17° Capitolo
Stiles si svegliò poco dopo l’ora di cena, completamente avvolto dalla
malia e dalla nebbia che la sonnolenza, accompagnata dal risveglio, gli
infondeva, stordendolo ed adombrandogli le membra, non permettendo un completo
ed immediato avvio delle facoltà mentali.
Cosa ci faceva nel suo letto? Come ci era arrivato? Non ricordava nulla di
tutto quello, della giornata che era trascorsa e del suo spostamento misterioso
dall’istituto scolastico alla propria abitazione.
Che cosa si era perso?
Sbadigliò a bocca aperta, senza fare in tempo a portarsi una mano per
tapparla, scompigliandosi accidentalmente i capelli ed immergendovi le dita per
trovare un po’ di sollievo ed aspettare che l’offuscamento del suo cervello si
defilasse, permettendogli di prendere più coscienza di se stesso e trovare,
allo stesso tempo, il coraggio di alzarsi, scendere in cucina ed addentare
qualcosa; il brontolio del suo stomaco era un dettaglio che non poteva
trascurare.
Ma quando immerse le falangi tra le ciocche castane, riportandole indietro
e liberandosi della barriera che gli ricadeva sulle iridi, parte di esse si
incastrò appena in qualcosa che si trovava su una delle dita, scappando a
quell’ostacolo subito dopo con facilità estrema e Stiles quasi l’ignorò,
lasciando correre, ma subito dopo appoggiò quella stessa mano, la mano
sinistra, sulla fronte, con il palmo verso l’alto ed il dorso che gliela
ricopriva, e l’impatto inaspettato con un metallo freddo che era sicuro non si
fosse mai trovato lì.
Strabuzzò gli occhi, incerto e confuso, completamente basito e non
perfettamente convinto di doversi fidare dei propri sensi ancora annebbiati e
che pian piano e con lentezza si andavano a svegliare.
Scostò la mano dalla testa, girandola dal lato interno e portandola
all’altezza degli occhi ed in un primo momento non si rese conto dell’enorme
nota che stonava e dell’allarme che risuonava in modo nefasto dentro il nervo
acustico, bucandogli i timpani.
Sgranò gli occhi e il cuore perse vari battiti quando ruotò nuovamente
l’arto sinistro, incontrando definitivamente quel cilindro metallico argento e
oro rosso, con una triscele che racchiudeva i due colori e gridava a perdifiato,
rivelandogli finalmente la verità. Ma Stiles non sembrava pervaso da quello e
dovette farsi violenza per non correre immediatamente a spostare la sua
attenzione verso la mano destra che da tre anni a quella parte, ogni giorno e
per tutti i millenovantacinque che si erano
susseguiti, aveva indossato.
Non c’era.
Il suo prezioso anello non era lì.
Le perle d’ambrosia ritornarono sull’anello che sostava sull’anulare
sinistro e li comparò con la mano destra su cui non vi era più nulla che
ricordasse l’esistenza di un oggetto simile, soprattutto identico, a quello che
in quel momento soggiornava sull’arto sinistro, mettendo fine ad un’epoca.
Raccontarsi che l’anello che indossava sull’anulare sinistro fosse lo
stesso che per anni aveva posseduto sul medio destro era la più grande bugia di
cattivo gusto che potesse propinare a se stesso, offendendo volutamente
l’intelligenza perspicace di cui si vantava.
Conosceva le dimensioni del suo anello, l’ubicazione perfetta in cui era
possibile incastrarlo senza che si potesse perdere o che desse troppo fastidio.
Il medio destro era l’unico luogo in cui quel cilindro d’argento poteva
trovarsi e c’era un solo altro anello che poteva incastrarsi perfettamente su
un dito diverso da quello.
Un solo altro anello che non era il proprio e che in quel frangente gli era
stato affidato, facendo scomparire quello di sua proprietà.
Non era difficile immaginare dove fosse.
Su chi fosse.
E il gelo si impadronì del suo cuore.
Stiles giunse alla cucina qualche minuto dopo, percorrendo le scale incerto
e guardandosi attorno come in cerca di qualcosa, di un qualsiasi tipo di
indizio e seguendo i rumori che il padre stava riproducendo sparecchiando la
tavola. «Hai visto Derek?» domandò quando varcò la soglia della sala da pranzo,
le finestre che si affacciavano su un paesaggio scuro e notturno ed una padella
vuota abbandonata sul fornello spento, mentre l’adulto riponeva le ultime cose
nel frigo.
«Avrei dovuto?» chiese in risposta lo sceriffo, girandosi verso di lui e
trovando il figlio ancora assonnato a stropicciarsi gli occhi per svegliarsi
del tutto.
Suo padre era rientrato da ore ormai, se Derek fosse stato lì al suo
ritorno se ne sarebbe accorto. Dopo quanto tempo il lupo mannaro si era
volatilizzato dal suo letto? «Non stavo bene e, sotto suo ordine, mi ha
riaccompagnato a casa».
Lo sceriffo sembrò capire soltanto in quel momento le vicende che si erano
susseguite in quella giornata, soprattutto la presenza di Derek Hale in casa
sua e la ricerca di Stiles senza risultati. «Questo spiega il biglietto».
«Il biglietto?» domandò il sedicenne senza capire, sgranando gli occhi e
guardandolo con espressione interrogativa. «Quale biglietto?».
«Quello che mi invitava a lasciarti dormire» rispose prontamente l’uomo,
dirigendosi verso il piano cottura ed afferrando il suddetto pezzetto di carta
che aveva adagiato lì dopo averlo letto, porgendolo alla sua progenie.
Stiles si ritrovò a stringere un post-it verde chiaro, come la prateria in cui
aveva incontrato per la prima volta il suo lupo completo, uno dei suoi, uno che
soggiornava sulla scrivania insieme a molti altri di vari colori e che usava
per ampliare i concetti che gli interessavano e che non elargivano grandi
spiegazioni, vedendosi costretto ad immergersi in nuove ricerche per sopperire
alla mancanza, e che attaccava alle pagine adiacenti.
Non lo svegli riportava il biglietto colorato con inchiostro
blu, al suo centro, con una scrittura elegante e curata, dritta e perfetta,
senza pendere verso un lato particolare, a differenza della propria che non
rispettava nemmeno le righe dei quaderni prestampati, figurarsi un rigo
invisibile e che inventava di sana pianta per facilitare la lettura al
prossimo. Quel biglietto era così tipico di Derek che avrebbe voluto strapparlo
ed urlare a squarciagola.
