

"Non è lui. Ho sbagliato?" si domandò deglutendo. "Qui va sempre peggio! Non riesco a combinarne una giusta!"

Aprì e si affacciò in quella che, scoprì allora, essere la stanza di Hanji Zoe.

«Chiedo scusa...» balbettò, mentre l'ufficiale la guardava curiosa. «Stavo cercando il capitano Levi, devo essermi sbagliata.»

«La stanza a fianco» sorrise Hanji, indicando la parete alla sua sinistra. Era sempre stata gentile con lei, nonostante fosse un suo Superiore. Sorrideva sempre, la sua compagnia era dolce e rilassante.

«Grazie. Scusi il disturbo» disse cordialmente e richiuse la porta.

"Sarebbe un gran peccato se non dovessi più riuscire a vederla" pensò e questo aumentò il senso di vuoto e dolore che le stava prendendo alla bocca dello stomaco.

Si voltò verso quella che era la porta di Levi e sobbalzò spaventata quando la trovò già aperta, con il capitano che l'osservava affacciato.

Il suo viso come al solito trasmetteva solo sdegno e serietà. Metteva una gran soggezione, nonostante tra tutti gli ufficiali fosse uno dei più piccoli di statura e stazza. La scrutò e Mari ebbe la sensazione di essere fatta a pezzi, smembrata e analizzata in ogni singola parte.

«Entra» disse infine Levi, prima di sparire dentro la propria stanza.

Mari abbassò la testa, puntando gli occhi ai piedi che ora sembravano così pesanti e difficili da gestire. Il rumore del proprio cuore, sempre più potente nei suoi rintocchi, l'assordava e la stordiva. Con fatica, decise di obbedire mentre ancora una volta sentì l'impulso di fuggire via.

«Chiudi la porta» ordinò ancora Levi, raggiungendo la sua scrivania. Si lasciò cadere su una sedia su quello stesso lato, dando le spalle a Mari, ma non rimase in quella posizione e roteando tornò a puntare gli occhi sulla ragazza. Mari ancora una volta obbedì meccanicamente, poi percorse un paio di passi dentro la stanza e vi ci si fermò in mezzo, dritta nella posizione che lo stesso Erwin le aveva insegnato. Non riusciva a pensare a niente, se non che aveva paura. Levi si allungò sulla scrivania, afferrò una teiera e si versò del tè in una tazza.

«Ne vuoi un po'?» chiese, impegnato in quell'azione.

Per quanto quella situazione le avesse fatto tornare alla mente il discorso maid affrontato con Angelica poco prima, e per quanto questo avesse potuto scuoterla un po', non ebbe minimamente l'effetto che avrebbe potuto.

«No, grazie Signore» rispose, sforzando la voce di risultare normale. Avrebbe avuto modo di rivederla ancora, Angelica? O quella sbrigativa chiacchierata sul ramo sarebbe stato l'ultimo ricordo che Mari si sarebbe portata dietro di loro due? Cercava di non pensarci, cercava di convincersi che Levi non le avrebbe mai fatto una cosa simile, cercava di rincuorarsi... ma più cercava conferma a quegli incoraggiamenti sul volto del capitano e più non ne trovava. Così severo, così nervoso, come poteva sperare nella sua magnanimità? Come ne sarebbe uscita da quella stanza?

«La tua amica mi seguiva per conto tuo» disse Levi, andando subito al sodo della questione. La gola di Mari si chiuse improvvisamente, mentre le sue paure cominciavano a prendere forma. Ora non sarebbe più riuscita a pronunciare neanche una sillaba, perfino con tutto lo sforzo del mondo. Era vero, tutte quelle paure erano vere e lui non l'avrebbe mai perdonata. Si era cacciata in un grosso guaio, ancora una volta. Ancora una volta, stava affondando, trascinata, mentre lui volava via dal suo campo visivo. Irraggiungibile.

"Non lasciarmi di nuovo indietro."

«All'inizio il tuo modo di fare lo trovavo divertente. Infantile, ma divertente, devo esser sincero.» e mentre Levi diceva questo lo sguardo di Mari prese a diventare sempre più vuoto, sempre più assente.

