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Autore: KukakuShiba    30/01/2017    12 recensioni
DESTIEL teen AU
Il mondo del giovane Dean Winchester incontrerà inevitabilmente quello di Castiel Novak, nuovo vicino di casa, affetto da un handicap invisibile. Insieme, i due impareranno qualcosa di prezioso sull'amicizia, sull'amore e sulla vita.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTI - PARTE PRIMA
 
“Esiste una rabbia
che non ha niente a che vedere
con la cattiveria. È il ruggito
di chi sta proteggendo
le proprie fragilità”
 
Paola Felice
 
 
 
 
Tre settimane dopo
 
Un rumore di passi riecheggiò per il corridoio, facendo sollevare lo sguardo a Dean. Il giovane era seduto su una sedia, accanto alla porta dell’ufficio del preside. Quando Dean riconobbe la persona che si stava avvicinando, serrò la mascella: era Mary. La donna si fermò di fronte a lui, riservandogli uno sguardo che Dean non seppe interpretare appieno. I lineamenti di lei erano tesi e la bocca era stirata in una linea dura, ma i suoi occhi, invece, riflettevano preoccupazione e apprensione. Dean non riuscì a sostenere a lungo quello sguardo e, ben presto, spostò la sua attenzione altrove.
All’improvviso, la porta lì accanto si aprì.
“Signora Winchester?” – chiese un uomo, facendo capolino dall’ufficio.
Mary batté due volte le palpebre, interrompendo così il contatto visivo sul figlio.
“Sì, sono io” – rispose poi.
“Prego, si accomodi” – disse lui, scostando di più la porta e facendosi da parte, con un chiaro invito alla donna di entrare.
Il rumore della porta che si chiuse, si disperse nel corridoio come una pesante sentenza. Il giovane Winchester si lasciò andare contro lo schienale della sedia, per poi appoggiare la testa al muro e chiudere gli occhi, sospirando.
 
“Mi dici cosa accidenti ti è saltato in testa?” – chiese Mary, fermandosi appena fuori l’uscita dell’edificio scolastico e girandosi verso Dean, subito dietro di lei.
Il colloquio con il preside era durato circa mezz’ora, al termine della quale la donna era uscita dall’ufficio e, senza dire una parola, si era incamminata lungo il corridoio, seguita dal figlio.
Dean strinse le dita attorno alla spallina dello zaino e non rispose.
“Dean, rispondimi” – lo incitò lei.
Il giovane abbassò lo sguardo, ma rimase in silenzio.
“Come ti è venuto in mente?” – incalzò ancora l’altra – “Picchiare un altro studente!” – aggiunse, per poi guardarsi furtivamente in giro, rendendosi conto di aver alzato la voce.
Il ragazzo continuò a non dire nulla.
“Mi hai molto deluso, Dean” – concluse lei, duramente.
A quelle parole Dean serrò le palpebre e fece una smorfia.
Mary rimase ad osservarlo per qualche secondo e poi sospirò piano.
“Ehi” – disse, smorzando il tono – “Fammi vedere”.
La donna posò due dita gentili sotto il mento del figlio, sollevandolo di poco. Con uno sguardo attento e amorevole allo stesso tempo, esaminò lo zigomo sinistro del ragazzo, che aveva già assunto un tenue color bluastro.
“Ti fa male?” – chiese infine.
“No…” – smozzicò lui, sottraendosi poi al tocco della madre.
“Quando arriveremo a casa, ti darò del ghiaccio da metterci sopra” – disse lei.
Mary si prese un attimo, come per raccogliere i pensieri.
“Dean” – continuò poi – “Cosa ti sta succedendo?”
Il giovane Winchester incrociò gli occhi dell’altra, che lo scrutavano, in attesa di una risposta.
“Niente” – si limitò a dire.
“Per l’amore del cielo, Dean, credi che io sia stupida?” – sbuffò la donna – “Credi veramente che io non mi si accorta che c’è qualcosa che non va? In queste ultime settimane sei intrattabile e scontroso, persino con Sam. Stai sempre chiuso in camera e a tavola non dici mai una parola. E come se non bastasse, adesso vengo a sapere che hai fatto a botte con un altro ragazzo! Quando…” – si interruppe un secondo, per riprendere il controllo – “Quando ho ricevuto la telefonata del preside non ci volevo credere…continuavo a ripetermi che doveva trattarsi di un errore, che tu non avresti mai potuto fare una cosa simile. E invece…” – si fermò ancora – “Senza contare che il signor Graber mi ha anche riferito che i tuoi voti sono peggiorati”.
Dean spostò lo sguardo sul piazzale deserto di fianco a loro.
“Allora?” – lo richiamò lei – “Vuoi ancora dirmi che non ti sta succedendo niente?”
Il biondo fissò un punto indistinto di fronte a sé, senza rispondere.
Mary sospirò, affranta.
“Sai, Dean, anche se sono tua madre, mi piacerebbe che ti confidassi con me, che mi dicessi cosa ti sta passando per la testa”.
La donna si rigirò tra le mani le chiavi dell’Impala, che si era fatta consegnare dal figlio poco prima.
“Sono solo preoccupata per te” – mormorò poi.
La signora Winchester si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, rimanendo in silenzio per qualche secondo.
“Dai” – si arrese infine – “Torniamo a casa”.
 