«È successo qualcosa?» si vide costretto a chiedere lo sceriffo,
ritrovandosi l’espressione sconcertata e basita del figlio, che rimaneva
immobile in mezzo alla stanza a fissare il post-it senza parole e che non
riusciva a mettere in ordine i pensieri che si affollavano nella mente,
prendendo a girare e girare, confondendolo così tanto da non riuscire a capire
in quale direzione avrebbe dovuto procedere.
Stiles fu riportato alla realtà soltanto quando la voce del padre entrò a
contatto con il nervo acustico, distogliendo gli occhi dal foglietto verde
chiaro e spostandoli verso la figura dell’adulto che gli rivolgeva un’occhiata
pensierosa e dubbiosa, come se dovesse prepararsi ad intervenire subito per
salvare la situazione. Ma subito dopo le iridi caddero sulla mano sinistra, lì
dove troneggiava l’anello che risiedeva sull’anulare, risvegliando i sensi e
tornando padrone del caldo abbraccio confortante e disperato che l’aveva
cercato, richiamandolo a sé dalla prima ed unica volta che l’aveva assaggiato.
Riaffiorò il desiderio che Stiles aveva sempre espresso tacitamente di
poterlo conoscere e di rientrarne in possesso, anche soltanto per un’ultima
volta che non si sarebbe più ripetuta, ma che gli avrebbe concesso di
comprendere meglio quella sensazione che gli scaldava l’animo quando era nei
dintorni e soprattutto quando gli si era incastrato sull’anulare sinistro.
Voleva soltanto capirlo, conoscere il segreto che Derek gli aveva tenuto
nascosto e comprenderne i misteri. Ma Derek si era spinto troppo in là, senza
che Stiles fosse pronto ad accettarlo. «Vorrei saperlo».
Stiles non riusciva nemmeno a concentrarsi sul contenuto che si trovava
all’interno dell’armadietto scolastico, non aveva alcuna idea su quale materia
dovesse soffermarsi e quali sarebbero stati gli strumenti più adeguati per
affrontarla. Non riusciva a focalizzare l’aula in cui si sarebbe dovuto
dirigere e se si fosse adoperato per svolgere i compiti a casa che gli erano
stati assegnati. Non riusciva a metabolizzare il passo che avrebbe dovuto
compiere di lì a qualche minuto, prima che suonasse la prima campanella che
annunciava l’inizio delle lezioni e con cui avrebbe dovuto tenere il ritmo per
tutta la giornata che gli si parava davanti.
Erano due giorni. Erano passati due giorni da quando lo scambio degli
anelli era avvenuto nelle tenebre della propria mente. Due giorni in cui non
vedeva Derek Hale, in cui non poteva mettersi in contatto o affrontare di petto
la calamità che si era abbattuta su di lui senza che avesse gli attrezzi giusti
per gestirla, per sopravvivere e tenergli testa.
Un sabato e una domenica. Non vedeva Derek da venerdì pomeriggio e, ad una
prima analisi abbozzata, conoscendo i precedenti, non era insolito che non
vedesse il lupo proprio in quei giorni, erano casi rari che il licantropo si
presentasse a lui nei fine settimana, soprattutto perché entrambi erano
occupati con qualcos’altro, con qualcun altro. Anche se, se ci pensava
seriamente, perfino quella separazione periodica era diminuita sempre di più e
Derek si era presentato spesso sia il sabato che la domenica e forse stava
farneticando e non era più cosciente delle cose, contraddicendo se stesso.
Doveva ragionarci seriamente, doveva capire come funzionasse la loro routine
che variava costantemente, senza che lui si rendesse realmente conto dei passi
giganti ed enormi che avevano percorso, delle libertà che si permettevano l’uno
con l’altro, delle barriere che non esistevano più, rompendo tutti i muri.
Davvero non si era accorto della familiarità che si era instaurata tra
loro, facendo divenire Derek una parte fondamentale della propria vita?
Senza nemmeno rendersene conto, sordo ed estraneo a tutto quello che lo
circondava, si ritrovò Lydia proprio davanti l’anta dell’armadietto da cui non
aveva ancora estratto nulla. «Sei tutto intero?».
«Non dovrei esserlo?» chiese di riflesso il figlio dello sceriffo, non
captando all’istante a cosa si riferisse la rossa e rifilandole un’occhiata
interrogativa e perplessa.
«Tre giorni fa Derek ti è venuto a prendere di peso direttamente in aula,
mi chiedevo se ci fosse qualcosa di importante ed allarmante dietro» spiegò
semplicemente la bionda fragola, scuotendo le spalle con nonchalance e nessuna
vera premura verso di lui, ma affamata di notizie succose e succulenti, come se
ne capitasse sempre una quando Stiles Stilinski e Derek Hale erano insieme.
Non era vero, non era proprio vero che Derek era entrato in aula e l’aveva
portato via di peso.
Aveva semplicemente aspettato che tutta la classe si svuotasse, accostato
accanto al muro e confinante con gli altri armadietti che erano disposti in
quell’ala della scuola; aveva semplicemente aspettato che Stiles consegnasse il
suo compito ed abbandonasse l’aula, senza convenevoli ed afferrando soltanto le
proprie cose. Solo in quel caso se l’era trascinato via, davanti agli
spettatori composti dai suoi compagni di corso, che erano usciti prima e dopo
di lui, assistendo alla scena pittoresca che si stava presentando davanti ai
loro occhi; non era ancora mai accaduto che Derek Hale passasse a prendere il
figlio dello sceriffo direttamente in classe. «Non era niente. Derek è troppo
apprensivo e si allarma facilmente» quando non scava la fossa ad entrambi.
«Derek è apprensivo con te» disse la sedicenne con tono chiaro e nitido,
guardandolo dritto nelle iridi ed indirizzandogli un’occhiata eloquente e piena
di ogni significato possibile.
«Questo non è vero» ribatté prontamente l’adolescente, percependo a pelle
il suo riferimento e mandandolo indietro. Era una bugia grande quanto una casa
di sette piani. Il mannaro mostrava tutta la sua preoccupazione verso il suo
intero branco, dedicandosi tempestivamente ad ogni membro, soprattutto quando
si parlava di Cora e Malia; specialmente di Malia, che aveva bisogno di
un’attenzione particolare e di tutti i sensi attivati per poter intervenire
rapidamente e darle ciò di cui aveva bisogno. Ma la cura stava anche nel fatto
di non doverle mai far pesare nulla e di non mostrarsi troppo dediti a lei,
annullando se stessi. Era un lavoro a tempo pieno di cui l’intero branco si
occupava, spalleggiandosi l’un l’altro. «Non ci sono soltanto io nella sua
vita».
