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Autore: DreamerGiada_emip    02/02/2017    1 recensioni
Una nuova sposa sacrificale giunge nella villa Sakamaki, il profumo dolce del suo sangue fa impazzire subito i vampiri. Eppure lei è diversa da tutte le spose precedenti: i suoi occhi azzurro ghiaccio sono taglienti lame, i lunghi capelli corvini spargono il suo profumo facendo risaltare maggiormente il candore del suo fiso e il colore dei suoi occhi. È una giovane ribelle senza alcuna intenzione di lasciarsi sottomettere. Chi ha il comando della situazione dunque? I vampiri ammaliati dalla misteriosa e provocante bellezza di lei, ma famelici del suo sangue, oppure la fanciulla attratta da quei ragazzi, ma con un carattere orgoglioso e strafottente?
In tutto questo, lei nasconde un segreto, un segreto di cui nemmeno lei stessa è a conoscenza. Nella lussuosa villa dei Sakamaki, verrà portato alla luce un mistero che forse sarebbe stato meglio se fosse rimasto nell'ombra.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel, Demon or Human?'
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«È strano come la tua musica ci attiri» Reiji tiene una mano appoggiata al pianoforte, io sollevo semplicemente le spalle in risposta. Sfioro con un dito i tasti del pianoforte, le mie mani sembrano appartenere a quello strumento.
 
«Mai quanto il tuo sangue» controbatte Ayato sedendosi accanto a me sullo sgabello, mi mette un braccio intorno alle spalle e infila il viso tra i miei capelli. Lo sento prendere dei respiri profondi, il suo naso sfrega contro il mio collo. Inclino la testa ridendo leggermente per il solletico.
 
«Scollati, rosso» lo allontano dal mio collo premendo una mano sul suo petto, lui mi mostra un ghigno e le zanne vengono esposte. Vedo Shu rimettersi le cuffie che si era tolto in precedenza per ascoltare la mia sinfonia.
 
«Prima o poi dovrai dirci dove hai imparato» dice Kanato mentre accarezza la testa del suo orsetto, il mio sguardo si posa sul movimento della sua mano. Scuoto la testa e mi alzo, scavalco le gambe di Ayato, tanto per non fare il giro dello sgabello.
 
«Beh, io vado a letto, buonanotte ragazzi» varco la soglia dopo averli salutati con la mano. Mi guardo intorno con la strana sensazione che poco fa qualcuno sia stato qui, la ignoro e me ne vado nella mia stanza. Indosso già la vestaglia quindi non perdo tempo nel cambiarmi, mi concentro sulla grande finestra dalla quale trapela già una tenue luce arancio. Mi avvolgo nelle coperte e mi siedo di fronte all’alba, sono così rilassanti i colori rossastri che accompagnano il sorgere del sole. Una nuova nascita, l’avvento di un nuovo giorno. Le tende della finestra si chiudono di scatto.
 
«Ciao dolcezza» Ayato è appoggiato al muro a qualche metro da me con le braccia incrociate. Gli rivolgo il mio sguardo e lui si stacca avanzando nella mia direzione. «Sai, è da un po’ che non bevo nemmeno un sorso della tua dolce linfa» mi alzo in piedi a quelle parole, lo sguardo luminoso che avevo guardando l’alba viene rimpiazzato dal gelo.
 
«Immagino cosa tu voglia dire con questo» dico fredda immobilizzandomi sul posto. Ayato mi gira intorno, accarezza le mie spalle spostando i miei capelli dal collo. Stringo le cosce tra le mani in modo da trattenermi dal reagire.
 
«Ma che ragazza arguta» controbatte in un sussurro inquietante, quando arriva di fronte a me, affonda le dita nella carne della mia vita e mi spinge indietro verso il letto. Mi fa sdraiare e lui è subito sopra di me, con le ginocchia ai lati dei miei fianchi mi tiene inchiodata al materasso. Sospiro e lascio che lui faccia ciò che vuole, è come vedere le catene del patto che mi legano al letto impedendomi qualsiasi ribellione. Sento la sua lingua passare dall’incavo del collo fin sotto la mascella, tiene gli occhi chiusi.
 
«Sorvola sui preliminari, rosso» lo sprono sbrigativa, voglio finire in fretta tutto ciò e mettermi a dormire serenamente. Lui sogghigna contro la mia pelle, le sue mani mi accarezzano. Poi si ferma per un attimo e solleva lo sguardo oltre il mio viso.
 
