Avevano raccolto i quattro ciondoli dei quattro elementi base.
Non
pensavano ce ne fossero altri, erano davvero convinti che quei
quattro fossero gli unici e che perciò da un momento dovesse
accadere qualcosa, forse l'arrivo di un mostro potente come al
livello finale di uno dei giochi di Mikey, forse direttamente
l'artefice di tutto quello, un mago prodigioso che avrebbero
affrontato, facendosi spiegare cosa potesse mai volere da loro.
Di
certo, quello di cui tutti erano certi, era che sarebbe accaduto da
un momento all'altro. Niente più che pochi giorni,
perché le
apparizioni degli elementi erano state sempre più vicine nel
tempo,
perciò non avrebbero dovuto aspettare molto.
Donnie
si sbrigò a inserire il segnale del suo ciondolo nel
tracciatore,
poi iniziò ad allenarsi anche lui coi suoi fratelli, ma
erano sempre
tutti sottilmente sul chi vive, sempre distratti, sempre con la testa
tesa a percepire una nuova minaccia, qualcosa che doveva accadere.
Perché
non poteva essere tutto lì.
A
volte, anche se nessuno di loro lo aveva mai confessato agli altri,
li prendeva la paura che in realtà non sarebbe successo
davvero
nulla, che semplicemente avrebbero continuato con le loro vite di
sempre, solo con in più quei ciondoli magici, senza sapere
mai
perché, senza scoprire mai chi ci fosse dietro.
Ma
non era possibile, no? Perché qualcuno avrebbe dovuto creare
disastri di quella proporzione, tutto quel casino, per poi lasciare
tutto così, incompiuto?
Sarebbe
successo qualcosa.
Doveva.
Continuarono
a crederci. Anche dopo che un'altra settimana era passata e mancavano
ormai pochi giorni alla fine di Luglio; ma per allora di certo
sarebbe successo.
Gli
allenamenti seguirono e Donatello imparò a controllare
perfettamente
il suo potere, dal creare terremoti semplicemente pestando un piede
al far spuntare costoni di roccia con un gesto della mano, in
pochissimo tempo riuscì a padroneggiarlo appieno; il suo
ciondolo,
legato al collo, aveva il simbolo di un triangolo con la punta verso
il basso tagliato in orizzontale da una linea, che si illuminava di
verde ogni volta che usava la sua magia.
Non
c'era più niente di anomalo, in città.
Temperature
normali per la solita estate torrida, ragazzini in ferie, i lavori
per ripristinare le strutture danneggiate erano già iniziati
e dalle
menti della gente era già sparita la preoccupazione per
tutto quello
che era successo, già dimenticato dalla frenesia della
città.
Era...
seccante. Perché per loro niente era finito.
Ogni
giorno era un'attesa infinita, ancora più lunga
perché il
sentimento era condiviso e i dubbi di tutti si accumulavano fino allo
spasmo.
Arrivò
la fine del mese, l'ultimo giorno di Luglio, e ancora nulla. Si
stavano allenando come al solito nel dojo, solo loro quattro, ormai
anche il sensei sentiva che non era prudente rimanere lì
dentro in
balia degli elementi.
Gli
umani ovviamente se ne tenevano alla larga senza tanti complimenti,
anche se incuriositi e galvanizzati da tutto quel mistero e dai loro
nuovi poteri; quindi anche se non si allenavano più con
loro, Steve
era soprattutto il più penalizzato, tutti erano alla
costante
ricerca di informazioni e si erano raccomandati di avvisare nel caso
succedesse qualcosa.
Gli
allenamenti magici non erano solo... magici, ma comprendevano anche
allenamenti fisici mescolati a quelli più esoterici: era
stata una
regola di Raphael, che li aveva spiazzati se dovevano essere sinceri,
per non fare troppo affidamento sulla magia, nel caso in cui poi
avessero perso i loro poteri al momento clou, senza preavviso.
C'era
così tanta maturità in quell'avvertimento,
così tanta Isabel nei
suoi pensieri quando l'aveva pensata, che tutti si dissero d'accordo
immediatamente.
Interruppero
per qualche istante la sessione di allenamento, le fiamme, il vento,
l'acqua e le rocce si fermarono e scomparvero e i quattro medaglioni
smisero di brillare.
Ci
fu così tanto silenzio finalmente che sentirono il sensei
sospirare
di sollievo nella stanzetta da meditazione. Chissà quanto
fastidio
gli avevano dato sino a quel momento.
