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Autore: catoptris    03/02/2017    1 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Come Julian aveva detto, erano lì da ormai qualche giorno: lui, i Blackthorn, Cristina e il Centurione, Diego. Clary era riuscita a convincere Robert che non era giusto rimandarli a casa dopo ciò che avevano passato. Jace dava in parte il merito a una runa di persuasione molto potente, ma Emma sapeva che la rossa sapeva essere molto convincente.
Loro però non si erano ancora allenati insieme, e lui sembrava evitarla. Non c'era più nulla del vecchio Jules, in lui: la dolcezza e la gentilezza di un tempo erano stati sostituiti da modi rudi e impazienti, soprattutto con i bambini. Mark e Cristina cercavano in tutti i modi di farlo ragionare e tranquillizzare, ma lui non voleva stare a sentire nessuno.
Un giorno, durante un allenamento, Mark le si era avvicinato talmente di soppiatto da rischiare di essere colpito con una spada da allenamento: aveva balzato agilmente oltre la lama e bloccato il polso di Emma con sguardo colpito.
"Non ricordavo fossi così brava," le disse, sollevando un sopracciglio. Emma era rimasta qualche istante a fissare i suoi occhi, stranamente colpita dal segno che la Caccia Selvaggia lasciava, prima di scrollare le spalle e ritirare la propria arma al fianco. Avrebbe preferito allenarsi con Cortana, ma – per ovvie ragioni – non glielo permettevano.
"Mi sono allenata," replicò. Naturalmente, un commento del genere da parte di Mister-Perfezione era più che gradito, ma ancora non sapeva se fidarsi completamente di lui: la Caccia Selvaggia non lasciava nessuno andare via. In più, nonostante la sua cotta infantile, Mark Blackthorn non le era mai andato completamente a genio.
"Emma non – non potresti parlarci tu con lui? Magari ti ascolterà," mormorò dopo qualche momento, scostandosi i capelli da davanti la fronte. Emma assottigliò lo sguardo, cercando un segno qualsiasi che suggerisse Mark stesse scherzando. Ma era serio.
"No," disse fermamente, allontanandosi per riporre l'arma. "Non mi parla neppure," aggiunse, stringendo il pugno attorno l'elsa. Mark sospirò e si riavvicinò a lei, con un'eleganza disarmante.
"Tiene ancora a te, Emma, nonostante ciò che lascia vedere," le rispose, posandole una mano contro la spalla. A quel contatto, la ragazza si irrigidì. "L'ultima cosa che gli ho detto prima che la Caccia Selvaggia mi prendesse è stata di restare con te, e lui non si è perdonato di averti lasciata andare via."
Emma valutò: si sarebbe potuta mettere a gridare contro Mark, colpendolo magari, come aveva sempre desiderato fare. Se la sarebbe potuta prendere con Julian per averla illusa sarebbero rimasti insieme nonostante tutto. Invece si scostò bruscamente dall'altro, senza guardarlo in faccia – non ci sarebbe comunque riuscita, e si diresse verso l'uscita.
"Avrebbe potuto pensarci meglio," disse, senza voltarsi.