Il paesaggio di Lawrence scorreva placido e impenetrabile al di là del finestrino. Dean era seduto sul sedile del passeggero, con la fronte appoggiata contro il vetro. Il biondo chiuse gli occhi, per estraniarsi da quel mondo che continuava ad andare avanti, come se nulla fosse. Dean odiava quel mondo, provava del risentimento nei suoi confronti, perché il suo mondo, invece, la sua vita si erano fermati quel pomeriggio, quando Castiel gli aveva detto che tra loro era finita.
Il giovane Winchester non si ricordava nemmeno come fosse riuscito a tornare a casa quel giorno. E nei giorni successivi, Dean aveva vissuto in un limbo, tessuto personalmente dal suo senso di negazione per quanto accaduto. La sua mente e il suo corpo si erano rifiutati categoricamente di affrontare la realtà, la sua realtà senza Castiel. Dean si era circondato di un velo, capace di filtrare il mondo per lui. Tutto intorno al ragazzo scorreva come al rallentatore, senza colori, senza suoni o rumori. Tutto era indistinto, intangibile, statico. Eppure, il giovane stava bene in quel bozzolo protettivo, senza vita ed emozioni, certo, ma anche senza dolore. Si sentiva cullato e al sicuro, ed era esattamente come aveva desiderato quel pomeriggio, dopo l’addio di Castiel: non sentire più nulla. Nonostante tutto, però, Dean non aveva fatto i conti con la realtà, forte, ostinata e aggressiva. La realtà picchiava duro, distorcendo il suo rifugio e facendolo tremare pericolosamente come una bolla di sapone pronta a scoppiare, graffiava e si artigliava agli intrecci di quel velo, tirando i fili e creando piccole brecce, attraverso le quali insinuarsi. Gli attacchi che Dean subiva erano subdoli, si verificavano sotto forma di contatti brevi, ma abbastanza intensi da scuoterlo. E portavano tutti il nome di Castiel. Ben presto, tutto ciò che era legato al ragazzo con gli occhi blu, era diventato un nemico da cui difendersi e da cui scappare, il più lontano possibile. Dean era frastornato: gli sembrava di vedere Castiel ovunque, soprattutto nei volti delle persone che incontrava; scorgeva il blu magnetico dei suoi occhi in dettagli fugaci; era certo di sentire il suono della sua voce nella propria testa e di percepire un sottile profumo di vaniglia accarezzare l’aria. Più di una volta era stato quasi sul punto di impazzire. E quando ormai il suo bozzolo protettivo era stato ridotto in brandelli, Dean si era sentito minacciato da quel mondo e da quella realtà che lui aveva cercato deliberatamente di chiudere fuori, e aveva reagito con l’unica arma che gli era rimasta: la rabbia. D’improvviso, tutto era cambiato, tutto si era fatto più acceso. Dean era diventato un nervo scoperto. Ogni sensazione gli arrivava ingigantita, ogni stimolo giungeva amplificato fino all’inverosimile, facendo scattare la sua collera. Ogni cosa sembrava un valido pretesto per uno scatto di nervi, per una risposta scontrosa, per una reazione violenta. E situazioni di questo genere non avevano fatto altro che aumentare nell’ultima settimana. Nessuno era stato risparmiato dalla sua stizza. Lo stesso Sam, ad esempio, era stato aggredito verbalmente in malo modo dal fratello, solo perché aveva pronunciato il nome di Castiel. In quell’episodio, Dean si era reso conto di aver esagerato, soprattutto dopo aver visto l’espressione confusa e terrorizzata al tempo stesso di Sammy. La colpa non era di Sam, Dean ne era consapevole, anche perché il minore non sapeva nulla di quanto successo, dal momento che Dean non ne aveva fatto parola con nessuno. Eppure, quando aveva sentito il nome del ragazzo dagli occhi blu, per Dean era stato come se qualcuno lo stesse marchiando a fuoco sulla pelle, facendogli perdere la ragione e portandolo quasi oltre la linea di confine, che separava il giustificabile dall’ingiustificabile. Linea che, però, il giovane Winchester aveva superato quella stessa mattina, quando si era ritrovato a fare a botte con un altro ragazzo nel cortile della scuola. A dire la verità, Dean non si ricordava neanche il motivo che lo aveva spinto a tanto. Forse era stato uno scherno o una parola di troppo, o anche una semplice occhiata mal interpretata. In ogni caso, qualsiasi fosse stato il pretesto che aveva innescato tutto quanto, esso aveva subito fatto presa su di lui, facendolo infiammare e reagire in quel modo. E il risultato era stato uno zigomo dolorante, le nocche della mano destra che facevano male e l’intervento del preside.
Il cellulare vibrò contro la sua gamba, sfalsando così la linea dei suoi pensieri ed interrompendola. Dean si scostò dal finestrino e prese il telefono dalla tasca, per poi sbloccare lo schermo.
 
[12:06] – Da Benny a Dean
Com’è andata? Chiamami appena puoi.
 