Mikey
si sedette un attimo sul pavimento, mentre Don andava in cucina a
prendere da bere.
Aveva
sacrificato le invenzioni in quell'ultimo periodo, anche e
soprattutto a sfavore della nascente O'Neill Tech, che un po' si
sentiva in colpa. Prese quattro bottigliette dal frigo, facendosi
solenne promessa mentale di lavorare il doppio una volta finito tutto
quello, per aiutare la sua amica a far decollare il progetto.
In
fondo era anche il suo progetto, era sì un socio fantasma,
ma
avrebbe preso la sua bella fetta una volta avviato.
Stava
tornando indietro, quando sentì Michelangelo chiamare il suo
nome.
Corse
stringendo le bottiglie al petto e aprì la porta del dojo
con un
calcetto e si sorprese nel vedere che c'era anche il sensei,
probabilmente richiamato dalle urla di Mikey; il fratello era al
centro del gruppetto e teneva nella mano il suo tracciatore.
“Si
è illuminato. Ma non indica nulla” disse quasi
scusandosi,
passandoglielo.
Donatello
stava già preparando mentalmente i rimproveri nel caso lo
avesse
rotto, quando lo sguardo si posò sullo schermo del congegno:
il
piccolo puntino rosso continuava a lampeggiare, in mezzo al bianco.
Pigiò un paio di tasti al lato e rimpicciolì la
metratura, sempre
di più, sempre di più, finché...
“Non
è rotto. La minaccia non è a New York
City!” esclamò più a sé
stesso che a loro, scappando dal dojo prima che potessero anche solo
aprire bocca.
Lo
inseguirono tutti assieme senza una parola e lo trovarono nel
laboratorio, che armeggiava già con il computer, e il
tracciatore
connesso con un cavetto.
Continuò
a guardare lo schermo, assorto, ma si accorse di loro.
“Nel
congegno ho messo solo la cartina della città, convinto che
tutto
sarebbe successo qua. Che stupido! Anche un po' arrogante a dire il
vero. Perciò il puntino segnava il nulla, perché
non c'era nulla
oltre i confini di NYC.”
Iniziarono
a capire, mentre intanto lui inviava le mappe di tutti gli stati nel
dispositivo, ad una velocità impressionante.
Digitò
ancora rapidamente sulla tastiera, poi saltò su con una
espressione
euforica e staccò il filo con uno strattone disattento.
Pigiò i
tasti del tracciatore, controllò lo schermo con attenzione
e...
trattenne il fiato.
“Leo,
inizia a preparare il furgone. Prendiamo acqua e un kit di pronto
soccorso. Partiamo immediatamente.”
Si
mossero tutti in fretta, spronati dalla serietà della sua
voce,
convinti che avrebbero avuto sin troppo tempo per domandare nel
viaggio, così dopo pochi minuti erano tutti già
ai loro posti e
Donatello ingranava la marcia indietro per uscire dal garage.
Anche
il sensei era con loro, quella volta, mentre il genio si era limitato
a mandare un messaggio a April, Casey, Angel e Steve per informarli
dove stessero andando e di raggiungerli se avessero potuto farlo.
Uscirono
dalla città e si immisero nella I-95, accelerando
considerevolmente.
Non
sapevano di quanto il tracciatore avesse anticipato la minaccia,
qualunque essa fosse, perciò raggiungere la destinazione il
prima
possibile era di vitale importanza.
E
ormai avevano capito tutti dove stessero andando e il silenzio era
caduto all'istante, spesso e angosciante su di loro.
Raphael
guardava distrattamente fuori dal piccolo finestrino del sedile di
dietro, assorto sul guardrail con un grosso peso sul cuore.
Stavano
andando a Northampton. Stavano andando da lei.
Due
ore e mezza sembrarono così lunghe, così lente,
nonostante stessero
andando il più velocemente possibile, la distanza era
troppa; ma con
tutto quel tempo, le domande che si crearono nelle loro menti si
accavallavano una sull'altra, insieme alle mille teorie.
Arrivarono
finalmente nella piccola cittadina che ormai era il calare del sole,
e sfrecciarono verso la casa immersa nella campagna, seguendo il
segnale: era indubbio, a quel punto, che indicasse proprio la
fattoria Jones.
Parcheggiarono
di fronte alla casa e scesero coi sensi all'erta, scrutando intorno
per captare qualsiasi minaccia, ma c'era solo il fruscio lento del
vento tra le fronde degli alberi e lo stridio di uccelli che
cercavano riparo per la notte.
E
nient'altro.