«Okay, è vero» Lydia fu colpita in pieno petto dal quel fulmine scatenato
dalla voce graffiante di Stiles, gli artigli che scattavano dalle corde vocali,
pronti a squarciare qualsiasi cosa si ponesse sulla sua strada. Dovette correre
ai ripari ed addolcire la pillola, moderare il tono e procedere con cautela.
«Ma con te è più evidente. Non riesce a controllarlo».
Derek non riusciva a controllare un sacco di cose, una valanga di cose, una
dopo l’altra, senza che ne avesse scampo, senza che potesse illudersi di
riuscirci. Forse non si era neanche mai posto il problema, forse agiva e basta,
come l’animale istintivo che viveva in lui. Forse ci aveva pensato così tanto e
per così tanto tempo, che una volta che se lo ritrovava davanti, non aveva più
freni inibitori. Derek seguiva soltanto il suo cuore. «Già».
«Stiles, stai bene?» domandò la ragazza con preoccupazione evidente,
osservando il crollo emotivo che si stava manifestando nel sedicenne, pronto a
cedere ed a non uscirne più. C’era qualcosa di sinistro in quell’accettazione,
qualcosa di più radicale e con radici più profonde, una visione a cui non le
era permesso di dare un’occhiata.
«No, per niente» rivelò il figlio dello sceriffo, nefasto e con la voce a
livelli critici, sospirando distrutto e passandosi la mano sinistra sul volto,
strofinando gli occhi come se quello potesse aiutarlo a vedere un quadro
migliore, a mitigare la visione e ad entrare in possesso di un approccio
diverso. «Ho solo bisogno di…».
Ma Lydia trattenne il fiato e sgranò gli occhi e per un paio di secondi
smise perfino di respirare, serrando le labbra e concentrandosi sullo
sbigottimento che quella scena le stava mostrando. «Che cosa è successo?».
Stiles scostò la mano, disorientato e spaesato, con la risposta alla
domanda precedente bloccata in gola e l’improvvisa incapacità di poterla
esprimere.
Cercò di incontrare le sue iridi verdi, certo che le avrebbe trovate lì ad
aspettarlo ed a chiedere delucidazioni, ma il suo sguardo era rivolto in tutt’altra
direzione, seguendo dei movimenti ben precisi. «Lyds,
cos’hai visto?».
La bionda fragola rimase in silenzio per notevoli secondi, con le parole
incastrate in gola e l’incisivo che picchiava sul labbro interno. «Perché hai
l’anello di Derek?».
Il figlio dello sceriffo fu colpito direttamente sullo sterno ed un fulmine
a ciel sereno lo pervase tutto e soltanto in quel momento si rese conto che le
pupille della ragazza seguivano i movimenti sconnessi della sua mano sinistra,
dove figurava in tutto il suo splendore l’anello d’argento e oro rosso dove vi
era intagliata una triscele perfetta, incastonato sull’anulare. Non vi erano
altre interpretazioni. «Dai per scontato che sia l’anello di Derek».
Lydia gli scoccò nell’immediato un’occhiata pietrificante, giudicandolo
apertamente e rimproverandolo per quell’insulto falsamente velato rivolto alla
sua intelligenza. «Sì, lo do per scontato. Non saresti così turbato
altrimenti».
Stiles ritirò la testa e la inclinò appena verso il basso, osservando di
sottecchi il cerchietto argentato che circondava l’anulare sinistro, impregnato
ancora di quelle sensazioni che l’avevano colto dal primo momento in cui era
entrato in contatto con esso. Non riusciva a sbarazzarsene in alcun modo. «Non
so quando è successo, non so perché li abbia scambiati. Io… devo avergli detto
qualcosa, ma non so cosa. Questa cosa mi sta facendo scoppiare il cervello».
Lydia non aveva bisogno di sentirselo dire, lo vedeva benissimo da sola quanto
Stiles fosse a pezzi, quanto si reggesse appena sulle gambe, procedendo
lentamente con un passo dopo l’altro, per evitare di perdere l’equilibrio e
ruzzolare a terra senza provare nemmeno a rallentare, a riparare al danno. «Lui
ha il tuo?».
Stiles espirò rumorosamente, provocando un bruciore costante ai polmoni ed
irritando la trachea. «Deduco di sì» avvertiva perfettamente l’assenza sul
medio destro ed il lampo improvviso della sua estrazione.
La ragazza lo guardò con un’intensità tale che gli si gelò tutto il sangue,
vedendosi tutte le vie di fuga soppresse ed annullate, senza la possibilità di
una piccola scappatoia nei meandri più oscuri ed opprimenti. Non c’era scampo.
«È piuttosto evidente il suo significato» era gentile da parte sua non chiedergli
dove si collocasse l’anello che in quel momento possedeva il lupo, ma non era
così stupido da non capire che lei lo desse per scontato, arrivati a quel
punto.
E non si riferiva affatto a quello che lui aveva detto a Derek nel suo
delirio da mancanza di sonno, senza peli sulla lingua e senza che il suo
controllo potesse bloccare tutto quello che la sua mente avrebbe voluto
comunicargli.
Tutto si riduceva e ruotava intorno al significato degli anelli, quegli
stessi che avevano portato entrambi, proteggendoli da esterni e che si
permettevano di toccare nel cuore della notte, quando l’unica luce che poteva
illuminarli ed assisterli era creata dai raggi lunari di madreperla. Che stolto
era stato. «Devo parlare con lui, ho bisogno di parlare con lui».
Lydia tacque di nuovo ed il silenzio cadde tutto attorno a loro, con
l’irrefrenabile esigenza di Stiles di doversi urgentemente confrontare con
Derek; spirava da ogni poro e l’intero corpo non riusciva a stare fermo,
propenso interamente a voltarsi ed a procedere in una direzione qualsiasi, alla
sua ricerca. «Non l’ho visto».
Il figlio dello sceriffo si pietrificò all’istante ed i vasi sanguigni si
congelarono nell’immediato, provocando una seria fitta al muscolo cardiaco che
accelerava le sue palpitazioni con delle lame incastrategli. Non riusciva a
capire più nulla, non riusciva ad identificare il mondo che ruotava intorno a
lui; si trovava completamente in un universo alternativo dove ogni legge fisica
e morale era allo sbando. «Che cosa vuoi dire?».
«Derek è sempre tra i primi ad arrivare, soprattutto da quando dorme da te»
anche quando lei non ne sapeva niente e non aveva collegato i due avvenimenti.
