Capitolo
4
«Sicura
che non vuoi una mano?»
«Per
l'ennesima volta Dawn, no!» Rispose
esasperata la povera Caroline, portando in casa il sacchetto con le
poche
vivande prese al negozio di Lynn.
La
bionda trattenne un sorriso all'espressione
esasperata e buffissima dipinta sul volto della donna, per tutto il
tragitto
era stata silenziosa ed inquieta, sembrava che mille preoccupazioni
l'affliggessero e per quanto curiosa non aveva letto la sua aura.
Avrebbe
voluto fare domande o parlare di quanto le fossero sembrate simpatiche
le poche
persone incontrate al paese, soprattutto la vecchia Jamie Lynn,
scorbutica
quanto Caroline, ma il silenzio della donna le aveva fatto capire che
non era
in vena di chiacchierare.
Ma
forse ora sì, si
disse. E poi non riusciva più a stare in silenzio, cosa
alquanto strana per lei
che rimaneva sempre in disparte senza mai aprire bocca.
«Erano simpatiche le
due donne della drogheria.» Sospirò infine,
tentando di intavolare una
qualsiasi conversazione per mandar via quell'aria di cupa
preoccupazione calata
sull'anziana donna.
«Di
sicuro non quella bocca larga di Patty.» La
contraddì l'altra, entrando in casa.
«Quella donna non è mai stata in grado di tenere
la bocca chiusa, o il naso
fuori dagli affari che non la riguardavano.» L'improvviso
cipiglio severo e
risentito che sostituì la preoccupazione sul volto di
Caroline, le fece capire
che mettere in ballo le due donne conosciute in paese non era stata
un'idea
brillante; anzi. E solo in quel momento capì che forse la
cosa più giusta era
lasciarla da sola, in modo da poter tenere a bada preoccupazioni o
fantasmi del
passato.
«Ti
dispiace se vado su a riposare? Sono un po'
stanca.» Sorrise, sapendo già la risposta che
sarebbe arrivata.
«Mi
dispiace che tu sia ancora qui! Certo che puoi
andare a riposare, non devi nemmeno chiedermi il permesso!»
La riprese infatti
la donna, indicandole con l'indice le scale che portavano al piano
superiore.
«Forza, sparisci.» Le ordinò.
Dawn
si lasciò scappare una risatina e si affrettò
a salire in camera, qualcosa però le diceva che quel posto e
le persone che ci
abitavano nascondevano troppe cose dietro i loro visi gentili e
disponibili.
***
Uno
scoppio e la conseguente nuvola di fumo che
s'innalzò verso il cielo, peggiorarono l'umore
già di per sé cupo di Scott.
«Dannato
catorcio!» Imprecò il rosso, dando un
pugno al volante del vecchio trattore di famiglia. Il macchinario aveva
quasi
il triplo dei suoi anni ed era normale che desse dei problemi, ma ci
aveva
lavorato su tutta la mattina e vedere i suoi sforzi divenire vani era
uno
stress non indifferente per lui. Sfinito, si massaggiò le
tempie doloranti e
scese dal trattore per dirigersi in casa. Aveva bisogno di una birra,
era
l'unico modo che conosceva per calmarsi o avrebbe dato di matto. Per
qualche
strano motivo quella mattina, dopo aver dato da mangiare agli animali,
gli era
venuta la strana voglia di provare a dare un aspetto più
decente a quei campi,
di tosare l'erba e ararli. Prima di allora aveva sempre cercato di
fregarsene
della decadenza che lo circondava, ma non quel giorno a quanto sembrava.
Entrò in cucina e si diresse spedito verso il frigo,
pregustando già il momento
in cui le sue labbra si sarebbero posate sulla fredda bottiglia in
vetro ed il
fresco liquido ambrato bruciato la gola - anche se ormai non ci faceva
più caso
-, ma una volta aperto l'elettrodomestico gelò sul posto. La
birra era finita,
ed era una cosa che aveva già scoperto quella stessa
mattina, ma dimenticato a
causa degli impegni. Represse un grido di frustrazione e diede un
calcio al
frigo, vittima innocente della sua furia.
Ora era costretto a recarsi in paese per comprarla, cosa che non lo
entusiasmava per nulla, soprattutto dall'arrivo di Dawn lì.
