Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tada Nobukatsu    06/02/2017    0 recensioni
Eccoti qua! Sai, mi aspettavo una tua visita. Ho visto come lo guardi, ho letto la curiosità e il disagio nei tuoi occhi. Hai bisogno di una guida, non è così? Un guida per poter leggere i pensieri del capitano Levi, perché vedere costantemente quel suo sguardo freddo, come se disprezzasse ogni cosa, ti turba. È normale, lui è fatto così. Ma, vedi, Levi in realtà è più semplice di quello che sembra e, che tu ci creda o no, nemmeno lui è immune ai sentimenti profondi di affetto. Posso assicurartelo, io c'ero, l'ho visto con i miei occhi.
Per il momento però tutto ciò che ti serve sapere è che ci sono tante cose che Levi può disprezzare, ma tra queste quelle assolutamente da evitare sono tre: lo sporco, il colore rosso e le Calendule.
Sii tenace, non demordere e avrai la meglio, perché, vedi, alla fine Levi ha il cuore tenero.
Adesso però siediti e lascia che ti racconti una storia...
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Desiderio e Paura


Levi raggiunse l'ufficio dell'istruttore Keith ed entrò senza neanche bussare. Era stato convocato, come gli altri ufficiali presenti al centro addestramento per discutere delle faccende del giorno. In genere il tutto si limitava a decidere le esercitazioni per i cadetti e come presidiare, ma quel giorno ci sarebbero state delle novità.

«Come sappiamo, Erwin nel pomeriggio partirà per la capitale» disse Keith, ignorando il fatto che Levi fosse arrivato in quel momento e proseguendo da dove aveva lasciato. «E sarà via fino a domani sera per motivi personali, perciò non potrà esserci d'aiuto. Ci è stata inviata la richiesta da parte della Guarnigione affinchè gli mandiamo una decina di reclute per un supporto nel controllo e rinforzo del Wall Sina.»

«Posso andarci io» disse Ludwing, un ex comandante della legione di Guarnigione. «Raccolgo i cadetti necessari e mi dirigo immediatamente.»

«Ottimo, si tratterebbe comunque di una cosa di giornata. In serata dovreste già essere sulla via del ritorno.»

«Nessun problema» disse Ludwing.

«Infine, ho bisogno di qualcuno che scenda giù in città. Il carro con i nostri rifornimenti è fermo lì, pare sia stato seguito e importunato da dei banditi durante il tragitto e ora tema ad affrontare l'ultima tratta senza copertura.»

«Non dovrebbe occuparsene la Gendarmeria?» chiese Levi, scocciato.

«Dicono di essere troppo impegnati per stare dietro a un gruppo di mercanti terrorizzati. Quelle scorte ci servono e non ho intenzione di perdere un singolo giorno. Inoltre ho pensato che questo sarebbe potuto essere un buon addestramento per i cadetti.»

«Allora andrò io» disse Levi.

«Perfetto, prendi le reclute necessarie e recati lì dopo pranzo. Quindi per oggi al centro addestramento resteremo solo io, Hanji e Darius» disse Keith prima di sproloquare con riassunti e formalità varie. Fu sbrigativo, lui stesso detestava quel genere di situazioni e preferiva mettersi subito al lavoro, perciò non ci mise molto a sciogliere l'assemblea.

«Ludwing» e l'istruttore si bloccò nel sentire il proprio nome venir pronunciato dall'imperativa voce di Levi. Si voltò, chiedendosi cosa avesse portato il capitano a bloccarlo non appena messo piede fuori dall'ufficio di Keith.

«Oggi porta Mari con te» disse Levi, trasformando quella che doveva essere una richiesta in un ordine. Non che avesse voluto surclassare le cariche, ma chiedere per favore e dare giustificazioni non rientrava proprio nel suo modo di fare.

«Mari? La rossa?» chiese Ludwing poco convinto. L'incarico assegnatogli non era dei più complessi, semplice routine, una scocciatura per la maggiore, ma Mari non era ben vista dai compagni e mai avrebbe voluto avere a che fare con liti e disaccordi tra le sue file.