L'unica cosa che desiderava in quel momento era chiudersi in camera, mettersi nel letto e soffocare le grida contro il cuscino, ma sarebbe stato un gesto fin troppo infantile. Inoltre, lungo il corridoio, incontrò un ragazzo dai tratti spigolosi e i capelli castani ben sistemati, che appena la vide socchiuse i luminosi occhi scuri.
"Emma! È un sacco che ti aspetto, non dovevamo uscire?" la bionda si paralizzò sul posto, le labbra dischiuse e la sensazione di essere stata appena schiaffeggiata. Se n'era dimenticata.
"Chase, ciao – sì, ecco, non potremmo rimandare? Credo di essermi stirata un muscolo durante l'allenamento e –" quando era nervosa, Emma tendeva a gesticolare. In quel momento, chiunque fosse nell'arco di due metri, avrebbe rischiato un dito nell'occhio.
"E deve aiutarmi, il lavoro da scrivania mi sta arrugginendo," disse una voce alle sue spalle, facendola sospirare di sollievo. Il braccio di Jace le si avvolse attorno le spalle e lei rivolse un piccolo sorriso imbarazzato a Chase.
"Ma certo, non preoccuparti," le disse con una scrollata di spalle. Le passò accanto e le lasciò un delicato bacio contro la guancia che la fece ritrarre, tirandosi dietro Jace.
"Ti faccio sapere!" quasi gridò, ormai a metà del corridoio. Una volta svoltato l'angolo, Jace scoppiò a ridere, allontanandosi da lei e tenendosi la pancia.
"Emma! Un muscolo stirato, tu?" domandò tra una risata e l'altra. Lei scosse il capo, seppellendo il volto tra le mani.
"Di solito ho una buona memoria, eppure non mi ricordo mai di lui! Mi dimentico persino di rompere con lui," replicò, esasperata. Al suo fianco, Jace continuava a ridere.
"Davvero non l'hai ancora lasciato?" le domandò, con espressione divertita. Poi si bloccò, accigliato. "In realtà, neppure ricordavo steste insieme," ammise, arricciando le labbra.
"Lo vedi? È come se non esistesse!" esclamò, sollevando le braccia al cielo.
"Secondo me ti ricorda Julian," disse senza pensare Jace. A quel punto, Emma dischiuse le labbra e sgranò gli occhi, voltandosi nella direzione del biondo. Come? No, non le ricordava affatto Julian. Aveva i tratti simili, certo, e il suo volto era contornato dai boccoli come quello di Jules. Ma non erano neppure lontanamente comparabili.
"Chase non mi ricorda Julian," replicò stizzita. In risposta, lui sospirò e sollevò lo sguardo al cielo.
"E neppure Matthew? O Lucas? Oppure, sì, Alan, con quella sua fissa per la pittura?" domandò in maniera retorica, tornando a guardare la bionda con le labbra strette tra di loro. "La verità è che da quando hai iniziato a uscire con qualcuno – troppo presto, a parer mio – hai cercato di ricucire lo strappo procurato dal tuo allontanamento con Julian," il tono con cui parlò era stranamente serio, per essere Jace, e per un momento rese Emma titubante. Come poteva Jace pensare davvero una cosa simile?
"Mi aveva chiesto di diventare parabatai, Jace, è normale che ci sia rimasta male quando ha troncato i rapporti," replicò, dura. Sul volto del biondo si dipinse un'espressione stupita.
"Non ne sapevo nulla, Em, mi –" lei gli rivolse un'occhiataccia, bloccandolo.
"Se provi a dire che ti dispiace ti prendo a pugni," disse prima di allontanarsi, lasciandolo da solo con le parole bloccate tra le labbra.

"Parlaci e basta, Jules! Non vi vedete da cinque anni!" protestava Livvy, andando dietro il fratello maggiore lungo il corridoio. Appena uscito dalla biblioteca, Julian si era ritrovato la ragazza con le mani sui fianchi e un'espressione severa dipinta in volto: per qualche strana ragione, si era convinta che tra lui ed Emma fosse successo qualcosa, e ora voleva a tutti i costi che si parlassero. Da una parte, il ragazzo capiva che lo facesse semplicemente per non pensare a Tavvy, cosa che sembrava riuscire benissimo a tutti – eccezion fatta per Ty. Mark non faceva che parlare con Jace, o Clary, o Simon. Livvy esplorava l'Istituto alla ricerca di gossip, probabilmente. Dru si era messa in testa di leggere tutti i libri della biblioteca, oltre quelli che Jace e Clary le avevano prestato. Ma Ty non aveva ancora parlato con nessuno: non mangiava, non si allenava, non guardava nessuno in faccia. Specialmente Julian.
"E con questo? Ci siamo visti, abbiamo parlato, ora lei segue le sue giornate tipo e noi ci teniamo alla larga dagli affari dell'Istituto," dichiarò, fermamente. La verità è che non avrebbe voluto far altro che trovare una stanza in cui chiudersi e dormire per giorni. Ma non riusciva a dormire, e ovunque andasse gli sembrava di essere fuori posto. Fortuna che c'erano tante stanze.
"Hai sempre detto che rivedendola avresti risolto tutto, ma ora non stai facendo nulla!" continuò Livvy.
"Cosa dovrei fare, Livia? Nostro fratello è appena morto e io dovrei andare in giro con una ragazza che non vedo da cinque anni solo per dimenticarmene come fate tutti voi?" chiese con voce più alta di quel che credesse. Si portò poi una mano davanti le labbra, mentre la minore si ritraeva, indietreggiando.
"Livvy, aspetta, non volevo," tentò di dire con voce più bassa, tendendo la mano nella sua direzione. Ma la sorella si scostò bruscamente.
"Questo è il punto, Jules, tu non vuoi mai," replicò, allontanandosi lungo il corridoio e lasciandolo da solo.