"Non voglio tornare lì sotto! Non voglio tornare... da loro" riusciva solo a pensare, mentre il dolore le attanagliava lo stomaco.

«Ma ora comincio a trovarlo seccante, soprattutto se devo essere pedinato e spiato.»

"È la fine"

«Stai esagerando.»

"Mio fratello sarà furioso perché me ne sono andata."

«Non...» provò a pronunciare Mari, approfittando di un momento di silenzio di Levi, ma la voce le morì in gola. Si strinse un polso con una mano, cercando di costringerlo a smettere di tremare.

"Non lasciami indietro."

Levi posò la tazza sulla scrivania, poi tornò a osservarla, incuriosito da quella mezza frase che aveva tentato di dire e rimase in silenzio, permettendole di tentare di concludere.

«Non mi mandi via...» riuscì a pronunciare Mari con un filo di voce.

"Non lasciarmi indietro."

«La prego, non mi rimandi là» ripetè, prima che una lacrima scappasse dai suoi occhi e le scendesse giù per la guancia. Mari sobbalzò, appena se ne accorse, e si portò velocemente una mano al viso, asciugandosi rapidamente. Ma un'altra lacrima scese giù dallo stesso percorso e un'altra la seguì ancora, una dopo l'altra, man mano che nella sua mente tornavano i ricordi di quegli ultimi tempi alla luce del sole, accanto a persone che cominciava ad apprezzare per la prima volta nella sua vita.

"Voglio volare come te."

«No, merda» si lasciò sfuggire, mentre cercava disperatamente di asciugarsi e impedire alle lacrime di sgorgare, schiacciando i polsi contro gli occhi. Levi cercava persone forti, Levi l'aveva allontanata perché non lo era abbastanza, perché si era messa a piangere due sere prima e ora lei stava commettendo lo stesso errore.

A occhi chiusi, impegnata com'era a lottare contro se stessa, non si era nemmeno resa conto che Levi si era alzato dalla sua sedia e le era andato incontro. L'afferrò per la fronte, immergendo le dita tra quei capelli color sangue e la costrinse a sollevare il viso. Mari alzò gli occhi completamente umidi e incrociò lo sguardo increspato di Levi, spaventandosene. Più correva disperata per raggiungerlo e più arrancava e inciampava. Proprio come quel giorno, sarebbe tornata a casa ricoperta di lividi mentre lui sarebbe sparito all'orizzonte. Quello sguardo furibondo non lasciava spazio ad alternative.

Con una spinta, Levi la fece cadere su una poltrona lì a fianco. Poggiò entrambe la mani sui braccioli e piegandosi in avanti raggiunse il viso di Mari, fermandosi a pochi centimetri di distanza, senza interrompere il contatto visivo. Ogni cosa, dallo sguardo ai movimenti, trasmetteva aggressività e questo le faceva paura, tanto che si ritrovò a schiacciarsi contro la poltrona su cui era stata spinta, quasi avesse speranza di affondarci dentro e sparire.

«Hai idea di chi sono io?» ringhiò Levi.

«Il capitano Levi, il soldato più forte dell'Umanità» mormorò Mari con un filo di voce, rispondendo meccanica come un robottino. Metteva soggezione, eccome se lo metteva! Aveva persino smesso di piangere, sopraffatta da quel suo modo di fare, arrivando persino a temere di essere malmenata se solo avesse accennato a riprendere.

«Sai chi sono veramente?» insisté lui, non smuovendosi di neanche un millimetro.

Mari esitò qualche secondo, per poi rivelare: «Era un delinquente della città sotterranea.»

«Esatto. Anche io sono nato in quella fogna! Mi credi davvero così bastardo da volerti rimandare là?» e detto questo, finalmente si alzò, abbandonando il contatto visivo con la ragazza che ora cominciava a vedere una luce di speranza. Tutto il dolore e la paura la lasciarono come una macchia che veniva finalmente pulita via e lei si ammorbidì su quella poltrona. Levi si allungò ad afferrare una sedia e la trascinò davanti a lei. Poi ci si lasciò cadere e tornò ad essere distaccato, incrociando le braccia al petto.

