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Autore: La Chiave di Do    06/02/2017    2 recensioni
"E poi aveva amato e baciato Rose, sapeva come amarla, era abituato ad amarla in quel modo puro e bruciante che gli faceva desiderare di essere il suo scudo contro il mondo e la sua spada contro il fallimento, che la voleva libera e serena come una giornata di sole. Improvvisamente si ritrovava a dovere imparare da zero, ad amarla con una nuova mente e con un nuovo corpo che lo forzavano su percorsi e memorie mai immaginati: un nuovo modo di amarla, di guardarla, di pensarla."
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Doctor - 1, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Can you hear what I hear, babe?
(La vendetta di Cassandra)


 

The air grows heavy. I listen to your breath,      
entwined together in this culture of death.      
Do you see what I see, dear?      

 

Prigioniera di una bolla in un campo di spilli, Rose era viva.

Riusciva a registrare quegli impulsi senza processarli, come un neonato cullato dalle rime di una litania senza essere in grado di capirne le parole. Si sentiva come un'adolescente in punizione, rinchiusa in camera dopo essere stata sorpresa a fumare, raggiunta dal vago vociare della televisione accesa al piano di sotto senza potersi figurare i volti degli attori, dal litigio dei genitori senza distinguerne l'argomento, dal profumo della cena sul fuoco senza poterne ipotizzare il gusto.

Suggestioni senza alcun filo logico la attraversavano nel luogo remoto e profondo in cui era confinata, e la palpitante tortura di quella rapida successione era quanto di più intenso e animalesco avesse mai provato: Cassandra pensava alla vendetta e Rose provava insieme bruciante rimorso e brillante compiacenza. Cassandra parlava e Rose soppesava la eco delle sue parole. Cassandra percepiva e Rose vibrava alla luce di quel bombardamento di stimoli. Cassandra capiva e Rose sentiva.

E ciò che Rose sentiva era come se lo sentisse l'intero universo, perché tutto ciò che era era sentimento e istinto. Quello che era il suo istinto e lei insieme le suggeriva che se lei poteva sentire Cassandra, Cassandra poteva pensare lei. Doveva solo pulsare al di fuori del suo microscopico regno e invadere la sua ragione violata di distruzione e terrore e sangue e sogni bagnati e scopare e…

Dottore.

I suoi occhi che erano gli occhi di Cassandra le inoltravano un'immagine fumosa del Dottore, e si scopriva a ordinare loro di farsi affamati in un istantaneo dilatarsi di pupille. Priva di memoria, non poteva rendersi conto di quanto tempo fosse passato dall'istante in cui quel parassita le si era insinuato nel pensiero razionale, se un minuto o cento anni prima, ma quell'immagine, come la fotocopia della fotocopia di un sogno, e quella voce, come la eco di una eco di un incantesimo, le sentiva come proprie, le intuiva con immediatezza.

Intuiva con incoerente chiarezza mani strette nervosamente a torturarsi il palmo con le unghie. Intuiva un balbettio confuso. Intuiva uno sguardo ansante sul suo seno che Cassandra aveva liberato un poco dalla morsa degli abiti.

E più intuiva e più voleva. Voleva che quelle mani si sciogliessero a toccarla, voleva che quel balbettio si spegnesse in un sospiro, voleva essere guardata, eternamente guardata con occhi incerti e anelanti. Completamente, totalmente, assolutamente voleva ed era lei stessa puro volere.

E quel volere esplodeva irradiandosi come sangue che sgorga da una ferita, annebbiando la mente di Cassandra, scivolandole fra le mani e sulla bocca, e si slanciava verso altre mani e un'altra bocca. A un tratto, per un momento, Rose si scopriva ad avvertire il proprio corpo, avvertiva le proprie mani insinuarsi fra i capelli del Dottore, avvertiva le proprie labbra schiantarsi come un aereo in picchiata su quelle del Dottore, pretendendo immediato accesso con la lingua, cercando i suoi denti e il suo palato, e la sua bocca era bagnata, e lei era bagnata, e avvertiva i muscoli irrigidirsi, e la mascella danzare, e la spina dorsale incendiarsi di brividi, e una tempesta elettrica le accendeva le sinapsi in un orgasmo cerebrale facendola urlare in preda a spasmi invisibili, e urlava sono viva, e urlava io esisto, e urlava scopami, e urlava uccidimi, e urlava ti prego Cassandra, non capire, lasciami, non lasciarlo, condividimi, condivilo, non dividerti…

L'onda d'urto dei pensieri di Cassandra, di nuovo consapevole, di nuovo padrona della mente di Rose la gettò ancora una volta nella sua cella, dolorante. Eppure quel corpo che non percepiva più lo sentiva caldo e umido: Cassandra era eccitata della sua eccitazione, era attratta della sua attrazione, infatuata della sua infatuazione. Rose tentava di collezionare con foga quelle fotografie distanti della realtà, del suo Dottore, e le appendeva senza ordine sulle pareti di quella stanza sempre più claustrofobica, e le pareti collassavano, si strappavano cancellando lo strato precedente di volta in volta. Io esisto. Io esisto. Io non penso, dunque sono. Ancora. Per poco.

