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Autore: catoptris    04/02/2017    1 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Erano giorni che Emma sentiva di dover fare qualcosa, ma non riusciva assolutamente a ricordare cosa. I Blackthorn erano da loro da una settimana, e lei aveva iniziato ad affezionarsi a Cristina: era una ragazza dal cuore d’oro, sempre pronta a dare una mano e ascoltare chiunque ne avesse bisogno. Eppure Emma aveva notato che qualcosa in lei non andava, come se fossero anni che si teneva dentro un segreto. Allora avevano iniziato a parlare del più e del meno, nella speranza – presto o tardi – di riuscire a capire cosa le passasse realmente per la testa.
“Allora, sei riuscita a rompere con Chase alla fine?” le chiese, mentre riponevano i piatti della colazione. Emma si bloccò sul posto, con la tazza in una mano e l’espressione confusa. Poi si portò la mano sulla fronte, sospirando.
“Dannazione,” borbottò tra sé e sé. “Me ne sono dimenticata,” aggiunse, finendo con il posarsi con gli avambracci al ripiano della cucina. A quel punto, Cristina scoppiò a ridere, nascondendosi rapidamente le labbra con una mano e socchiudendo gli occhi.
“Sei un caso perso, Em,” aveva quindi dichiarato, scuotendo il capo. “Ascolta, non sono il tipo da fare certe cose, ma se vuoi posso pensarci io per te appena lo vedo,” disse poi, avvicinandosi alla bionda che continuava a tenersi il capo tra le mani. “Dovresti solamente dirmi chi è,” terminò, sfiorandole con fare comprensivo la schiena. Per qualche assurdo motivo, il contatto con lei non la infastidiva minimamente. Sembrava quasi si conoscessero da una vita.
“Oh, è quello che somiglia a Jules,” disse lei sollevando il capo, per poi dischiudere le labbra alle proprie parole. Cosa? “No, cioè, non intendevo – per l’Angelo,” e si riprese nuovamente il capo tra le mani, chiudendo gli occhi. Cristina parve titubante, osservandola con il capo inclinato e i capelli adagiati su di una spalla.
“Emma, ti interessa Jules?” domandò a mezza voce, come timorosa di essere sentita. La bionda dischiuse le labbra, sollevandosi di scatto e portando lo sguardo sul volto dell’altra, pronta a replicare. Ma le parole non uscirono dalle sue labbra, quindi si limitò ad assumere l’espressione più stupita che riuscì a fingere.
“Jules? Figurati! Era come un fratello per me,” disse poi, borbottando con tono ironico. “Perché, a te piace lui?” le chiese quindi, accompagnando un sorrisetto. Ma nel solo pronunciare quelle parole, sentì il petto dolerle. Cristina dischiuse di scatto le labbra.
“Cosa? Come ti viene in mente?” domandò, e l’accento fu particolarmente evidente. Emma si strinse tra le spalle e, affiancandosi l’una all’altra, si allontanarono lungo il corridoio.
“Avete passato molto tempo insieme, pensavo fosse – sai, nato qualcosa,” azzardò, stringendosi distrattamente la coda.
“Sai, Em, sono teoricamente fidanzata,” dichiarò in risposta, facendo bloccare Emma sul posto. “Con Diego, il Centurione che è con noi,” aggiunse a mezza voce, distogliendo lo sguardo da lei.
“Voi cosa?” domandò quindi Emma, e il suo tono si alzò di qualche ottava.
“La storia è – è complessa, un giorno prometto che te lo racconterò, quando ci riuscirò,” sospirò, sfiorando con la punta delle dita il medaglione che le ricadeva sul petto. “Solo, evita di andarlo a dire in giro,” aggiunse a mezza voce. Emma sorrise, socchiudendo gli occhi; raramente sorrideva a quella maniera – con tutta se stessa.
“E a chi potrei dirlo, a Church?” le chiese ironicamente. Un delicato sorriso si fece spazio sulle labbra di Cristina, che colpì scherzosamente il fianco della bionda con il proprio.
“Coraggio, Carstairs, devi ancora mostrarmi di che pasta sei fatta,” dichiarò, intrecciando il braccio al suo e trascinandola in direzione della palestra, non preoccupandosi del sorrisetto quasi sadico che andava ad ampliarsi sul volto dell’altra, mano a mano che avanzavano.

