Existences
Sherlock
Holmes torna a Baker Street un venerdì di ottobre, in piena
notte. Ha il setto
nasale deviato e una interminabile fila di tagli ed escoriazioni lungo
tutto il
corpo, ma è vivo.
E' ancora un segreto, ma è questione di giorni, ore forse;
tutto dipende da
come Mycroft saprà gestire la situazione, ed è
piuttosto bravo quando vuole.
L'appartamento puzza di chiuso ed uno spesso strato di polvere ricopre
ogni
cosa, proprio come ci si aspetta da un'abitazione sfitta da due anni.
Nota
subito però che (quasi) niente è stato spostato o
buttato o portato via; qualcuno voleva
che tutto rimanesse
esattamente com'era sempre stato. Sente l'impellente voglia di
sorridere, ma il
viso gli duole ancora terribilmente.
Sherlock è (non troppo) segretamente entusiasta tutte le
volte che pensa a
John, non vede l'ora che arrivi il momento del loro rincontro per
godersi ogni
mutamento d'espressione dell'amico.
Lancia via il cappotto con un gesto secco e si siede sulla sua
poltrona,
agitato.
Vorrebbe un the, ma Mrs. Hudson non si trova nell'edificio ed il bar
sotto casa
è chiuso e tale rimarrà fino alla mattina.
Che noia. Potrebbe (dovrebbe) dormire, ma mesi e mesi a spostarsi da un
continente all'altro gli hanno completamente sballato ogni fuso orario,
e lui
non era mai stato un amante del sonno. E' una perdita di tempo,
rallenta. Ma
che impegni ha, al momento?
Improvvisamente ha voglia di giocare a Cluedo, senza un vero
perché.
Ed è fortunato, davvero fortunato, perché una
porta si è aperta dalla cima
delle scale ed un passo conosciuto, ma che non udiva da tempo immemore,
si
avvicina.
Sherlock vorrebbe scattare in piedi, ma quando accende la luce John
è ormai
sulla porta che lo fissa, incredulo. Vorrebbe dirgli che non
è pazzo, che lui è
davvero lì, e che ha intenzione di restarci, ma quegli occhi
lo bloccano.
Aveva considerato anche questa reazione (la più
probabilmente, la più ovvia):
la rabbia del soldato.
Ciò che non aveva contato era quell'orribile senso di colpa
che cresceva senza
controllo dentro di lui, inghiottendosi ogni parola.
Lo hai deluso Sherlock.
Peggio, lo hai ferito.
"Tu".
Deglutisce, ma trova la forza di alzarsi, anche se non è
più sicuro di voler guardare.
John è livido di rabbia, e non in vena di soliloqui alla
Sherlock Holmes.
"Tu".
"Io?".
E' tutto quello che può permettersi di pronunciare a quanto
pare, perché
l'altro lo ha buttato a terra e lo sovrasta completamente.
Avverte un fortissimo dolore alle ginocchia, alla schiena, al petto,
alla
faccia.
John lo sta picchiando. Ferocemente, per di più. Con rabbia
(comprensibile).
Sherlock trattiene i gemiti, ma alla fine uno più alto degli
altri gli sfugge e
l'amico si blocca, tremando come se ne fosse rimasto scottato, e si
allontana
con il volto tra le mani.
"John..."
"Zitto".
Sherlock esegue, e tenta di rimettersi sulla poltrona. Il naso ha
ripreso a
sanguinare, ma il dolore generale lo distrae da quella deduzione e lo
fa
ricascare a terra.
John lo guarda, per nulla impietosito, ma alla fine cede e lo aiuta,
perché è
così che funziona tra loro.
Perché lui è quello umano e tiene troppo alle
persone (anche a quelle che non
sei lo meritano).
Ogni pugno gli ha sussurrato boriosamente "stronzo", ogni calcio
"non hai idea di cosa mi hai fatto passare" ed ogni fitta adesso gli
grida "te lo sei meritato", ma non una parola da John, che si
è
voltato e trascinato fino alla finestra.
Può immaginare quello che sta pensando, può
ascoltare il tintinnio fastidioso
di quel cervello (in parte) inutilizzato.
Come hai fatto a sopravvivere?
No, Sherlock, no, prova ancora.
Perché non me lo hai detto?
John stringe i pugni in modo compulsivo, si sta trattenendo
dal riprenderlo
a cazzotti, con enorme sforzo.
Come hai potuto?
"Una parola Sherlock, sarebbe bastata una parola per sapere che eri
vivo".
"Io non potevo...".
"Chi altri lo sapeva?"
"M-"
"No, ripensandoci non dirmelo".
John si sporge verso di lui, lo osserva attento (occhi da medico,
professionali); poi recupera da non si sa bene dove un pacco di
ghiaccio
istantaneo e glielo schiaffa sul naso.
"Tuo fratello sicuramente lo sapeva. Oh sì doveva esserne a
conoscenza,
chissà quanto si è divertito a vedermi crogiolare
nel mio brodo".
"Pensavo non--" ma l'espressione furente di John lo azzittisce.
Sherlock ha l'improvviso istinto di nascondersi dietro la busta gelata
che stringe
tra le mani, come quando da bambino veniva rimbeccato per una
marachella ed
infossava lo sguardo lontano per non incontrare gli occhi di nessuno.
Era tornato. Che importanza poteva avere tutto il resto?
"Non dovevo nemmeno venire a Baker Street, ma Mrs. Hudson non c'era ed
allora perché non approfittarne per raccogliere una po'
della mia roba? (si è
trasferito due anni fa, ma tante cose non ha mai avuto il coraggio di
spostarle. Non ha nemmeno più parlato con Mrs. Hudson, la
evita. Si sente in
colpa per questo.) Sto andando avanti Sherlock, dopo due anni, e
tu...adesso...Come puoi farmi questo, adesso?".
Quella frase, che rimane sospesa tra di loro per qualche istante,
sancisce la
fine della discussione. John batte in ritirata, furioso.
Sherlock rimane un secondo stordito invece, ma quando trova l'energia
di
alzarsi ed affacciarsi sulle scale, senza aver ben chiaro cosa dire o
cosa
fare, trova solo Mrs. Hudson, tutta stralunata in mezzo a tante valige,
con la
porta chiusa (sbattuta forte) alle sue spalle. John se l'è
svignata troppo velocemente,
senza dargli possibilità di replica.
Rimane immobile in cima alle scale, e la donna, dopo quelli che
sembrano secoli,
alza lo sguardo. Sbatte le palpebre più volte, alla vista
inconfondibile del
suo inquilino preferito. E morto, morto da due anni, ma sono inezie
quelle.
