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Autore: CaptainKonny    31/01/2017    7 recensioni
"Quando hai accettato la tua vita e sei pronta ad affrontare il tuo futuro.
Quando ti senti abbastanza forte, credendo che il passato non potrà mai tornare a farti del male.
...E poi arriva uno psicopatico a smontare il tutto."
***
Mi chiamo Serena Brooks e Aaron Hotchner è mio padre...e si è appena fatto rapire dal mio prossimo S.I.
Il vero problema è che io non voglio avere niente a che fare con mio padre.
***
[Dal testo della canzone "Daddy's little girl": Daddy, daddy, don't leave/I'll do anything to keep you right here with me/I'll clean my room, try hard in school/I'll be good, I promise you/Father, Father, I pray to you]
***
Un ringraziamento speciale ad una persona molto importante che ha contribuito alla revisione della storia una volta ultimata.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aaron Hotchner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

 
BAU TEAM

Dopo quasi tre ore di macchina, Prentiss parcheggiò il suv in dotazione dall’FBI accanto al marciapiede di quel quartiere eccentrico, ma quantomeno accogliente. Lei era abituata a grattacieli, condomini grigi con finestre rettangolari e, nella migliore delle ipotesi, case indipendenti con giardino. Georgetown invece era un tripudio di colori. Quelle che avrebbero dovuto essere case a schiera tutte identiche, erano in realtà completamente diverse tra di loro. A partire dalle scale d’ingresso, i muri dai colori più classici fino al blu e al verde, le porte e le finestre dagli stili del tutto originali, per finire con i tetti dalle forme più curiose; alcuni addirittura contigui con due case, ma realizzati per apparire diversificati tra loro. La cosa positiva era che c’erano molte strade a traffico limitato, questo rendeva la presenza delle macchine quasi inesistente e la tranquillità era garantita.

-Carino come posto.- fu il commento di Spencer una volta sceso dall’autovettura.

-Sei serio?- Emily lo guardò scioccata.

-Malgrado la diversità delle costruzioni, nel complesso sembra di stare in mezzo a un dipinto. Lo sapevi che è una comunità non incorporata del Kent County? Non è molto conosciuta, sebbene sia una grossa attrazione per i turisti. Tuttavia, si preferisce parlare del Maryland in generale, come una delle prime tra le tredici colonie che si ribellarono al governo britannico, dando inizio all’indipendenza delle colonie dell’America del Nord, guadagnandosi così il nome di Old Line State, ovvero: lo Stato della vecchia prima linea.-

Emily si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato, sapeva che era una cosa intrinseca al ragazzo comportarsi così e sotto un certo punto di vista lo trovava divertente. Perciò sorrise.

-Secchione.- Reid sorrise a sua volta, abbassando la testa come fosse un ragazzino.

-Avanti genio, qual è il nostro numero?- domandò con un sospiro rassegnato la collega.

-Il 5.- rispose Spencer, facendo subito vagare lo sguardo di porta in porta.

-lo trovarono alcuni metri più avanti, sul lato destro. Una scala da sette gradini bianchissimi curvava verso destra, portando ad una porta azzurro cielo sormontata da una struttura in pietra bianca con tanto di arco e tettuccio sulla sommità. La facciata dell’abitazione non era tutta dritta, ma a sinistra sporgeva in avanti, come i piedi di una torre. Sopra la porta vi era una finestra soltanto, di fianco si affacciavano ben quattro finestre: due al primo piano e due al pian terreno. Il tetto era lavorato con una ringhiera in pietra bianca a circondare la parte obliqua di tegole su cui poi faceva capolino il camino.

-Però, carino!- commentò Emily col naso rivolto verso il cielo, senza mettere troppo entusiasmo nelle parole.

-Chissà perché non mi sarei aspettato niente di diverso.-

-Che vuoi dire?-

-Dopo la morte della moglie, Hotch lasciava i figli dalla cognata. Dopo un trauma del genere, vivere in un ambiente come questo può favorire un’elaborazione e una guarigione più veloce della psiche. Guada la porta, dai segni sui lati si nota chiaramente che è da un bel po’ che nessuno ci dà una bella mano di vernice.-

-Intendi che non è stata più riverniciata da quando Jack e Serena erano piccoli?-

-E’ probabile, ma ovviamente sono solo ipotesi. Quello di cui sono sicuro è che il colore azzurro non è stato scelto a caso. Dalle incrostazioni oserei dire che questa porta in precedenza doveva essere rossa.- spiegò il dottore. Adesso era il momento della verità.