Già poteva
avvertirle, le occhiate di odio e repulsione che i suoi compaesani gli
avrebbero lanciato, per tutta la vita aveva dovuto conviverci; anche
quando non
aveva fatto nulla di male. A volte si chiedeva chi fosse il vero
cattivo in
quel paesino di bifolchi pronti a puntare il dito, come in un'insensata
caccia
alle streghe.
Prese le chiavi del suo sgangherato pick-up e le strinse tra le mani,
indeciso
se cedere o meno alla tentazione di una stupida birra, poteva sempre
prepararsi
un limonata, stendersi sul divano e... oh, al diavolo! Non poteva
temere le
chiacchiere inutili di quelle persone proprio ora, soprattutto quando
cercava
di fare del bene invece del contrario. A passi ancora incerti,
uscì di casa ed
entrò nell'abitacolo, prendendosi qualche secondo prima di
accendere il motore
e partire.
Di che si preoccupava? Tanto quelle persone lo avevano sempre reputato
un poco
di buono e sapere di Dawn e del bambino di sicuro non li aveva
scioccati, ma
resi felici nel sapere che non si erano mai sbagliati su di lui. Aveva
dato già
spettacolo al liceo, dimostrando a tutti di essere il mostro che gli
avevano
sempre visto dentro, anche quando era solo un bambino. E non era
bastata la sua
parola o gridare di essere innocente per venire scagionato, no; lui era
un
Douglas non Scott e tale sarebbe sempre rimasto ai loro ipocriti occhi.
Fermò
il pick-up davanti alla drogheria di Jamie
Lynn e Patty e scese dalla vettura lentamente, guardandosi intorno e
notando
con sollievo che la strada era desolata. Meglio così, almeno
per il momento
avrebbe evitato le occhiatacce degli idioti di quel posto.
Entrò in negozio
senza nemmeno salutare, ormai erano anni che aveva smesso di farlo, e
raggiunse
spedito lo scaffale dove erano riposte le bibite.
«Oh,
ma guarda, il degno figlio dei suoi
genitori.» Quella voce... Scott gelò sul posto ed
alzò velocemente lo sguardo,
incontrando gli occhi scuri e carichi di cattiveria di Theresa.
Doveva
immaginarlo! Era troppo bello sperare di
poter avere un po' di pace. Ignorando la donna, afferrò con
rabbia una
confezione di birra e si affrettò a deporla sul bancone.
Doveva andarsene in
fretta da quel posto, o avrebbe commesso qualcosa di immorale e
cattivo,
proprio come tutti gli abitanti del paese si aspettavano.
«Certo,
ignorami pure.» Ripartì alla carica la
donna, offesa per essere stata bellamente ignorata.
«Ciò non cambia il fatto
che sei un bastardo, Douglas. Come hai potuto abbandonare una ragazza
dolce
come Dawn ed il vostro bambino? Certo la cosa non mi stupisce
più di tanto, tuo
padre ha sposato tua madre solo per la fattoria e non certo per il
marmocchio
che portava in grembo o per amore.» Commentò
maligna.
Scott
strinse i pugni, imponendosi di ignorare
quella strega. Sapeva già tutto sui suoi genitori, sapeva
che Vincent aveva
sposato Ashley solo per avere il controllo sulla fattoria ed i guadagni
ricavati da essa, non certo perché l'amava o
perché era stato disposto a
prendersi le proprie responsabilità.
"Non
vali nulla, se non fosse
stato per questa fattoria non avrei mai accettato di prendermi cura di
te o di
tua madre", quante
volte si era sentito
ripetere quelle parole? Troppe per un bambino, e non erano state
nemmeno le
peggiori.
«Theresa,
come ti ho già detto le tue dannate
gelatine alla frutta non ci sono, ed ora sparisci.»
S'intromise Jamie Lynn,
fulminando la lavandaia con rabbia.
«Sì,
me ne vado. Non voglio restare un minuto in
più qui dentro, potrei restare contagiata da tanta
malvagità.» Sputò velenosa
la donna.
«Tranquilla,
tu non corri questo rischio.»
Commentò Lynn, stampandosi in volto un sorrisino serafico
mentre gli occhi
ardevano di collera.
Theresa
sbuffò oltraggiata ed uscì velocemente dal
negozio, alleggerendo immediatamente l'aria senza la sua presenza.
«Allora,»
iniziò subito dopo Jamie Lynn. «Prendi
solo questa?» Puntò la birra con evidente
disappunto.
Scott
annuì brusco, senza mai alzare lo sguardo su
di lei.