Non avrebbe nemmeno mai potuto immaginare che quei due condividessero il letto,
quasi ogni notte, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Nessuno avrebbe
mai potuto dirle che quei due necessitassero di trovarsi nello stesso spazio
vitale, perfino quando erano nel regno dei sogni. «Non l’ho ancora visto» ed
era strano, incredibilmente strano. Se Derek Hale non si faceva vedere in giro
prima del momento in cui la prima campanella suonava, con tutti gli studenti
che armeggiavano tra gli armadietti, estraendo l’occorrente che gli serviva per
affrontare parte della giornata scolastica, allora lasciva intuire che lui non
era lì, non quel giorno, esattamente com’era accaduto quando sia Derek che
Stiles non si erano presentati nella stessa giornata scolastica. «Derek non è
qui».
E l’universo di Stiles, sia parallelo che reale, si sgretolò.
«Dov’è?» Stiles si piantò davanti all’armadietto di Erica come un tornado
in prossimità di distruggere tutto quello che incontrava, con il fuoco negli
occhi e la rabbia che sgorgava senza che ci fosse alcun modo per controllarla,
per quietarla, per domarla e sperare nel passaggio incolume della tempesta.
«Dov’è quel lupastro misantropo e codardo?».
«Stiles» proferì la bionda con turbamento e profondamente disorientata,
attaccata con malvagità dall’ira che l’umano sprigionava da ogni poro.
«Dimmi dov’è» insistette il figlio dello sceriffo, senza lasciarsi
ammaestrare da quella nota più controllata e destabilizzata della lupa. «Dimmi
dove si nasconde».
«Non è qui» disse semplicemente la mannara, senza aggiungere altro o
provare a spiegare, dando delle delucidazioni che non le toccavano nemmeno.
«È proprio per questo che ti sto chiedendo dove sia» la ribeccò il
sedicenne con stizza, già esausto e non incline a nessuna perdita di tempo,
esigendo la sua risposta senza giri di parole ed interamente intenzionato a
raggiungere il licantropo, evitando chiacchere inutili.
Erica prese un lungo respiro dentro di sé, preparandosi al peggio e conscia
di stare per essere inghiottita da una bufera. «Non è qui a Beacon Hills».
Un silenzio attanagliante cadde a perdifiato su di loro e gli occhi di
Stiles si sgranarono così tanto da far paura, con il colorito della pelle che
andava a schiarirsi ad ogni attimo.
«Cosa? Come? Di cosa stiamo parlando?» l’umano sbatté le palpebre più
volte, incerto ed atterrito, completamente frastornato da quella rivelazione inaspettata,
con la spada di Damocle che incombeva su di lui, facendosi sempre più vicina,
pronta per lacerargli gli organi. «Io… non capisco».
«È partito stamattina presto, era la sua ultima occasione per visitare uno
dei college a cui è interessato» era quasi d’obbligo che quelli dell’ultimo
anno partissero per visitare uno o più dei college a cui volevano fare domanda
o su cui cercavano le ultime certezze, la conferma finale. Quella era l’ultima
settimana prima che i giochi fossero fatti e che il tempo utile per spedire le
domande scadesse, non lasciando più alcuna via di salvezza. Erano molti gli
studenti che si riducevano all’ultimo minuto. «Tornerà tra tre giorni» ma Derek
Hale non era mai stato uno di loro.
Se il mondo non gli fosse già caduto addosso, quello sarebbe stato il
momento migliore in cui tutto avrebbe perso significato. «È partito?» domandò
in ripetizione, sempre più pallido e vicino ad un collasso che non voleva
risparmiarlo. «Adesso? Proprio adesso?» era incredulo, era pura follia. «È partito
adesso dopo aver fatto questo?» e non era intenzionale alzare le mani e
metterle in mostra, dare libero accesso a ciò che era capitato tra loro, quando
lui era dovunque tranne che nel presente, completamente in balia degli eventi
ed abbandonato dalla presenza di Derek che racchiudeva il significato di casa e
famiglia dentro di sé. «Quel lupo dei miei stivali è partito adesso, dopo aver
fatto questo, per il college. Quale college?» che gioco di cattivo gusto era
quello, quando il diciottenne si era sempre dimostrato disinteressato
all’università che avrebbe frequentato, al dipartimento a cui si sarebbe
dedicato anche se non era la strada che desiderava. Era il peggior tiro mancino
che potesse fargli.
Erica sbiancò nell’immediato quando vide l’anello che accumunava Stiles e
Derek sull’anulare sinistro del primo, sprovvisto completamente del gemello che
teneva sempre e costantemente, come un gioiello prezioso, sul medio destro. Vi
era soltanto una piccola differenza tra i colori del suo incarnato, quella lieve
abbronzatura che figurava davanti a quella linea cerchiata più bianca, che
circondava tutto il dito in questione, lasciando un ricordo sbiadito
dell’oggetto che vi era stato per anni, ogni giorno. «Li ha scambiati».
Era una sorpresa devastante anche per lei, del tutto inaspettata e come se
non si aspettasse che il lupo completo si spingesse a tanto, ma Stiles non era
minimamente intenzionato a quello dopo che il mannaro se l’era data a gambe.
«Quale college, Erica».
La voce imperiale ed autoritaria dell’umano gli scavò i timpani e la
riportò da lui, esigendo la sua totale attenzione e delle spiegazioni. «Non
gliel’hai mai chiesto?».
L’accusa che la bionda gli stava indirizzando non era lusinghiera e
leggera, improvvisamente era come se la colpa non fosse totalmente del
licantropo. «Certo che gliel’ho chiesto. Ho insistito, l’ho pregato e gli ho
urlato contro, ma non ha mai accennato mezza parola».
«Accidenti» proferì la lupa mannara più esausta e spossata di quanto non lo
fosse mai stata, e lei affrontava ogni mese un plenilunio e combatteva contro
licantropi per passatempo, dovendo gestire l’accozzaglia indomabile che si
ritrovava come branco. «È sempre il solito sostenuto».
«Erica, ti prego» Stiles non ce la faceva più, stava perdendo tutte le sue
energie e quelle arrancavano da quel venerdì che a mezza veglia aveva visto il
proprio anello che aveva tanto amato incastrarsi sull’anulare sinistro di Derek
Hale, con la verità che quest’ultimo aveva sempre conosciuto, ma che aveva
continuato a celargli. «Devo sapere dov’è, ho bisogno di parlare con lui. Io
devo capire».
«Si è impegnato così tanto per rientrare nei requisiti e poter avere
qualche possibilità di essere accettato» il tono di voce di Erica si ammorbidì,
ma era impregnato di scuse e pietà, con una morsa addolorata che non sarebbe
svanita.