Dean tornò a guardare oltre il vetro e serrò la mano in un pugno, facendo una smorfia. Infine, chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul dolore alla mano, per non sentire invece quello del suo cuore, che lo stava lacerando dentro.
 
 
°°°
 
 
Benny rimise il cellulare in tasca e appoggiò la schiena contro gli armadietti alle sue spalle, sospirando. La reazione che Dean aveva avuto in cortile, un paio di ore prima, lo aveva un po’ spaventato, anche se in fondo sapeva che sarebbe successa una cosa simile, prima o poi. In quelle ultime settimane, Dean sembrava un concentrato di rabbia, pronto ad esplodere da un momento all’altro e a travolgere tutto. Sebbene Dean non avesse detto una parola su quanto successo con Castiel, Benny lo aveva facilmente intuito. Il ragazzo conosceva l’amico da tanto tempo e per lui il giovane Winchester era come un libro aperto, soprattutto quando si trattava di sentimenti. Benny sapeva anche che, in momenti come questi, Dean doveva essere lasciato in pace, consentendo solo al tempo di intervenire nell’evoluzione delle sue emozioni. Tuttavia, il giovane doveva ammettere che quella situazione non era lontanamente paragonabile a nessuna affrontata finora, neanche a quella con Lisa. E questo, in un certo senso, lo preoccupava, perché era consapevole che per Dean non sarebbe stato affatto facile uscirne.
“Hai saputo qualcosa?”
La voce di Charlie, accanto a lui, lo richiamò alla realtà.
“Gli ho appena mandato un messaggio, ma non so neanche se mi risponderà”.
La ragazza strinse le braccia attorno a sé e si morse un labbro.
“Benny, dobbiamo fare qualcosa”.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
“Per l’ennesima volta: no” – disse, perentorio.
“Ma non può andare avanti così! Hai visto anche tu cosa è successo oggi!” – ribatté lei.
Benny si passò una mano sul viso.
“Sì, l’ho visto…”
“E allora? Cosa stiamo aspettando? Che succeda qualcosa di peggio?” – incalzò l’altra – “Tra l’altro non so neanche come finirà questa storia, sta rischiando grosso, te ne rendi conto?”
“Sì, me ne rendo conto”.
“E come fai a star lì senza far niente?”
“Charlie” – la richiamò lui – “Ti ho già detto che Dean ha bisogno di spazio, deve sfogare da solo questa cosa”.
“Ma-”
“E l’unica cosa che possiamo fare è stargli vicino e basta, senza essere invadenti e so-”
“Ma io-”
“E soprattutto senza chiedergli nulla” – concluse l’altro, troncando sul nascere ogni tentativo della ragazza.
Charlie mise il broncio, frustrata da quella situazione.
Benny la osservò per un attimo.
“Ehi, rossa” – disse, portando l’attenzione di lei su di sé – “Lo so che sei preoccupata. E lo sono anche io, credimi. Ma in questo momento è la cosa migliore che possiamo fare per lui”.
Lei indugiò, dondolandosi leggermente sul posto.
“Ok…” – borbottò poi.
 
“E Castiel? Ti ha risposto?” – chiese lui, dopo un po’.
“No…gli ho mandato non so quanti messaggi, ma non mi ha mai risposto…” – ammise lei, affranta.
“Cazzo, che casino…”
Il suono della campanella spezzò la quiete del corridoio, incitando gli studenti presenti a raggiungere le varie classi.
“Dai, andiamo” – disse Benny, cingendo le spalle dell’amica con un braccio e dirigendosi con lei verso la propria aula.
 