Emily suonò il campanello un paio di volte. Non dovettero attendere molto, una donna sula cinquantina aprì loro con un bel sorriso in volto. Spencer non poté fare a meno di notare che dal funerale della sorella non era cambiata poi molto. Aveva gli stesso lineamenti di Haley, gli occhi chiari e i capelli biondi. L’unica differenza era che lei li portava mossi, non lisci.

-Sì, desiderate?-

-E’ lei la signora Jessica Brooks?- domandò Emily con fare determinato, ma al contempo calmo e gentile.

-Sì, sono io.-

-Signora, io sono l’agente speciale Emily Prentiss e lui è il mio collega, il dottor Reid, siamo dell’FBI. Potremmo scambiare due parole con lei?-

-Ma certo.- rispose la donna, facendosi da parte per lasciarli entrare; tuttavia al giovane dottore era sembrato di scorgere uno scintillio in quegli occhi acuti, al sentire la parola “FBI”. Aveva come il presentimento che Rossi avesse ragione dicendo che non sarebbe stato un compito facile.

La signora Brooks li fece accomodare in salotto, uno spazio caldo e accogliente composto da due divani e una poltrona posti vicino al camino. Tutto nella stanza era arredato con colori caldi: rosso, marrone, giallo. Tutto predisposto affinché chiunque si sentisse come a casa propria.

-Prego, accomodatevi.- li invitò a sedersi. –Allora, di cosa volevate parlarmi?-

-Signora, mi duole farle questa domanda, ma è necessario per capire se stiamo parlando con la persona giusta. Sua sorella era Haley Brooks? Sposate con l’agente speciale Aaron Hotchner?- alla domanda posta dalla agente, le labbra della padrona di casa si tesero in una linea dura, severa, ma nel rispondere mantenne la compostezza dimostrata in precedenza.

-Sì, sono io.-

-Signora, quanto sto per dirle è della massima importanza e delicatezza, non vi avremmo coinvolte se non fosse stato strettamente necessario.-

-“Vi”?- questa volta la signora Brooks non nascose un accenno di ostilità a quelle parole.

-Lei e sua nipote Serena.- al sentir nominare la nipote la donna iniziò ad agitarsi sul posto, visibilmente contrariata a quel colloquio, ma ebbe l’educazione di lasciar finire l’altra di parlare –Ieri notte tuta la nostra squadra è atterrata a Quantico dopo  un caso molto difficile. Questa mattina l’agente Hotchner non si è presentato al lavoro.-

-Beh, non lo troverete di certo qui.- Spencer intuì che la donna dovesse aver pensato anche “di certo non è il benvenuto”, ma davanti a lui e alla sua collega non lo avrebbe mai ammesso. Tuttavia lui si senti in dovere di difendere il proprio capo.

-Questo lo sappiamo.- gli occhi della donna saettarono su di lui –Il suo rapitore ci ha contattato questa mattina.-

Il silenzio che precede la tempesta. La signora Brooks si portò una mano al petto, prendendo un paio di lunghi e profondi respiri. A quanto pareva nemmeno lei si sarebbe potuta immaginare che la faccenda fosse così grave.

-Signora, vuole che vada a prenderle un bicchiere d’acqua?- si offrì Emily. La donna negò con un cenno, tirando le labbra in un sorriso che voleva essere incoraggiante, ma ne uscì una smorfia non troppo convinta.