«Dice che vuole prendere parte all'Armata Ricognitiva, ma non ha mai visto un Gigante in vita sua. Vedere con i propri occhi la preparerà a ciò che troverà la fuori.»

«Allora non è vero che ti opporrai alla sua entrata nell'Armata Ricognitiva» sghignazzò Ludwing, prendendo a camminare al suo fianco.

«Le voci girano in fretta» osservò Levi, scocciato per il fatto che fosse al centro dei pettegolezzi.

«Il centro è più piccolo di quello che può sembrare, e ci si annoia molto.»

«Ho intenzione di oppormi... per il momento» rispose seccamente Levi.

«Allora perché tutto quel discorso sul prepararla?»

«Perché magari mi renderà il compito più semplice.»

Passarono davanti a una delle torri di vedetta, dietro al quale videro la diretta interessata intenta a un allenamento straordinario in singolo sul combattimento. Sferrava pugni e calci a nessuno in particolare, cercando semplicemente di correggere la postura e continuando imperterrita. Con addosso una semplice canotta per allenamento, Levi riuscì a scorgere un paio di brutti lividi all'altezza della spalla e capì che quelli dovevano essere gli effetti della loro chiacchierata di quella mattina.

«A me sembra determinata più che mai» commentò Ludwing guardandola mentre sferrava un gancio. «Ti darà filo da torcere» ridacchiò, battendo un paio di colpi sulla spalla del collega. Colpi che ricevettero in cambio una delle occhiatacce più infuocate del repertorio Levi, ma Ludwing lo ignorò e concluse con: «Ma va bene, la porterò con me oggi.»

Levi non lo ringraziò nemmeno e si allontanò, avvicinandosi a Mari. Ancora un altro paio di pugni, e nel voltarsi la ragazza si trovò il capitano davanti, proprio mentre stava sferrando un altro colpo. Levi la guardò con indifferenza, come se si fosse trovato lì per caso, ma poi disse: «Raddrizza la schiena.»

E Mari obbedì all'istante, tesa come poche volte si era sentita.

«Hai le gambe troppo divaricate» le comunicò ancora Levi, prendendo a girarle attorno per osservarla meglio, e lei di nuovo obbedì, sistemandosi rapidamente.

«Alza i pugni e stringi i gomiti» e ancora lei come una bambola che veniva messa nella posizione ideale, obbedì.

«Colpisci davanti a tè» e lei sferrò il primo pugno. «Va bene, ma cerca di accompagnare col resto del corpo» continuò lui e le si mise affianco, assumendo la sua stessa posizione.

«Così!» disse e diede dimostrazione.

«Ho capito» annuì Mari e provò a imitarlo.

«Non ci siamo, prova ancora» la sollecitò Levi, mostrandole ancora una volta come avrebbe dovuto muoversi. Mari riprovò, ancora e ancora, non togliendo lo sguardo da Levi al sul fianco e cercando di imitare i movimenti che faceva lui. Destro e sinistro, ginocchiata e calcio, andarono avanti ancora per un po'. Quando Erwin passò da lì insieme a Darius, Levi era ipegnato a mostrare a Mari come bloccare un avversario tramite una presa al braccio: la stessa che Sierk aveva usato con lei. Le spiegava e nel frattempo le dava dimostrazione, usandola come marionetta. Poi la liberò e permise anche a lei di fare altrettanto, facendosi usare come bambola d'addestramento. Mari provò a imitarlo, ma il risultato fu decisamente più scarso, tanto che pochi istanti dopo era a terra, rovesciata dallo stesso Levi che si era liberato facilmente. Le disse qualcosa, probabilmente degli ammonimenti per aver sbagliato, poi allungò la mano verso di lei e l'aiutò a rialzarsi.