«Bene.»
Si limitò a rispondere lei, anche se in
realtà la donna avrebbe voluto gridare il suo disappunto sul
consumo di alcol
da parte di un ragazzo di appena vent'anni. Ma rimase in silenzio, mise
la
birra in un sacchetto di carta e la porse al ragazzo. «Offre
la casa.»
«No!»
Gridò all'improvviso il rosso, facendo
sobbalzare Patty - che fino a quel momento aveva assistito a tutto in
disparte
- dallo spavento. «Non voglio debiti con nessuno.»
Detto ciò, il ragazzo sbatté
sgraziatamente cinque dollari sul bancone e se ne andò senza
nemmeno prendersi
il resto.
Si
rifugiò velocemente nel pick-up e strinse le
mani sul volante, trattenendo dentro tutta la collera che provava. Quel
"offre la casa" lo aveva fatto infuriare più delle
cattiverie di
Theresa, non voleva nulla da nessuno lui, già una volta lo
aveva fatto; aveva
pregato di essere accettato da quella comunità, di essere
visto come Scott e
non come un Douglas e loro lo avevano trattato come un batterio letale
che
andava annientato. Ed ora se ne uscivano con quelle stronzate
sull'offrire? No,
era troppo tardi per cercare di ripulirsi la coscienza prima di morire.
Ed era arrivato il momento di rifare una visitina a Caroline.
Mise in modo il vecchio rottame e partì verso la fattoria
della donna. Da
bambino ci aveva passato giorni interi lì, ed anche notti
quando i suoi erano
troppo ubriachi per occuparsi di lui. La zia Carol, come
la
chiamava una volta, era stata una delle poche persone - se non l'unica
- che
l'aveva trattato come un bambino normale, che lo aveva abbracciato,
accarezzato
e letto le favole della buonanotte prima di addormentarsi. Era stata
come una
madre per lui, le aveva voluto un bene immenso, fino a quando si era
reso conto
che quel posto non l'avrebbe mai accettato e di conseguenza nemmeno
lei, era
solo il rimpiazzo dei suoi figli. Da allora non era più
andato a trovarla e ne
aveva sofferto tantissimo all'inizio, poi tutto era passato, tutte le
emozioni
buone ed il dolore erano come sparite dal suo corpo e n'era stato
felice.
Ma ora... ora quelle emozioni stavano ritornando ancora più
forti dall'arrivo
di Dawn nella sua vita; il rimorso, la paura, la gioia, la tristezza...
il
dolore. Tutte si stavano ripresentando con prepotenza dentro di lui,
facendolo
vacillare e mandando in frantumi la maschera che si era costruito dopo
tanta
pena e sofferenza. E questo non riusciva a sopportarlo, riprovare
quella
dolorosa stretta al cuore, quell'agonia che toglieva il respiro... lui
non lo
voleva! Non rivoleva le emozioni nella sua vita, non quelle
almeno.
C'era stato un momento, da piccolo, in cui aveva immaginato di
diventare papà,
e nella sua fantasia infantile lui non si comportava come suo padre ma
ripeteva
sempre a quel bambino quanto fosse felice della sua nascita, che lo
aveva
voluto ed accettato. Ma all'epoca era solo un poppante che della vita
non aveva
ancora capito nulla, lui avrebbe anche potuto amare ed accettare quel
bambino
ma non gli abitanti di Yellowknife. Quindi, Dawn doveva andare via,
fuggire da
quel covo di serpi e crescere suo figlio in un posto migliore di
quello. E
sapeva che lei lo avrebbe amato con tutta se stessa, che sarebbe stata
- e lo
era già - una madre fantastica; ma lui, per quanto dentro
stesse morendo, non
poteva far parte delle loro vite. Scott Douglas era solo un mostro, un
reietto
ed un maledetto che non meritava di amare o di essere amato, avrebbe
portato su
di loro tutte le ingiurie che lui stesso aveva dovuto subire e che
continuava a
subire.
Fermò
il pick-up ed il corso dei suoi pensieri
quando si rese conto di trovarsi davanti alla fattoria di Caroline.
Spense il
motore e scese sbattendo la portiera per farsi sentire dalla donna se
mai fosse
stata in casa e non nei campi. Infatti, dopo poco, vide la chioma
grigia di
Caroline far capolino dalla porta lasciata aperta, ed appena gli occhi
appannati della donna si posarono su di lui un guizzo inquieto li
attraversò.