-Dovete scusarmi, io e mio cognato non abbiamo mai avuto un buonissimo rapporto. Haley era innamorata persa di lui e anche lui mi sembrava lo fosse di lei, ma il suo lavoro mi ha sempre lasciata perplessa. Un uomo sempre in giro per il mondo a salvare innocenti, come può dedicarsi alla sua famiglia?-

-Ma Hotch lo era, era innamorato di Haley. Ha sempre voluto il meglio per la sua famiglia.- intervenne Reid. Lui lavorava con Hotch da molti anni ormai e quando stai per molto tempo a contatto con una persona non puoi non sapere qualcosa riguardo la propria vita privata. Loro poi erano profiler, lo avrebbero capito se c’era qualcosa di strano. Tutti loro sapevano che Hotch lavorava molto, ma nessuno dimenticava i sorrisi che faceva quando passava i weekend a casa, con sua moglie e i suoi figli. No, nessuno del team avrebbe detto che Aaron Hotchner non era un buon padre di famiglia.

-Vero. Crede che non li abbia visti agente Reid? Erano una coppia perfetta, mai viste due persone più felici. Ma dopo la nascita di Jack quelle assenze erano diventate un problema. Tanto che mia sorella decise di lasciarlo. Era convinta che di fronte a duna simile proposta Aaron avrebbe messo il profiling da parte, magari tornando a fare l’avvocato. Non avrebbe mai rinunciato alla famiglia. Ma il lavoro gli era entrato dentro, non poteva farne a meno. Era come voler costringere un leone in gabbia.- non piangeva, non ancora, ma i suoi occhi luccicavano di lacrime represse: di rabbia e dolore.

-Quando si fa il nostro lavoro signora, si vedono tante di quelle cose, che il solo pensiero che ai nostri figli possa accadere qualcosa del genere ci spaventa a morte. E sono certa che il nostro capo pensasse a questo quando ha deciso di continuare a lavorare.-

-Signorina Prentiss, Aaron Hotchner è un gran uomo. Buono e dal cuore grande. Non dubito delle sue buone intenzioni, ma i risultati sono stati catastrofici. Mia sorella è morta a causa del suo lavoro.- le lacrime presero a solcare quel volto che si ostinava a mantenere la propria compostezza. Nessuno dei due agenti osò dire nulla. –Non do la colpa a lui per quanto è successo, come ho già detto posso immaginare quali fossero le intenzioni di mio cognato. Ma dopo la morte di Haley non si è fermato. Non è servito a nulla, capite? È stato a casa un po’ di tempo e poi è tornato al lavoro. In sua assenza stavo io con i bambini e voi non potete immaginare cosa voglia dire dare spiegazioni a due bambini che hanno perso la madre e tutto quello che vogliono è che il loro padre ritorni. In quei giorni ho odiato Aaron come non mai. Aveva due figli per l’amor del cielo!- con una mano si asciugò frettolosamente gli occhi, schiarendosi la voce prima di continuare –Poi è iniziata la scuola, i bambini sono cresciuti, avevano i loro impegni, vedevano il padre abbastanza regolarmente; si può dire che le acque si calmarono. Poi Jack è stato rapito. E poi ucciso. Ho visto quella famiglia venire distrutta una seconda volta. Cosa mi sarei aspettata? Che lasciasse il lavoro. Che prendesse sua figlia, l’unico affetto a lui rimasto, e si dedicasse interamente a lei. portandola via una volta per tute dal giro di criminali di cui la vostra squadra si occupa. Ma non lo ha fatto. Per come la vedo io, ha preferito scappare. L’ha affidata a me, le ha cambiato cognome. Una volta veniva spesso, telefonava…ora non ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta che l’ho sentito. Serena ha un padre fantasma. Per tenere sua figlia al sicuro, ha privato sua figlia di suo padre. Agenti, come pensate che io possa proteggerla? Sono vecchia. Lui era l’unico che avrebbe davvero potuto proteggerla.- il silenzio era calato, esattamente come la quiete dopo la tempesta.

-Signora Brooks, mi dispiace che lei la pensi così. Io purtroppo non sono qui per giudicare l’operato del mio capo sulle decisioni che ha preso in passato. Può darsi che abbia sbagliato, ma se non riusciamo a salvarlo di certo non avrà la possibilità di rimediare.- disse Emily, con tutto il tatto che poté usare.

-Che cosa posso fare?- si arrese infine la donna.

-Dobbiamo assolutamente parlare con sua nipote.- rispose ancora Emily.

-E’ fuori discussione. Non pensate abbia già sofferto abbastanza?-

I due agenti si sarebbero profusi in altre buone spiegazioni, se una voce non li avesse preceduti, attirando l’attenzione di tutti i presenti.