 
°°°
 
 
“Sospeso!”
La voce di John sembrò ancora più grave tra le mura della cucina.
Dean era seduto su una sedia con gli occhi abbassati sulle proprie mani. Mary, invece, era appoggiata contro il bancone della cucina, alle spalle del marito.
Subito dopo cena, i signori Winchester avevano fatto in modo di rimanere soli con il figlio maggiore, per parlare con lui. A dire il vero, la donna, in cuor suo, avrebbe voluto evitare quel momento, magari nascondendo a John l’accaduto. Tuttavia, sapeva bene di non poterlo fare; prima di tutto per rispetto nei confronti dell’uomo, e poi anche per Dean. Ciò che era accaduto, proprio per la sua gravità, avrebbe potuto essere un’occasione per parlare con il ragazzo, per comprendere il motivo del suo comportamento nell’ultimo periodo. Purtroppo, a complicare la situazione, si era aggiunta la decisione presa dal direttore scolastico, e che era stata comunicata tramite telefono qualche ora prima: Dean era stato sospeso per tre giorni. La decisione, a quanto detto dal signor Graber, era stata presa con difficoltà, perché, sebbene Dean avesse sempre avuto una buona condotta a scuola, quell’episodio di cui era stato protagonista non poteva passare inosservato, e soprattutto senza provvedimenti.
“Non ci posso credere!” – sputò fuori John – “Sospeso!”
L’uomo si passò una mano sul viso.
“Ne hai fatte di cazzate, Dean, ma questa…” – si interruppe, gesticolando con una mano – “Questa le supera tutte!”
Dean tenne lo sguardo basso, senza dire nulla.
“Si può sapere a cosa diavolo stavi pensando?” – continuò il padre, con gli occhi puntati sul figlio.
Il ragazzo non si mosse.
“Te lo dico io a cosa stavi pensando!” – ringhiò l’uomo – “A niente!”
Per qualche secondo, quelle parole rimasero imprigionate nel silenzio che seguì.
“Ti rendi conto che questa storia poteva finire peggio, vero?” – riprese John, smorzando il tono – “I genitori di quel ragazzo potevano anche denunciarti. E hai rischiato di non arrivare al diploma e di mandare a puttane tutta la fatica che hai fatto in questi anni”.
L’uomo fissò il giovane in attesa di una risposta.
“Dean” – lo richiamò – “Sto parlando con te”.
Dean sollevò la testa, incrociando per un istante lo sguardo del padre.
“Te ne rendi conto, o no?”
Il ragazzo annuì debolmente.
John si mise le mani sui fianchi, prendendosi del tempo.
“Come prima cosa, scordati di passare i giorni della sospensione a casa, senza fare nulla” – riprese poi, picchiettando due dita sul tavolo per richiamare l’attenzione del figlio – “Andrai da Bobby e lavorerai nella rimessa. Ti porterò io al mattino e ti verrò a prendere alla sera. E quando tornerai a scuola, le cose cambieranno. Dopo le lezioni ti voglio subito a casa. E studierai sodo per recuperare quei pessimi voti che hai preso. Niente uscite durante i week-end, niente tv e niente videogiochi”.
L’uomo fece una pausa.
“E niente macchina” – concluse infine.
Dean non disse nulla.
“Hai capito, Dean?”
Il ragazzo esitò un attimo e poi annuì.
Mary fece un passo in avanti e toccò la schiena del marito con una mano, facendolo così voltare verso di lei. La donna gli rivolse uno sguardo d’intesa, accompagnato da un impercettibile gesto del capo. L’uomo annuì leggermente, ed entrambi si avvicinarono al tavolo, per poi sedersi di fronte al figlio.
“Dean” – esordì lui, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita delle mani – “Cosa ti sta succedendo?”
Il giovane serrò la mascella, con lo sguardo perso nel vuoto.
“È successo qualcosa?” – tentò il padre – “Qualcosa che magari non ci vuoi dire?”
Dean rimase in silenzio.
“Hai dei problemi a scuola, magari con qualche professore, o qualche studente? O sei preoccupato perché ancora non sai cosa fare dopo il diploma?” – riprovò l’altro.
“Tesoro, vogliamo solo capire” – intervenne flebile Mary, per la prima volta – “Hai litigato con qualche tuo amico? Non so, Benny magari…”
Il ragazzo non proferì parola.
La donna esitò un attimo, umettandosi le labbra.
“C’è…c’è forse di mezzo una ragazza?”
Dean fece scattare lo sguardo sulla madre, per poi distoglierlo dopo qualche secondo e lasciarlo vagare nel nulla, disperato.
Mary schiuse la bocca, sorpresa dalla reazione che era riuscita a suscitare nel figlio.
“Teso-”
“Una ragazza?” – la interruppe bruscamente John, rivolgendosi al ragazzo.
“John, aspetta…” – tentò la moglie.
“Seriamente, Dean?” – proseguì lui, ignorando le parole di lei.
Dean rimase con gli occhi fissi su un punto indistinto e non disse nulla.
John scrollò piano la testa, sbuffando in un sorriso sardonico.
“Mi stai dicendo che hai fatto tutto questo casino perché hai il cuore spezzato?” – infierì lui.
“John” – lo ammonì la donna, riservandogli uno sguardo di rimprovero.
“No, Mary, è ridicolo” – replicò l’altro – “Si sta comportando come un ragazzino”.
Gli occhi di Dean saettarono subito sulla figura del padre, mentre i lineamenti del viso si tendevano duramente.
“Io non sono un ragazzino” – sibilò, a denti stretti.
“E invece è proprio quello che sei” – ribatté l’uomo – “Un ragazzino tutto preso dai suoi problemi di cuore e che non usa il cervello quando dovrebbe”.
Dean serrò le mani in un pugno, mentre le tempie iniziavano a pulsare, scandendo la rabbia che cominciava a ribollire di nuovo dentro di lui.
“Stai zitto…” – ringhiò.
John si irrigidì.
“Come hai detto?” – lo sfidò.
“Ho detto di stare zitto!” – sbottò fuori Dean.
“Dean, stai attento a come parli” – lo avvisò l’uomo, alzando a sua volta la voce e puntandogli contro un dito.
“John…” – intervenne Mary, con una chiara sfumatura di apprensione nella voce.
“Adesso basta” – disse lui, incurante del richiamo della donna – “Sono stufo del tuo atteggiamento”.
“E io sono stufo di sentirti dire cazzate sul mio conto!” – urlò Dean, battendo i pugni sul tavolo.
“Dean, stai superando il limite!”
“Tu non sai niente di me! Niente! Di quello che sono, di quello che sto passando! Non sai un cazzo!”
“Non ti permetto di parlarmi così!” – gridò il padre.
“Beh, sai che c’è? Vaffanculo!”
Dean scattò in piedi, e uscì velocemente dalla cucina.
In un primo momento, John rimase immobile sul posto, incapace di muoversi. Le parole che gli aveva appena rivolto il figlio, lo avevano colpito e stordito al punto tale da fargli perdere per un secondo il contatto con la realtà. Una volta ripresosi, però, la reazione dell’uomo non tardò ad arrivare.
“Dove credi di andare?” – lo richiamò John– “Non ho finito con te!”
L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, subito imitato dalla moglie, e lo seguì.
“Dean!”
Quando John mise piede nel corridoio, vide il figlio prendere le chiavi della macchina dal mobile lì accanto e dirigersi a grandi passi verso l’ingresso.
“Non azzardarti ad uscire da quella porta!” – urlò, fermandosi un attimo.
Dean ignorò la voce del padre e aprì la porta, varcandone poi la soglia.
“Maledizione, Dean! Torna subito qui!”
L’uomo riprese a seguirlo, ma quando arrivò sul portico, l’Impala stava già uscendo dal vialetto in retromarcia, per poi immettersi in strada e ripartire con uno stridore di gomme, che riecheggiò nel silenzio della sera come il grido di un animale ferito.
“John!”
La voce di Mary, che giunse alle spalle dell’uomo, lo fece voltare. Gli occhi della donna era lucidi e il volto reso teso dall’evidente preoccupazione.
“Ti prego, vagli dietro…non lasciarlo andare via così…”
John esitò un attimo, di fronte alla richiesta della moglie, e infine tornò a guardare la strada, in tempo per vedere i fanali di coda rossi dell’Impala sparire dietro l’angolo.
 