Riprovarono e ancora Mari venne scaraventata a terra una, due, tre volte. Qualsiasi cosa facesse, Levi trovava sempre il modo di liberarsi con rapidità e ribaltarla. Probabilmente la cosa non le andò a genio, visto che all'ennesimo tentativo fallito in cui Levi l'aveva buttata a terra, quando lui le porse la mano per aiutarla, lei se lo tirò dietro con forza e lo fece cadere di faccia a terra. Levi si sollevò repentinamente, fulminandola e incrociando il suo sguardo infastidito e imbronciato. Per quell'azione sconsiderata, si beccò un colpo di nocca sulla testa e qualcosa che somigliava molto a uno «Stupida».

Si rialzarono, apparentemente indenni, anche se Mari non smise un attimo di massaggiarsi il punto in cui era stata colpita, continuando a brontolare, forse a piagnucolare. Levi la lasciò sfogare per un po', sembrando che la cosa non gli interessasse molto, ignorandola apparentemente, impegnato a sbattersi via la polvere dai vestiti. Ma poi le posò la mano sulla testa e le scompigliò i capelli tanto vigorosamente da lasciarla ancora più imbronciata. Dalla sua posizione fu difficile per Mari scorgere l'angolo della bocca di Levi leggermente tirato verso l'alto, in un accenno di sorriso. Il capitano ben si guardava nel dare esplicita dimostrazione di certi stati d'animo, ma lo stesso non si poteva dire per Erwin, che ora li osservava con un'aria vagamente soddifatta.

«Alla fine, Levi ha ceduto» sorrise Hanji, affiancando il comandante.

«E' ancora presto per parlare» disse Erwin, lasciando stare l'allenamento improvvisato dei due e tornando per la sua strada.

«Oh, andiamo. Conosci Levi, fa il duro e l'antipatico ma alla fine ha il cuore tenero. Insomma, guardalo come si diverte col nuovo animaletto che gli hai procurato» sghignazzò Hanji, camminando al fianco di Erwin. Benchè non si fosse voltata ad osservare la reazione del comandante, riuscì comunque a percepirlo su di sè il suo sguardo interrogativo, lievemente infastidito.

«Non credere che non l'abbia capito, conosco Levi tanto quanto conosco te e so bene che non l'avresti fatto venire fin quaggiù, tu stesso non ci saresti venuto, trascinandomi con te, se non avessi avuto un obiettivo ben preciso in mente.» Ed Erwin ridacchiò a quell'affermazione, senza però preoccuparsi di smentirla. «In fondo, Mari, l'hai raccolta tu, no?»

«Chissà, magari con l'età mi sto rammollendo» commentò Erwin, chiedendosi per la prima volta se fosse stata solo la forza della ragazza a convincerlo a portarla nell'esercito o se semplicemente non ci fosse stato altro nella sua storia ad averlo smosso. Magari proprio quella sua disperata ammirazione per Levi.

«Sei un vecchio romantico, anche se non l'ammetterai mai» lo stuzzicò Hanji, facendolo ridere ancora. «Però sento che quella ragazza, prima o poi, avrà il suo momento di gloria.»


«Ben arrivato, capitano!» saltò in piedi Mari, portandosi il pugno al petto. «Le sue attrezzature sono pulite a dovere e pronte all'uso!»

Levi la guardò un po' stupito, chiedendosi quando avesse avuto il tempo, dopo pranzo, di andare in officina e pulire e rassettare tutte le attrezzature. E soprattutto, perchè? «Io non te l'ho chiesto.»

«Sì, lo so bene!» si limitò a rispondere Mari,prima di aggiungere: «Stasera quando tornerà mi insegnerà quell'incredibile mossa che ha fatto oggi con i piedi?»

«Mossa con i piedi?» chiese Levi, inarcando un sopracciglio, divertito per l'ingenuità della ragazza. Afferrò il suo meccanismo per il movimento tridimensionale e gli diede un'occhiata accurata, mentre Mari al suo fianco si dimenava nel tentativo di tirare qualche calcio in aria, senza troppo successo, a dimostrazione di quale fosse la "mossa coi piedi" di cui stava parlando.