Derek era stato uno studente mediocre i primi due anni, si limitava
semplicemente a fare il suo dovere senza eccellere, senza dover imbattersi in
rimproveri per i suoi scarsi voti e puntando con semplicità allo sport, al
basket; era quello che eccelleva per lui. Ma durante il terzo anno Derek ebbe
un’impennata e non era soltanto lo sport ad essere curato. «Se tu avessi una
vaga idea di dove lui sia adesso, capiresti. Avresti le risposte che stai
cercando, ma non posso essere io a dartele».
«Lui è-» no! Non doveva pensarci,
non doveva nemmeno provarci. Non doveva far vagare la mente e non doveva
collegare quei pochi pezzi di cui disponeva e che erano stati seminati lungo la
strada, ad ogni piccola parola e gesto. Doveva passare oltre, doveva
dimenticarsene, doveva smettere di illudersi e di credere che Derek fosse così
avventato da fare una scelta simile. «Dov’è, Erica? Dov’è Derek?» quello
stupido, stupido lupo che aveva deciso di partire quando doveva rimanere con
lui e chiarire la situazione, mettere dei punti, dare voce alle cose e rendere
concreta la verità che si ostinava a tenere per sé. «Gli avevo chiesto di
pazientare. Gli avevo chiesto di aspettarmi» l’aveva tutto in mente quel
pomeriggio di nebbie e foschia, fotogramma per fotogramma, quello in cui non
era totalmente in sé ed aveva reso a parole parte dei pensieri che lo
torturavano e che erano sempre stati lì, in agguato e pronti a balzare e ad
afferrare ciò che riteneva suo, messo in bella vista e preparato per essere
agguantato. «Ancora per un po’» le immagini di quel venerdì si accalcavano
davanti alle iridi ambrate ed erano così intense e nitide, come se le stesse
vivendo in quel preciso momento. Ma era lontano e distante e Derek non era lì e
lui stava rientrando in possesso di quella parte della loro vita soltanto in
quell’istante, quando sentiva il cielo pesargli sulla schiena e spiaccicargli
la colonna vertebrale. «Aveva detto, mi aveva assicurato, che mi avrebbe
aspettato» e poi aveva scambiato gli anelli – anche se la colpa era un po’ sua
e doveva punirsi per quello – e si era volatilizzato, senza una parola o una
spiegazione, rimandando ogni cosa ad un futuro non identificato. Lontano, così lontano, aveva davvero
intenzione di aspettarlo? «E adesso dov’è?».
L’allarme era in agguato ed Erica non sapeva più cosa fare, Stiles stava
cedendo, piegandosi su se stesso, non riuscendo più a sostenere il suo stesso
peso e non c’erano vie di salvezza, qualcosa che potesse aggiustare la
situazione. «Stiles, non devi viverla così. Derek non farebbe mai nulla che
potesse turbarti o nuocerti» peccato che, inconsapevolmente, l’avesse fatto.
«È la sua prima luna piena da lupo completo e lui ha preferito passarla
lontano da me» doveva smetterla di essere sempre così preoccupato per quel vile
traditore, così dedito alla sua causa e con l’ansia perenne che potesse
capitargli qualcosa. Aveva visto il Derek padrone di se stesso e del suo lupo,
ma entrambi sapevano che la vera prova si sarebbe mostrata quando il plenilunio
sarebbe giunto ed il dado sarebbe stato tratto. Soltanto in quel momento
avrebbero potuto tirare un sospiro di sollievo. «Non abbiamo mai passato una
luna separati» non da quando erano insieme, non da quando le loro vite si erano
intrecciate così tanto da ingarbugliarsi, fondendosi così tanto da non trovare
un inizio né tanto meno una fine.
Il peso del mondo era eccessivo, i polmoni venivano compressi e la trachea
graffiava e graffiava, attentando alle corde vocali e squarciando tutta
l’anidride carbonica che doveva essere espulsa per essere cambiata con ossigeno
fresco e pulito, quello che l’aiutava a respirare ed a rientrare in possesso
del suo organismo, sconfiggendo l’oppressione che incombeva su di lui e che lo
annientava.
La gabbia toracica veniva oppressa ed il cuore pulsava senza freni, con la
pressione che si alzava e le vie respiratorie che venivano bloccate, sbarrate e
precluse dal loro compito, tagliando i ponti con il mondo esterno e con gli
elementi chimici di cui necessitava.
«Malia. Malia, va’ a chiamare Scott» elargì Erica, alzando la voce e
concentrandosi su una direzione precisa, indirizzandola nel corridoio giusto e
tentando di controllarsi e non chiedere aiuto a squarciagola, intervenendo
direttamente, senza sapere come muoversi e temendo di fare solo danni – ma la
coyote era lì? Passava casualmente da quelle parti? O era la persona che
prestava più orecchio dell’intero branco? «Stiles ha un attacco di panico».
Era un attacco di panico con i controfiocchi, uno che vivisezionava i
polmoni ed intorpidiva le pulsazioni del muscolo cardiaco, facendoglielo
arrivare fino in gola, impedendo qualsiasi possibilità di respirare
autonomamente.
Erica lo prese in disparte, davanti a quella massa di studenti che si
accalcava per raggiungere le aule corrette e che buttava un’occhiata criptica
ed affamata di sapere nella loro direzione, rizzando le orecchie, e lo condusse
nell’anticamera degli spogliatoi di lacrosse, facendolo sedere sul pavimento e
sperando che si riprendesse.
«Amico, cosa mi combini?» domandò retoricamente Scott quando li raggiunse
davanti agli spogliatoi, seguito da Malia che sbirciava dalla sua spalla. Aveva
sperato ingenuamente di trovarlo in una situazione migliore.
Stiles boccheggiò con gli occhi vitrei ed acquosi, faticando a prendere un
respiro dopo l’altro, che proprio non ne volevano sapere, seguendo a tentoni la
nuova voce che entrava a far parte di quello scenario da dimenticare. «Ho un
attacco di panico» annunciò come se non fosse evidente e alla portata di tutti
i testimoni che si trovavano negli stessi metri cubi. «Ho un stupido attacco di
panico per colpa di Derek Hale».
Doveva essere dura, deleterio per Stiles ammetterlo, ammettere quanto Derek
fosse talmente importante da scaturire le sue peggiori paure ed era un percorso
che aveva compiuto tutto da solo.
Scott non ne sembrò sorpreso, quasi convenne con lui, come se non ci fosse
stata altra scelta, benché le cose si sarebbero potute affrontare in modo
differente e più salutare. «Hai un attacco di panico».