-E’ tutto a posto zia, voglio parlare con loro.-

POV. SERENA

Stavo studiando in camera mia, la porta chiusa e la sola luce proveniente dalla finestra sopra la mia scrivania, quando sentii il campanello suonare. Purtroppo, la mia curiosità era pari a quella di un bambino di quattro anni, perciò interruppi ciò che stavo facendo per rimanere il più immobile possibile, le orecchie tese nella speranza di captare le voci al piano inferiore. Persino il respiro rallentai. Distinsi le voci di una donna e di un ragazzo, parevano entrambi giovani, anche se lui più di lei. da come parlavano la zia li aveva lasciati entrare, chissà chi erano? Non aspettavamo visite questa mattina, in caso contrario me lo avrebbe detto di certo. Poi la voce della zia si fece più acuta e questo voleva dire solo una cosa: guai in vista. Ricordavo perfettamente quando usava quel tono con me dopo che avevo combinato una marachella. Come darle torto, ero un tipo piuttosto agitato da piccola. Mi alzai dalla sedia e socchiusi la porta, giusto un pochino, quel tanto che bastava per riuscire a sentire chiaramente tutto quello che si dicevano. Di certo non mi sarei mai immaginata di sentire il nome di mio padre. Alle parole “agente Hotchner” mi si gelò il sangue nelle vene.

A mia zia non piaceva parlare di mio padre e io badavo bene a non menzionarlo. Non parlavamo mai del mio trasferimento, ma solo del mio futuro. Quando arrivava una delle sue rare lettere o brevi telefonate, la zia me lo passava sempre con un’aria seccata. A suo parere se doveva sparire allora doveva sparire del tutto, non comparire di tanto in tanto per alleviare il suo senso di colpa. Io cosa pensavo? Credo che non esiste domanda più difficile di questa. Che dire? Da un lato non potevo darle torto, dall’altro rimaneva pur sempre mio padre. Perciò non potei fare a meno di pensare che quei due dovessero essere parecchio coraggiosi per parlare di lui con lei. Il cuore mi mancò un battito. La parte peggiore fu quando la zia fece un esaustivo riassunto del mio passato. Si sa, a far finta che certe cose non siano mai accadute, a non parlarne mai, le fa apparire meno vere, meno dolorose. Ma quando poi si torna con i piedi per terra e si è costretti a guardare in faccia la realtà…beh, lì tutto crolla. Ci si sente come i bambini davanti all’uomo nero e tutti aspettiamo che il nostro orsacchiotto di peluche estragga la sua spada di legno e ci difenda. Io non ho mai avuto per migliore amico un orsacchiotto, il mio cavaliere era mio papà, quando faceva capolino in cameretta dopo essere appena rientrato a casa. Poi un bel giorno la porta è rimasta socchiusa, il cavaliere e il mostro erano scomparsi; e io seppi che era giunto il momento di diventare grande. Eppure se ci penso bene, sono ancora con le coperte strette sotto al mento, a fissare quello spiraglio di luce, aspettando il suo ritorno.

-Lui era l’unica persona che avrebbe potuto davvero proteggerla.-

Mia zia concluse il racconto. Ero davvero curiosa di sapere cosa i due sconosciuti avrebbero detto. Mi stupii maggiormente quando la donna lasciò cadere le accuse su mio padre, limitandosi a dire che se non fossero riusciti a salvarlo lui  non avrebbe potuto rimediare ai suoi errori. Quali erano poi i suoi errori? Lo erano veramente? Chi era il mostro? Mio padre era nei guai, loro avevano bisogno del mio aiuto, questa volta era lui ad avere bisogno di me. Cosa dovevo fare? La zia non aveva torto, lui aveva fatto di tutto per scomparire dalla mia vita, quindi perché avrei dovuto volerlo aiutare? Eppure lo volevo. Era mio padre e una parte di me voleva dargli ancora un’ultima possibilità. Quei due sconosciuti, seduti in salotto, avevano fatto tanta strada solo per trovare me; solo per aiutare lui. Si erano comportati come dei figli apprensivi verso il loro padre, avrebbero fatto tutto pur di ritrovarlo. E questo pensiero mi diede fastidio ancor più di tutti gli altri. Lui era mio padre non loro. Io ero sua figlia non loro. Provai una forte invidia, tanto da accecarmi. Malgrado tutti i fatti, mio padre aveva sacrificato me per stare con loro. Avevo passato tutto questo tempo aspettando che lui tornasse, mentre lui per quei due era sempre a disposizione. Non era giusto. Specialmente per il fatto che adesso che si trovavano nei guai, allora io tornavo a contare qualcosa. Oh, no! La piccola Serena Hotchner se ne era andata, aveva lasciato il posto a Serena Brooks, cresciuta con degli ideali e dei valori, imparando dagli errori commessi nel suo passato. Avrei fatto vedere a tutti loro chi ero e cosa ero stata capace di diventare, sebbene senza un padre. Così presi un bel respiro e non lasciai il tempo ai due sconosciuti di rispondere.