«Ma guarda chi si vede» dice con una smorfia infastidita, volto la testa indietro e subito i miei occhi si posano sulla figura dal vampiro dagli occhi rossi. Un’espressione di stupore nasce sul mio volto. «Cosa c’è, Subaru? Vuoi venire anche tu?» accarezza con la punta delle dita la curva del mio collo. Parla di me come uno sfizioso banchetto. Subaru mi guarda attentamente e con freddezza, poi fa qualche passo verso il letto. Spalanco gli occhi. Non vorrà davvero farlo? Due morsi contemporaneamente, uno singolo è doloroso, ma due…
 
«Subaru, non…» sussurro intimorita, Ayato mi appoggia un dito sulla labbra per farmi tacere.
 
«Shh, abbiamo un patto, ricordi?» mi fa rammentare l’accordo, stringo i pugni istintivamente. Subaru si siede sul letto e mi prende un polso, Ayato preme le labbra sul mio collo. Serro gli occhi.
 
«Posso unirmi alla combriccola?» una terza voce, quella di Raito. Non apro gli occhi. Tre morsi. Il dolore non mi spaventa, ma credo che il mio fisico questa volta non lo reggerà. Anche il terzo vampiro si siede sul letto e gattona verso di me, Ayato sogghigna e si sposta per fare posto al nuovo arrivato mettendosi al mio fianco. Raito prende la mia coscia e avvicina il viso ad essa, la sua mano gelida mi provoca decine di brividi.
 
«Pronta, piccola Lilith? Sto per incidere sulla tua candida pelle il mio marchio» ghigna Ayato prima di affondare i denti nel mio collo. Questo dolore lo conosco, acuto e incisivo, la vita che scorre via. L’ho provato da ognuno di loro, è quello che arriverà fra poco che mi terrorizza, non avrei mai voluto provare un’esperienza simile, ma a quanto pare sarà inevitabile.
 
«Lascia che ti mostri il fascino di finire all’inferno» sussurra Raito e anche i suoi canini si conficcano nella carne della mia coscia, precisi dentro la vena. Stringo i denti mentre vengo travolta da una sensazione di dolore e impotenza, le mie mani vengono colte da spasmi di dolore che le costringono a chiudersi e aprirsi incontrollatamente. Non è solo un raddoppiarsi della sofferenza, è un aumento esponenziale.
 
«Lilith» Subaru si limita a dire il mio nome e incominciare a bere anche lui il mio sangue. Spalanco gli occhi, la mia vista inizia a macchiarsi di nero. Il dolore che provo è indescrivibile, il mio corpo tremante alla totale mercé di tre vampiri. Mi sento togliere tutte le forze con una velocità disarmante, la mia testa comincia a girare sia per l’anemia sia per il numero folle di emozioni che mi affollano la mente, le mie e le loro. I punti dove loro stanno mordendo e bevendo voraci bruciano alla follia. Resisto per pochi attimi a tutto questo, poi il buio mi avvolge.
 
∞∞∞
 
Sento la testa scoppiare, le palpebre pesanti e il corpo indolenzito. Cerco di aprire gli occhi, ma anche solo quel singolo gesto incrementa il mal di testa. Il mio respiro è quasi impercettibile. Non so se sono svenuta per il dolore o per la mancanza di sangue. Cerco di tirarmi su nonostante tutto. Una mano si posa sulla mia spalla.
 
«Non puoi ancora muoverti» riconosco la voce e il mio corpo non reagisce bene alla consapevolezza della sua vicinanza. Mi trascino via dal suo tocco e mi tiro su in uno scatto. Vedo nero, mi riaccascio sul letto chiudendomi a riccio. «Lilith» mi porto le mani sulle orecchie e serro gli occhi.
 
«Vattene! Non ti voglio vedere ne sentire!» la mia voce è bassa, ma non serve urlare, basta il tono a fargli capire il mio stato d’animo.
 
«Per favore ascoltami» ritenta, ma io premo ancora di più le mani sulle orecchie imperturbabile. Purtroppo non posso annullare il suono della sua voce, ma posso regalargli il silenzio, il silenzio molte volte fa più male di mille parole. «Lilith» sentire pronunciare il mio nome da lui è una tortura, resto in silenzio. Vattene, Subaru. «Bevi il succo di mirtilli» dice questo poi non sento più nulla per diversi minuti, allora apro gli occhi e abbandono la presa sulle mie orecchie. Lui non c’è più.
 