«Non sono in molti a conoscere la mia provenienza, non mi aspettavo tu la sapessi, anche se forse a pensarci non mi sarei dovuto stupire visto che vieni da lì anche tu. Avrai sentito qualche voce» osservò.

"Sono la bambina delle pere" pensò Mari e per un istante credette di averlo detto ad alta voce. Un malinconico sorriso le incurvò leggermente gli angoli della bocca, mentre realizzava: "Non può ricordarselo. Non mi vide neanche in faccia."

«Tutti la conoscono da quelle parti, al tempo faceva molto parlare di sè e quando è riuscito ad andarsene le voci sono andate aumentando» disse Mari con una certa emozione nella voce. Lei c'era, lei c'era sempre stata e aveva potuto vederlo. Non se lo sarebbe mai potuto dimenticare.

«Quindi mi conoscevi già» osservò Levi.

Mari arrossì un po', prima di ammettere: «Beh, sì.»

Il piede di Levi scattò con una tale rapidità che Mari ebbe appena il tempo di notarlo. Si schiacciò contro la poltrona nel vederlo arrivare nella sua direzione e chiuse gli occhi, trattenendo con fatica un urlo. La suola dello stivale di Levi arrivò a sfiorarle il naso, ma non si scontrò mai con esso, restando bloccato a mezz'aria.

«E nonostante tutto hai creduto davvero che fossi un tale bastardo?» ringhiò lui contrariato.

«Mi dispiace!» balbettò Mari osservando terrorizzata la suola a pochi millimetri dal suo viso.

«Stupida» disse Levi, come se avesse appena sputato il nocciolo di un'oliva e riportò il piede a terra. «Perché non l'hai fermato?»

«Come?» chiese confusa Mari.

«Ti avrei potuto fracassare il naso, perché non mi hai fermato?»

«Lei... è stato troppo veloce» mormorò Mari, ma Levi rispose repentinamente: «Stronzate! I riflessi non ti mancano, ti ho visto io stesso fermare il calcio di Keith senza neanche aprire gli occhi!»

«Io...» provò ancora a mormorare Mari, non sapendo che altra scusa andare a prendere. Aveva ragione, avrebbe potuto fermarlo, il braccio stesso si era irrigidito nell'istante in cui l'aveva visto arrivare e se glielo avesse permesso l'avrebbe bloccato senz'altro. Ma non aveva voluto farlo per colpa di un pensiero quasi incosciente, che era andato a ripescare le parole di Angelica della sera prima, quando aveva supposto che tutta quell'ira nei suoi confronti derivasse dal fatto che lei fosse riuscita ad atterrarlo. Doveva cercare la sua compiacenza, non farlo arrabbiare ulteriormente dimostrando ancora una volta che tutta quella superiorità che vantava poteva essere intralciata. Ma proprio come lei stessa aveva poi ipotizzato: Levi era troppo sveglio e si era accorto del suo volersi trattenere e la cosa lo stava facendo incazzare ancora di più.

«E se sei riuscita ad ammazzare quello scimmione di Gerwin Roff a mani nude allora vuol dire che non ti manca neanche la forza!» continuò Levi e bastò pronunciare di quel nome per far cambiare ancora una volta espressione alla ragazza, che ora sembrava essere caduta in un pozzo buio. In un misto tra lo spaventato e il sorpreso, il volto le si oscurò e smise improvvisamente di vedere ciò che la circondava.

«Perché non mi hai fermato?» chiese ancora Levi, scandendo bene le parole. Mari finalmente alzò gli occhi e, affilati, vitrei, li volse a lui, anche se per la meccanica con cui si mosse sembrò un gesto non intenzionale. Levi ebbe di nuovo quella terribile sensazione che aveva provato la prima volta, quando l'aveva stesa a terra e la stava per colpire. La sensazione spiazzante e quasi terrificanti di trovarsi un davanti un corpo apparentemente privo di anima, ma pronto a uccidere. Ricordava quasi lo sguardo dei Giganti, se non fosse stato per l'espressività delle labbra, incurvate verso il suolo. Che fosse quello il motivo per il quale Levi, allora, aveva sentito la necessità di allontanarsi con tale fretta?