Istanti o eoni più tardi, quando in un alito di vapore quella sanguisuga l'aveva abbandonata e la sua esistenza si era gonfiata come l'universo in espansione attraverso neuroni, carne e sangue, si era sentita come annacquata. Abituatasi alla confortevole ipersensibilità del suo cantuccio irrazionale, tornare in sé stessa l'aveva gettata in un limbo di abulica concretezza mentre il fascio di sensazioni che era diventata si diluiva nella molteplicità dei pensieri, delle percezioni, delle inutili masturbazioni cerebrali.

La prima cosa che aveva pensato era stata che di certo il Dottore sapeva: sapeva dove si va a nascondere l'identità quando è schiacciata dal possesso di un'altra creatura e deve trovarsi un angoletto sicuro dove andare a morire. Di certo la sapeva ancora capace di scoppiare all'interno di sé stessa, di perdere il controllo per prendere il controllo. Sapeva che era Cassandra a baciarlo, ma che non era Cassandra ad averlo deciso.
 

***

 

La stanza che la TARDIS aveva generato per lei, era delimitata come ogni altro spazio all'interno della macchina da tre linee, una che seguiva sei dei trentasei pannelli esterni della TARDIS, le altre due che tentavano invano di formare un angolo retto verso il centro della struttura, spuntato per sfociare in una passerella sul vuoto. Solo nella sua stanza, quella del Dottore e i bagni queste ultime si ergevano in pareti, con l'unica porta proprio su quel vertiginoso corridoio che era costretta a percorrere ogni mattina e ogni sera in un ansiogeno angolo retto proprio sotto la console, ansante sopra la sua testa; scesi dalla scala a chiocciola fino al piano sotto la sala controlli, Rose e il Dottore ne percorrevano insieme il primo tratto per separarsi al centro, dove si snodava in un bivio a T: lei svoltava a destra, lui a sinistra,e si lanciavano un sorriso dai lati opposti del passatoio prima di richiudersi la porta alle spalle.

Le radici profonde della TARDIS le avvolgevano il letto in un abbraccio di conforto mentre di nuovo padrona dei suoi ricordi appaiava con cura immagini e didascalie emotive, come un'archivista che fa ordine fra documenti importanti.

Quasi supplicò sé stessa di riuscire a sincronizzare i propri respiri a quelli della macchina, che sentiva pulsare, viva, oltre la cupola del soffitto.

Tentò, una mano al petto, di placarsi la tachicardia mentre dal calderone delle memorie emergeva quel bacio lascivo col quale aveva sfregiato il suo Dottore.

Ma ora, al sicuro, a Rose era come concesso di tornare a quello stato ferino di cui era stata schiava per quelle poche ore che le erano parse senza tempo o spazio.

La mano scivolò languida sotto la camicia da notte di seta rosa, superando in punta di dita le creste ossee dei fianchi e la linea dell'inguine. Sorrise trionfante al buio che la circondava.

Lui sa, si disse con svergognata malizia, come sussurrando un segreto attraverso il buco della serratura. Chiuse gli occhi.

E allora pensò, fortissimamente e coscientemente pensò al suo Dottore.

 

I kissed you once. I kissed you again:      
my heart it tumbled like the stock exchange.      
Do you feel what I feel, dear?      

 


 

“Posseduta” da Cassandra, Rose non è incosciente, ma schiacciata (ci rivela il Dottore) nel profondo della sua mente. Mi piace pensare che il luogo in cui i “posseduti” vanno a rifugiarsi sia quello più intimo, sconosciuto e confortevole, nonché quello fisicamente “schiacciato” sotto il resto del cervello: il sistema limbico, responsabile delle emozioni, dell'umore, dell'autocoscienza, e che ha un collegamento privilegiato col cervelletto, responsabile del piacere e della paura, o, per semplificare, delle reazioni istintive. Per dirla con meno biologia e più psicologia, freudianamente parlando, ho voluto in qualche modo privarli del Superio per abbandonarli a un Es senza freni, e quindi lasciarli in balia dei loro istinti di vita e di morte: scopamimandingotiammazzostronzo, in breve.
Per fare questo e slegare totalmente la loro condizione da qualsiasi forma di pensiero razionale o di accesso alla memoria a lungo termine (e quindi al senso del tempo) nel parlare del periodo di “possessione” ho voluto usare esclusivamente tempi verbali iterativi (anche qualora non era immediatamente logico farlo) per non attribuire nessuna connotazione temporale, ho favorito la paratassi e, a tratti, accenni di flusso di coscienza. Può piacere o non piacere, ma in questo caso è una scelta voluta, mirata a dare un movimento illogico e quasi frenetico alla scena.
Per quanto riguarda la descrizione delle stanze, ho tentato di inventare il meno possibile e seguire il più possibile il canon per costruirle in modo analogo: se faticate a immaginare cosa intendessi vi rimando a questa immagine per orientarvi.
Restiamo su Nick Cave, stavolta con Abattoir Blues.

   
 
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