Emma sarebbe tornata volentieri in palestra, ma sospettava che Mark fosse ancora lì, e non voleva mettersi a discutere con lui, così si era diretta in maniera spedita verso la sua stanza. Davanti la porta c'era Church, che agitava inquieto la coda e fissava la maniglia, come sperando si aprisse da sola.
"Non sono dell'umore giusto, Church, vai via," borbottò, scacciandolo con la punta del piede. Lui, in risposta, miagolò e le girò attorno le gambe. La ragazza sospirò, prendendolo in braccio e aprendo la porta borbottando tra sé e sé – e il gatto. Appena sollevò lo sguardo, si bloccò.
"Ty!" esclamò, più colpita che spaventata. Il ragazzino, seduto a terra con un libro sulle gambe, sollevò lo sguardo e strinse le labbra.
"La tua è la stanza più tranquilla" dichiarò a mezza voce. Emma lasciò andare Church che si avvicinò al minore e gli strofinò il muso sulla gamba, facendo inarcare le sopracciglia della bionda. Quel gatto sembrava odiare tutti.
"Non sei il primo a dirmelo," rispose lei con un sorriso, avvicinandosi e sedendosi al suo fianco. "Ecco perché l'ho scelta," aggiunse, strizzando l'occhio. Lui accennò un mezzo sorrisetto, quindi tornò a guardare il suo libro. Rimasero in silenzio qualche istante, poi Ty lasciò ricadere il capo contro la spalla della ragazza, socchiudendo appena gli occhi.
"Se tu fossi stata con noi avresti fermato Malcolm, non è vero?" le domandò in un sussurro. Emma si morse il labbro inferiore, voltando il capo verso di lui.
"Siete troppo severi con vostro fratello, soprattutto tu Ty-Ty," replicò, passandogli il braccio attorno le spalle e stringendolo dolcemente a sé. Aveva imparato, grazie ad Alec, che era semplice stringere a sé una persona per confortarla. "Avete fatto tutti il possibile, e Jules non voleva assolutamente che una cosa simile accadesse a Tavvy," continuò, accarezzandogli lentamente i capelli. "Ma si sta già incolpando da solo, voi dovreste convincerlo del contrario. La colpa è di Malcolm, non vostra né sua," terminò, lasciandogli un delicato bacio sulla fronte.
"Non è solo questo, si comporta in maniera diversa ultimamente," mugugnò, mentre il libro gli scivolava dalle gambe.
"Vorrebbe essere vostro fratello, ma è stato costretto a comportarsi da padre per questi cinque anni," gli disse dolcemente. Non era compito suo farlo, lo sapeva, ma si sentiva in dovere verso Julian. Perché? Lui non l'aveva forse mandata via? Non aveva fatto sì che lei si ritrovasse da sola lì? Non era compito suo difenderlo.
"Se ci fossi stata tu magari sarebbe stato più semplice, per lui e per noi," continuò Ty. Emma sospirò, sollevando lo sguardo verso la finestra e puntandolo verso l'esterno: senza che se ne accorgesse, si era fatto buio.
"Ty, tutto quello che Julian ha fatto lo ha fatto per voi. Avermi in mezzo magari non gli sarebbe stato d'aiuto per seguire voi, capisci che intendo?" Emma aveva parlato così gentilmente solo con Max e Rafe; solitamente non era così. Ty annuì appena, ed Emma si rese conto che aveva socchiuso gli occhi, sul punto di addormentarsi. "Jules vi vuole bene, Ty-Ty, ve ne vorrà sempre," aggiunse in un sussurro, sfiorandogli nuovamente la fronte con le labbra.
Le erano mancati così tanto tutti quanti che non ebbe il cuore di muoversi per portarlo nella sua stanza. Lo lasciò riposare tra le sue braccia per qualche minuto, osservando i tratti così differenti dai suoi fratelli: aveva i capelli neri, seppure arricciati come gli altri Blackthorn, e dietro le palpebre tremolanti le iridi scintillavano di un chiaro grigio. Non somigliava per nulla a Livvy, con i suoi tratti spigolosi.
Sobbalzò, sentendosi sfiorare il braccio. G-R-A-Z-I-E. Si voltò con un piccolo sorriso sulle labbra, e incontrò immediatamente lo sguardo di Julian seduto al suo fianco. Nella penombra, i suoi occhi sembravano ancora più luminosi.
"Figurati," mormorò in risposta, prima di reclinare il capo all'indietro, posandolo contro il materasso.
Julian rimase qualche altro istante a osservarla, quindi avvicinò nuovamente le dita alla sua pelle, tracciandovi le lettere rapidamente, con dolcezza. M-I-D-I-S-P-I-A-C-E.

 
   
 
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