Erano
arrivati troppo presto o troppo tardi?
Non
c'era segno di danni, né ne avevano visto nella
città quando erano
arrivati, perciò erano sicuri fossero in anticipo.
Esaminarono i
dintorni senza sparpagliarsi troppo.
Raphael
si allontanò senza essere visto, diretto verso il limitare
del
bosco, senza preoccuparsi nemmeno di prendere una torcia:
l'oscurità
calava in fretta, ma la tomba bianca splendeva quasi nel buio,
perciò
sapeva perfettamente dove andava.
Si
fermò ad un centimetro da essa e guardò le grandi
crepe che la
solcavano, quello che lui aveva fatto nella sua furia: il segno dei
colpi, i frammenti staccati che rovinavano la scritta e i contorni;
si chinò, poggiando una mano sopra, accarezzando il marmo e
le sue
incrinature.
Le
dita si fermarono su quella grande che straziava il suo nome.
Isabel.
Si leggeva appena ormai.
“Mi
dispiace” sussurrò a voce bassa, sentendosi
sciocco allo stesso
tempo.
E
quella rabbia c'era ancora tutta e così quel dolore
straziante e
quel senso di abbandono, ma non li avrebbe diretti più
contro di lei
o contro sé stesso.
Si
accorse della presenza di Leo, lì vicino, probabilmente che
lo
controllava di nascosto, ma ne fu quasi lieto, gli ricordava che non
era solo, anche se non diminuiva la pena.
Si
rialzò, scuotendo la polvere dalle dita contro il tessuto
della
tuta, distrattamente.
Poi,
un bagliore rosso esplose dal suo braccio e si accorse di un
riverbero azzurro alle sue spalle, in contemporanea.
Da
lontano sentì le urla di Mikey e Don, e poco dopo i due
arrivarono
insieme al sensei, brillando uno di giallo e l'altro di verde.
“Sta
per succedere!” strillò Mikey continuando a
guardarsi attorno
freneticamente, l'oscurità illuminata dai loro ciondoli.
Niente
si muoveva, nessun rumore estraneo, nessun odore particolare, nessuna
luce sospetta, nessun tremore... niente.
Solo
il buio della notte ormai scesa, le stelle immobili in alto, molto
alto, e i loro quattro fasci di luce splendenti. Si spensero per un
attimo e tutto piombò in una spessa oscurità che
li spaventò per
un attimo, al pensiero di poter essere alla mercé di qualche
creatura o di un nemico senza visibilità, poi i quattro
ciondoli si
riaccesero e rimasero fissi e accecanti.
Era
la prima volta che accadeva. E quello li rese solo più
consci e
guardinghi.
Dopo
qualche minuto di controlli e silenzio, finalmente Mikey
sbottò:
“Voi
vedete qualcosa? Io nulla!”
La
frustrazione cresceva, quel senso di attesa che non si compiva, quel
voler sapere a ogni costo.
“Nulla
è la risposta giusta” disse d'un tratto il sensei,
attirando la
loro attenzione.
Tendeva
la punta del suo bastone dritto di fronte a sé, oltre le
loro
spalle, verso il bosco.
Dove
credevano le loro luci non arrivassero ad illuminare, mentre si
accorsero solo in quel momento che non c'era nulla da illuminare: il
bosco non era immerso nell'oscurità, semplicemente non c'era
e
quello che loro stavano guardando era un foro di puro buio che
assorbiva i fasci luminosi. Le stelle erano scomparse su di loro.
“È
un buco nero?” ipotizzò Donatello, sicuro di non
voler sapere la
risposta.
Non
era di certo un elemento naturale, non uno canonico almeno, e non
potevano combatterlo in nessun modo.
“Indietreggiate!”
ordinò, ritornando su suoi passi.
Se
fossero caduti lì dentro, se li avesse assorbiti, sarebbero
scomparsi nel nulla. E nessuna magia al mondo li avrebbe mai potuti
salvare.
Si
spostarono all'indietro, ritornando vicino alla casa, poi si
voltarono a controllare: il buco oscuro era sempre lì,
all'apparenza
immobile, eppure letale.
“Crescerà
e ingoierà tutto” mormorò il genio,
osservando i suoi contorni
mangiare un altro centimetro di bosco. “Non so se sia davvero
un
buco nero, mi pare impossibile, ma si comporta come tale.”
Rimasero
impalati a guardarlo, senza sapere che fare.
Se
un mostro di acqua, una salamandra di fuoco, un ciclone di aria e un
golem di terra erano sembrati
ostacoli difficili, quello era di certo impossibile da battere.