 
°°°
 

La strada scorreva rapida, illuminata solo per un istante dai fari dell’Impala, per poi scivolare via e tornare di nuovo prigioniera del buio. Dean strinse le dita sul volante, come se si stesse aggrappando disperatamente a qualcosa per non essere trascinato via. Attraverso il finestrino aperto, l’aria s’intrufolava nell’abitacolo. Dean la sentiva bisbigliare nelle orecchie, la percepiva scivolare sulle labbra, tra le ciglia, lungo la nuca, garantendogli quel minimo di lucidità necessaria per continuare a guidare.
Lo scontro che aveva avuto con John, poco prima, non aveva fatto altro che pungolare quel nervo scoperto che Dean era diventato, pompando la sua rabbia in circolo e spingendolo oltre il limite. In modo particolare, le parole del padre erano state come benzina sul fuoco, come un dito che indugia sadicamente su una ferita aperta e dolorante, e lo avevano fatto esplodere, permettendo così alla sua rabbia di dilagare senza controllo dentro di lui.
Dean sentì le tempie pulsare, così forte da assordarlo. Come aveva potuto John dire quelle cose? Come aveva anche solo osato sminuire così la sofferenza che lui provava? Cosa sapeva lui delle macerie in cui si era ridotto il suo mondo da quando Castiel lo aveva lasciato?
Castiel.
Dean strinse ancora di più le dita, fino a far sbiancare le nocche. Erano quelli i momenti più difficili, quando il nome di Castiel esplodeva nella sua mente come un fuoco d’artificio, proiettando immagini vivide, pescate tra i ricordi. E la difficoltà principale consisteva proprio nel fatto che gli unici ricordi che si presentavano erano quelli più recenti e, pertanto, quelli più brutti e sofferti: il blu dei suoi occhi, carico di rancore per avergli mentito; la figura di Castiel che gli voltava le spalle e che si allontanava, dopo aver risposto al suo ti amo con un mi dispiace; il movimento increspato delle sue labbra quando gli aveva detto è finita. Quelle immagini non facevano altro che alimentare il rancore e la rabbia che Dean provava per Castiel, dando, come unico risultato, quello di rendere il solo pensare a lui un divieto assoluto, e il nome di Castiel una specie di tabù. Ma non era solo il nome del ragazzo ad essere ostracizzato. Infatti, in quei rari momenti di quiete in cui la rabbia si limitava a ribollire sommessamente, una piccola parte di Dean sfidava tale proibizione e provava a pensare a lui, perché voleva farlo, perché ne aveva bisogno, ma senza riuscirci. E allora si spingeva a cercarlo nella memoria, tra i ricordi di quei mesi passati insieme, inutilmente però, perché era come se il tempo trascorso con lui fosse sfuocato, rivestito da una patina torbida, come se non lo ricordasse chiaramente. Gli sfuggivano i dettagli dei luoghi, delle cose fatte, del giusto colore dei suoi occhi o dei suoi capelli. In quegli istanti, Dean si sentiva perso e sconfortato, perché aveva come l’impressione che, tutto ciò che lui era stato con Castiel, stesse scomparendo, come la sabbia che scivola via tra le dita, nonostante si cerchi di trattenerla in un pugno.
Lui.
Dean sentì un nodo stringergli la gola, incrementando il suo bisogno di aria. Succedeva così, ogni volta che i riflettori si spostavano su di sé, ricalcando i suoi chiaroscuri. Nonostante la rabbia e il rancore lo spingessero di continuo ad incolpare Castiel per la fine della loro relazione, quella piccola parte di Dean, la stessa che scandagliava il pozzo dei ricordi, continuava a chiedersi se, in fondo, fosse anche un po’ colpa sua. Ripercorrendo a ritroso tutto quello che era successo, laddove la memoria glielo permetteva, cercava di individuare qualche indizio, magari sotto forma si sbavatura, che avrebbe deviato il corso degli eventi verso un’altra strada. E le domande nascevano spontanee, giungendo ad ondate e incalzate dal fatto di non ottenere risposta. Forse avrebbe dovuto insistere di più e convincere Castiel a cambiare idea sulla sua decisione di lasciarlo? O, magari, avrebbe dovuto impegnarsi maggiormente quella sera al luna park, e non lasciare che la stizza lo portasse a dire quelle cose? Sicuramente, non avrebbe dovuto mentirgli e agire alle sue spalle, come invece aveva fatto. E se, invece, avrebbe dovuto approcciarsi al ragazzo con gli occhi blu in un modo diverso sin dall’inizio? Ma come? Dean si era avvicinato a Castiel, mosso da nient’altro che il suo istinto. Era stato proprio l’istinto che aveva guidato il suo corpo verso il portico di casa Novak, quel pomeriggio; che lo aveva poi portato più e più volte a ricercare la compagnia del giovane; che in seguito lo aveva spinto goffamente a baciarlo la prima volta; e che, infine, aveva fatto in modo che tutto, in Dean, fosse in funzione di Castiel.
 