Le vie respiratorie si contrassero, chiudendosi quasi del tutto ed il
figlio dello sceriffo impallidì ancora, con le pulsazioni che andavano così
veloci da non riuscire a scandagliare il loro ritmo; il messicano scivolò verso
di lui immediatamente, mettendosi al suo fianco e lasciando la coyote mannara
dietro di lui, con Erica che si trovava in piedi, dal lato opposto. «Non ho un
attacco di panico da anni. Anni, Scott!» Stiles ne aveva sofferto subito dopo
la morte della madre, prima era riuscito a contenerli ed a rimandarli, sopprimendoli
così tanto da lacerarlo dentro, finché non avevano preso il sopravvento quando
la grande disgrazia si era abbattuta su di lui, lasciando frammenti di se
stesso e lo sceriffo non aveva avuto un attimo di tregua, dedicandosi
interamente all’unico membro della famiglia che gli era rimasto. Stiles era
tutta la sua vita. «Quando Derek era qui, quando accadevano determinate cose
tra noi» cose di cui Scott non sapeva assolutissimamente nulla, «avevo sempre
un principio pronto ad esplodere, a colpirmi ed a mettermi al tappeto, ma Derek
interveniva prima che potessero sfociare in qualcosa, sapendo esattamente cosa
doveva fare e come doveva dirla» il tubo esofageo bruciò in modo deleterio,
infiammando la trachea e scatenando in modo minaccioso il pulsare dell’arteria
carotidea; era una bomba pronta a detonare. «Ma lui non è qui ed ho un attacco
di panico per colpa sua».
«Dovrai farglielo presente» l’intento di Scott era solo quello di lasciarlo
sbollire e permettergli di parlare a raffica, sperando che tale distrazione lo
allontanasse dal malessere che lo stava logorando, impedendogli di ragionare
lucidamente.
«Io lo prenderò a calci» ribatté il figlio dello sceriffo con astio e
rabbia, liberandosi in un colpo di tosse che gli sottrasse quel poco di energie
vitali che conservava e portando la testa all’indietro, accostandola alla
parete e chiudendo le palpebre sugli occhi umidi.
Scott lo guardò a lungo, cercando di trattenere il dolore che quella
visione ammaccata del suo migliore amico gli dava; c’era qualcosa di
profondamente radicato in lui. «So che lo desideri, ma non lo farai».
Eccome se desiderava farlo. Non solo l’avrebbe preso a calci, insultandolo
verbalmente, ma l’avrebbe scuoiato vivo, appropriandosi della sua bella
pelliccia nera che tanto adorava. «È andato via senza dirmi niente e lui ha
fatto questa stupida cosa che…» non riusciva nemmeno a dirlo, a formularlo,
perfino la sua
mente si rifiutava di dargli un corpo.
«Tornerà e potrai sommergerlo di parole, esigere delle spiegazioni» perché
erano quelle che in fondo Stiles voleva, gli sarebbero perfino bastati pochi
vocaboli, anche sconnessi e lui ne avrebbe tirato le somme, quelle giuste e le
cose si sarebbero aggiustate ed avrebbe dimenticato di aver avuto un attacco di
panico perché Derek Hale non era lì con lui.
«Non voglio che torni» negò il ragazzo iperattivo con violenza, spronandosi
per rimandare indietro quell’attacco, facendolo scomparire del tutto. «Non
voglio vederlo».
Era una colossale bugia, una di quelle potenti a cui non avrebbe creduto
nessuno, nemmeno Stiles stesso, ma Scott doveva ancora dargli un po’ di lenza e
lasciarlo fare, quindi non obiettò e non lo corresse.
«Malia, dovremmo andare» sussurrò Erica alla sedicenne, facendole un segno
della testa verso la direzione da cui erano venute e premurandosi di
abbandonare l’anticamera ed allontanarsi il prima possibile.
Malia la guardò con sguardo interrogativo, non afferrando perché dovessero
andarsene, abbandonando l’umano in quelle condizioni ed in compagnia dell’amico
non tanto sveglio che non sembrava avere tante parole per lui. Derek avrebbe
agito sicuramente in modo diverso, avrebbe calmato quell’attacco di panico
senza che si manifestasse sul serio, rimandandolo nel dimenticatoio e Stiles
avrebbe goduto della presenza del mannaro lì al suo fianco. Ma forse era
proprio la mancanza del lupo completo a rendere tutto così difficile?
Annuì in risposta, anche se era riluttante e non propensa alla cosa e quasi
si mobilitò a seguirla, ma fu Scott stesso a richiamare la sua attenzione con un
gesto della mano, invitandola a rimanere e tranquillizzandola, accettando ben
volentieri la sua presenza lì.
Se Stiles fosse stato più vigile e reattivo, non avrebbe mai voluto che se
ne andasse, anche se non sapeva bene quanto fosse una buona idea averla lì
quando probabilmente avrebbero parlato male del cugino.
Erica si fermò un momento, giusto quello che le serviva per valutare la
situazione e vedendo la ragazza coyote così premurosa nei confronti del figlio
dello sceriffo e bisognosa di sapere che stesse bene, la lasciò fare,
allontanandosi in silenzio.
«Erica ha detto una cosa, su dove si trovi Derek» proferì ad un tratto
Stiles, allentando il respiro che lentamente si era fatto più regolare e
deglutendo con parsimonia per non andare troppo a fuoco, bruciando la gola.
«Qualcosa che ha a che fare con il college che ha scelto e sul fatto che se lo
sapessi, capirei» Scott appoggiò soltanto una spalla alla parete in cui si
trovava il suo migliore amico, abbandonando pigramente le gambe in direzioni
varie e ruotando appena il busto verso la sua direzione, lasciandogli tutto lo
spazio aereo di cui necessitava, e tendendo le orecchie. «Riesco a pensare
soltanto ad un posto, credi sia lì?».
Non era difficile capire a quale luogo si stesse riferendo, Stiles non
parlava d’altro da anni e tutto il suo impegno era rivolto al futuro che lo
avrebbe atteso finiti gli ultimi giorni da liceale. «Non saprei, ne avete mai
parlato?».
Le palpebre di Stiles si alzarono ed il messicano ricevette uno sguardo
eloquente fino al midollo; almeno era un buon segno di ripresa. «Credi che con
Derek si possa parlare?».
Scott fece spallucce, come se la cosa non lo riguardasse e non ne sapesse
abbastanza. «Sei quello che gli si avvicina di più, tra un ringhio e l’altro».
