Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    01/02/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 9 ~ 
UNA RAGAZZA CHE PIANGE



 
La faccenda del Thunderbolt aveva lasciato Briz parecchio sconvolta:
ritornata in plancia di comando, riuscì a riprendersi pian piano e, seduta all'ampia postazione che il dottor Daimonji divideva con Sakon e Jamilah, raccontò a lui e agli altri quello che le era accaduto.
L'unica spiegazione che Daimonji poté darle, fu che un ultimo residuo del DNA di Alessandro fosse rimasto nei connettori neurali di Balthazar e avesse interagito temporaneamente col suo.
A lei sembrò una teoria più paranormale che scientifica, ma proprio per questo sposava felicemente col fatto che lo strano fenomeno le fosse venuto in aiuto nel momento giusto. Decise di accettarlo così, senza porsi altre domande e chiedendosi se, in futuro, le sarebbe capitato di nuovo.
Del resto, la sensazione di qualcuno che la affiancava nei combattimenti la accompagnava ormai da tempo; era ovvio che fosse solo suggestione, ma illudersi che potesse essere davvero Ale, che male avrebbe potuto mai farle? Tanto ormai… le stranezze nella sua vita erano all'ordine del giorno!
Con ancora il battito del cuore irregolare, si diresse alla sua postazione, mentre Pete impostava le manovre di decollo per apprestarsi a tornare a Omaezaki. Bunta, che si stava a sua volta dirigendo al suo posto, le andò incontro.
– Briz, stai bene?
Lei si sentì quasi sopraffatta da un'ondata di affetto per quell'amico che l'aveva tolta da un notevole guaio.
– Ehi, ragazzone! Sto bene, sì, grazie a te: se non fossi arrivato tu, credo che sarei ancora là sotto, ad affogare lentamente – gli disse, abbracciandolo e schioccandogli un bacetto sulla guancia paffuta.
– Sono qui per questo, no? Lavoro di squadra – disse Bunta, ricambiando l'abbraccio: gli sembrò che Briz avesse disperatamente bisogno di un gesto rassicurante.
Il Capitano Richardson interruppe quell'affettuoso ringraziamento:
– Partenza prevista tra un minuto. Quando avete finito con le smancerie ditelo, che magari partiamo! Mi state mandando in coma iperglicemico!
Avrebbe potuto essere una frase scherzosa, invece la voce di Pete era suonata gelida come il Polo Nord; niente a che vedere con la preoccupazione che Briz aveva avvertito quando non riusciva a mettersi in contatto con lei, o quando l'aveva vista provata e confusa dopo la battaglia. Mentre Bunta, con un'espressione interrogativa sul viso, la lasciava per tornare al suo posto, lei decise di sfoderare la sua consueta ironia.
– Che succede, Capitan Richardson? Vuoi un bacio anche tu?
– Ma non credo proprio!
– Ecco, meglio così: avrei paura di congelarmi le labbra! – ridacchiò lei.
– E io di morire avvelenato.
Tono durissimo e glaciale: Briz rimase impietrita da quella replica.
Si morse un labbro, per impedirsi di mandarlo in qualche posto sconveniente a fare qualcosa di ancor più sconveniente, e si sedette alla sua postazione. Spense il suo auricolare, allacciò la cintura e sentì i motori del Drago partire, aumentare i giri e, infine, la grande astronave staccarsi dal suolo: il suo pilota era già concentrato nell'esecuzione dei suoi compiti.
Briz guardò Midori e formulò la domanda solo con le labbra:
– Ma che gli ho fatto?
Midori sollevò appena le spalle, come per dire che non ne aveva idea. Anche lei aveva staccato il microfono e le parlò sottovoce:
– Lo sai che Pete è fatto così.
– Già, è fatto male! E non è nemmeno una novità! – fu la sua lapidaria considerazione.
– Briz – la chiamò Sanshiro, tenendo anche lui la voce bassa – Mi sbaglierò… ma se vuoi un parere da un punto di vista maschile, questo sembrava davvero un attacco di gelosia!
– Sanshiro, – osservò Briz – ti è sfuggito un particolare: la gelosia è un sentimento, che fra l'altro ne implica degli altri; è qualcosa di totalmente incompatibile con Pete.