Non
si batteva un buco nero.
Nemmeno
il sensei, dall'alto della sua saggezza, sapeva cosa poter dire ai
suoi figli per aiutarli.
“Proviamo...
proviamo a colpirlo con la magia?” tentennò
Michelangelo,
dubbioso.
“Voglio
dire, lo so che probabilmente non succederà nulla, ma almeno
proviamo. In fondo, che può succedere?”
Già,
che poteva succedere? Tuttalpiù i loro attacchi sarebbero
stati vani
e ne avrebbero avuto la conferma.
Tutti
d'accordo, si misero uno accanto all'altro e allungarono le braccia
in avanti: un fiotto d'acqua, un tornello di fuoco, un turbine di
vento e una pioggia di rocce eruppero al loro comando e attaccarono
la minaccia nera con una furia inaudita, con tutta la forza
possibile.
Il
buio si mangiò ogni loro energia, i loro attacchi magici
sparirono
all'interno del nulla, completamente consumati: le braccia ancora
tese, rimasero a guardare con rassegnazione mista a sconforto e
smisero all'istante di sprecare energia inutilmente.
E
all'improvviso, il centro del nulla si tinse di un bianco accecante,
che sparì subito.
Si
guardarono uno con l'altro, incerti se fosse successo davvero.
Allora,
forse, la magia non era così inutile.
Michelangelo
fece un paio di passi, ignorandoli.
“Dobbiamo
entrare” disse, assorto. Guardava nel buco ritornato
completamente
nero, come se volesse essere ingoiato anche lui.
“Cosa?”
chiesero contemporaneamente Leo e Don.
“Vuole
che entriamo” ripeté il fratello, voltandosi
infine a guardarli.
C'era una serietà nella sua voce, e il suo sguardo non era
mai stato
più deciso, che li rese certi che per lo meno non fosse
soggiogato o
ipnotizzato.
E
Raphael gli restituiva lo stesso sguardo.
“Andiamo.”
“Cosa?
Fermatevi voi due!” sbraitò Donatello, afferrando
Mikey per un
braccio. “Siete impazziti? Cosa credete di fare?”
“Dobbiamo
buttarci” rispose di nuovo quello, come se fosse logico
ciò che
usciva dalla sua bocca.
Don
guardò Leo per cercare aiuto, ma il leader stava fissando il
centro
del nulla, assorto come in meditazione.
“Hanno
ragione” disse alla fine, voltandosi anche lui.
Don
spalancò gli occhi, inorridito. C'era qualche magia in atto
da cui
lui era immune?
“Fidati,
è questo il modo giusto.”
Loro
tre si erano già presi per mano e Michelangelo gli tendeva
quella
rimasta libera, con un sorriso fiducioso.
Una
parte di sé voleva scappare da quella follia, l'altra si
chiedeva se
loro semplicemente non fossero nel giusto; ma scommettere su una cosa
del genere significava quasi sicuramente un suicidio di massa.
Guardò
verso il maestro e quello gli restituì un grande sorriso,
calmo,
sereno, che lo rilassò all'istante. Sembrava volergli dire
di
fidarsi.
Donatello
afferrò la mano di Mikey, solo con un po' di nervosismo, e
poi
iniziarono ad incamminarsi verso il buco nero, a passi cadenzati, e
la luce salì dai medaglioni e li rivestì,
trasformandoli in
quattro fari: uno blu, uno rosso, uno giallo, uno verde.
Più
si avvicinavano, più la forza del buco li attirava a
sé,
facilitando il loro compito; non sarebbero potuti tornare indietro
nemmeno se avessero voluto.
Ma
ormai non sarebbero tornati indietro. Presero una rincorsa e ci si
tuffarono dentro, le luci scomparvero nella voragine nera e tutto
ripiombò nell'oscurità della notte.
Splinter
rimase a guardare, pregando silenziosamente che tutto andasse bene.
Il
foro si tinse per un secondo di bianco, sussultò, si tese e
tremò, poi esplose: un
ciclone nacque dal suo centro e si innalzò al cielo in tutta
la sua
furia, così violento da sradicare gli alberi ricomparsi un
frammento
di secondo di prima; straziò il terreno e lo
ingoiò, i suoi vortici
erano scuri e potenti e sibilavano con il grido stesso della natura.
Il
suo interno brillava di lingue di fuoco e mulinelli d'acqua, che
vorticavano insieme e poi una scia di rocce, sempre più
grosse e
compatte.