Il figlio dello sceriffo sbuffò risentito, lanciandogli un’ultima occhiata
giudicante. «Mi ha detto che conosceva il loro programma» e quelli di tutti i
college che gli aveva proposto.
«Magari è solo uno che si informa» ma dall’occhiataccia del suo migliore
amico doveva scartare immediatamente la cosa, come se non l’avesse mai
pronunciata. Neanche mai pensata. «Ti ha mai confidato cosa gli piacerebbe
studiare?».
«Non la metteva proprio su quel piano» e Stiles si era imbestialito
tremendamente a quella prospettiva, rivoltandosi contro il lupo mannaro e
lasciandogli un piccolo lasciapassare perché sapeva perfettamente che non
l’avrebbe avuta vinta. Ma in quel momento aveva il tremendo sospetto che tutto
quello che Derek faceva e aveva fatto, fosse per lui ed aveva una paura tremenda
e voleva urlargli contro e farlo rinsavire. «Ma gli piacerebbe astronomia» un
lupo tra le stelle ad ululare direttamente sulla sua amata luna.
«Astronomia. E c’è il dipartimento all’Hofstra University?» quel gergo non l’avrebbe mai appreso se non avesse
frequentato Stiles così tanto, già proiettato verso la prossima mossa, con
piani su piani sempre aggiornati e ben programmati. Se c’era qualcuno che
poteva saperlo, quello era lui, avendo memorizzato a menadito tutto quello che
ruotava intorno a quel college.
«Sì, credo di sì» Stiles era titubante semplicemente perché non aveva la
mente sgombra ed era offuscata da quell’attacco di panico che pian piano si
allontanava, facendo perdere completamente le sue tracce. In un contesto
diverso e con una mente più sveglia, avrebbe saputo rispondere con più
sicurezza. «Mio Dio! È davvero lì» l’illuminazione lo colse impreparato,
abbagliandolo e dirottandolo, facendogli sgranare così tanto gli occhi che i
bulbi oculari potevano cadergli da un momento all’altro. «Era questo il suo
folle piano?».
«Seguirti, anticipandoti?» chiese retoricamente il messicano con
leggerezza, seguendo con un po’ di fatica il ragionamento del ragazzo
logorroico.
«È un pessimo piano. È tremendo ed è una pazzia» dichiarò il figlio dello
sceriffo con sconcerto, dilatando enormemente le pupille da ingoiare l’ambrato
delle iridi, facendolo agitare sul posto. «Che cosa vuole fare? Se davvero ci
riuscisse, dovrebbe aspettarmi per due anni. Due anni! E cosa farebbe? Si
limiterebbe a scorgermi tra la folla?».
«Forse era quello che voleva all’inizio» ed un po’ Scott di queste cose se
ne intendeva, anche se quello che gli si avvicinava di più era Stiles stesso,
con la sua eterna cotta per Lydia Martin che poi era sfociata in ben altro. Era
così complicato mettersi nei panni del diciottenne? «Forse voleva soltanto
guardarti da lontano».
«E poi?» lo supplicò quasi il suo migliore amico, aspettandosi una
qualsiasi risposta sensata che annullasse tutta quella situazione disastrosa ed
ipotetica. Le perle mielate di Stiles erano degli specchi perfetti in cui
riflettersi.
«Ha scambiato gli anelli» e Scott l’aveva notato quel cerchietto metallico
che risiedeva sull’anulare sinistro e che l’aveva visto incastrarvisi mesi
addietro, quando vi fu il primo incontro ufficiale tra lui e Derek ed il
protagonista era stato proprio lo scambio di quegli oggetti. Sapeva benissimo
che la misura dell’anello di Stiles coincideva soltanto con il medio destro,
come sapeva, essendone stato testimone, che quello dell’Hale si incastrava
perfettamente su quella falange specifica, rifiutando tutti gli altri. In più
Lydia parlava molto quando qualcosa di eclatante e sconvolgente avveniva e
Malia aveva proferito qualcosa riguardante
attacco di panico e Derek quando
se l’era ritrovata davanti per condurlo da Stiles. E Stiles non si perdeva in
qualcosa come un attacco di panico per qualcosa di poco serio e l’assenza di
Derek e lo scambio degli anelli erano la cosa più seria e tangibile che potesse
affrontare in quel momento.
Il figlio dello sceriffo sospirò affranto e distrutto, muovendo la mano
colpevole e mettendo in evidenza il cerchio metallico che troneggiava
indisturbato. «In parte è colpa mia. Ero troppo andato per rendermi conto di
cosa stava accadendo e l’ho preso senza pensarci seriamente, ma non avevo
questa intenzione. Non avevo alcuna intenzione» l’immagine era indelebile, la
domanda che aveva formulato rimbombava nei timpani, perforandogli il nervo
acustico ed aveva ancora impressa l’espressione sgomenta, magistralmente
trattenuta, del lupo che lo seguiva passo dopo passo. «Deve essergli scattato
qualcosa in quel momento».
Scott lo ascoltò in silenzio, insieme a Malia che non si era mossa, se non
per sistemarsi inizialmente dal lato opposto dell’anticamera, sedendosi sul
pavimento per imitazione; era una buona presenza pacifica la sua.
«Non riesco a toglierlo» dichiarò il figlio dello sceriffo con voce lontana
e combattuta, accarezzando la triscele intagliata con il mignolo che gli era
accanto, imponendosi di non dargli maggior contatto. «Più lo guardo, più non
riesco a togliermelo» lo sapeva che era suo, che era di sua proprietà, che lo
stava aspettando da tempo e che l’aveva reclamato da quando l’aveva incontrato
la prima volta. Il suo abbraccio caldo e confortevole era qualcosa che ancora
gli inebriava il cervello e che lo faceva volare lontano. Separarsene era
l’ultima cosa che desiderava. «Non so che cosa devo fare».
«Sei confuso, lo capisco» disse il messicano in soccorso, vedendo
manifestarsi una nuova crisi che non era mai andata via. «Ma non è qualcosa che
devi affrontare nell’immediato».
«No, no» protestò con diniego il figlio dello sceriffo, rimandando indietro
le parole del suo migliore amico. «Lui…» inspirò profondamente per la prima
volta in quei minuti, sentendo la trachea dilatarsi e la fruizione
dell’ossigeno che procedeva senza troppi intoppi. «Lui sapeva già tutto di me»
ed era lampante ed evidente e l’aveva costantemente avuto sotto gli occhi,
senza fatica e ben visibile. Derek non era mai riuscito a nasconderglielo
seriamente, perché non riusciva a farlo.