– Ah, già… hai ragione, non avevo pensato che non stiamo parlando di un normale essere umano.
– Bah! Che vada al diavolo, lui e il suo carattere di m… – finì bofonchiando Fabrizia, anche se la parola finale fu ben interpretata dai suoi vicini.
Incrociò le braccia e chiuse gli occhi, cercando di controllare il tremito che le era tornato. Aveva già i suoi pensieri, i suoi problemi… ci mancavano solo le battutine acide di quel carognone misogino!
Non poteva certo dimenticare che, quel giorno, anche Ale avrebbe compiuto ventun anni: risentì nella mente la sua amata voce, perduta e familiare, che le suggeriva il nome della nuova arma di Balthazar.
E poi, come perfetto contrasto, le risuonò di nuovo nelle orecchie la voce fredda di Pete: "E io di morire avvelenato". 
Se avesse pronunciato quella frase in modo scherzoso, lei ci avrebbe sicuramente riso sopra ribattendo con una delle sue cazzate, qualcosa tipo: "Certo, io sono la donna tarantola!" 
Invece, con quel tono gelido, l'aveva letteralmente spenta: era stato il degno coronamento di una giornata di compleanno decisamente schifosa.
Ed erano solo le due del pomeriggio.



 
* * *

– Vorrei tanto sapere dove si è cacciata Briz – disse Midori a Jami, all'ora di cena, nella sala da pranzo.
– Non la vedo da oggi pomeriggio, quando siamo tornati – rispose Jamilah.
Daimonji si avvicinò alle due ragazze, sentendo i loro discorsi.
– Al nostro ritorno l'ho fatta visitare dalla dottoressa Mori perché mi sembrava molto provata dalla battaglia, poi le ho consigliato di dormire qualche ora, prima di cena: forse non si è ancora svegliata.
– In camera sua non c'è… e il cellulare è acceso: ha visualizzato i messaggi, ma non risponde – lo informò Midori.
In quel momento entrò Pete, e le due ragazze lo fulminarono con lo sguardo e lo affrontarono.
– Dov'è Briz? – chiese Jamilah minacciosa, con gli occhi color acquamarina che mandavano lampi.
– Dovrei saperlo io? Siete voi le sue amiche del cuore – esclamò lui, stupito.
– Che diavolo le hai fatto, stavolta? È sparita, alla base non c'è! – rincarò Midori.
– Beh, adesso io vorrei sapere una cosa! – sbottò Pete – Ma sarà mai possibile che ogni santissima volta che Fabrizia ha le paturnie, deve essere colpa mia?
– Sei la persona con la quale, ultimamente, passa più tempo – gli fece notare Sanshiro.
– Non certo per sua scelta, e nemmeno mia, lo sapete benissimo! Comunque… forse ho una vaga idea di dove possa essere.
– E allora vai a recuperarla e portala qui a mangiare con noi. Dopotutto è il suo compleanno! – gli ordinò Jamilah perentoria.
– Non credo di essere la persona più adatta, anzi, sicuramente sono l'ultima che vorrebbe vedere.
– Meno male che lo riconosci! Oggi è stata grande, e tu l'hai trattata da schifo!
– Oh, basta, eh? Tra lei e voi, sono mesi che rompete l'anima con le battute sceme sul mio carattere! Ne faccio una io su di lei e diventa subito un'offesa mortale! – si difese Pete.
– Valle a spiegare a lei, queste cose – disse Sanshiro – E già che ci sei, dalle questo, visto che ci hai messo una quota anche tu – concluse, lanciandogli un piccolo pacchetto colorato che lui afferrò al volo.
– E cerca di non fartelo tirare dietro, se ci riesci – aggiunse inaspettatamente il pacato Sakon.
Pete passò in rassegna i compagni con lo sguardo, uno per uno, e dovette ammettere che non gli restava altra scelta: avevano vinto loro.
Mise il pacchettino nella tasca dei jeans e con un sospiro uscì, chiudendosi dietro la porta. Era così difficile capire dove fosse la sciroccata? Sicuramente era dai suoi amati cavalli, non ci voleva una scienza per arrivarci, proprio come non ci voleva per capire che gli altri lo avevano incastrato per bene: lo sapevano benissimo dove fosse Briz, ma era ovvio che pretendevano che si scusasse con lei.