Sherlock le sorride, illuminato dalla luce del mattino.
E lei urla, urla ed urla.
Il primo caso che Mycroft gli rifila è un imminente attacco
terroristico.
"Massima priorità" ha esclamato, indugiando sulla porta.
Sherlock
nemmeno si è voltato, liquidandolo col cenno di una mano. E'
di cattivo umore.
Sono venuti a fargli visita tutti, da quando la notizia è
diventata di dominio
pubblico; Molly, Lestrade, perfino Anderson, ma non John.
Sono passati dieci giorni e Sherlock sta ancora aspettando, ma del
dottore non
c'è alcuna traccia e la sua pazienza sta raggiungendo il
limite. Ci sta
impiegando troppo tempo a perdonarlo e non gli piace la solitudine. Non
più.
Il telefono vibra, e la foto di Lord Moran appare sullo schermo; ha
iniziato a
muoversi, ma Sherlock non riesce proprio a districarsi tra tutte quelle
fotografie. C'è qualcosa che non quadra, ma cosa?
Mrs. Hudson gli porge una tazza di the e gli sorride affabile. Non ha
mai
smesso, da quando è tornato.
Perché John non può fare
lo stesso?
Scaccia quel pensiero con irritazione, mentre manda giù un
sorso caldo.
Deve spicciarsi.
Potrebbe chiamare Molly, abbandonerebbe qualsiasi cadavere col quale
è
impegnata per correre da lui ed assecondare i suoi stupidi capricci.
Potrebbe farsi un giro a Scotland Yard, ma quando mai quel branco di
incompetenti aveva sollecitato il suo cervello?
Potrebbe...uscire in strada e recuperare una dose, c'è una
vecchia catapecchia
poco lontana dove spacciano crack e tutto il resto.
Qualcosa (qualcuno) lo blocca.
John non approverebbe.
Ma John non c'è.
Lo so che potrebbe non perdonarmi.
La droga o la finta-morte?
Entrambe.
Suddetto John Hamish Watson varca la porta, indisturbato, mentre il
detective è
assorbito in quei pensieri.
Ha sempre avuto un tempismo particolare.
"John".
Il soldato accenna un saluto e cammina per il salotto, sfiorando la
superficie
della mensola: brulica di posta, ma Sherlock non ha aperto nessuna
lettera. Ha
dei fan, adesso, gente invasata che gli manda pagine e pagine di elogi
che
vorrebbero lusingarlo e che invece lo lasciano indifferente.
"E' un vero letamaio qui".
"Le pulizie non sono mai state il mio ambito di competenza".
John sbuffa, mastica un "lo so benissimo" e, finalmente, si volta
verso di lui.
Sembra stanco, ma non arrabbiato.
"Come stai?" chiede, alludendo alle ferite (ma anche a tutto il resto).
"Oh...Mh. Si sta sgonfiando, il bernoccolo che mi hai procurato quando
mi
hai buttato a terra dico. E anche il naso sta meglio. Le gambe se la
cavano,
sono forti. Ho un sistema immunitario invidiabile, a quanto pare".
"Capisco. Bene, mi fa piacere".
"E tu?", ma John sul momento glissa la domanda, sedendosi sulla sua
poltrona e chiudendo gli occhi per un lungo istante.
"Esattamente come se avessi scoperto che il mio migliore amico ha
giocato
a nascondino per due anni mentre io qui mi--aspetta, stai
già lavorando?".
"Certo John" (quando mai riusciva a stare fermo lui?) "un caso
di Mycroft. Un possibile attacco terroristico. Un agente ha dato la sua
vita
per queste informazioni ed io non riesco a venirne a capo".
"Lo conosco quello" dice John indicando l'unico scatto scampato al
pennarello "E' un politico importante no?"
"Lord Moran, sì. Lavora per la Corea del Nord dal 1996".
John ammutolisce e Sherlock parla e parla e parla, come ai vecchi
tempi. Ed
alla fine il particolare tanto agognato (le carrozze John, le carrozze
della
metropolitana! Contale! Come ho fatto a non accorgermene prima? Sono un
idiota!)
si rivela in tutta la sua pienezza.
"Non è "una rete sotterranea" John. E' la rete sotterranea!
Ci
deve essere una bomba, una gigantesca bomba, là sotto!
Andiamo!"
Sherlock si alza velocemente, ma se ne pente ancora più in
fretta; la testa gli
gira e le gambe gli tremano, tanto che John lo afferra per il bacino e
si carica
un po' del suo peso sul corpo.
"Sherlock no, sei ancora troppo provato. Lascia che sia Mycroft a
preoccuparsene".
Il detective si cimenta nella sua migliore espressione da cane
bastonato (non
farmi questo John), ma il soldato lo spinge nuovamente sulla poltrona,
irremovibile.
"Togliti la camicia, fammi controllare le ferite".
Sherlock trasale leggermente, ma alla fine si sfila l'indumento, con
lenti e
meccanici movimenti, e si lascia ammirare in tutta la sua disgrazia.
Non deve
essere un bello spettacolo, perfino suo fratello era trasalito quando
lo aveva
recuperato da quella base serba.
John non lo tocca, ma sfiora ogni sua ferita con gli occhi e Sherlock
ne può
avvertire il calore bruciante.
Passano almeno due minuti prima che il medico apra bocca, spezzando
quel
silenzio pesante.
"Quante volte?"
Sherlock finge di non capire, ma John non distoglie l'attenzione dal
suo
braccio destro, testardo.
Già.
I segni sul suo braccio.
I buchi.
"Non troppe, solo quando avevo bisogno di accelerare i miei processi
mentali. Durante le missioni operative, di solito"
"Quella roba può ucciderti, te lo devo ricordare?"
"Ti assicuro che anche quei terroristi non scherzavano in merito".
John tenta di trattenersi dal ridere, ma Sherlock nota gli angoli della
bocca
incurvarsi all'insù ed improvvisamente anche lui ne ha una
gran voglia. Come ai
vecchi tempi.
"Raccontamele" sussurra John indicando le cicatrici, le escoriazioni,
la ferita di proiettile pericolosamente vicina ad un polmone "Tutte"
(e poi forse ti perdono).
Sherlock si fa passare il cellulare e manda un messaggio a suo fratello
mentre
il dottore va a prepararsi un the.
Ha tanto di cui parlare.
John non risponde repentinamente ai suoi messaggi e la cosa lo snerva.
Non
c'era stato verso di convincerlo a ritrasferirsi a Baker Street e
così, quando
Lestrade lo aveva supplicato di aiutarlo con un caso, John era
chissà dove a
fare chissà cosa.