“se io ho fatto tutto questo è solo perché ti amo”
 
L’aria abbandonò definitivamente i suoi polmoni e l’immagine della strada davanti a lui iniziò a sfarfallare. Le braccia di Dean si tesero in uno spasmo e il giovane sterzò bruscamente. L’Impala sobbalzò in malo modo, percorrendo ancora qualche metro con un leggero tremolio, per poi fermarsi di colpo.
Dean tenne le mani sul volante, respirando a bocca aperta e incamerando più aria possibile, che era tornata prepotente, così come se n’era andata. Il suo petto si alzava e si abbassava, mentre il cuore tamburellava così forte da stordirlo. Dean rimase immobile, finché il suo respiro si fece più regolare e il cuore rallentò la sua corsa. E fu in quel momento che il giovane batté più volte le palpebre, mettendo a fuoco la realtà intorno a lui. Il ragazzo fece scivolare piano le mani dal volante e contemporaneamente si guardò in giro, smarrito. Oltre i finestrini dell’Impala, l’oscurità aveva la meglio e solo la luce dei fari riusciva a ferire il buio, diradandolo in uno spiraglio. Dean concentrò la sua attenzione in quel varco luminoso e si rese conto di trovarsi di fronte ad una fitta macchia verde con numerosi alberi, le cui chiome andavano a morire nel nero della notte. Lì accanto, un cartello di legno riportava incisa una scritta.
Dean avvertì uno scatto dentro di sé, improvviso, secco, deciso, simile a quello di una serratura che si apre. Un click dal rumore preciso, definito, senza strascichi, capace però di dividere l’animo tra l’inquietudine e l’aspettativa per quello che seguirà dopo. La mano del giovane Winchester si mosse da sola, aprendo lo sportello, e il ragazzo uscì dall’abitacolo, ritrovandosi a fare qualche passo malfermo sulle proprie gambe. Dean si fermò di fronte al cartello, con le braccia lungo i fianchi.
 
 
“Non mi hai ancora detto dove andiamo”
“Ti ho detto che è una sorpresa”
 
Un gorgoglìo lieve risalì dalle profondità della memoria, liberandosi sulla superficie in cerchi concentrici.
 
“Dove siamo?”
“Vieni, scendiamo e vedrai”
 
Un altro gorgoglìo, più forte, increspò la superficie, seguito poi senza sosta da altri, via via sempre più intensi. Dean allungò una mano e con le dita ricalcò la scritta sul cartello, tastando con i polpastrelli la ferita del legno inciso.
 
“Benvenuto al Prairie Park”
 
All’improvviso la mente di Dean fu sopraffatta da un’ondata spumeggiante di immagini, che si presentarono a lui nitide e in tutta la loro chiarezza.
Ed eccolo lì, il tempo trascorso con Castiel, quei mesi passati insieme. I ricordi legati al ragazzo con gli occhi blu non erano scomparsi, come invece quella piccola parte di Dean temeva, ma erano stati rinchiusi in qualche posto, custoditi gelosamente, perché troppo preziosi. In quel momento, però, Dean si sentì confuso. Perché prima non riusciva ad avere accesso a quelle memorie? E perché, invece, ora erano loro ad andare incontro a lui, regalandogli dettagli di Castiel che sorrideva, o che inclinava il viso in quel modo particolare quando non capiva qualcosa, o ancora che lo guardava con intensità tale da farlo perdere nel blu dei suoi occhi?
Castiel.
Dean rimase in attesa, pronto ad assistere alla sua rabbia che interveniva, facendo rispettare il divieto imposto e ponendo fine a tutto quello, ma non avvenne nulla. E in quel momento il giovane Winchester si accorse che tutta la sua rabbia era improvvisamente scomparsa. Quella grande parte di lui, così forte da sembrare invincibile, quella stessa parte che aveva preso il comando nelle ultime settimane e che si era assunta la responsabilità di proteggerlo dal suo dolore, era semplicemente andata via. Ciò che era rimasto, invece, era quella piccola parte di Dean, quella che rincorreva affannosamente i ricordi, quella che sondava sé stesso, quella che contravveniva al divieto…quella che sentiva la mancanza di Castiel.
Dean avvertì il peso di quella nuova consapevolezza e le sue gambe cedettero, facendolo cadere in ginocchio sulla ghiaia, con le spalle ricurve. Gli occhi iniziarono a pungere e la vista ad offuscarsi. Ben presto calde lacrime, le prime da quello straziante pomeriggio in cui Castiel gli aveva detto addio, scesero lungo il viso, gridando quello che lui non riusciva a dire a voce: Castiel gli mancava con un’intensità da togliere il fiato. Vinto da quella realtà, Dean si portò le mani al viso, stringendole in un pugno, e si abbandonò al pianto, sussurrando tra i singhiozzi il nome di Castiel.
 