«Lui sapeva già tutto di te» era una conferma, una conferma che conoscevano
entrambi e tutti quelli che li circondavano, ma lo stavano realizzando soltanto
in quell’occasione. «È strano essere dall’altra parte» proferì il messicano con
leggerezza ed una piccola nota di divertimento, ben consapevole che quel ruolo
di osservatori esterni gli era sempre calzato a pennello, soprattutto a Stiles
che ne aveva fatto un’arte. Ma era evidente che Derek Hale l’avesse
completamente battuto a mani basse.
«Quel lupo stalker spelacchiato» borbottò Stiles risentito, inveendogli
contro e sbuffando con risentimento anche se lui non era lì per vederlo. «Non
ho nemmeno il suo numero. Non posso sommergerlo di messaggi pieni di insulti o
di messaggi vocali o di qualsiasi mezzo per insultarlo spietatamente» ah,
l’avrebbe fatto, l’avrebbe fatto eccome, gliene avrebbe dette talmente tante
guidato dall’impulso della situazione e se ne sarebbe pentito subito dopo, a
cosa fatta.
«Non credo mancheranno occasioni» proferì con condiscendenza la sua
controparte, ben consapevole che al rientro del capitano della squadra di
basket la situazione si sarebbe fatta più impegnativa.
Stiles si guardò intorno, con gli occhi ancora umidi ed un po’ appannati,
ripiegando le gambe contro se stesso e gettando un’occhiata accennata alla
parte in cui si trovava Malia. «E se stessi sbagliando? Se stessi prendendo una
cantonata? Se lui non fosse minimamente interessato a me?» l’agitazione stava
tornando, il timore lo stava investendo e l’ansia e la paura di commettere
errori erano dietro l’angolo e stavano insorgendo. «Non so niente, non ho
niente, se non deduzioni ed indizi sparsi qua e là, ma potrebbero essere
errati, potrei aver frainteso. Potrebbe essere la più grande batosta della mia
vita».
Scott l’osservò dall’alto, in una posizione più privilegiata e composta,
del tutto opposta a quella scomposta ed arruffata del suo migliore amico, che
invece di uscire da quella voragine oscura in cui stava cadendo, vi si buttava
a capofitto. «Allora sarà una batosta che affronteremo insieme».
Stiles sospirò esausto e privo di forze, abbracciando le gambe ed
abbandonandovi il capo, nascondendo appena la testa e voltandosi leggermente
verso di lui, per incontrare i suoi occhi castani e calmi. Era nettamente
difficile che Scott perdesse la calma e si lasciasse trascinare dagli eventi,
al contrario di lui che si faceva cogliere impreparato da ogni raffica di vento
e si perdeva nelle tempeste; la sua àncora di salvataggio era al suo fianco e
l’altra era troppo lontana. «Lui non è qui, adesso, ed io non so come
interpretarlo» tornava sempre lì, era il suo chiodo fisso perché aveva due
semplici scelte: o Derek era davvero un codardo cronico o in realtà non gli
importava di lui.
«Non è stata una decisione improvvisa» si intromise la coyote mannara senza
pensarci due volte, entrando nella conversazione con il suo impeto
incontrollato e gestito dall’istinto, richiamando l’attenzione dei due ragazzi
che si trovavano nell’anticamera dello spogliatoio di lacrosse, che in
quell’istante gli lanciavano delle occhiate interrogative ed ansiose. «Aveva
progettato questo viaggio da qualche settimana, anche se non ne era
particolarmente entusiasta» ma era una cosa che doveva fare, perché i tempi
erano stretti e quella era la sua ultima occasione. «Non era una cosa
premeditata» abbandonarti in questo modo.
Stiles la guardò con interesse nuovo, più indagatore che giudizioso e la
scrutò come se gli stesse nascondendo qualcosa. «Perché non è partito prima?
Perché si è ridotto all’ultimo minuto?» perché
non mi ha detto niente?
Malia si sentiva un po’ sotto accusa, sotto corte marziale, anche se
probabilmente non era una cosa completamente voluta da Stiles, ma le azioni di
suo cugino l’avevano destabilizzato così tanto, che gli era difficile riuscire
a rimanere imparziale e non sondare ogni terreno; credere che tutti gli
omettessero qualcosa che era sempre stato in bella vista. «Non voleva allontanarsi».
Le iridi d’ambrosia la guardavano con estraniazione e le orecchie di Stiles
si protesero così tanto che avrebbe potuto udire tutto quello che accadeva
oltre le mura che li circondavano. «Perché?».
Gli occhi di Malia lo guardarono con intensità, con la risposta chiara che
emergeva a grandi lettere, senza che potessero esserci fraintendimenti. «Non
riesci ad immaginarlo?».
Non voleva allontanarsi da te, quello era un duro colpo da digerire e non
aiutava la sua psiche, forse era una manna dal cielo per la sua autostima, ma
non l’agevolava in alcun modo a saper reagire davanti a quella serie di eventi,
a quelle rivelazioni che gli piovevano addosso.
Le labbra di Scott si curvarono liete verso l’alto, rilassando la schiena e
le spalle, osservando con attenzione tutto quello che si trovava intorno a
loro. «Forse non prenderemo alcuna batosta».
Vorrei mettermi a
ridere o ad imprecare. Una delle due o tutte insieme. Soprattutto dopo il
finale di stagione che abbiamo appena avuto ed in cui dovremmo rifarci.
Questa fanfcition è troppo tempestiva nella sua ironia.
Quando le cose stanno
per prendere una direzione diversa, che finalmente si evolve, in cui servono
chiarimenti e spiegazioni, cosa succede? Derek non è lì.
Sì, è un capitolo in
cui manca completamente la figura di Derek, ma direi che si sente abbastanza la
sua presenza e se ne parli anche troppo.
Stiles è in un
momento difficile, un momento in cui ha troppe domande, dove tutto gli è stato
presentato agli occhi senza chiedergli il permesso e nel momento in cui meno se
lo sarebbe aspettato. È messo davanti ad una situazione che lo sconcerta e con
una prova evidente che parla sulla sua mano sinistra, quella che pensava non
sarebbe più stata toccata anche se lo desiderava.
Non avere lì Derek lo
soffoca, la destabilizza e gli fa perdere il contatto con la realtà, perché non
ha lì colui con cui dovrebbe confrontarsi, ma allo stesso tempo è circondato da
persone che sanno, ma non parlano.
Le briciole di pane
non posso aiutarlo e Stiles è costretto ad aspettare ancora, con indosso un
anello che lo lega a Derek. In modo totale.
Credo che ormai siamo
giunti alle battute finali.
Appuntamento tra
sette giorni,
Antys