Ha una donna, probabilmente. Forse gliene ha anche parlato, ma lui
è disinteressato
all'argomento.
L'ispettore tenta di affibbiagli ogni indagine da quando è
tornato, anche le
più banali (ma il livello di Scotland Yard si era abbassato
così tanto in due
anni?), così è quasi contento quando un caso da
sette lo costringe ad uscire.
Mangia poco e dorme anche meno, ma sta meglio, ha riacquistato le forza
necessarie
per muoversi sul campo.
Nessuna corsa spericolata per gli anfratti di Londra (non ancora),
anzi, è diventato
quasi discreto, solo per disfarsi di tutti quei fastidiosissimi
giornalisti che
lo hanno perseguitato per giorni senza sosta. Non ha ancora rilasciato
nessuna
dichiarazione ufficiale in merito alla sua resurrezione,
nonostante sia stato onnipresente su tutte le prime pagine dei giornali.
"Non fingere che non ti piaccia" lo aveva rimbeccato John giorni
addietro
mentre chiudeva le tende per nasconderli dai flash delle macchine
fotografiche
"non vedi l'ora di dire a tutti come hai fatto, come al solito", e
Sherlock se l'era presa (in modo così infantile), tanto da
sfuggire ad ogni
reporter per provargli l'esatto contrario.
"Non mi interessa quello che pensa la gente"
Mi interessa quello che pensi tu (ma
non lo aveva detto ad alta voce).
"Hai qualche idea?" chiede Lestrade, stufo del mutismo del detective.
"Sempre" lo liquida scocciato mentre sfoglia un tomo rovinato e
(apparentemente) vecchio.
How I did it by Jack the
ripper.
Ma per favore.
"Hai voglia
di condividerle con me, per favore?".
"Riceverai mie notizie in giornata" sbuffa, scrollando le spalle.
"Non puoi dirmelo adesso e basta?".
Esibizionista, lo percula John nella
sua testa.
Che starà combinando John? E' con quella donna? Si
sarà accorto che gli obbiettivi
dei giornalisti non li abbandonano mai?
"No, prima devo
andare a trovare un
fan".
Lestrade lo guarda allibito, ma alla fine ci rinuncia, come al solito.
Sherlock prende un taxi per recarsi a casa, vuota ovviamente. Un
slittata di
fastidio lo coglie impreparato mentre afferra violino ed archetto, che
alla
fine posa stizzito senza suonare alcunché.
Per ripicca, medita, toglierà la sua poltrona da
lì, anche se la stanza perderà
il suo equilibrio.
Sarà una misura temporanea comunque, vuole solo infastidirlo
un po'.
Sherlock Holmes, primo ed unico consulting
detective della storia, che fa i dispetti.
Non se ne dispiace neanche un po'.
Il telefono vibra mentre prepara il bollitore.
Scusa,
c'è un campo pessimo in ambulatorio.
Ho
ricevuto solo ora il tuo messaggio.
Lo
hai già risolto? - JW
Ovviamente.
- SH
E'
stato il maggiordomo? - JW
Non
c'era nessun maggiordomo. - SH
Lo
so Sherlock è un modo di dire.
Lascia
perdere.
Ci
vediamo domani. - JW
Perché?
Potrebbe
non esserci nessun caso. - SH
Per
una partitina a Cluedo - JW
Sherlock
sorride, mentre si versa il the nella tazza preferita di John.
Forse
può funzionare anche così.
Le cose però non migliorano.
John dedica molto tempo a Mary ed al lavoro, e sempre più
raramente si reca a
Baker Street, o sulle scene del crimine in generale.
Quasi per controbilanciare Mycroft sta nuovamente invadendo la sua
vita, senza
disturbarsi a chiedergli il permesso.
Per completare il quadro Londra non gli regala nessun nuovo caso
interessante
(ingrata), solo schifose e piccole effrazioni che Lestrade ha anche il
coraggio
di sottoporgli, talvolta.
Nemmeno a dirlo, il suo umore è nero.
Ha ripreso a fumare, ma Mrs. Hudson non ha fatto una piega quando lo ha
scoperto, anzi, gli aveva addirittura procurato un posacenere; forse il
piede
mozzato nel frigorifero era stato un chiaro deterrente a qualsiasi
ramanzina.
Spegne il mozzicone ridotto all'osso sul pavimento e fa per
accendersene
un'altra, ma dei passi, alcuni familiari ed altri no, lo bloccano.
John nemmeno lo saluta, si lamenta istantaneamente dell'odore acre
della stanza
e corre ad aprire la finestra.
Non è solo.
La figura che si era bloccata sulla porta avanza di un passo, per nulla
infastidita o in imbarazzo.
La tanto nominata Mary.
Sherlock le lancia un'occhiata di sottecchi; corti capelli biondi,
enormi occhi
azzurri (che lo scrutano curiosi) e corpo nella media, né
magro né grasso (ma
nessuna curva particolare o avvenenza evidente): in definitiva niente
di
eccezionale, per i comuni canoni estetici.
La donna tossicchia, per richiamare l'attenzione del fidanzato che non
si è
premurato di presentarli, che scatta verso di loro. Sembra felice
(è felice).
"Ah...già. Mary, lui è Sherlock Holmes".
"Mary Mostran" dice lei quando si stringono la mano "Ho molto
sentito parlare di lei".
"Spero positivamente".
"In modo strabiliante". Sembra sincera (è sincera).
Sherlock le sorride, è questo che richiede il protocollo
sociale, no?
"Quindi, che combini?" domanda John mentre si leva la giacca ed attende
che Mary lo imiti "Qualche caso interessante?"
"Niente di niente, è tutto molto noioso (senza di te)".
"Ed ecco spiegato il tuo redivivo vizio del fumo--hey, dov'è
la mia
poltrona?"
Sherlock fa spallucce "Tu te n'eri andato".
"Lieto di esserti mancato".
Lo squillo di un telefono li interrompe, e Mary (divertita) si apparta
sul
pianerottolo per rispondere alla chiamata.
John gli si avvicina velocemente e gli sussurra un "Cosa ne pensi?"
senza
perdere di vista l'uscio.
Già, cosa ne pensa lui di Mary?
Sicuramente l'infermiera part-time per cui John ha perso la testa
è
particolare, anche se non nell'aspetto; ha lasciato trasparire
sicurezza ed un
genuino interesse per ciò che la circonda (consulente
investigativo compreso).