 
°°°
 
Dean trascinò i piedi sui gradini del portico, per poi trovarsi di fronte alla porta d’ingresso della propria casa. Intorno a lui, un silenzio ovattato cullava le ultime ore di sonno del quartiere. L’aria di metà maggio accarezzava piano la pelle, mentre il chiarore purpureo del cielo all’orizzonte prometteva una giornata serena.
Dean diede un’altra occhiata all’orologio, l’ennesima da quando aveva lasciato il Prairie Park: erano già passate le cinque del mattino. Il giovane Winchester si passò una mano sul viso, sospirando rumorosamente.
Il modo in cui se n’era andato la sera precedente e le parole che aveva rivolto al padre, si erano ripresentati in tutta la loro gravità nel momento in cui Dean era tornato in sé. Dopo aver dato sfogo al pianto, infatti, il ragazzo era rientrato nell’abitacolo dell’Impala, dove era rimasto per diverse ore, spossato da tutte quelle emozioni di cui era stato succube. Cullato dall’oscurità che lo circondava, Dean aveva oscillato tra la determinazione di riavere Castiel nella sua vita e la rassegnazione di averlo perso per sempre. Infine, nel momento in cui aveva ripreso contatto con la realtà, si era reso conto delle conseguenze del suo gesto. Quando aveva ripreso possesso del cellulare, gettato malamente sui sedili posteriori in uno scatto di nervi, vi aveva trovato numerose chiamate perse da parte del padre e altrettanti messaggi da parte di Mary, che lo supplicavano di tornare a casa o, quantomeno, di contattarla per farle sapere che stava bene. E così, con il peso della colpa per aver fatto preoccupare la madre, Dean si era deciso a far ritorno a casa. Tuttavia, durante il tragitto, non erano mancati dei momenti in cui Dean si interrogava sulla situazione che avrebbe trovato a casa, in particolar modo sulla reazione del padre. John teneva particolarmente alla disciplina e al rispetto, e il giovane in quella sera aveva infranto in un colpo solo la maggior parte delle regole dell’uomo.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, esitando. Avrebbe voluto prendersi ancora del tempo, per prepararsi alla sfuriata che John gli avrebbe sicuramente fatto, ma in cuor suo sapeva bene che più rimandava l’inevitabile, peggio era, e che, in verità, nulla lo avrebbe preparato alla reazione del padre.
Dean appoggiò la mano alla maniglia, soffermandosi su di essa per qualche istante e infine aprì la porta. Un silenzio quasi surreale lo accolse, in sintonia con la penombra del corridoio e delle stanze vicine. All’improvviso, però, un rumore sordo screziò la tranquillità della casa e dalla cucina uscirono John e Mary. Dean si immobilizzò, trattenendo il fiato.
“Dean!”
Richiamato da quella voce, Dean si voltò di scatto, in tempo per vedere Sam scendere di corsa le scale e venirgli incontro, per poi abbracciarlo con impeto.
“Dove sei stato? Stai bene?”
Sam lo guardava dal basso, in attesa di una risposta. La voce incrinata del minore e il verde lucido dei suoi occhi, non fecero altro che rimarcare la colpa che Dean provava nei confronti della sua famiglia per essersene andato in quel modo. In quel momento, infatti, il più grande intuì che il fratello dovesse aver atteso il suo ritorno, con ansia e preoccupazione.
Ed era vero. La sera precedente, il più piccolo dei Winchester, era stato mandato in camera sua, dal momento che i genitori dovevano parlare con Dean. Il ragazzino, però, preoccupato per quanto successo al fratello quella mattina, aveva disubbidito ed era uscito dalla sua stanza, per poi rannicchiarsi in cima alle scale e rimanere in ascolto. Quando la voce del fratello si era fatta più alta, rimbeccata da quella autorevole del padre, il cuore di Sam aveva iniziato a battere forte. E, infine, nel momento in cui aveva intravisto il maggiore percorrere il corridoio, per poi uscire dalla porta d’ingresso, la paura si era impadronita di lui, al punto tale da spingerlo a rifugiarsi in camera. Per tutta la notte, Sam era rimasto sveglio ad ascoltare i vari rumori che si rincorrevano per casa: la voce concitata della madre, la porta principale che si apriva e chiudeva continuamente, la macchina del padre che più volte era partita dal vialetto di casa, per poi farvi ritorno dopo un po’. Ma, in mezzo a tutto questo, c’era solo una cosa che Sammy avrebbe voluto sentire, ed era il motore dell’Impala, che avrebbe reso certo il ritorno del fratello.
Dean stirò le labbra in un sorriso lieve.
“Sto bene, Sammy” – aggiunse poi, scompigliando piano i capelli dell’altro con una mano.
“Sam, vai in camera tua”.
La voce di John arrivò calma, ma ferma.
“Ma, papà…” – tentò il minore, girandosi verso l’uomo.
“Ho detto vai in camera tua”.
Sam si voltò di nuovo verso il fratello, con un’espressione angosciata sul viso.
Dean fece un cenno del capo in direzione del piano di sopra, incitando così il più piccolo ad obbedire al genitore.
Sam esitò un attimo e infine annuì. Il ragazzino si avviò malvolentieri sulle scale, continuando a girarsi verso Dean, fino a scomparire in cima.
Dean rimase immobile, a pochi passi da John e Mary che lo guardavano, in silenzio. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, soffermandosi su quello della madre, che aveva gli occhi e i lineamenti segnati da una notte passata in piedi, a preoccuparsi di dove fosse il figlio. Il senso di colpa lo pungolò nuovamente, facendogli spostare l’attenzione altrove.
“Dove sei stato?” – chiese John, con la stessa voce ferma di prima.
Dean sussultò leggermente e fece per aprire bocca, ma la richiuse subito, senza dire nulla.
“Ti ho cercato dappertutto” – disse ancora l’uomo, avvicinandosi a lui.
Il giovane Winchester arretrò di poco.
“Ti abbiamo chiamato molte volte, ma tu non hai mai risposto”.
John era ormai ad un passo da lui, e Dean ne avvertiva la presenza, forte e schiacciante. D’istinto serrò le palpebre, ma, all’improvviso, sentì un calore avvolgerlo e, quando riaprì gli occhi, si rese conto di essere tra le braccia del padre.
“Mi hai fatto morire di paura…” – lo sentì mormorare.
Dean sentì un nodo stringergli la gola.
“Credevo che ti fosse successo qualcosa…”
Di fronte a quelle parole, il senso di colpa del ragazzo esplose, sopraffacendolo. Gli occhi iniziarono a pungere e le sue mani si aggrapparono alla maglietta dell’uomo, stringendone la stoffa tra le dita.
“Mi dispiace…”
 