«Ah! Come le sembrano?» chiese poi, avvicinandosi a Levi e guardando con trepidazione l'attrezzatura. Ci aveva messo anima e corpo nel cercare di renderla splendente, andando a pulire perfino i meccanismi più complessi da raggiungere a mani nude.

«Non male» commentò lui, muovendo il manico da un lato a un altro per controllarlo da ogni angolatura.

«Sono stata brava?» chiese con uno strano scintillio negli occhi. Levi le aveva appena confermato che il suo era stato un buon lavoro, eppure sembrava trepidasse per ottenere un esplicito complimento nei suoi confronti. In particolare, sembrava ci tenesse particolarmente nel sentirsi dire che "era stata brava". Non si chiese nemmeno perché, sentendo che le risposte risiedevano sicuramente nelle sue lacrime e nelle preghiere che aveva fatto due sere addietro, quando aveva giurato ai fantasmi del suo passato che sarebbe stata buona e li aveva pregati di non farle del male. Chi era bravo non veniva picchiato e poteva continuare a sopravvivere: era questa la lezione che le era stata insegnata.

«Sì» rispose morbido nella voce, deciso ad accontentarla. «Sei stata brava.»

Il sorriso di Mari risplendè sul suo viso, facendola quasi brillare, mentre le guance assumevano una lieve colorazione rosata assolutamente in tinta con quei capelli che ora cominciavano a non irritarlo più così tanto. Erano sangugnei, l'aveva appurato, ma era un sangue che non macchiava e non sporcava. In un certo senso, era sangue vivo, come un prolungamento del suo sistema cardiaco, riceveva quella colorazione direttamente dal cuore con le sue incessanti pulsazioni. Ne poteva quasi sentire il calore e le vibrazioni, quando vi immergeva le dita.

«Oggi andrai con il capitano Ludwing» le annunciò, anche se probabilmente ne era già al corrente, visto che sarebbe partita da lì a pochi minuti.

«Sì, lo so» rispose lei.

«Sei pronta?»

«Sì, ho preparato tutto attentamente e minuziosamente!»

«No, intendevo... sei pronta a vederli?»

Mari esitò qualche secondo, prima di chiedere, cupa nella voce: «Parla dei Giganti, non è così?»

Levi non rispose, ma Mari sapeva bene che quella era un assenso. Fece un passo indietro e si lasciò cadere su uno sgabello, sedendosi in maniera scomposta. Quell'unico occhio che si riusciva a intravedere sul suo viso parzialmente nascosto dai capelli si era fatto più sottile, più affilato. Ora non sembrava affatto la bambina che Levi aveva lamentato somigliasse. Era consapevole e cosciente, non affatto sprovveduta. Mari era forte, più di quanto volesse far credere. Più di quanto, forse, lei stessa credesse.

«Una volta, all'età di otto anni, mentre cercavo qualcosa da mangiare tra i rifiuti di un fruttivendolo, nascosta in un vicolo insieme a tre dei gatti della colonia, vidi un uomo. Indossava la divisa della Gendarmeria, ma era rannichiato in un angolo buio in fondo alla strada, da solo, e piangeva. Provai ad avvicinarlo, chiedendomi preoccupata se non avesse avuto bisogno di aiuto ma la paura prevalse, anche perchè io ero una ladruncola e lui un militare, e alla fine decisi di restare nascosta dietro il cassonnetto fintanto che non decise di andarsene. Prima di farlo, però, preso da un moto di rabbia, stracciò un foglio di carta e lo lasciò lì. Non mi ci volle molto per rimettere insieme i pezzi e allora capii perché quell'uomo fosse tanto disperato: quella era una lettera ufficiale del corpo militare. Sopra c'era scritto "le riferiamo dolorosamente che sua sorella Clarice Price ha servito con onore il corpo militare e con altrettanto onore ha sacrificato la sua vita nella battaglia dell'umanità contro i Giganti". È stato così che sono venuta a conoscenza di questi esseri. Fino ad allora avevo creduto che la povertà fosse l'unico male dell'uomo. Non ho idea di che forma abbiano, o almeno non ne avevo fino a quando non ho letto i libri reperibili nella biblioteca ufficiale del corpo militare. Non sapevo cosa fossero, come fossero fatti, nè perché fossero tanto pericolosi per l'uomo. Eppure sapevo che là fuori delle persone stavano morendo per combatterli per noi. Cominciai a pensare che fosse tutta colpa loro, se noi eravamo costretti a vivere in quel modo, e cominciai a pensare che se i soldati fossero mai riusciti a sconfiggerli allora avremmo potuto vivere felici anche noi. Non so se avessi ragione o meno, ma ogni giorno mi svegliavo nella speranza che qualcuno cominciasse a gridare per le strade: "la guerra è finita, siamo liberi!"» e ridacchiò, come se avesse appena raccontato una barzelletta.