Le piacciono i gatti, adora John e i suoi piccoli gesti romantici, ma
è
abbastanza disincantata dal mondo da non aspettarsi nulla di eccessivo
dal
soldato, se non stabilità ed affetto.
"Sembra simpatica".
"E' una frase di circostanza?".
"Non lo sono tutte?"
"Sto parlando sul serio Sherlock". Il detective lancia un'ulteriore
occhiata
a Mary, che sta ridendo seduta sugli scalini.
Non ha una vera antipatia per la donna, anzi; è consapevole
che dovrebbe
provarne dal momento che è principalmente lei la causa che
allontana John da
Baker Street (e da ciò che rappresenta), tuttavia non crede
che ne avesse la
minima intenzione. Anzi, appariva eccitata ed incuriosita da quel lato
un po'
sconosciuto del fidanzato di cui ha letto nel blog, di quel John che
combatte
il crimine con Sherlock Holmes che lei non conosce.
Potenzialmente, Mary potrebbe essere la compagna perfetta.
"Non ho sufficienti dati per un'analisi completa, ma direi che
è...accettabile".
"Immagino sia tutto quello che posso sperare di ottenere da te. Bene.
Molto
bene in effetti, perché voglio chiederle di sposarmi".
Il detective lo fissa, apparentemente calmo (John sembra deluso della
reazione),
ma dentro di lui c'è in atto un vero e proprio maremoto.
Quello, Sherlock, non lo aveva dedotto. Come avrebbe potuto?
E' sempre stato consapevole di quanto John traesse piacere nell'avere
una
relazione sentimentale, nel corso della loro convivenza gli aveva
presentato
numerose ragazze che lo soddisfacevano per più ragioni, ma
nessuna era mai
durata tanto.
"Mi è stata molto vicino mentre...bhe, lo sai".
Durante il lutto, ovviamente.
Era stato merito suo se si erano innamorati, quindi; era stata colpa sua.
Ma davvero di colpa si poteva parlare?
Sherlock nota quanta serenità illumina il volto di John
mentre prepara il the
al rientro di Mary, quanto è felice mentre stringe il
braccio della sua
fidanzata (futura moglie, lei risponderà di sì)
mentre lasciano l'appartamento.
E' giusto, anche se fa (male) paura l'idea che il medico non
vivrà mai più con
lui; che il loro duo presto muterà in un trio.
Fa (soffrire) strano.
Li osserva allontanarsi dalla finestra con cipiglio serio, trattenendo
inconsciamente il respiro.
Il detective adora John Watson, ha amato completamente la sua presenza
discreta
ed i suoi rimproveri furenti ogni qual volta si cacciava in situazioni
troppo
pericolose (senza di lui) per anni; sono stati i ricordi dei pomeriggi
frenetici per Londra, delle cene cinesi gustate alle due del mattino e
dei
Natali trascorsi insieme che hanno permesso a Sherlock di sopravvivere
in giro
per il mondo mentre scardinava la rete di Moriarty. John ha significato
tutto
ancora prima che si lanciasse giù dal Barts e fingesse la
sua scomparsa, ma
Sherlock ha sempre saputo cosa poteva dargli e che cosa, certamente,
non era in
grado di fare.
Non si è mai sentito in dovere di correggere nessuno, ma
Sherlock Holmes è
capace di amare (purtroppo), solo non nella maniera convenzionale in
cui tutti
si aspettano.
Mary invece sembra adatta a quel ruolo: amerà John
(farà l'amore con lui, lo
consolerà dagli incubi, lo bacerà sotto il
vischio a Natale) ed invecchieranno
insieme in una casetta in periferia; lui siederà lontano e
si limiterà ad
osservarli, a proteggerli se necessario.
E va bene così, dice una voce dentro di se.
Lui vuole che John sia felice, anche se (troppo) lontano da lui.
Tuttavia, la nicotina si rivela non essere più sufficiente
in quel frangente.
Ha bisogno di qualcosa di più forte, più forte
del 7%.
E' una coincidenza fortuita che di recente abbia creato un nuovo
nascondiglio,
così in bella vista che Mycroft non gli aveva dato peso
(quando era venuto a
curiosare l'ultima volta): è la trave nel corridoio che
scricchiolava da anni.
Sherlock l'ha staccata quasi completamente da terra un mattino che si
annoiava,
ed è riuscito ad infilarci cinque bustine bianche per ogni
evenienza.
Mentre stringe la cintura dei pantaloni intorno al braccio ripensa
all'ultima
volta in cui ha compiuto quel suo piccolo riturale, e se non erra (non
lo fai
mai) era in Russia, soffocato sotto sei metri di neve per nascondersi.
Aveva
creduto di morire, ma poi il ricordo della terribile fantasia del
maglione
preferito di John lo aveva spinto a farsi forza, a sopravvivere.
L'ago freddo gli buca la vena e Sherlock chiude gli occhi. Il cuore gli
batte
fortissimo, ma rischia letteralmente di schizzargli fuori dal petto
quando
avverte la presenza di John nell'appartamento.
Ha il respiro affannoso e non ha notato niente, troppo intento ad
accendere la
televisione. "Lo hai visto questo?" chiede sconvolto, ma gli muore in
gola qualsiasi battuta successiva, perché la siringa
è ben visibile sul tappeto
e la cintura ancora stretta al suo avambraccio.
La faccia di Moriarty invade il piccolo schermo ed un monocorde "Vi
sono
mancato?" riempie la stanza, ma tutto appare ovattato. Forse
è la droga (stronzate).
Non è un problema tuo, vattene.
Ti prego vattene.
Ma il soldato non accoglie la sua tacita richiesta, non senza avergli
prima
spiegato cosa vuol dire "far incazzare di brutta maniera un soldato",
gli urla addosso, agitato.
Gli estrapola con poca fatica dove sono le altre dosi e mentre
ripulisce
l'appartamento, trascina la sua poltrona rossa nella vecchia
postazione, la giusta posizione.
Quella sera Sherlock origlia la chiamata a Mary (Sherlock,
droga, poi ti
spiego, ti amo) e l'urgenza di un'altra dose si fa intensa, ma la
ignora quando
l'amico gli porge una tazza di the.
E' furioso, ma non abbastanza da farlo crepare disidratato.
John non lascia Baker Street per le successive 48 ore, e Sherlock si
scopre (segretamente)
felice di ciò.
Quando si sveglia, un
leggero senso di torpore lo infastidisce.
Ha dormito più del solito e la luce del mattino filtra dalle
persiane che non
si ricorda di aver aperto.
"John?".
Non ottiene alcuna risposta
e la tentazione di rimanere lì, nel calore morbido delle
coperte (fa freddo, è
dicembre in fondo) è forte.