-E’ tutto a posto zia, voglio parlare con loro.-

Perfino per me fu strano sentirmi pronunciare quelle parole. Tre paia di occhi mi guardavano visibilmente sorpresi. Beh, in effetti io avrei dovuto essere al piano di sopra a studiare, non sulle scale a origliare tutta la conversazione.

-Serena…-

-Davvero zia, è tutto okay. Non mi da fastidio.- alla fine, con un sospiro rassegnato, zia Jessica si alzò, cedendomi il posto di fronte ai due che al mio ingresso si erano alzati.

-Tu sei Serena.- si decise a dire il ragazzo, più un’affermazione che una domanda; dalla sua espressione sembrava avesse appena visto un fantasma. Ad ogni modo mi sembrò doveroso fare almeno un cenno d’assenso.

-E voi siete?-

-Io sono Emily Prentiss e lui è Spencer Reid, siamo colleghi di tuo padre.-

-Quindi siete dei profiler.- osservai mentre prendevo posto, analizzandoli da capo a piedi.

Mi sembrarono buffe le loro facce, era come se si sentissero impacciati. Che fosse perché avevano a che fare con la figlia “fantasma” del loro capo? Probabile. Ad ogni modo erano due agenti dell’FBI e dovevano essere anche parecchio in gamba per essere finiti a lavorare con mio padre, quindi come minimo mi sarei aspettata un briciolo di autocontrollo in più. Inutile, mi stavo appigliando a tutto pur di tenere le distanze da loro, di una freddezza che non mi apparteneva.

-Sì, ehm possiamo farti alcune domande su te e tuo padre?-

-Certamente.-

-Come sono i vostri rapporti ultimamente?- alzai le spalle, bella domanda, il difficile era trovare il modo di spiegarla a parole.

-Beh, da come avrete capito io e mio padre non ci vediamo molto spesso. Ogni tanto fa brevi telefonate, ma molte volte parla solo con la zia. Alle ricorrenze mi manda un SMS o una lettera. Ad ogni modo non è molto presente.-

-Ad occhio e croce quando è stata l’ultima volta che vi siete messi in contatto?- alzai le spalle.

-Quasi sicuramente circa un anno fa. Mese più mese meno.-

-Tu hai ventisei anni, giusto?- questa volta fu il turno di Spencer.

-Sì.-

-Quindi hai finito gli studi?-

-Non esattamente.-

-Spiegati.- quel ragazzo aveva l’aria di un professorino, sarebbe stato bello incontrarlo in altre circostanze e magari, perché no, diventare amici. Strinse gli occhi curioso, quasi stesse analizzando un testo molto antico e dovese trovarne la parola chiave.

-Ho fatto l’accademia per entrare a far parte dell’FBI.-

-Wow, quindi è un po’ una cosa di famiglia.- Emily era visibilmente sorpresa, tanto quanto lo fui io quando realizzai che era lo stesso lavoro che faceva mio padre, il quale biasimavo tutte le volte che tardava a tornare a casa. Tuttavia, mi ero ripromessa che io a differenza sua non avrei commesso i suoi stessi errori. –Che specializzazione?-

-Profiling.- ci fu un attimo di silenzio in cui i due mi guardarono sbigottiti, probabilmente pensando la stessa cosa che avevo pensato io poco fa. Il primo a riprendersi fu Spencer.