«Perché mi racconti tutto questo?» chiese Levi, che ancora osservava le lame della sua attrezzatura, benchè avesse già appurato che fossero splendenti. Un semplice gesto che serviva a piazzare un muro tra loro due, non lasciarsi coinvolgere da quel racconto.

«Perché per ogni topo esiste un gatto! È la natura, capitano Levi. Non possiamo governarla a nostro piacimento, possiamo solo adattarci e fare di tutto per cercare di far durare le nostre vite il più possibile. Per amor proprio, solo per puro egoismo, perché quando il gatto riuscirà ad artigliare e divorare quel topo l'ordine naturale delle cose, il mondo intero, non ne sarà destato minimamente. È così e non possiamo farci niente.»

«Ti stai arrendendo alla morte?» chiese Levi con riluttanza.

«Oh, no! Al contrario! Mi sto arrendendo alla vita. Non siamo onnipotenti, esisterà sempre un ordine superiore al nostro e Lei che vive la politica militare dovrebbe ben saperlo. Se ci ostiniamo a negare i nostri limiti, a non accettarli, il giorno che lasceremo questo mondo avremo la sensazione di aver sbagliato qualcosa, che sia stato colpa nostra. Al mondo abbiamo solo noi stessi, tutto il resto è un'illusione, e se alla fine perfino noi arriviamo a tradirci, a rinnegarci, cos'altro ci sarà rimasto?»

«Fai dei pensieri complessi per essere una ragazza dei sottoborghi» osservò Levi e Mari rispose alzando le spalle, come se fosse stata una cosa naturale e di poca importanza.

«Non ho mai avuto possibilità di proteggere il mio corpo, ho dovuto trovare un modo per sopravvivere. La morte spaventa perfino una gatta randagia come me.»

«Hai paura di morire, dunque?»

«Perché? Lei no?» chiese con stupore Mari. Esisteva qualcuno al mondo che non temesse la morte?

«Chi si arruola nell'Armata Ricognitiva prima o poi muore. Lo sai, vero?»

«Lei è ancora vivo.»

«Tu non sei me!» la fulminò Levi, prima di aggiungere. «E comunque non sappiamo ancora per quanto.»

«Il futuro è un mistero per chiunque, non esiste chi è più al sicuro e chi meno. Conosco persone che sono morte per uno starnuto.»

«Disgustoso» si lasciò sfuggire Levi.

«Dico sul serio!» si animò Mari. «Gli sono usciti gli occhi dalle orbite, metteva i brividi! Io non l'ho visto, per fortuna, ma c'è chi l'ha visto e lo racconta!»

«Insomma!» la interruppe Levi, predicendo l'arrivo di un'altra delle sue storie su quando era bambina e sulle strade che, sinceramente, lui non voleva far altro che dimenticare. «Predichi la difesa della vita, ammetti di temere la morte, ma poi sembra che ignori il vero significato della tua scelta. Sei contraddittoria! Perché vuoi arruolarti, rischiando di morire domani stesso, quando dici di voler sopravvivere e di voler evitare la morte? Non capisco cosa ti passi per la testa! È tanto divertente giocare a fare l'eroe coraggioso?»