Tuttavia un rumore
sommesso (sinistro) lo riscuote e lo costringe ad alzarsi, a lasciare
la
stanza.
Afferra dal comodino
una pistola, una rivoltella elegante che suo fratello gli aveva
regalato quando
era uscito dal programma di disintossicazione per la prima volta, a
vent'anni.
Una vita intera fa.
"John?"
chiama nuovamente, più forte.
"Sono
qui".
Si avvicina cautamente
al salotto (evita la trave cigolante del pavimento), e la scena che
scorge non
lo sorprende. Non del tutto almeno: è uno dei possibili
scenari che Sherlock
aveva ipotizzato mentre percorreva scalzo il corridoio.
Jim Moriarty gli
sorride. È vestito con un elegante completo blu scuro, ma ai
piedi porta sneakers
e sulla testa un capellino con visiera, con sopra un'enorme scritta
"QUEEN" dorata.
È seduto sulla
poltrona (la sua poltrona), una pistola in una mano (puntata su John)
ed una sigaretta
accesa nell'altra.
"Ciao
bello". Gli scocca un occhiolino, ma lo sguardo di Sherlock scorre
istantaneamente sul dito vicino al grilletto (che non sta fermo).
Moriarty se
ne accorge e il ghigno si estende ancora di più, le pupille
si dilatano
leggermente.
"Non
preoccuparti, non ho il morbo di Parkinson. Mio padre sì,
sai? Mio fratello da
bambino era convinto che si trattasse di una patologia ereditaria e
che,
crescendo, non sarebbe riuscito a guidare quei grossi treni che gli
piacevano
tanto".
Moriarty non presta
molta attenzione a John (la presa sull'arma è ferrea, ma il
braccio è molle, la
direzione imprecisata) che potrebbe disarmarlo facilmente vista la sua
formazione militare.
Deve esserci
dell'altro. Nota il rigonfiamento sotto la camicia dell'amico 0,2
secondi più
tardi; una bomba quindi.
"Sono deluso.
Pensavo ti saresti impegnato un po' di più".
"Naaaah. Adoro i
vecchi classici. Ogni tanto, solo ogni tanto. Funzionano bene".
Sherlock sente fremere
la rivoltella nella sua, di mano, ma non ha alcuna speranza di
cavarsela in
modo così pulito.
"Come puoi essere
vivo".
Più che una domanda è un'affermazione, ma la
sostanza non cambia.
Moriarty arriccia le
labbra, e poi si abbandona completamente contro lo schienale.
"Oh ti prego no
no no no, non parliamo di questo".
Ma è possibile che
Mycroft non abbia posto sotto sorveglianza l'intero edificio? Come
è riuscito
l'uomo ad eluderla?
"Ci sono milioni
di argomenti più interessanti!".
"Per
esempio?"
"Per esempio
Redbeard!".
Una ferita lontana
pulsa, alla pronuncia di quel nome. Come lo conosce?
Mycroft,
probabilmente.
Sente la collera
bussare alla porta, ma non ha tempo per quello ora, ha bisogno di
rimanere
lucido.
"Non mi va di
parlarne".
Il consulente
criminale spegne la sigaretta sul tappeto e si porta pollice ed indice
alla
radice del naso, come se stesse riflettendo sul da farsi (come una
mamma che
non ne può più dei capricci del figlio).
Dopo qualche istante
si stira annoiato (il corpo si tende scoprendo completamente l'area del
petto,
ma lui non può sparargli) e si alza in piedi.
"Ok ok facciamo
come vuoi tu allora. Parliamo di quello che vuoi tu. Giochiamo a "Come
è
riuscito Jimmy a sopravvivere?", va bene. Ti darò degli
indizi come se
fossimo in un vero programma televisivo Sherlock ", si guarda la punta
della scarpe compiaciuto, felice della propria idea, "Eccoti il primo
"non nel modo in cui hai fatto tu"".
Non è sufficiente, ma
Moriarty sembra proprio entusiasta, come se gli avesse donato su un
piatto
d'argento la soluzione.
"Ti sei sparato in bocca. Mi fido di ciò che ho visto".
"Eppure eccomi
qua".
Eppure eccolo
lì.
Lo scruta attentamente,
ma niente pare anomalo: nessuna cicatrice visibile, o accenno di una
qualsiasi
patologia (presa ferma, sguardo lucido, postura corretta).
Sherlock osserva John
di sottecchi, e Moriarty accarezza il grilletto dolcemente, con
attenzione.
"Puoi mhhh---" muove l'arma insieme alla mano, prima su di lui poi su
John poi di nuovo su di lui e così via "---potete parlare
tra di voi. Mi
piace quando deduci con il tuo dottorino".
"Non c'è niente da
dedurre".
"Secondo indizio allora? Non sei molto bravo in questo gioco Sherl".
Moriarty si tira su una manica, lentamente, accompagnando il gesto con
un
fischiettio. Ha un paio di buchi profondi sul braccio.
"Droga?"
sibila John, ma Sherlock scuote la testa.
"Non avrebbe senso".
"Odio gli aghi sapete? Preferisco il crack. E sapete cosa preferisco al
crack? Il sesso" gli ammicca "sarei curioso delle espressioni che
potresti regalare in preda ad un orgasmo. Magari non ti ammazzo".
"Dovrei sentirmi lusingato?". Moriarty carica la pistola mentre si
morde un labbro, lezioso.
"Dovresti sbrigarti. Tic-toc
Sherlock. E' un gioco a tempo questo. Dai la soluzione".
John chiude gli occhi, consapevole che lui non la conosce, la soluzione.
Lo ha notato dalla maniera spasmodica in cui tenta di guadagnare tempo?
"Non tremi, non
provi dolore, non sei ferito, non ti sei sparato in bocca. O meglio, lo
hai
fatto, ma non c'era nessun proiettile. Qualcuno (il tuo cane da
guardia) ti ha
colpito da lontano con una pallottola contenente solo sangue. Te ne
hanno
prelevato molto, per questo sono ancora visibili i segni" li indica
"Non hai avuto bisogno di nessuna maschera, o via di fuga; sei rimasto
sul
tetto mentre io mi buttavo giù, così sei
semplicemente sgusciato via in quel
miasma di gente, appena ce n'è stata l'occasione".
Il criminale fa un piccolo "oh" con la bocca e piega la testa di
lato, sorridendo. Sherlock percepisce l'adrenalina scorrergli nelle
vene e la
voglia cieca di picchiarlo a sangue.
John sta trattenendo il fiato, gli occhi fissi su di lui.