Si incamminò per il sentiero, a testa bassa, nella calda luce del tramonto estivo. I compagni avevano ragione: la sua era stata una battuta infelice. La verità era che non riusciva a capire come facesse Briz, con tutto quello che aveva passato nella sua vita – per non parlare di quel giorno, durante il quale aveva rischiato la pelle più del solito e aveva anche vissuto un'esperienza ai limiti del romanzo fantasy – ad essere comunque capace di sorridere e pensare agli altri: nel caso specifico, ringraziare Bunta.
In realtà non gli aveva dato nessun fastidio vederla che lo abbracciava: sapeva quanto fossero amici. Briz era amica di tutti, se era per questo, e lui si scoprì a invidiare quella sua capacità di reagire sempre con una battuta ironica, un sorriso o un gesto gentile per chiunque – a dispetto del suo essere sboccata e maschiaccio – anche quando era psicologicamente distrutta. E poi aveva un’autoironia da primato: sapeva prendersi in giro e ridere di sé stessa.
Lui, quando si sentiva stanco, avvilito o confuso, riusciva solo a chiudersi come un riccio e sparire dalla circolazione, proprio come aveva fatto Briz quella sera. Non era nel suo stile, per questo tutti si preoccupavano; persino lui, un po', ammise con sé stesso.
Arrivò alla scuderia e trovò il cancello accostato, senza lucchetto. C'era qualcosa di strano nell'arrivare in quel posto e venire accolti dal silenzio, invece che dalla musica sparata a tutto volume.
Entrò nel portone e si infilò per il corridoio interno, alla cui destra si affacciavano i box: i cavalli lo salutarono sbuffando e lui sfiorò i loro musi distrattamente. Atlas gli trotterellò incontro, la lingua penzoloni, e infilò la testa sotto la sua mano; Pete gli accarezzò le orecchie e proseguì fino in fondo al corridoio sbucando all'esterno, sul retro, dove c'era il grande recinto.
– Briz…? – chiamò senza alzare troppo la voce.
Fu a quel punto, girandosi sulla destra, che la vide.
Addossata alla parete c'era una grossa balla di paglia rettangolare sulla quale Briz sedeva voltandogli la schiena; appoggiata al muro con una spalla, si teneva le ginocchia abbracciate, stando quasi raggomitolata: piangeva a dirotto, scossa dai singhiozzi.
– Briz… ma che ti succede? – le chiese, avvicinandosi di un paio di passi; non l'aveva mai vista in quello stato.
Doveva ammettere che, anche se ogni tanto la prendeva in giro con la battuta dei rubinetti da chiudere, l'unica volta in cui l'aveva vista piangere era stata quella del litigio tragico, quando l'aveva quasi spinta a mollare tutto; ma di quel momento, lui ricordava un’unica lacrima silenziosa, un pianto trattenuto e orgoglioso. Stavolta era diverso, era davvero sconvolta; non sapeva nemmeno se lo avesse sentito chiamarla.
La risposta a quella domanda arrivò immediatamente: Fabrizia si voltò lentamente, tirando su col naso e asciugandosi gli occhi gonfi e arrossati con un fazzoletto di carta, preso da una scatola appoggiata sulla balla, accanto a lei.
Stancamente, rimanendo seduta, posò i piedi per terra e si appoggiò con la schiena e la testa alla parete, guardando il cielo arrossato dal tramonto.
– Ma puttana galera… Di tutti quelli che potevano venire a cercarmi… proprio te, dovevo trovarmi davanti – gemette, scuotendo appena la testa e chiudendo di nuovo gli occhi.
– Io l'ho detto, con gli altri, che non mi avresti visto volentieri. Vuoi che chiami le tue amiche?
– Non voglio loro più di quanto voglia te. Se non te ne fossi accorto, non sono in vena di compagnia.