“Non ti stai impegnando,” constatò Jace, una volta disarmato Julian per l’ennesima volta. Il giovane sollevò lo sguardo al cielo, chinandosi per recuperare la propria arma con un sospiro.
“Ci sei arrivato presto,” commentò, rigirandosi il bastone tra le mani pigramente. La verità è che l’ultima volta in cui aveva impugnato un’arma suo fratello era morto, quindi non aveva tutta questa gran voglia di allenarsi. Si sarebbe volentieri chiuso in camera a dipingere. O, meglio ancora, a dormire. Ma se Jace Herondale (o Lightwood? Julian ancora non sapeva come preferisse essere chiamato) si presenta in camera tua chiedendoti di allenarvi assieme, puoi mai rifiutare?
“Potevi semplicemente rifiutarti, Jules,” replicò il biondo, inarcando entrambe le sopracciglia. Sì. Puoi. Jules si colpì mentalmente e, con un sospiro, piantò la punta del bastone a terra, poggiandosi su di esso come se fosse un muro.
“Ci state ospitando, dovrei dare una mano per sistemare quando possibile, o a gestire gli allenamenti, e non ho neppure voglia di combattere,” borbottò, arricciando le labbra in una piccola smorfia. “Per l’Angelo, sono un pessimo Nephilim,” disse quindi, rischiando di perdere l’equilibrio. A quelle parole, Jace si lasciò sfuggire una bassa risata, immediatamente affiancata da due cristalline di ragazza: Emma e Cristina si presentarono nella sala parlando tra di loro e ridendo.
“Non è colpa mia!” diceva Emma, con il volto arrossato e gli occhi lucidi, attraversati da una scintilla divertita. Cristina le colpì scherzosamente il braccio con la spalla, e Julian sentì immediatamente un dolore espandersi sotto la sua pelle, all’altezza del petto. Rimase a osservarle qualche altro secondo, poi Emma si voltò e incrociò il suo sguardo: la sua risata si affievolì e, lentamente, il sorriso scomparve dalle sue labbra.
“Credevo fossi con Clary,” disse con voce piatta, rivolgendosi a Jace. Julian era vagamente consapevole della sua presenza al proprio fianco, ma sentiva di reggersi in piedi solamente per quello; Cristina gli rivolse un rapido sguardo, poi tornò a osservare Emma.
“Mi ha mandato a smuovere un po’ Jules, in realtà,” replicò il biondo. “Ma ora è tutto vostro,” aggiunse, lanciando il bastone in direzione di Emma. Lei si accigliò ma, agilmente, si gettò in avanti e lo afferrò, fermandosi a pochi metri dal corpo di Julian. Non ricordava fosse così brava – non che si stupisse del fatto che, dopo cinque anni, fosse cambiata. Ma era davvero brava.
“Due contro uno sarebbe scorretto,” commentò con voce flebile il ragazzo. Ovviamente, se ne pentì il momento dopo.
“Oh, già – Cristina, Diego ti stava cercando,” disse di colpo Jace, scostandosi i capelli da davanti il volto con un piccolo cenno del capo. La diretta interessata arricciò le labbra in una piccola smorfia, quindi rivolse un ennesimo, rapido sguardo in direzione di Emma prima di chinare impercettibilmente la testa.
“Grazie,” replicò semplicemente, prima di roteare sui talloni e allontanarsi silenziosamente.
“Visto? Ora è più che corretto!” esclamò Jace, passando al fianco di Emma e lasciando scivolare una mano tra i suoi capelli, arruffandoli. “A dopo, biondina, e vacci piano.”
Emma, mentre lui si allontanava, strinse le labbra tra di loro borbottando tra sé e sé parole che Julian non sentiva da decisamente tanto – avendo passato la maggior parte del suo tempo con dei bambini. Involontariamente, si lasciò sfuggire una bassa risata divertita che portò Emma a voltarsi nuovamente verso di lui.
“Se non hai voglia posso sempre andare a chiamare Isabelle,” disse, rigirandosi lentamente il bastone tra le mani. “O Mark, magari la caccia selvaggia lo ha rallentato,” continuò, borbottando a mezza voce l’ultima frase, come se non volesse farsi sentire. Julian la osservava, ma non riusciva a trovare un singolo elemento che gli ricordasse la vecchia Emma. La piccola Emma. La sua Emma.
“No!” esclamò di colpo, sentendo il nome del fratello. Poi si schiarì la voce, nascondendo l’imbarazzo sul suo volto. “Voglio dire, lo avevamo detto. Ed eccoci qua, quindi, insomma,” si strinse tra le spalle, scostandosi i capelli da davanti il volto con un gesto lento prima di afferrare saldamente la propria arma. La giovane rimase a osservarlo per qualche istante, quindi annuì.