-Come mai proprio quella specializzazione?-

-Che vi devo dire? È un argomento che mi piace, mi intriga. Ho sempre ammirato mio padre per il lavoro che svolgeva, a mio parere è stato l’eroe di tante persone.-

-Ma il tuo no.- concluse Emily.

-Agente Prentiss, mio padre resterà sempre mio padre. Tuttavia non condivido certe scelte fatte da lui sulla nostra famiglia. È vero, voglio diventare una profiler e aiutare molte persone, ma mi sono ripromessa che in determinate situazioni non avrei fatto delle determinate scelte. Scelte che, sempre a mio parere, hanno disgregato la nostra famiglia.-

-Da quanto tempo studi profiling?- Spencer doveva aver capito che entrare troppo nello specifico sulla mia/nostra (mia e di mio padre) vita privata poteva portarci fuori strada: scoprendo troppi scheletri nell’armadio e creando una barriera tra me e loro che avrebbe reso sempre più difficile la nostra collaborazione; sveglio il ragazzo.

-Questo è l’ultimo anno. A fine semestre mi dovrei “laureare”.-

-Questo è tutto a nostro favore. Potresti darci una mano a scoprire chi ha rapito tuo padre e perché.- disse Emily, marcando la parola “rapito” come se non l’avessi capito.

-Ho accettato proprio per questo agente. Non…mi era sfuggito quel particolare.- tossicchiai, ammettendo la mia colpa sul fatto d’aver origliato. Inutile a dirlo, mio padre al mio posto avrebbe mantenuto la sua freddezza celando le sue azioni, ma era anche vero che lui aveva anni e anni di esperienza alle spalle.

-Ecco, riguardo a questo: hai qualche idea su chi possa essere stato?- si vedeva che quella donna aveva proprio a cuore questo caso e la cosa mi dette un po’ fastidio. Gelosia? Poteva essere. Invida? Anche. Decisi comunque di tenere quelle fastidiose insinuazioni per me.

-No. Come vi dicevo ci sentiamo molto poco e per pochi minuti. Non parliamo mai dei suoi casi. Solo come va e se è tutto okay. Non siamo di molte parole. Forse, ritiene che meno cose sappia di lui più io sarò al sicuro.- alzai le spalle, quell’affermazione stonava alle mie orecchie e probabilmente anche alle loro, sebbene sapessi che con tutte le probabilità era proprio così.

-Magari hai sentito qualcosa ai notiziari. La nostra collega che se ne occupa si chiama Jennifer Jereau, magari l’hai vista ancora.-

-Sì, può darsi. Anche se sinceramente non guardo molto la televisione. Lo studio e le lezioni assorbono quasi tutto il mio tempo.-

-Qualche…qualche criminale legato alla vostra famiglia?- si vedeva che avrebbe volentieri evitato la domanda per non ferirmi e apprezzai il gesto, sebbene dopo tutti quegli anni avessi imparato ad incassare il colpo senza farmi del male.

-Non mi pare. Gli unici che mi vengono in mente sono l’assassino di mia madre, che come ben sapete è morto, e quello di mio fratello. Ma se i miei calcoli non sono errati si trova ancora in prigione.-

Emily si umettò le labbra, era giunto il momento di arrivare al dunque.

-Serena, c’è un’altra cosa che dovremmo chiederti e ti prego di pensarci attentamente prima di rispondere. So che non sarà facile, ma malgrado tutto c’è in ballo la vita di una persona.- mi guardò seria e per un frangente mi sentii davanti ad una commissione d’esame: quella domanda era quella decisiva, quella che avrebbe scritto cosa ne sarebbe stato del mio futuro. –Vorremmo che tu venissi con noi a Quantico.-

-Cosa?- ero visibilmente sorpresa. Dal non esistere più nella vita di mio padre a lavorare con la sua stessa squadra. Beh, almeno c’era un denominatore comune: la sua assenza.