Girarono,
girarono, espandendosi ancora e ancora e poi salendo fino alle
stelle.
Brillarono
tutti con la stessa intensità, poi il buio.
Il
vortice implose su sé stesso, disperdendosi in folate
leggere e
innocue, lasciandosi dietro la distruzione che aveva portato; non
c'era più fuoco, né acqua, né le rocce
di prima.
Non
c'era nemmeno più un rumore, neanche un sospiro di vento,
nemmeno i
suoni del sottobosco o il verso di un animale.
Quattro
corpi caddero dal cielo, di malagrazia, atterrando più
morbidamente
di come si si sarebbe aspettato da un'altezza del genere.
Malconci
e graffiati, ma vivi.
Vittoriosi
in qualche modo, anche se non sapevano come.
Rimasero
per qualche istante a terra a riprendere fiato, mentre il loro padre
si rilassava al vederli sani e salvi. Non brillavano più,
erano
tornati normali.
Ci
furono mugugni e proteste per le ferite riportate, quando si
rialzarono scrollando la polvere di dosso, controllandosi prima
personalmente e poi l'uno con l'altro per assicurarsi che stessero
tutti bene.
Poi
arrivarono anche i sorrisi, la soddisfazione e la gioia.
Ce
l'avevano fatta. Ancora le loro menti erano confuse, ma sapevano di
avercela fatta.
Si
strinsero in un abbraccio veloce, prima di guardarsi infine attorno.
Erano a qualche metro dall'origine del vortice e del buco nero, dove
le linee concentriche prodotte dal tifone straziavano il terreno,
lunghi solchi di terra umida e scura.
“Voi
ricordate cosa-” provò a dire Don.
Un
tocco sordo attirò la loro attenzione e videro il maestro
poco
distante inginocchiarsi per raccogliere il piccolo monile appena
caduto dal cielo.
Bianco,
tondo.
“Cos'è?
Cosa c'è inciso stavolta?” domandò
Michelangelo curioso,
avvicinandosi per provare a sbirciare.
Il
sensei non lo stava ascoltando. Rigirava tra le mani il ciondolo,
liscio da entrambe le parti, completamente assorto. Poi,
spalancò
gli occhi, folgorato.
Tutto
era chiaro.
Sorrise
tra sé, ma quello non fece che accrescere le domande dei
suoi figli.
“È
la fine di tutto” disse, avvicinando il nuovo monile ai loro,
un
tocco leggero.
Un
sibilo feroce riempì di colpo lo spazio attorno, un fischio
che
faceva tremare gli alberi, che spazzava il terreno, che scuoteva il
loro corpo.
“E
anche l'inizio” aggiunse poi, toccando per ultimo quello di
Leonardo.
L'ideogramma
della sua collana si illuminò di azzurro e il ronzio che
emetteva
diventò più forte: si sollevò dal
collo del leader e volò al
centro della spirale, come una scheggia impazzita. Lì,
esplose in
una colonna di luce blu, alta verso il cielo, abbagliante, che
illuminava tutto a giorno.
“Mizu,
l'acqua, rappresenta le cose che fluiscono”
esclamò Splinter a
voce alta, cercando di sovrastare il sibilo della pietra.
La
collana di Raphael risplendette di rosso, pulsando allo stesso ritmo
della colonna e si sollevò dal suo polso, come attirata da
essa:
prima che il mutante avesse il tempo di toglierla, si staccò
con uno
strattone secco e volò verso la luce, attraversandola con
facilità.
Ci
fu una seconda esplosione e il pilastro abbagliante si tinse di rosso
e il fischio crebbe ancora, un ronzio che sembrava provenire dalla
terra stessa.
“Hi,
il fuoco, rappresenta le cose distrutte” aggiunse il sensei,
il cui
tono calmo cozzava con quello che stava succedendo.
Mikey
e Don avevano capito immediatamente e come in trance si tolsero i
ciondoli prima che si strappassero via da soli, per la forza magica
che li richiamava a sé.
Quello
nella mano di Michelangelo reagì e si unì agli
altri, con un
bagliore giallo ad avvolgerlo; quando scoppiò nel centro
della
colonna, la tinse dello stesso colore, splendente come il sole.
“Kuuki,
l'aria, rappresenta le cose mobili.”
Donatello
alzò la mano per permettere alla sua collana, che sapeva
essere la
successiva, di andare. Quella infatti si rivestì di una
deliziosa
aura verde e fluttuò nel centro insieme alle sue sorelle, ed
esplose
in una colonna verde intenso, il colore dell'erba in primavera.