– Senti, Briz… se è per quello che ho detto oggi… tu scherzavi, lo so, ma… Dai, è che io non ho il tuo senso dell'umorismo: io le battute non le so fare…
– Ah, questa poi! – disse lei tra un singulto e l'altro, senza sapere se mettersi a ridere o continuare a piangere – Sei davvero un dannatissimo egocentrico presuntuoso! Non penserai mica che sia stata la tua, peraltro orrenda, battuta, a farmi rovesciare dal piangere e a ridurmi uno straccio?
Pete si avvicinò e si sedette sulla balla accanto a lei, però non disse nulla e si limitò a guardarla: per una volta, Briz aveva un aspetto più femminile, con una camicetta aderente bianca dalle maniche corte a palloncino, i calzoni di cotone di uno sfavillante arancione che arrivavano a metà polpaccio, e un paio di scarpette di tela color argento che, in sé, non avevano nulla di particolare, se non i laccetti che, oltre a consistere in nastri di seta praticamente fosforescenti, erano pure spaiati: il destro giallo e il sinistro fucsia.
Lei continuò a piangere, tornando nella posizione di prima e voltandogli di nuovo le spalle.
– Cosa ti fa pensare che… sniff… abbia voglia di parlare con te? Sniff… Lasciami in pace, già mi manda in bestia che tu mi abbia vista ridotta così. Sniff… Va' via.
– Se torno senza di te, mi faccio lapidare.
– Fatti tuoi. Potrebbe essere una soluzione a molti dei miei guai – e giù a singhiozzare.
– Beh, riesci ancora a darmi addosso, se non altro. Io… lo so che ti sembrerà difficile da credere, ma… mi dispiace vederti così. L'unica cosa che mi solleva un po', è che per una volta hai detto che non è colpa mia.
Fabrizia si soffiò il naso e si asciugò di nuovo le lacrime. Tornò a girarsi, sedendosi accanto a lui con i gomiti sulle ginocchia e le mani a coprirsi il volto; poi se le passò sulla fronte, tirandosi i capelli sulla testa, e sospirò:
– Se vogliamo essere sinceri fino in fondo, la tua battuta del cavolo ci ha messo il carico da undici. Che diavolo ti è preso? Sembrava ti scocciasse perché ho dato a Bunta un bacetto sulla guancia! Che ti importava?
– Ma niente, non è questo! Puoi baciare chi ti pare! Solo che…
Lei lo interruppe, a questo punto decisamente fuori dai gangheri, e si alzò in piedi urlando:
– Era solo un modo per ringraziarlo! Cosa credi, che io abbia l'abitudine di sbaciucchiarmi gli uomini per sport? Io non sono una ragazza facile, chiaro? Cazzo, Bunta mi aveva appena salvato il culo, non te n'eri accorto? È che tu non le capisci, queste cose. Tu… tu sei…
– …sì, emotivamente stitico, lo so – sospirò lui, stancamente – Ma anche tu, quando vuoi, sai essere maledettamente tagliente, credimi. E comunque, giusto a titolo informativo, non mi ha mai sfiorato l'idea che tu possa essere una ragazza poco seria. Non capisco nemmeno perché tu debba pensarlo…
– Ah, lascia stare… – glissò Briz, tornando a sedersi sulla balla accanto a lui – Tu mi farai uscire pazza, Pete! Ogni volta che trovo in te qualcosa che mi piace, e che in qualche modo ti ricolloca fra i rappresentanti del genere umano, poi finisci per fare o dire qualcosa che mi costringe a ricredermi! E poi la contraddizione vivente sarei io? E comunque, come ti ho detto, non è tutta colpa tua. Per essere il mio ventunesimo compleanno, è stata decisamente una… giornata di merda, ecco!
– Concordo con te, al tuo posto chiunque sarebbe alquanto scocciato. Solo che tu non sei arrabbiata, sei disperata; e me ne sono accorto persino io, scusa se è poco. È stato quello che ti è successo con il Thunderbolt?
– Anche… ma non solo. Posso far finta di dimenticarlo, ma oggi… è anche il compleanno di mio fratello; solo che io ho compiuto ventun anni, e lui ne ha ancora diciannove. Lui… lui avrà diciannove anni per sempre! Eppure, in qualunque mondo sia adesso, ha trovato il modo per… regalarmi il Thunderbolt.