«Credi che io non sia capace di farti del male come te l'ha fatto Roff?» continuò Levi, cercando di ingoiare quell'esitazione che per un attimo l'aveva stritolato. Avrebbe combattuto quegli occhi proprio come faceva con tutti gli altri Giganti: con forza, violenza e capacità tattiche.

«Rispondi quando un superiore ti parla!» urlò Levi, scattando nella sua direzione e afferrandola per il collo. Proprio come il loro primo combattimento, Mari si ostinava a tenere lo sguardo fisso nel suo, alla ricerca profonda di un punto debole. Ma a differenza di allora, si limitò a quello, rimanendo immobile, benché avesse ogni singolo muscolo teso e tirato.

«Credi non sia capace di farti quello che ti ha fatto lui?» insisté ancora Levi. Mari non era l'unica che cercava i punti deboli dell'avversario e lui stesso stava approfittando di quello scambio di sguardo, delle sue conoscenze, per colpirla laddove sapeva che fosse più debole. Laddove sapeva poi l'avrebbe fatta crollare a terra.

«Non cederò» sibilò Mari, sorprendendolo. «So bene cosa sta cercando di fare. Ma io non perderò il controllo.»

Provocazioni, solo provocazioni a cui lei avrebbe resistito a qualsiasi costo. Strinse i pugni sulla stoffa della poltrona sotto di sé, tanto che avrebbe potuto strapparla da un momento all'altro. Il corpo, il cuore, ogni cosa la portava a scattare, ad accecarla proprio come quella volta... ma la mente restava lucida e ben impiantata in quelle iridi che per anni aveva solo visto sparire oltre i profili delle case, arrendendosi all'evidenza che mai avrebbe potuto raggiungerle. Quello sguardo da brivido, che aveva dato inizio a tutto.

Non conosceva il motivo che spingesse Levi a colpirla tanto duramente, ma non gli avrebbe permesso ancora una volta di dimostrare che lei era debole e che non meritava l'entrata in Armata. Avrebbe resistito ad ogni costo, non avrebbe ceduto all'istinto come qualche sera prima, portandolo a confermare ciò che aveva decretato.

«Ne sei sicura?» il tono di voce di Levi le fece venire i brividi, riportandole alla mente il fatto che si trovasse di fronte all'uomo più iracondo, forte e violento che l'umanità conoscesse. Per un istante, ebbe paura.

Levi la tirò in avanti, spostandosi quel tanto che bastava per scaraventarla a terra. Il tonfo che produsse rese l'idea della forza che aveva impresso. I mugolii di Mari, doloranti, ne furono ulteriore conferma.

«Il soldato più forte dell'umanità, sei stata tu a dirlo» disse lui, torvo in viso, affiancandola e guardandola dall'alto al basso. Mari poggiò i palmi delle mani a terra e cercò di rialzarsi, ma Levi l'anticipò colpendola con un calcio nello stomaco che la ributtò a terra.

«Potrei ucciderti. Penso tu sappia che posso farlo» e continuò a colpirla sempre con più forza, sempre con più violenza, lasciando che i suoi gemiti di dolore riempissero la stanza. Mari, rannicchiata su se stessa, cercò di proteggersi come potè, avvolgendosi le mani intorno alla testa e provando a tenere fuori dalla portata di tiro del capitano almeno il viso.

"Non perderò il controllo! Non devo cedere!" continuava a ripetersi, ostinandosi a non reagire e lasciare che Levi sfogasse la sua ostilità contro il proprio corpo. Un calcio alla bocca dello stomaco, un altro alla spalla, poi al petto, al ginocchio e di nuovo allo stomaco. Uno, due, tre colpi. E la sua forza non sembrava diminuire nemmeno un po', ma anzi pareva quasi che andassero aumentando d'intensità botta dopo botta. Colpi come quelli nemmeno Harvey nelle sue sfuriate era mai riuscito a darle, la forza di Levi non era solo leggenda. Ma lei poteva resistere, poteva farlo, lo sentiva... doveva farlo.