-Potresti aiutarci a identificare il rapitore.-

-Non saprei come. In fin dei conti siete voi i profiler migliori del mondo.-

-Lui conosce bene il nostro capo e la sua famiglia. Forse ti potrebbe venire in mente qualcosa che a noi sfugge.-

-Senza contare…- Spencer si era introdotto improvvisamente nella conversazione, lanciando alla collega un’occhiata che significava tutto, ma che per me era nulla e questo continuo stare sulle spine stava iniziando a mandarmi in bestia. Poi si voltò verso di me e continuò -…che il rapitore ha chiesto di te.-

-Temo di non capire.- era vero, c’era qualcosa in tutto il discorso che stonava terribilmente. Avevo un rapporto pressoché inesistente con mio padre, veniva rapito e il rapitore chiedeva di me; semplicemente assurdo. Che razza di rapitore poteva mai essere?!

-Nella telefonata che abbiamo ricevuto ha ammesso di aver rapito tuo padre e ha aggiunto di voler parlare con Serena Brooks. Abbiamo fatto un’attenta ricerca e siamo arrivati a te.- disse tutto d’un fiato Spencer, quasi volesse togliersi un peso dallo stomaco.

-Quindi non siete certi che in realtà stesse parlando di me?- la possibilità che si fossero sbagliati era un appiglio a cui mi stavo aggrappando disperatamente. Avevo impiegato una vita per imparare a ricominciare da capo e adesso che stavo finalmente per raggiungere il traguardo designato, l’indipendenza assoluta, mi veniva richiesto di riappropriarmi della mia vita, pacchetto completo. No, era decisamente fuori discussione. Non ero pronta.

-Serena, la probabilità che ci stiamo sbagliando è molto scarsa.- rispose lentamente Emily, lasciandomi il tempo di interiorizzare le sue parole.

-E se non fossi io?- feci la sostenuta, probabilmente in quel momento mio padre sarebbe stato orgoglioso di me. Quando mi comportavo così mia zia me lo ripeteva continuamente che ero uguale a lui, quasi fosse una brutta cosa.

-Tornerai a casa. Non verrai coinvolta ulteriormente.- rispose Reid.

-Il rapitore ha chiesto di Serena Brooks. Se fossi tu e non ti presentassi, potrebbe anche decidere di fare del male a tuo padre. In caso contrario potresti farci guadagnare un po’ di tempo e magari potremmo scoprire qualcosa: di chi si tratta, dove si nasconde…e se non sarai tu ti prometto che potrai tornare a casa. Almeno avremo fatto un tentativo.- confermò Emily.  Nei loro sguardi c’era il determinato bisogno di una sicurezza e l’unica che poteva dargliela in quel momento ero proprio io. Che cosa dovevo fare? Molte volte avevo pensato a come sarebbe stato tornare alla vita di prima, a lavorare con mio padre e la sua squadra, a salvare una vita. Ma mai avrei pensato che la vita da salvare sarebbe stata proprio la sua. Potrei sembrare egoista, ma in quel momento ebbi più paura per me, del dovermi mettere faccia a faccia col mio specchio, che non per il pericolo che mio padre stava correndo in quel preciso momento. Ne capivo l’urgenza dai loro sguardi e io mi sentii ancor più tagliata fuori.

-Serena, Hotch lo avrebbe fatto se fossi tu al suo posto.- disse Reid.

-Lo so.- era come se non fossi stata io a parlare, come se fosse stata un’altra me. A quelle parole, a quell’ammissione, sentii il mio battito cardiaco accelerare; adrenalina e paura. Quella piccola sensazione che fin da piccola non mi aveva mai abbandonata. Mi resi conto che non solo era sempre stata lì, ma era anche più viva che mai come se non avesse aspettato altro che la tirassi fuori nel momento più opportuno. Potevo fare la sostenuta, celare la verità agli occhi degli altri, ma non a me stessa; non dopo aver aspettato tutto questo tempo. Io dovevo sapere.

-D’accordo. Verrò con voi.-
 

“Baci pensati e mai spesi
Sguardi volti ad orologi appesi
Alla stazione un’emozione
Alla vita che si fa sognare.
Sento il suono del metallo che stride
Mentre passo qualcuno sorride
Frena il treno e mi sposta un po’
Adesso lo so, sto arrivando da te…
Niente di più semplice
Niente in più da chiedere”

  
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