Pete rimase in silenzio: il punto di vista di quel discorso lo lasciò perplesso, e allo stesso tempo lo affascinò.
Briz si girò appena e lo guardò negli occhi, ma decise quasi subito che sarebbe stato meglio non farlo: in quel momento Pete era nella versione essere umano, bellissimo e con un'espressione che rasentava la dolcezza. La cosa bella era che lui, probabilmente, non ne era nemmeno consapevole. Assurdo… quello non era lui!
Briz distolse lo sguardo e tornò ad arruffarsi i capelli.
– Hai visto che sono riuscita a smettere di sfinirmi di caffeina?
– Sì, ma che c’entra ora?
– La caffeina mi faceva dormire poco… perché io non volevo dormire. Perché quando dormo sogno: e i miei sogni sono sempre orribilmente vividi e realistici. Pagherei, per non sognare!
– Hai gli incubi… Ti capisco: io sogno raramente, ma quando mi capita… sogno il naufragio – disse lui, guardando davanti a sé, sorpreso da quanto facilmente gli fosse uscita quella confessione.
– I miei sogni non sono incubi – proseguì Briz – Io non sogno l'esplosione della mia casa, non sogno la morte della mia famiglia. Sarebbe quasi meglio se fosse così, invece, semplicemente… li sogno: vivi, belli e felici. Con la mamma mi capita di rado, forse perché è passato più tempo, o forse perché… la sua morte è stata una disgrazia, il destino: si è ammalata, non è stata colpa di nessuno. Invece… sogno papà che lavora alle sue sperimentazioni, che mi chiede cosa sto studiando… E Ale che mi chiama con qualche strano nomignolo, io e lui in giro per i boschi a cavallo, o che ridiamo come scemi guardando un film. Mi sembra tutto vero… La cosa orribile non sono i sogni, Pete: è il risveglio, quando mi rendo conto della realtà e che loro sono davvero morti. Svegliarmi… è l'incubo – la voce le si spezzò, e ricominciò a piangere sommessamente.
Pete sfilò un fazzoletto dalla scatola e glielo porse, senza dire una parola. Lei lo prese e, tra un singhiozzo e l'altro, continuò a parlare:
– Tra me e Ale succedevano delle cose strane – confessò – Cose che sono considerate leggende anche per i gemelli omozigoti, figurati per noi, che eravamo gemelli diversi. Ma a volte… io pensavo una cosa, e Ale mi rispondeva, come se avessi parlato! Mamma chiedeva: "Dov'è Ale?" e io glielo dicevo, anche se non mi aveva detto dove fosse andato. Non so perché: lo sapevo e basta. Sapevamo sempre se l'altro era triste o felice, se stava bene o male… Per esempio, nelle ultime due settimane della sua vita, Alessandro era contento: gli sentivo il cuore sereno, spensierato e leggero. Non sono riuscita a scoprirne il motivo, e lui se l'è portato nella tomba. Oppure, quando avevamo otto anni: Ale si ruppe un braccio cadendo con la bici, e io sentii il suo dolore, soffrii con lui finché non l'ingessarono. Alla fine fecero la radiografia anche a me, perché urlavo talmente tanto che persino i medici credettero avessi il braccio rotto anch'io! E se ho sofferto così per un suo braccio rotto… riesci a…
Briz si interruppe e si soffiò il naso, mentre Pete era allibito al punto da non aver parole: aveva capito dove sarebbe andato a parare il discorso, e quando lei riprese si sentì venire la pelle d'oca.
– Riesci a immaginare, anche solo lontanamente, cos'ho provato, lassù nel pascolo, sola con i miei cavalli e il mio cane… quando ho sentito prima l'esplosione, e subito dopo la sua vita… spegnersi?
Rimase in silenzio qualche secondo, poi proseguì: – Un dolore indicibile… e poi un vuoto totale, un abisso di oscurità. È stato come… se stessi morendo anch'io; ho perso i sensi, per ore. Mi ha trovata Filippo, il mio vicino di casa: è stato Atlas, che era poco più di un cucciolo, a correre da lui e poi a guidarlo dove mi trovavo. Quando mi sono risvegliata ero in ospedale, e in qualche modo… sapevo.