«Tu sai chi sono io! Il soldato più forte dell'umanità. Criminale in passato. Ora capitano dell'Armata Ricognitiva! Lo sai bene, hai detto che mi conosci. Sai chi sono e sai che potrei ucciderti qui, senza neanche troppi rimorsi. Esattamente come tu hai fatto con Roff, solo che poi io me ne dimenticherei perché...» e si fermò, si inginocchiò e afferrandola per quegli odiosi capelli rossi la costrinse a sollevarsi e tornare a guardarlo negli occhi. Una scia di sangue partiva dalla sua fronte, confondendosi con il colore di alcune ciocche impiastricciate lì in mezzo e Levi si prese solo qualche istante per constatare con ribrezzo che sì, avevano lo stessa schifosa tonalità.

«Solo che poi io me ne dimenticherei perché tu invece sei solo una puttana» concluse e forse il ribrezzo provato per la colorazione sanguigna delle sue ciocche -a cui aveva appena trovato conferma- rese ancora più convincente il suo tono distaccato, freddo, quasi ripugnato. Lo stesso identico tono, la stessa identica espressione di tutti gli uomini che erano stati con lei durante quei terribili anni di costrizione. Il tono di chi ha di fronte a sè un oggetto di cui servirsi a piacimento, ma che poi, al di fuori del suo momento, lo rifugge come qualcosa di vergognoso, qualcosa che non merita che la morte nel più totale silenzio e solitudine. Un oggetto che ormai concluso il suo lavoro non ha altro destino che la discarica.

Perse anche quell'ultima parte di autocontrollo che tanto aveva lottato a trattenere, ormai incapace di trovare qualcosa a cui aggrapparsi. Il buio della disperazione e dell'ira annebbiò anche quell'ultima speranza che era sempre riuscita a darle forza, portandola a dimenticare per cosa avesse stretto i denti fino a quel momento. Quel nomignolo, quello sguardo, quel tono di voce... voleva spazzare via tutto.

«Non è così?» insistè Levi, soddisfatto di essere riuscito nel suo intento. Lo sguardo di Mari, lo stesso sguardo che probabilmente Roff si era portato nella tomba, finalmente si era riempito, abbandonando quell'inquientate somiglianza con gli occhi privi di anima dei Giganti. Ora traboccava odio e rabbia. Ora vivevano e in loro riusciva distintamente a cogliere la forza e il desiderio di chi avrebbe continuato a farlo ancora a lungo, a discapito di tutti e di tutto.

«Non è così?» gridò ancora, determinato a non mollare proprio ora che aveva sfondato quel muro, e alzando rapidamente la mano libera caricò un pugno in direzione del suo viso.

«No, non lo è!» urlò Mari con rabbia. Rapida, proprio come lo era stata il giorno del loro primo scontro, lanciò una mano in direzione del pugno di Levi e riuscì a farlo deviare. Era scattata, non avrebbe più subito in silenzio, non si sarebbe più sottomessa a quelle umiliazioni. Altrettanto rapidamente, poi, colpì il polso della mano di Levi che ancora teneva serrati i suoi capelli, riuscendo a liberarsi dalla presa, anche se non senza rinunciare a qualcuna delle sue carminie ciocche. Levi non si lasciò sopraffare e decise di contrattaccare con una testata, ma Mari lo schivò prontamente, allungò una mano verso di lui e slanciandosi in avanti lo spinse indietro, facendolo arrancare e indietreggiare, fintanto che non trovò la scrivania a bloccarlo. Levi portò istintivamente entrambe le mani dietro di sé, cercando un qualcosa a cui appigliarsi. Teiera, tazza e qualche penna caddero a terra, facendo un gran fracasso, mentre la stessa scrivania strofinava a terra, spinta da Mari che ancora non si era fermata.