Il tempo che passo immobile in quella posizione mi è ignoto. Non mi accorgo del passare dei minuti. Le mie forze ritornano molto lentamente, sento quasi con grande sollievo il sangue che scorre nelle vene. Non voglio alzarmi. Non voglio uscire di qui e incontrarlo. Incontrare i suoi occhi. Quegli stessi occhi che solo il giorno prima mi guardavano con freddezza e insensibilità disarmante. Nascondo il viso sotto un braccio. Sul comodino c’è il solito succo di mirtilli, allungo un braccio e lo prendo mandandolo giù tutto d’un sorso.
 
«Se mi sentite, sappiate che oggi non voglio vedervi nemmeno, non vi voglio sentire nei dieci metri che mi circondano, statemi alla larga» parlo con voce graffiante, sono quasi certa possano sentirmi e sanno perfettamente a chi mi sto rivolgendo. Mi alzo traballante sulle gambe e vado a chiudere la porta a chiave, non so il motivo, sono consapevole del fatto che possano tranquillamente comparirmi in camera da un momento all’altro, ma mi fa sentire più sicura. Osservo attentamente il mio corpo e mai come ora mi sono sentita così sporca. Mi levo in fretta la vestaglia e mi catapulto sotto la doccia, sfrego forte e in modo frenetico con la spugna sulla pelle, ripasso più volte sui morsi, come a voler cancellare la loro presenza. Lavo bene anche i capelli dove le loro mani si sono infilate mentre bevevano ingordi il mio sangue, voglio cancellare via ogni loro traccia dal mio corpo. La pelle si arrossa a forza di passarci sopra la spugna energicamente.
 
Esco dalla doccia e mi avvolgo in un grande asciugamano, sfrego anche quello sulla pelle. La vestaglia la getto per terra calpestandola, ormai è solo un orrendo ricordo di quel momento. Prendo dall’armadio dei pantaloncini corti di tuta e una maglietta larga indossandoli. Mi metto di nuovo a letto e strattono il cuscino tra le mani. Il mio braccio sfiora un oggetto gelido. Lo afferro e mi rendo conto che è il pugnale di Subaru. Lo stringo forte nella mano, talmente tanto che le nocche sbiancano. In un impeto di rabbia scaravento il pugnale verso il muro accompagnato da un urlo di sfogo.
 
«Vaffanculo, Subaru! Vaffanculo a tutti quanti!» ringhio furiosa, le mie forze non sono ancora tornate del tutto quindi mi siedo sul letto per un giramento di testa. Il pugnale si è conficcato saldamente nello stipite di legno della porta del bagno. Mi alzo dal letto e stacco il pugnale dal legno, mi ci rifletto sopra. I miei occhi sono spenti, non li avevo mai visti così. Vado fuori sul balcone lasciando che il gelo invernale mi faccia rabbrividire. È una giornata di vento, un vento ghiacciato che quasi strappa via la pelle. Mi sale la voglia di scaraventare quel maledetto pugnale in mezzo alle rose per affidarlo a loro, per lasciare che se lo tengano tra le loro radici. Quando però abbasso o sguardo tra quei cespugli profumati, i miei occhi incontrano quelli che non avrebbero mai voluto vedere. Il ghiaccio incontra le fiamme, si fondono. Annego in quello sguardo. Restiamo così, immobili, non un solo cenno, non una sola parola, solo occhi negli occhi. Sollevo il pugnale e con precisione lo scaravento contro di lui. Si va a conficcare preciso nel terreno davanti ai suoi piedi, lui non abbassa nemmeno lo sguardo per osservare l’oggetto. Resta sui miei occhi, ma a quel punto sono io a distogliere i miei. Mi volto e ritorno dentro chiudendomi alle spalle la porta-finestra.
 
«Solo ora mi rendo conto di come il mio cuore abbia sbagliato ad accelerare per te, sei un vampiro, nulla può cambiare questo, la natura non può essere cambiata, ho sbagliato a crederlo» parlo con lui anche se non so se può sentirmi. Il pugnale può tenerselo, non voglio avere niente a che fare con qualcosa che lo riguardi.
   
 
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