La
padrona di casa uscì sul portico incrociando le
braccia al petto. «Sei venuto qui per vedere cosa si prova ad
avere del piombo
nel sedere o per riprenderti ciò che è
tuo?» Gli chiese la donna.
Non
potrò mai prendermi ciò che mi
appartiene, pensò
cupamente. «Nessuna delle
due cose.» Rispose invece.
«Sono venuto per parlare con Dawn. Di nuovo.»
«No
che non ci parlerai, invece.» Lo contraddisse
Caroline. «L'ho mandata a riposare perché molto
stanca e provata, tu non puoi
nemmeno immaginare quanto sia impegnativa la gravidanza per una donna.
Non è
solo emozione, tutine e calcetti!» S'inalberò lei,
scendendo le scale del
porticato per venirgli incontro. «Vieni con me!»
Gli ordinò poi, tirandolo per
la manica della sua camicia.
«Ehi!»
Protestò, tentando di opporsi alla donna,
ma - proprio come la ricordava - questa aveva una forza quasi sovrumana
e non
poté far altro che seguirla. Si lasciò trascinare
fino al piccolo orto dietro
casa, quello che Caroline usava per se stessa e non per la sua azienda.
«Eccoci
qua.» Disse soddisfatta, lasciando la
presa alla sua camicia per abbassarsi a raccogliere qualcosa. Si
voltò
nuovamente verso di lui e gli lanciò una zappetta ed un
sacchetto di ciò che
riconobbe come semi.
«Ehm...
cosa dovrei farci esattamente?» Chiese in
confusione.
«Ma
lavorarci, no?» Esclamò Caroline con
ovvietà.
«Io sono vecchia ormai e non posso prendermi cura del mio
orto, quindi visto
che tu sei giovane, forte e disponibile potresti farmi questo
favore.»
«Già.
E perché mai dovrei farlo?» Borbottò
secco.
«Perché
magari potrei anche decidere di farti
parlare con Dawn.» La donna gli sorrise amabilmente e gli
puntò con un cenno
del capo gli attrezzi ai suoi piedi.
«Mi
stai per caso ricattando?» Scott iniziava a
sentirsi sempre più irritato, era andato lì per
parlare con la ragazza e si
trovava a discutere con la vecchia di giardinaggio!
«Prendila
più come uno scambio equo di favori. Ed
ora sbrigati!» Sbottò spazientita la donna.
Il
rosso imprecò tra i denti, s'inginocchiò ed
iniziò
a scavare un piccolo fosso nella terra usando la zappetta, sporcandosi
le mani
prive di protezione. «Potrei avere gentilmente dei
guan...» Un
paio di guanti bianchi con una stampa floreale ricamata sopra gli
arrivarono
dritti in faccia prima che potesse terminare la frase.
«Grazie!» Ringhiò tra i
denti, infilandoseli per riprendere a lavorare.
Caroline
rimase ferma a fissarlo, senza aprire
bocca e lui rimase altrettanto zitto, chiedendosi come fosse finito a
piantare
semi. Avrebbe potuto anche mandarla al diavolo ed andarsene, ma qualche
strano
motivo - che al momento non voleva scoprire - non lo aveva fatto, e di
certo
non credeva sul serio che alla fine la donna l'avrebbe fatto parlare
con Dawn,
la conosceva fin troppo bene.
«Non
hai ancora smesso di scappare dalle tue
paure?» Esclamò all'improvviso Caroline,
causandogli l'arresto di ogni muscolo.
Scott
sapeva benissimo a cosa si riferisse la
donna, gli dava del codardo perché preferiva mandare via
Dawn e sopportare le
critiche e le maldicenze - che prima o poi si sarebbero esaurite -
invece che
prendersi cura della ragazza e del bambino in arrivo.
«Lo
faccio per loro.» Rispose, affondando con
forza l'attrezzo nel terreno.
«Cazzate!
Lo fai per te stesso, perché per te è
meglio mandarli via che prenderti cura di lei e fare il
padre!» Gridò la donna,
pestando con forza il piede sui semi che aveva appena piantato.
Il
rosso si alzò di scatto, lanciando la zappetta
contro il muro vicino e fissando la donna con rabbia. «Credi
che per me sia
davvero così facile?! Sai cosa succederebbe se accettassi
Dawn ed il bambino?