«Io ero quel topo, capitano Levi» rispose seccamente Mari. «E lo sono ancora! C'è un gatto là fuori destinato a mangiarmi, questo lo so. Non mi prenda per sprovveduta. Ma i mangiatori di carne, che siano topi o umani, fanno più paura quando sono celati nell'oscurità e non sai cosa ti balzerà addosso e quando. Almeno ora saprò da cosa devo difendermi e posso imparare a farlo.»

«I Giganti, lì sotto, non sarebbero mai arrivati. Che cosa avevi da temere?»

«Ci sono esseri che divorano più di un Gigante, capitano. Esseri che divorano e non uccidono.» E gli occhi affilati di Mari si posarono su Levi, facendogli di nuovo venire i brividi. Quegli occhi erano porte spalancate su un mondo che non desiderava vedere. Un mondo di incubi e terrore, di ombre dalle orribili fattezze umane. Non mostri, non giganti, umani... e perciò raccapriccianti.

«Io ho paura della morte» disse Mari, alzandosi in piedi. «Ma a volte un sorriso, un desiderio, un battito di cuore, hanno più forza della paura. E se si chiude gli occhi, si riesce a percepire il soffio del vento sulla pelle, la melodia degli uccellini, la morbidezza al tatto di un prato, il profumo di un fiore... e il dolore sparisce come per magia.» La determinazione e la sicurezza con cui espresse quest'ultimo pensiero, fece intuire che fosse qualcosa che avesse fatto molto spesso. Un meccanismo di cui ne conosceva perfettamente il funzionamento. Chissà quante volte, stesa sotto qualche schifoso corpo sudato, avesse chiuso gli occhi e avesse fatto sparire il dolore "per magia".

«Sono ancora quel topo terrorizzato, ma sono un topo che vuole dare forma alle sue paure. Poter loro guardare negli occhi, capirne la grandezza, studiarlo e provare a imparare a sopravvivere davvero. E se la paura sarà troppa, allora non dovrò far altro che trovare un desiderio che sia più forte e riesca ad andare oltre.»

«Belle parole, non c'è che dire» disse Levi, che ora sembrava più irritato che mai. Non poteva far a meno di pensare che quella fosse solo una ragazza che sognasse di fare l'eroe, come quelli nei libri, e che non si rendesse conto della realtà. «Ma cosa saprai fare quando ti troverai davanti il tuo "gatto mangiatore di carne"? Avrai tempo e forza di soppesare paure e desideri?»

«Mi metta alla prova» lo provocò.

«No. Non lo farò. Non ho nessuna intenzione di portarmi appresso un cadavere che cammina» la fulminò, prima di allontanarsi a passi pesanti. Era riuscita a irritarlo, nonostante avesse da poco cominciato a tollerare la sua presenza, quasi ad apprezzarla. Si era dimostrata tenace, forte abbastanza da rivendicare il suo diritto di essere se stessa e lottare per sè. Ma adesso, dopo quella sfilza di stronzate sulla morte e sui desideri, era tornato a pensare che fosse solo una ragazzetta che doveva ancora crescere e imparare cosa fosse la realtà. Lo irritava, tutta quella sfilza di pensieri assurdi lo irritavano terribilmente. E stava di nuovo tornando sulla sua ferrea decisione di impedirle di arruolarsi.

L'unica cosa che ancora non riusciva a capire, però, era da dove arrivasse tutta quella riluttanza nel vederla nel corpo dell'Armata Ricognitiva. Perché l'idea che lei perdesse la vita lo mandava così in bestia? Eppure aveva sempre apprezzato chi si fosse dimostrato forte tanto da mettere a repentaglio la propria vita.

«Capitano Levi!» chiamò Mari, senza scomporsi, quasi imponendogli di fermarsi e ascoltarla. «La pensi pure come preferisce, mi prenda per sciocca, ma io le prometto che un giorno Lei comprenderà la mia forza. Anche se sarà troppo tardi.»

E con un verso di disappunto, Levi si allontanò definitivamente.
   
 
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