Di nuovo silenzio… Pete si sentì raggelato, quasi paralizzato; non osò chiederle nulla e lasciò che fosse lei a continuare a parlare.
– Non puoi capire come mi sia sentita oggi, quando la voce di Ale mi ha urlato Thunderbolt nelle orecchie… E questo pomeriggio, mentre dormivo un po', per la prima volta ho avuto un vero incubo in cui ho rivissuto la sua morte; e il risveglio è stato comunque orribile – tacque qualche secondo, poi riprese, quasi urlando: – Sarà sempre così, Pete?! Ogni fottutissimo compleanno che mi sarà concesso, lo passerò a piangere per mio fratello?
Pete pensò che quella fosse una delle rare occasioni in cui si sentiva assolutamente impotente: per una volta che avrebbe voluto fare o dire qualcosa per consolare Briz, non sapeva cosa.
Doveva ammetterlo, quel giorno gli era sembrata fortissima, determinata, coraggiosa; e ora, dopo quello che aveva appena saputo, capì che lo era sempre stata: lei era convinta di essere un disastro in tutto, e invece era un mezzo fenomeno.
E adesso eccola qui, sfinita dal piangere e dalla disperazione che quegli orribili ricordi le ispiravano: adesso era davvero solo una fanciullina fragile e indifesa.
Senza nemmeno rendersene conto, sollevò una mano e le accarezzò i capelli. Briz sollevò il viso dalle mani e lo guardò, stupita da quel gesto che non era proprio da lui. Un altro fiotto di lacrime silenziose le inondò le guance e Pete, sempre tenendole la mano sui capelli, le fece appoggiare la fronte sulla sua spalla; la ragazza scoppiò di nuovo in singhiozzi.
"Che faccio, adesso?" si chiese lui.
Non trovò di meglio che tenerla così, scendendo con la mano ad accarezzarle la spalla e il braccio, appoggiandole la guancia sui capelli. Una folata di profumo dolce e fresco lo investì, facendogli quasi girare la testa.
Briz continuò a piangere e singhiozzare per alcuni minuti, chiedendosi se sarebbe mai riuscita a smettere. Forse anche quello era un sogno: non poteva essere il Capitano Richardson, quello lì con lei!
Lo sentiva un po' impacciato, si capiva che era un atteggiamento che non faceva parte del suo carattere: non era abituato a consolare gli altri; eppure ci stava provando. Fabrizia si sentì vagamente rasserenata da questo fatto, e il calore del suo braccio che la circondava con leggerezza la rassicurò.
– Briz, però basta, adesso – disse lui dopo un po' – Avanti, respira e rilassati, altrimenti altro che rubinetti: con questo tsunami non basterà una diga!
– Wow, Capitan Richardson: battutona! Ti stai proprio lanciando, ultimamente! – riuscì quasi a sorridere lei, con la parlata da naso chiuso e il viso schiacciato contro la sua spalla.
Si staccò lentamente da quel mezzo abbraccio, per soffiarsi il naso e asciugarsi le lacrime per l'ennesima volta. Quando pensò di essere tornata più o meno presentabile, si azzardò a guardarlo di nuovo: Dio, quegli occhi azzurri dalle ciglia lunghe e scure… uno strafigo, in tutti i sensi. Cosa ci faceva, lì con lei, uno così?
– Ma chi diavolo sei tu? – gli chiese – Tu non sei il pilota del Drago Spaziale, sei un… un replicante, solo che quando ti hanno costruito ti hanno dotato di un carattere migliore.
– Huff, meno male, sei tornata te stessa – sospirò Pete rialzandosi e, tendendole una mano, la aiutò a tirarsi in piedi.
Per un attimo rimasero lì, Briz con la mano in quella di lui, vicinissimi; poi lei si affrettò a lasciargliela e ad allontanarsi di un passo.
– Torniamo alla base, Richardson: io non dovrei saperlo, ma Midori e Jamilah mi hanno fatto fare una torta, e tutto sommato, adesso, l’idea mi fa voglia – esclamò, attraversando il corridoio della scuderia.