Levi l'afferrò per le spalle e con forza la contrasto, spingendola via e cercando di allontanarsi dalla scrivania per uscire dall'angolo in cui era stato messo. Per quanto Mari fosse veloce e incazzata, lui restava comunque il più forte e riuscire a sbatterla contro il muro non fu un problema. Hanji nella stanza accanto sobbalzò nel sentire il tonfo contro la propria parete, ma si limitò a infastidirsi per il fracasso, senza preoccuparsene.

«E allora chi sei?» sibilò lui con aggressività, mentre lottava contro il suo divincolarsi per tenerla ben ferma, schiacciata alla parete.

«Io sono Mari!» gridò lei, prima di lanciare la testa in avanti e colpirlo con una testata. Levi barcollò per il colpo e Mari approfittò per spingerlo via un'altra volta, ma questa volta fu difficile mantenere l'equilibrio e Levi cadde a terra, sotto al peso di Mari che non smise di spingerlo con la chiara intenzione di sovrastarlo.

«Io sono Mari!» urlò lei ancora, colta da una strana voglia di farlo sapere al mondo intero. «Recluta del corpo militare, futuro soldato dell'Armata Ricognitiva!» concluse con tutto il fiato che aveva in corpo. Mai avrebbe immaginato che una cosa simile sarebbe potuta essere tanto liberatoria, che avesse potuto darle una simile eccitazione. La faceva stare bene, le faceva avere per la prima volta il pieno controllo di sé. L'aver ribadito con forza il suo diritto di essere ciò che desiderava e non ciò che gli altri volevano, l'averlo forse lei stessa accettato, ora le dava gioia, anche se ricoperta di sangue e lividi.

Prese fiato, mentre riapriva gli occhi, sorpresa per quanto fosse appena accaduto, ma stranamente priva di sensi di colpa.

La mano di Levi, che ancora si trovava steso sotto di lei, andò a posarsi aperta sulla sua testa. Mari d'istinto chiuse gli occhi e si irrigidì, aspettandosi un altro colpo, ma si stupì quando invece si rese conto che tutto ciò che stava facendo Levi era accarezzarle la cute come fosse stata un cagnolino, scompigliandole ulteriormente i capelli.

«Ben detto» le disse con un tono totalmente differente da quello utilizzato fino a quel momento, più pacato, quasi soddisfatto. Mari si diede il tempo di riprendersi e solo allora si rese conto del cuore che batteva nel petto impazzito. Forse per l'agitazione, forse per l'emozione, ma certo non sarebbe uscita da quella stanza nello stesso modo in cui vi era entrata.

Notò un rivolo di sangue uscire dal naso di Levi e cadergli lungo la guancia e solo allora ebbe la forza mentale per lasciarlo andare.

«Oh no...» mormorò, fissando il volto di Levi macchiato da quel suo danno. Aveva fatto di tutto per impedire al suo istinto di prevalere, per cercare di subire senza rispondere, e invece non solo alla fine aveva ceduto ma aveva addirittura ferito un capitano. Quel capitano.

«Non ci sei andata leggera» commentò lui, toccandosi la guancia sporca e osservando il liquido rosso sulla mano. Fece una smorfia di disgusto, prima di prendere un fazzoletto dalla tasca e pulirsi.

«Neanche Lei mi sembra che si sia trattenuto molto» mormorò Mari, mossa da un pizzicante senso di orgoglio che le impediva di abbassare totalmente la testa, visto quello che era stata costretta a subire. Lui alla fine se l'era cavata solo con un po' di sangue dal naso, lei invece aveva tutta la faccia appiccicaticcia, la testa che faceva male per alcune delle ciocche strappate e sicuramente addosso era cosparsa di lividi. Alla fine, Levi non aveva nessun diritto di lamentarsi.

«Ti sbagli» le rispose lui e questo la fece sussultare, improvvisamente impaurita: in che condizioni sarebbe stata ridotta allora se non si fosse trattenuto?

In quel momento la porta dello studio di Levi si spalancò con un tonfo, sotto il peso della rabbia di Hanji.