Verrebbero etichettati come me! Quel povero esserino non
verrà mai accettato,
per quanto ci proverà non riceverà mai
amore!» Gridò, sentendo la gola
chiudersi subito dopo, come se il suo stesso corpo lo stesse
proteggendo,
evitando che altre parole uscissero e mettessero a nudo il suo animo
tormentato.
«E
tu credi che gli abitanti di questo posto
avrebbero dovuto darti amore incondizionatamente?» Gli chiese
Caroline,
spiazzandolo. «Erano i tuoi genitori quelli da cui volevi
amore, hai cercato
negli altri qualcosa che non avresti mai potuto avere davvero! Certo,
le
persone qui si sono comportate da perfetti stronzi, ma pensaci; se
avessi
ricevuto amore dai tuoi genitori ti sarebbe davvero importato
così tanto il
giudizio di quelle persone?»
Per
la prima volta dopo anni, Scott non seppe cosa
dire o come agire. Non aveva mai pensato di cercare inconsapevolmente
l'amore
dei suoi genitori, aveva sempre saputo di non essere amato da loro e da
piccolo
aveva creduto di averlo accettato. Aveva provato ad essere un buon
figlio,
ubbidiente e calmo, ma questo non aveva mai cambiato le cose.
«Ed
ora,» continuò la donna, «c'è
un bambino che
potrebbe crescere senza un padre, nella convinzione di non essere
riuscito a
farsi amare abbastanza dall'uomo che ha contributo alla sua nascita da
indurlo
a restare. Ci hai mai pensato?»
No,
non ci aveva mai pensato prima d'ora, aveva
pensato solo a se stesso; da perfetto egoista, proprio come suo padre.
«Non ho
nulla da offrire loro.» Si oppose debolmente con poca
convinzione, quasi
sussurrando quella frase.
«Una
spalla in più per quella ragazza ed un padre
per quel bambino è molto da dare, soprattutto nelle
condizioni di Dawn, che ha
lasciato tutto per inseguire un idiota e dare una figura paterna a suo
figlio.»
Caroline gli si avvicinò e gli posò le mani sulle
spalle. «Quella ragazza ti
ama, Scott, e quel bambino potrebbe amarti ma prima devi amarlo tu. Ora
vai a
casa e pensaci su, okay?» Gli suggerì con dolcezza.
Il
ragazzo annuì come in un trans, la sua mente
non era più lì, ma vagava tra le mille
convinzioni che in quegli anni si era
portato dentro, ormai quasi tutte distrutte.
Si allontanò dalla donna, da quell'orto, da quella casa, da
Dawn e risalì nel
suo pick-up per tornare a casa.
Caroline aveva ragione, constatò con fatica, lui aveva paura
e preferiva
fuggire. Paura di essere odiato da suo figlio e tradito da Dawn, se mai
un
giorno le avesse permesso di entrargli nel cuore, come avevano
già fatto in
troppi. Ma non lo avrebbe permesso un'altra volta, quello mai.
Arrivò
a casa con una confusione in testa che lo
stava facendo impazzire.
"E quel bambino potrebbe amarti, ma prima devi amarlo tu", le parole
di Caroline gli esplosero come un grido doloroso nella mente, tanto che
si
portò le mani alle orecchie per proteggersi. Lui non era in
grado di amare, ma
la verità era che voleva davvero amare suo figlio ed essere
ricambiato, ammise
a se stesso. Aveva sempre voluto solo quello: essere amato, ma ormai
aveva
troppa paura e respingeva chiunque per evitare di essere deluso ancora.
Finalmente, l'uragano di pensieri si arrestò e Scott
alzò lo sguardo verso il
salotto di casa, reprimendo un gemito di disgusto al caos che vi
regnava.
C'erano bottiglie di birra, cartoni di pizza o di altro cibo d'asporto
disseminati per il pavimento e negli angoli più impensabili
della casa.
Reprimendo un'imprecazione, afferrò un sacchetto per
l'immondizia da un
cassetto in cucina ed iniziò a dare una ripulita, cosa che
non faceva da tanto
tempo. Ma era una cosa necessaria, non poteva far vivere Dawn in un
posto del
genere, soprattutto non nel suo stato delicato. Ovviamente, la sua
preoccupazione andava soprattutto al bambino, non alla ragazza in
particolare,
si disse. Aveva accettato suo figlio, avrebbe imparato ad amarlo, ma
non si
sarebbe mai fidato di Dawn. Non si sarebbe fidato mai più di
un'altra persona.