"Credi davvero a
quello che hai appena detto?"
"Nemmeno ad una
parola" risponde Sherlock scollando le spalle "Ma tanto valeva
puntare".
Moriarty ride, sguaiatamente, come il cattivo di un cartone animato; si
sta
divertendo, lo stronzo.
"Ti darò una seconda possibilità Sherlock. Ed un
terzo indizio, se farai
il bravo".
Potrebbe azzardarsi a sparare, e sperare di disinnescare quella dannata
bomba
(ma il suo Mind Palace è piuttosto sprovvisto di materia a
riguardo).
"Come hai fatto a sopravvivere?"
"Facile. Guardami. Lo sai
già.
Eppure non lo vedi, vero?". [1]
"Mi fido di ciò che vedo".
"Sherlock scappa" sussurra John all'improvviso, ma lui lo ignora,
ovviamente.
Non permetterà che John sconti i suoi errori, non di nuovo.
Moriarty distende le
labbra, di fronte all'immobilità del detective.
Soddisfatto.
Fa un mezzo inchino, e lancia via il capello, in modo teatrale.
"Dì la verità, si
nota tanto? Pensavo di mettermi una bandana, come i rapper. Potrebbe
starmi
bene, potrei iniziare a parlare a ritmo".
L'enorme buco nel cranio di Moriarty lo fa arretrare di un passo,
più per la
sorpresa che per altro.
"Sono morto?" chiede mentre punta l'arma di fronte a se. Ha senso
sparare ad un eco della sua memoria, a questo punto?
Spara; una due tre volte.
I proiettili lo trapassano, ma l'altro finge di esserne ferito,
buttandosi
sulle ginocchia e portandosi le braccia al petto. "Mi hai colpito, che
cattivone".
"Sherlock svegliati" dice John "Svegliati ed andrà tutto
bene".
Sta morendo davvero quindi. Il piano non è riuscito? La
caduta gli è stata
fatale e stanno cercando di rianimarlo in qualche modo?
"No no Sherlock, niente del genere. Non siamo mica in un film qui"
Moriarty gli si avvicina e gli afferra la mano; sa che non è
possibile, ma
prova dolore per quella stretta. Non si ritrae, e l'altro si lecca le
labbra a
pochi centimetri dalla sua faccia.
"Ti aiuto io a dare la soluzione. Apri la manina" sussurra.
Dischiudendo il pugno Sherlock trova un proiettile lungo e appuntito
sul suo
palmo pallido, il terzo indizio probabilmente. Appartiene ad un Barrett
M82, ne
ha visti parecchi negli ultimi anni e riconoscerlo è facile.
Un fucile di precisione.
"Non ho mai abbandonato quel tetto, vero? Mi hanno ucciso,
lassù"
fissa quegli occhi folli, alla ricerca di non sa bene cosa "Hai dato
l'ordine".
"Seb non sbaglia mai un colpo, gliene do atto" risponde il criminale;
si arrampica sulla sua poltrona e si mordicchia un'unghia, assorto "ma
vorresti dedurre per me come sarebbe possibile tutto questo" ed indica
la
stanza "se il tuo cervello è morto?
No no Sherlock, ti stai sbagliando, che delusione. Avrei dovuto capire
che non
ci saresti mai arrivato fin dall'inizio.
Ma tic-toc Sherlock, la soluzione
è
così chiara, vero Johnny-boy?".
Sherlock lancia un'occhiata a John, che è rimasto in piedi,
ammutolito, le
spalle incurvate e lo sguardo duro.
"Non ti sono mai piaciuti i finali tristi, non è vero? Sei
così sentimentale,
come può la gente dire che non possiedi un cuore?"
Mi fido di ciò che ho visto.
Come poteva John un mese addietro trovarsi a Baker Street
alle quattro di
notte se aveva riconsegnato le chiavi a Mrs. Hudson anni prima?
"Scommetto che da piccolo riscrivevi i finali delle favole per non far
morire nessuno, vero? Tipo il lupo di cappuccetto rosso che non sbrana
la nonna
e vivono tutti felici a contenti..."
Come poteva John ignorare i suoi messaggi e non raggiungerlo sulle
scene del
crimine, apprensivo e curioso com'era?
"...oppure la strega di Biancaneve che spinta dal rimorso sveglia la
bella
principessa..."
John, il suo John, avrebbe chiamato Mycroft (non
Mary, no) dopo averlo sorpreso a drogarsi nuovamente.
"Eri triste
Sherlock, eri sconvolto. Così sconvolto che ti sei
raccontato una storia
migliore della verità". [2]
John chiude gli occhi e interrompe il contatto visivo.
Moriarty canticchia un motivetto sconosciuto (ma familiare) e piroetta
per la stanza.
"Guardati intorno Sherlock", la figura si muove ed indica i batuffoli
di polvere (nessuno ha mai
ripulito)
che lo circondano.
La tazza di John è sul tavolino accanto alla poltrona,
vuota, sporca "Ci
hai sempre bevuto te, qui dentro"; i giornali giacciono di qua e di
là, ed
i titoli sono un ricordo fastidioso che aveva accantonato (Il ritorno
di
Sherlock Holmes, il detective coinvolto nello scandalo "Moriarty".
Unico sopravvissuto del mitico duo che spopolò il Web").
Cade sulla ginocchia, le mani gli tremano.
Mi fido di ciò che vedo.
"Sei sempre stato solo".
Non avrebbe mai dovuto.
"Sono giorni che non esci di casa Sherlocckkkk" Moriarty striscia le
ultime consonanti del suo nome in modo odioso "Credo che tuo fratello
verrà a farti una visitina presto. Non è mai
stato capace di pensare agli affaracci
suoi, vero? Ha un complesso del fratello maggiore che potrebbe far
scuola, sinceramente".
Gli gira la testa, o è tutto il resto che non sta fermo?"
"Mi chiedo se farà in tempo".
La figura (irreale quindi) di Moriarty si inginocchia di fronte a lui,
euforica;
sono alla stessa altezza adesso. Osserva le sue dita sottili
avvolgergli il
collo e stringere, forte, ma non compie alcun movimento di protesta
mentre
l'aria gli viene negata.
Solo in quel momento, John (il finto John, quello di cui si era
dimenticato)
agisce, proprio come un vero soldato: si butta sul criminale, che
rilascia la
presa sorpreso, e lo blocca a terra.
"Sherlock devi svegliarti adesso".
La risata acuta di Moriarty gli riempie le orecchie ed una paura cieca
lo
scuote, all'improvviso.