«Insomma, avete finito?» gridò furibonda. «Qua accanto c'è chi sta cercando di lavorare!» comunicò e neanche si stupì nel vedere la stanza messa a soqquadro e Mari seduta a terra piena di lividi e sangue.

«Ottimo tempismo» commentò Levi alzandosi in piedi. Afferrò Mari per il colletto, dietro la nuca, e cominciò a trascinarla, mentre lei arrancava e gattonava per riuscire a stargli dietro. La riportò alla poltrona e di nuovo la costrinse a sedercisi sopra.

«Penso abbia bisogno di una mano, vedi cosa riesci a fare, Hanji» disse lui, prima di allontanarsi e lasciarsi cadere sulla sua sedia, tenendosi ancora il fazzoletto premuto alla narice per bloccare il flusso di sangue.

Hanji sbuffò, ma senza brontolare ulteriormente si avvicinò alla ragazza e le diede un'occhiata prima di andar a prendere il kit del pronto soccorso e mettersi al lavoro.

«Guarda come l'hai ridotta!» brontolò, mentre tamponava il sangue che fuoriusciva da un taglio su uno zigomo. «Almeno è servito a qualcosa?»

«Lo vedremo» rispose vagamente Levi, alzando con ripugnanza uno dei fogli che aveva sulla scrivania, ora completamente bagnato di tè. La teiera nello scontro si era rovesciata e non c'era cosa che si fosse salvata.

«Ecco fatto» annunciò Hanji mettendo un cerotto sullo zigomo di Mari. «Come nuova»

«Grazie mille» disse Mari, che era rimasta per tutto il tempo in silenzio. Quel delicato tocco sulla pelle, la dolce sensazione di essere accudita e curata, le aveva riportato alla mente una leggera malinconia. Contrastante nel suo cuore, faceva a botte con la felicità di essersene andata, ma come dimenticarsi di Harvey e delle attenzioni che bene o male le aveva sempre rivolto? Quando non avevano altri che loro stessi, quando erano pronti a raccogliere l'altro dalla strada, a salvarlo dalla cattura, a portargli un pasto a casa. Quante volte Harvey si era ritrovato a fare ciò che Hanji stava facendo in quel momento, ad occuparsi dei suoi pasticci e rimettere in ordine i guai.

Chissà dov'era, in quel momento, suo fratello.

«Bene» si alzò Levi, catturando la sua attenzione. «E adesso...» ma non concluse la frase, andando a rovistare dentro un armadietto. Mari cominciò ad agitarsi chiedendosi cos'altro avesse in mente per lei. Prenderla a calci non era stato abbastanza? Cos'altro avrebbe dovuto subire?

La risposta furono stracci e spazzolone, che furono bruscamente lanciati sulle ginocchia della ragazza. «Diamo una ripulita» annunciò Levi. Hanji scoppiò a ridere così forte che Mari al suo fianco sobbalzò. Che cosa c'era di tanto divertente?

«Abituati» le disse la donna. «Se avrai a che fare con lui anche in futuro, assicurati che tutto sia sempre ordinato e tirato a lucido.» Poi, sussurrando al suo orecchio, aggiunse: «Deve avere una specie di disturbo ossessivo, o qualcosa del genere. Sfiora il patologico, fidati di me.»

Levi si voltò, fulminandola, e ringhiò: «Ti ho sentito!»

"È ossessionato dalla pulizia?" si chiese Mari, che ancora stringeva lo spazzolone tra le braccia come fosse un bambino appena nato. Era interessata ad avere informazioni sul suo conto, era vero, e certamente non aveva smesso di desiderarlo. Quella era sicuramente una delle rivelazioni del giorno, ma diamine, chi poteva aspettarsi un cosa simile? Il criminale che le aveva scompigliato l'infanzia, il soldato più forte dell'umanità, il capitano più temuto... era una casalinga a tutti gli effetti.