Pete la seguì, salutarono i cavalli e Briz chiuse il cancello; si incamminarono per il sentiero, sotto un cielo violetto in cui si accendevano le prime stelle.
Pete si ficcò le mani in tasca, rilassato e soddisfatto per la missione compiuta, e sentì sotto le dita il pacchettino.
– Ohi, Briz!
– Che c'è?
– Non c'è solo la torta: per qualche assurdo motivo, i nostri amici hanno deciso che questo devo dartelo io – e le lanciò il regalo, facendogli descrivere nell'aria un piccolo arco.
– Uh, ma che carino! – ridacchiò lei, afferrandolo al volo – Un passo in più per mettermelo in mano era troppo faticoso? Potrei lanciartelo addosso, sai?
– Effettivamente, Sakon ha detto che avrei dovuto proprio fare in modo che ciò non accadesse, ma direi che per stasera le gentilezze sono state anche troppe, per essere noi due.
– Peccato – disse lei mentre toglieva la carta al pacchetto – Non mi dispiaceva, il replicante: sapeva anche che cosa fare con una ragazza che piange!
– Piantala, un film ogni tanto, con qualche scena del genere, l'ho visto anch'io! Ho preso ispirazione…
Lei gli tirò la carta colorata appallottolata e si affrettò ad aprire la piccola scatola blu.
Il regalo era una cosa semplicissima, che lei adorò immediatamente: un braccialettino di cuoio intrecciato, con al centro un cuore di lucido acciaio cromato. Al centro del cuore spiccava, inciso, il simbolo che Briz portava sul giubbotto dell'uniforme: il profilo di una testa di leone con la criniera di fuoco.
– Chi lo ha scelto? Midori e Jami, vero? – chiese.
– Le tue amiche hanno scelto il braccialetto con il cuore. Io… ho suggerito di far incidere il leone.
Tu? – fece lei, incredula.
– Maaa… non solo io, anche gli altri, in realtà. Ci sta, no? – minimizzò Pete.
Briz sorvolò su quello strano scambio di battute, e tornò ad ammirare il braccialetto.
– Un cuore e un leone: è il mio nome. Sì, effettivamente ci sta.
– Non solo… è anche quello che sei: tu sei Cuordileone di nome e di fatto; come doveva esserlo tuo fratello, se a diciannove anni scarsi si era assunto la responsabilità di diventare il pilota di Balthazar. Ci vuole una buona dose di coraggio anche solo per sedersi ai comandi, di quel bellissimo mostro che è il vostro leone. Il coraggio era di casa, nella tua famiglia – dovette riconoscere Pete, prendendo il braccialetto e aiutandola ad agganciarlo.
Briz si sentì il cuore in gola, per quell'ammissione: da quanto tempo ci sperava, di sentirsi dire da lui una cosa del genere? Come non bastasse, il contatto con le dita di lui, che sfioravano il delicato interno del suo polso per allacciarle il braccialetto, le provocò un brivido attraverso le vene.
Decise di allentare quella strana tensione alla sua solita maniera:
– Nahh! Sto solo diventando un aiuto decente per Sanshiro, e ogni tanto riesco a farne una per il verso. Come diceva Herman Hesse: "Anche un orologio rotto segna l'ora giusta, due volte al giorno". 
– Smetti di sminuirti così, non sei un orologio rotto: ti è capitato questo destino, sei una specie di… prescelta.
– Porca miseria, che culo – esclamò Briz, facendolo sorridere.
– È la vendetta che cerchi? – le chiese, tornando serio.
– E che cosa me ne faccio della vendetta, Pete? Non mi renderà quello che ho perduto. Combatto perché è giusto; perché, come hai appena detto tu, il destino mi ha dato l'opportunità di aiutare il mio pianeta. All'inizio non volevo saperne, sai? Ci ho messo mesi e mesi a decidere, ma poi… Che persona sarei, se non ci avessi nemmeno provato, soprattutto sapendo che senza di me… Balthazar sarebbe del tutto inutile?
Pete la guardò e annuì in silenzio.