Julian ricordava l’ultima volta che si era allenato con Emma. Era stato esattamente prima dell’attacco di Sebastian all’Istituto di Los Angeles.
“Non ti stai impegnando,” disse Emma, fermando il bastone a qualche centimetro dal volto di Jules. Lui trasalì, indietreggiando.
“Mi sono distratto,” protestò, scostando appena l’arma di Emma con un delicato colpo. La ragazza sollevò lo sguardo al cielo e, troppo rapidamente perché Julian potesse reagire, lo disarmò.
“Ottimo,” commentò quindi, abbandonando il proprio bastone a distanza di sicurezza. Il ragazzo continuava a osservarsi le mani ormai vuote per qualche istante, prima di scostare lo sguardo sul volto di Emma – improvvisamente vicina a lui.
“Em, possiamo anche fermarci –” tentò di dire Jules; in risposta, il primo colpo fu diretto alla bocca. Indietreggiò appena barcollando, portandosi entrambe le mani davanti il volto.
“Lo avevamo detto. Ed eccoci qua,” replicò poi la bionda. Jules si spinse verso di lei in pochi istanti, tentando di colpirla in punti in cui sapeva non le avrebbe fatto male; era troppo abituato all’allenamento con i bambini (o Cristina): non era pronto a quel tornado di colpi. Parati, respinti, o incassati che fossero sembravano solamente spingere Emma a dare di più. Julian, al contrario, iniziò a sentirsi esausto quasi da subito. Come poteva tanta energia essere racchiusa in quel corpo così, apparentemente, delicato? Respirò a fondo prima di afferrarle i polsi, bloccando i suoi colpi e tirandola verso di sé: si sbilanciarono ma, nella caduta, lui si voltò, finendo con il bloccarla a terra.
Emma sollevò lo sguardo sul suo volto, le labbra strette tra di loro appena arricciate in un sorrisetto e il petto che, a causa del respiro affannato, si alzava e abbassava in maniera irregolare.
“Più rapido di quanto pensassi,” commentò Emma con tono divertito. Julian si irrigidì, scostando le mani dai suoi polsi ai lati del suo capo, mantenendosi sollevato. Dischiuse le labbra, come per replicare, ma rapidamente la bionda ribaltò la situazione: si sollevò con il corpo contro il suo, puntando le gambe ai lati dei suoi fianchi e le mani sulle sue spalle, spingendolo a terra.
“Ma non abbastanza,” aggiunse con il volto in corrispondenza del suo. Julian non si mosse, scostando lo sguardo verso quello della ragazza più volte, tentando di imprimersi rapidamente nella mente alcuni dettagli del suo volto; gli formicolavano le dita, ferme lungo i fianchi, desiderose di passare tra i suoi lunghi boccoli dorati, sfiorarle il volto, il collo, le braccia. Si sollevò appena con il busto – o, almeno, quando la spinta della giovane gli permetteva.
“Em,” mormorò, semplicemente. A lei parve di sentire il proprio cuore sobbalzare, e tutta la sicurezza acquisita durante l’allenamento scemò, lasciando il posto a una spiacevole sensazione di inadeguatezza. Allora perché non riusciva a muoversi? Il suo corpo e quello di Julian si incastravano perfettamente l’uno all’altro, facendole desiderare di restare lì per sempre. Chinò lo sguardo sulle labbra del ragazzo, solo per una frazione di secondo – abbastanza, comunque, per sentir quasi fremere le proprie.
“Dovrei andare,” biascicò, lottando contro se stessa per allontanarsi dal corpo di Julian. Il suo Julian.
“Per favore,” replicò lui, rapidamente e in un sussurro. Riuscì ad avvolgere un braccio attorno i suoi fianchi e, in questo modo, le loro figure combaciavano quasi del tutto. “Non farlo.”

Cristina vagava per i corridoi rigirandosi tra le dita la propria collana: avrebbe dovuto chiedere a Jace dove poteva trovare Diego, dal momento che ormai erano venti minuti buoni che girava a vuoto per l’Istituto. Sbuffò, posando la schiena contro la porta di una stanza e portandosi le mani sul volto: iniziava a pensare che Jace l’avesse detto semplicemente per far restare Emma e Julian da soli. Anche lei lo avrebbe fatto, in fondo; aveva notato lo sguardo del ragazzo appena erano entrate nella sala, e il modo in cui si comportava ogni qualvolta diventava argomento di conversazione. Ricordava come, durante le loro indagini, Ty continuasse a ripetere di farlo solo per Emma.
“Magari così tornerà da noi,” aggiungeva, facendo irrigidire Jules. Ricordava anche la rabbia nei suoi occhi quando, una volta raggiunto Malcolm, lui aveva chiamato i genitori della bionda un semplice esperimento mal riuscito.
“Tu sai quanto lei vorrebbe vendicarsi, Julian,” gli aveva detto, guardandolo dritto negli occhi. “Vendica la tua bella, coraggio,” aveva poi aggiunto, calando l’arma sul minuscolo corpo di Tavvy.
Cristina sobbalzò, riscuotendosi e aprendo gli occhi.
“Tutto bene?” domandò il ragazzo davanti a lei. Lei rimase qualche istante a osservarlo, senza riuscire a metterlo a fuoco.
“Come? Sì, sì sto bene,” disse rapidamente, scuotendo appena il capo. A quel punto, il giovane indicò la porta alle sue spalle.
“Dovrei entrare,” inclinò il capo, lasciando scivolare alcuni riccioli scuri sul suo volto. Cristina, scusandosi, si fece da parte.
“Sei Chase?” chiese d’istinto. Non aveva propriamente una faccia da Chase, ma Cristina supponeva di non avere una faccia da Cristina. Il ragazzo si bloccò sulla soglia della porta arricciando le labbra. Sembrava come se nessuno gli chiedesse mai una cosa del genere.
“Ci conosciamo?” le domandò. Un dolce sorriso si fece spazio sulle labbra di lei mentre, sulla sua spalla, la runa della persuasione iniziava a formicolare.
“Non ancora; posso entrare?”


   
 
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