«Allora? Che fai ancora seduta? Le gambe non te le ho rotte» le disse Levi, portandosi le mani ai fianchi con fare minaccioso. A quel richiamo Mari scattò in piedi come un vero soldatino, pronta ad obbedire a qualsiasi assurda richiesta le avesse fatto. Dopo quella discussione -se discussione poteva chiamarsi- era più determinata che mai nella sua missione di compiacerlo, sentendosi più avanti di quanto lo fosse stata prima di entrare in quella stanza. Poteva farcela, poteva superare tutte le prove.

«Datti una mossa.»

«Signorsì!» rispose Mari correndo vicino alla scrivania per raccogliere da terra i cocci della teiera e della tazza, frantumati nella colluttazione.

«Io torno al mio lavoro, buon divertimento!» disse Hanji, prima di fuggire fuori, ora improvvisamente di fretta: fosse mai stato che a Levi gli fosse passato per la testa di chiedere anche a lei di mettersi a pulire la sua stanza.

"Beh, mi aspettavo qualcosa di diverso" pensò Mari, impegnata nel suo lavoro. "Ma se le pulizie possono essere un buon modo per avere il suo benestare, certo non mi faccio scappare l'occasione!" e una nuova luce si accese nei suoi occhi, mentre metteva più vigore nel braccio che passava il panno.

"Farò risplendere questo posto!" pensò sempre più infervorata all'idea di aver trovato una via facile e sicura per vincere quella sua piccola battaglia.

In neanche mezz'ora tutto era tornato come prima. Levi osservò il loro operato con le mani puntate ai fianchi e lo sguardo critico di chi cerca minuziosamente il pelo nell'uovo.

«Ho finito, Signore!» annunciò Mari, rizzandosi davati a lui. Lo spazzolone ancora ben stretto al petto, come fosse stata l'arma della vittoria, e un fazzoletto legato tra i capelli. Sorrideva, soddisfatta, ma non si sbilanciava troppo aspettando con ansia il verdetto. Levi si avvicinò a un mobile e si rese conto che perfino da lì era stata tolta la polvere, benché non c'entrasse niente col disordine appena fatto per colpa dello scontro.

Mari comparve al suo fianco, sorridente e luminosa, per osservare l'espressione del capitano e cercare di capire se fosse rimasto soddisfatto o meno. Era talmente solare e in trepidazione che pareva risplendere di luce propria. Levi la guardò sottecchi e di nuovo si trovò a provare quella sensazione di tenerezza che aveva provato qualche giorno addietro nel bosco, quando lei dopo aver salvato Angelica aveva cercato di accaparrarsi un suo complimento. E, come allora, le tolse un batuffolo di polvere da una ciocca e l'accontentò con un: «Sei stata brava.»

Il cuore di Mari parve scoppiare dalla felicità e si sarebbe messa a urlare, se non fosse stata trattenuta dal senso del pudore. Sentirselo dire era favoloso, sentirselo dire da lui rendeva il tutto ancora migliore. Il sorriso in viso si allargò smisuratamente e gli occhi tornarono a inumidirsi, ma per quella volta riuscì a trattenere le lacrime.

«Posso fare altro, Signore?» chiese, pronta a lanciarsi nella pulizia dell'intero centro d'addestramento se solo glielo avesse chiesto.

«Torna ai tuoi allenamenti» le disse Levi, prima di tornare a sedersi sulla sua scrivania, apparentemente disinteressato. Mari posò lo spazzolone al suo posto e togliendosi il fazzoletto dai capelli, si avviò verso l'uscita.

«Ah, Mari!» la fermò Levi e lei si voltò un attimo prima di uscire. «Dì alla tua amica che se me la vedo di nuovo gironzolare attorno vi faccio secche tutte e due.»

Mari rabbrividì alla minaccia, ben sapendo che non si trattavano solo di parole e che se avesse voluto avrebbe davvero potuto farle fuori con poco. «Certo! Sarà fatto!» balbettò e uscì.

Attese qualche secondo con ancora la maniglia stretta in mano, poi si voltò dando le spalle alla porta e tirò un lungo sospiro di sollievo, portandosi una mano al cuore martellante in petto.

Un sorriso, un sincero sorriso colmo di felicità e tornò dalle altre reclute.


   
 
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