– Mi hai dato la risposta che speravo. Come fai, con tutto quello che hai passato, a essere così? Riesci ancora a sorridere, a divertirti, a fare pazzie; scherzi, dici le parolacce, ti vesti come un evidenziatore ambulante. Sai prenderti in giro, ridere dei tuoi difetti e dei tuoi limiti… e riesci a far ridere noi, anche in mezzo ai casini più tremendi, come oggi. Quel: "Bunta, levami dalle palle questo rompicoglioni”, esploso così, dopo tutto quel silenzio preoccupante, è stato…
– …sì, catartico, direi – ridacchiò sommessa – È l'unico modo che ho trovato per difendermi, Pete. La mia adolescenza è stata un tantino travagliata, e adesso me la sto, diciamo così, riprendendo. Capisco che magari non sia il momento migliore, ma…
– …ma se non fai così, impazzisci – concluse Pete al suo posto.
– Esatto. Qualche volta sembri persino intelligente – disse ridendo, facendogli capire al volo che scherzava.
– Ah, ma grazie, non ci voleva molto, per capirlo. Io, per affrontare i miei, di demoni, faccio esattamente il contrario.
– Ognuno si protegge come sa fare, dal dolore. Il mio psicologo disse che io ero stata brava a trovare questo metodo.
– Sei stata in analisi?
– Per circa un anno, sì. Che ti credevi? Che da una batosta così ne potessi uscire da sola? Ho provato a prendere il diploma di Wonder Woman, ma mi hanno bocciata all'esame finale, perché a volare, proprio, non ci sono riuscita!
– Ecco, appunto: a proposito della tua capacità di scherzare sulle cose più difficili – esclamò Pete, mentre, a quella battuta assurda, gli veniva di nuovo da ridere.
Briz pensò che avrebbe davvero dovuto farlo più spesso: aveva una risata bellissima, pur non lasciandosi mai andare completamente.
– Cambiamo argomento, okay? Per oggi ne ho avuto abbastanza di brutti ricordi – gli suggerì.
– Sono d'accordo con te – commentò Pete, rimettendo le mani in tasca e riprendendo a camminare.
– E questa cosa sì, che la dice tutta, sulla stranezza di questa serata! – esclamò Briz.
– Senti… – riprese dopo un po', con un sorriso birichino, rimirandosi il braccialetto – Dopo un regalo come questo, lo sai che, arrivati a casa, quei ragazzi dovrò sbaciucchiarmeli uno per uno, vero?
– Ah, prego, fai pure – fu la spensierata risposta.
– Tranne te, naturalmente.
– Okay, tranne me – acconsentì Pete, tranquillamente – Ma perché? – sbottò poi, all'improvviso, come se si fosse reso conto solo in quel momento del senso del discorso.
– Come perché? Altrimenti ti avveleno, no?
– Oh, già… Dimenticavo… – tacque per qualche istante, poi aggiunse: – Ehi, buon compleanno, fanciullina.
Fabrizia ghignò tra sé, continuando a camminare al suo fianco, in silenzio, tutti e due con le mani affondate nelle tasche.


B-P-mani-in-tasca

Perché così, tutto a un tratto, la parola fanciullina non le sembrava più un'offesa?
Di punto in bianco, Briz si avvicinò a Pete e, senza nemmeno togliere le mani dalle tasche, gli scoccò un rapidissimo bacetto su una guancia, allontanandosi poi immediatamente.
– Beh? Cos'era questo? – le chiese Pete, sbalordito.
– Un bacio, non l'hai riconosciuto? Caspita, doveva essere un bel pezzo che non ne ricevevi uno! E comunque… era per il replicante. Fallo tornare, qualche volta.
– Forse ci proverò, ma non ti prometto niente. Non ti sei congelata le labbra, a quanto pare.
– E tu non sei morto avvelenato, se è per questo!
Pete scosse la testa con un mezzo sorriso, e non rispose.
– E comunque… grazie. Per il regalo, e per aver saputo consolarmi, stasera – disse la ragazza, sottovoce.
– Non c'è di che – concluse Pete.
Erano quasi al Centro, e non trovarono altro da dire.
Per Briz era stata una giornata pesante come poche, ma la serata prometteva decisamente meglio: forse, alla fine, non sarebbe stato un compleanno del tutto schifoso.
 
> Continua...



 

 
  
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