Si alza barcollando (è decisamente la stanza a girare) e
tenta di raggiungere la
camera da letto; quando perde l'equilibrio si limita a trascinarcisi
coi gomiti,
con un enorme sforzo.
Camera sua è un guazzabuglio di scatoloni e di vestiti
abbandonati a terra; in
mezzo a quel miasma c'è lui, se stesso, il
vero stesso.
E' nudo ed ha un'espressione stupidissima in faccia.
L'ago della siringa ancora nella vena.
"Sei in overdose Sherlock!" lo rimbecca Moriarty; lo osserva dal
basso, ed ha un'espressione trionfante sul volto "Stai per tirare le
cuoia. Adorerai essere morto tesoro, nessuno ti rompe mai le palle".
Sherlock allunga la mano verso di se (l'altro se), ma non è
abbastanza vicino.
Non succederebbe niente nemmeno se riuscisse a sfiorarlo probabilmente,
eppure
vorrebbe raggiungerlo, vorrebbe vedere se sta piangendo mentre sta
morendo in
mutande (ricordando John Watson).
John.
John che era morto per colpa sua.
"Tecnicamente è colpa mia, ma fai pure".
John che lo aveva visto suicidarsi, e che si era poi beccato una
pallottola in
fronte.
"Non deve essere stata una morte piacevole, in effetti".
John che aveva la voce malferma mentre lui recitava un falso addio nel
tentativo di proteggerlo.
Inutilmente.
Avverte qualcosa spezzarsi, a quella realizzazione improvvisa.
Tutto inutile, era stato tutto inutile.
"Ti avevo detto che ti avrei bruciato il cuore Sherlock".
Manca il respiro (sta per esalare l'ultimo forse?) quando John preme il
grilletto; tre spari sordi squarciano lo spazio e annientano Moriarty
(o quel
che è), che crolla accanto a lui.
"Di solito la gente non prova niente, non
vede niente, prima di morire, ma tu sei Sherlock Holmes e
dovevi far
eccezione, ovviamente".
Ha un tono dolce, così dolce. Si accovaccia vicino a lui,
calciando via il
cadavere di Moriarty con espressione schifata.
"Sei proprio eccezionale eh?".
Sherlock capisce subito che se sopravvivrà, se
sarà costretto ad andare avanti
con la sua vita (a lui andrebbe bene anche rimanere lì), si
pentirà per sempre
di non aver posto quella domanda, quindi lo fa, semplicemente.
"Esiste qualcosa, di là?
Finirò
nello stesso posto in cui sei tu?".
Non ha mai creduto in niente del genere lui (è, no, era John, quello fantasioso), ma l'idea
di un paradiso dove lui e
John possano rincontrarsi lo farebbe star meglio "Puoi anche mentirmi,
ma
lo capirei subito".
L'amico sorride, mentre gli bacia la fronte.
"Devi proprio svegliarti adesso".
Lo hanno recuperato
per un pelo; se avessero ritardato di un solo minuto probabilmente non
ce
l'avrebbe fatta.
È stata Mrs. Hudson a
trovarlo, ovviamente; sempre lei ha chiamato i soccorsi, e poi suo
fratello.
Mycroft, il suo
personalissimo angelo custode, lo ha raggiunto subito, mollando a
metà
l'incontro col primo ministro (ma lui non può esserne a
conoscenza). Quello che
sa per certo è che la situazione doveva apparire tanto
disperata da spingerlo a
chiamare i loro genitori.
Sono infatti gli occhi
di Millicent Holmes i primi che incontra quando è abbastanza
cosciente da
distinguere la sua figura dal resto: sono piegati dal dolore e della
preoccupazione.
"Sherlock...".
C'è anche suo padre, ai piedi del letto, e probabilmente
indossa lo stesso
sguardo.
Vorrebbe sorridere,
trasmettere un (falso) senso di sicurezza, ma non ne trova la forza.
Scopre che non riesce
a trovare proprio niente, dentro di lui.
È vuoto.
Chiude gli occhi e
tutto tace.
Si risveglia un
inquantificabile ammontare di ore più tardi, ed è
solo.
Sta meglio, probabilmente gli hanno somministrato qualche calmante a
base di
benzodiazepine insieme al solito Naloxone.
Ogni overdose era stata differente (cause diverse), ma la sensazione di
straniamento e di nausea del dopo era sempre la stessa. Vorrebbe
andarsene, ma
non glielo permetteranno; non subito almeno. Mycroft lo
obbligherà a seguire un
percorso di riabilitazione e si alleerà con suo padre, per
costringerlo.
Sua madre non gli concederà appello, anzi, lo
pregherà di tornare a stare da
loro, per un po'.
Potrebbe accettare.
Londra non è stata clemente con lui (loro), negli ultimi
anni. Potrebbe
ricominciare con gli esperimenti nella sua vecchia camera, indisturbato
(senza
poter incolpare Mycroft per eventuali esplosioni, ma ci può
lavorare su) ed
aiutare suo padre con qualche lavoretto per un po'.
L'idea di quanta pace e tranquillità coloreranno quelle
giornate dovrebbe
dissuaderlo, ma è stanco, tanto stanco.
La terza volta che apre gli occhi, la città si sta
svegliando; sente gli
uccellini cantare fuori dalla finestra ed i carrelli della cucina che
tintinnano per i corridoi. Ora di colazione (ma non per i drogati).
"Dormito bene, fratello caro?".
Mycroft appare da un punto imprecisato della stanza, ma probabilmente
era sempre
stato lì, solo che non se n'era accorto.
Non gli risponde
nemmeno.
Suo fratello stringe forte il manico dell'ombrello e gli si avvicina,
minaccioso.
E' arrabbiato.
"Dovresti smetterla di far preoccupare tutti perché non sei
capace di
gestire la tua vita Sherlock. Cresci, per cortesia".
Nonostante l'aspetto impeccabile, Sherlock riesce a notare un accenno
di
occhiaie sul volto di suo fratello, i residui di una merendina a lato
della
bocca e l'odore nauseabondo di caffé istantaneo. Deve aver
vegliato su di lui
tutta la notte (costretto dai genitori? Poco probabile).
"Vai a casa Mycroft" soffia sistemandosi sul cuscino.
Non sente niente.
"Mamma e papà insistono nel prendersi cura di te, non
sarà facile
convincerli a lasciare Londra" e sospira, annoiato, "Vorrebbero
tornassi a casa con loro".
"Potrei farlo".
Mycroft non appare stupito, ma Sherlock nota un irrigidimento nella
posa.