 
 
 




~ L’angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Come vi avevo accennato settimana scorsa, questo capitolo avrebbe dovuto essere unico, ma la sua lunghezza, nonché la pesantezza della tematica trattata, era tale da decidere, in accordo con la beta, di dividerlo in due parti. Tuttavia sia gli avvenimenti che avete letto qui, sia quelli del prossimo capitolo (interamente dedicato a Castiel) si svolgono in un’unica giornata, che è la stessa, quindi le due letture vanno in parallelo.
In questa metà vediamo la situazione di Dean dopo tre settimane dalla rottura con Castiel, in modo particolare come il ragazzo passa dallo stato di negazione a quello della rabbia, per poi approdare a quello della contrattazione/depressione.
La reazione che ha avuto John, di fronte alla possibilità che il comportamento di Dean fosse frutto di un problema di cuore, è stata fatta apposta, per sottolineare come spesso i genitori di adolescenti tendano a sminuire e denigrare i problemi dei ragazzi, confrontandoli (sbagliando) con quelli del mondo degli adulti. È vero che in questa età si tende ad ingigantire ed esasperare tutto, ma è anche vero che il disagio e la sofferenza che provano i ragazzi è autentica, e come tale va rispettata. Ovviamente, anche la reazione finale dell’uomo è stata scelta di proposito, in antitesi con quella di partenza, per richiamare il fatto che, di fronte alla fuga di un figlio, per il genitore l’unica cosa che conta è che il ragazzo ritorni a casa incolume, indipendentemente dagli scontri che ci sono stati.
Durante il suo girovagare in macchina, Dean finisce al Prairie Park, proprio quel parco dove aveva portato Castiel per un pic-nic, quando erano ancora amici, e dove il biondo aveva chiesto all’altro di insegnarli qualcosa sulla lingua dei segni. È un luogo importante per il loro rapporto, perché aveva segnato un avvicinamento considerevole tra i due, e cementato la fiducia che Castiel riponeva in Dean. Ed è in questo posto che tutti i ricordi belli riemergono, e in cui Dean avverte finalmente la mancanza di Castiel in tutta la sua intensità.
Bene direi che è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, se avete dubbi o domande, pensieri idee, tutto quanto ^^
Alla prossima!
Sara
 
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
1) Il signor Graber è veramente l’attuale preside della Free State High School di Lawrence. Spero che non si offenda per essere stato partecipe, a sua insaputa, della sospensione di Dean Winchester xD
 
2) Al posto delle solite fan art, in questo aggiornamento vi delizio con delle immagini di Jensen Ackles da giovane xD (l'ultima è tratta proprio da Supernatural)

                 

 
   
 
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