E' allarmato. Chissà perché poi. Attualmente non
può proprio causar danno,
stordito com'è da antidolorifici e Naloxone. [3]
"Molto bene" commenta a mo' di saluto, eppure quando è sulla
porta si
blocca, indeciso. Lo fissa prendere l'agenda mollemente, cercare la
pagina
designata e voltarsi verso di lui.
"Dimenticavo" (ma quando mai Mycroft Holmes dimentica qualcosa?)
"La persona di cui hai richiesto informazioni. Mary
Mostran è nata morta nell'ottobre del 1972 ed
è sepolta nel
cimitero di Chiswick".
E' consapevole che Mycroft si aspetta una reazione, una qualunque
reazione a
quella notizia, ma lui si limita a rimanere immobile, ad attendere la
solitudine in silenzio.
Quando gli viene concessa, ha solo voglia di dormire.
Nota allora, mentre si gira sul fianco, un piccolo flaconcino marrone.
Nozizan.
Contro vomito, deliri ed allucinazioni.
Capiva sempre tutto suo fratello.
Gli è permesso
lasciare la clinica solo pochi giorni prima di Natale; sua madre
lo infila poco gentilmente in un taxi, borbottando verso il conducente
l'indirizzo e gli si accoccola accanto, un enorme borsone al suo fianco.
Era stato impossibile prenotare un volo da Londra il 23 dicembre,
così
Millicent aveva deciso (imposto) la loro presenza al figlio maggiore,
che possedeva
una quantità di stanze esagerata (dal momento che era sempre
solo,
soprattutto).
Sherlock ferma il taxi sotto il 221 di Baker Street, ed i suoi genitori
si
mostrano riluttanti nel farlo andare da solo, ma lui ha bisogno di
qualcosa da
indossare per i giorni a seguire, del suo violino e di un po' di
privacy
soprattutto.
Mrs. Hudson lo intercetta all'ingresso e lo abbraccia, mescolando
felicità alla
sua espressione accigliata.
"Può per favore intrattenere i miei genitori un poco? Credo
che tra un
attimo scenderanno dal taxi e mi piacerebbe fare la valigia senza
ascoltare mia
madre cianciare di ordine e pulizia" chiede riluttante.
La donna gli lancia un occhiolino mentre lo supera e Sherlock pensa che
non
sarà mai abbastanza grato a quella donna di esistere.
Ritornare a casa non fa male. Non proprio.
Tutto è stato spolverato, lustrato e accatastato
ordinatamente, c'è ancora un
leggero odore di disinfettante nell'aria: suo fratello non si era fatto
molti
problemi nel ribaltare l'appartamento alla ricerca di cocaina e simili
senza
riferirgli.
Sarà rimasto deluso nel non aver trovato nulla?
Mentre si dirige in camera nota come l'asse di legno sia stata
accuratamente riparata
e scolla le spalle.
Sul suo letto una lunga pila di camicie e pantaloni, freschi freschi di
lavanderia, troneggiano profumati, insieme ad un orologio, al violino
ed a un
pacchetto di sigarette.
Lancia tutto distrattamente in un borsone, ripone il violino nella
custodia, e
da un'ultima occhiata alla stanza, prima di andarsene.
Mrs. Hudson sta ancora amabilmente disquisendo coi suoi genitori quando
Sherlock
chiude la porta d'ingresso e lancia i bagagli nel retro del taxi.
Congeda tutti con un fermo "Prima devo fare una cosa prima" e blocca
un taxi; Mrs. Hudson, che capisce tutto come nessuno, gli è
sorprendentemente
subito accanto.
E' proprio lei che detta l'indirizzo al tassista e che compra i fiori, dopo, quando giungono alla loro
destinazione.
I cimiteri erano sempre piaciuti a Sherlock, ma non per quel che
rappresentavano, no; era più per la quiete sinistra
dell'ambiente e per le
lapidi dalle forme armoniose e tondeggianti.
La lapide di John Hamish Watson, ex soldato in congedo e suo unico
amico, è in marmo
raffinato, bianco, con una croce stilizzata appena sopra il nome ed un
mazzo di
fiori bianchi ai suoi piedi. E' lì, è sempre
stata lì, ma lui non aveva mai
avuto il coraggio di vederla coi suoi occhi.
Mrs. Hudson lo affianca e gli stringe il braccio, senza piangere o
proferire
parola.
Rimangono così per un po', nel silenzio totalizzante,
finché Sherlock non volta
le spalle alla lapide e si allontana per richiamare un taxi.
Fa male.
Quanto la vettura accosta apre educatamente la portiera alla sua
padrona di
casa che si sporge dal finestrino e gli urla di tornare a casa presto
prima di
sparire dal suo raggio visivo.
Mrs. Hudson è ovviamente ancora la sua padrona di casa, e lo
sarà per sempre;
Sherlock ha deciso giorni addietro che non abbandonerà
Londra, nonostante tutto.
Andrà avanti,
certo
che andrà avanti, ogni individuo è creato per
sopravvivere: un passo alla volta
percorrerà quelle strade conosciute e quei vicoli polverosi
per proteggere
quella città caotica.
Non potrebbe esser altrimenti.
Non lo ha ancora comunicato ai suoi genitori, che faranno sicuramente
storie
per poi cedere, come sempre; Mycroft probabilmente ne era
già consapevole
mentre assumeva una squadra di addetti alle pulizie per rimettere in
sesto il
221B, prima ancora che lui stesso comprendesse che non c'era altro
luogo dove
volesse far ritorno.
Molly gli aveva sorriso quando glielo aveva rivelato, pochi giorni
prima di
essere dimesso dall'ospedale.
"Non avresti sopportato essere altrove. Non tu, non lo Sherlock Holmes
che
conosco io".
Ma lui non era più quel Sherlock Holmes.
Perché, alla fine, Moriarty c'era riuscito.
Gli aveva bruciato il cuore.
(e le sue ceneri riposavano
indisturbate in un piccolo cimitero di Londra).
-
Io
non
ho idea di come siano uscite 13 pagine di Word, non scrivevo da
così tanto
tempo che la foga ha fatto il resto.
Ognuno di noi si è immaginato il ritorno di Sherlock, questa
è la mia versione
angst. Ho ripreso le battute di Eurus Holmes e le ho infilate nella
bocca
(bellissima bocca) di Moriarty [1] [2]; ci sono molti riferimenti alla
terza e
quarta stagione ovviamente, in tanti piccoli punti!
Il Naloxone [3] è un farmaco che si usa in caso di overdose
(così Google mi ha
rivelato).
Spero vi sia piaciuta, non siate troppo duri, era da tantissimo che non
mi
avventuravo in una long shot.
Cheers!