“Tsuchi,
la terra, rappresenta le cose concrete” continuò a
spiegare il
maestro, unica voce a provare a sovrastare il sibilo delle pietre, il
loro ruggito primordiale.
A
quel punto, il sensei fece un passo avanti, con il nuovo ciondolo,
che nessuno aveva ancora visto, stretto nella mano: la aprì
lentamente e si accorsero allora che aveva preso a brillare di luce
bianca, tutta la pietra, come un cuore pulsante.
Venne
attratta dal richiamo delle altre e sparì come esse
all'interno
della colonna, tingendola di un bianco brillante, accecante e caldo,
troppo intenso per essere sostenuto ad occhio nudo.
“E
Kara, il vuoto, rappresenta le cose che non sono della vita
quotidiana” finì allora di dire con
solennità.
A
quel punto, il pilastro di luce esplose con un'onda d'urto che li
sbalzò all'indietro, a cui cercarono di resistere coprendo
il viso
con le braccia e puntando i piedi a terra. Poi, s'innalzò
con ancora
più forza verso il cielo e il ronzio cessò di
colpo, lasciando un
doloroso e improvviso silenzio, che pulsava nelle orecchie.
Il
centro della colonna incominciò a vorticare, di tutti i
colori che
aveva assorbito: rosso, blu, una scia di giallo, un tocco di verde,
più e più veloce, finché non si
mescolarono nello stesso bianco
del pilastro.
E
d'improvviso, qualcosa iniziò a prendere forma all'interno
della
luce. Una mano, e poi un'altra, un braccio, un corpo intero emerse
dal bagliore, rannicchiato in posizione fetale, mentre appariva
sempre più nitido.
Leonardo
sentì una mano chiudersi sul suo polso e tremava, tremava
così
tanto da scuoterlo. Raphael aveva gli occhi spalancati e increduli
incollati alla colonna di luce, ma si era aggrappato a lui, senza
nemmeno guardare, forse senza nemmeno essersene accorto.
Come
un fiore che sboccia, il corpo si stiracchiò e
così rimase, a
galleggiare a mezz'aria, sorretto dalla luce e dalla magia, come in
stato d'incoscienza.
Si
sentirono solo i loro respiri trattenuti, un gridolino di Mikey.
Poi,
la mano strinse appena la presa, prima di lasciarlo andare.
Raphael
percorse quei pochi metri a piccoli passi, come in trance, come
posseduto. Ad ogni passo i mille dettagli di lei erano sempre
più
chiari, sempre più luminosi: la pelle color avorio che
rifletteva la
luce, i lunghi capelli castani legati in una coda alta che
fluttuavano seguendo le onde della magia, il corpo minuto stretto in
un Kimono sconosciuto, il bracciale che le aveva regalato
all'anniversario ancora al polso destro.
E
la collana degli amanti, che reagendo alla vicinanza della sua si era
sollevata un poco dal suo seno, verso di lui. La sua faceva lo
stesso.
Si
fermò con un batticuore feroce e un dolore sordo al centro
del petto
e poggiò le mani sulla colonna, senza pensare per un attimo
che
potesse essere rischioso: la luce era calda, ma non gli faceva alcun
male e lui si avvicinò più che poté,
senza staccare gli occhi da
lei, cercando un modo di raggiungerla.
“Raph”
chiamò la voce di Don, con un tono grave. Di
pietà.
“Non
è possibile che sia-”
Lasciò
la frase a metà, ad un cenno di diniego di Leo.
A
Raph non importava. Poteva essere un sogno. Un'allucinazione.
Un'illusione. L'importante era poterla raggiungere, finalmente.
“Isabel”
pronunciò sottilmente, come una preghiera.
La
luce scemò d'intensità e svanì nel
nulla, contro le sue mani. Agì
di istinto e allungò le braccia e la afferrò,
senza esitazione: era
vera, era calda, era morbida, pulsante di vita.
Cadde
sulle ginocchia, stringendosela contro. Non per il suo peso, no; lei
non pesava nulla.
Ma
il suo cuore, il suo cuore era così gonfio di dolore, amore,
paura e
tutti i sentimenti e le emozioni che finalmente ritornavano, da non
poterlo sostenere con le sue sole forze.
Respirò
il suo odore, circondò il suo viso con la mano e
poggiò la fronte
sulla sua, bagnando i suoi occhi ancora chiusi con le lacrime che non
poté frenare.
Il
suo respiro caldo gli solleticava dolcemente le labbra, così
vicine
alle sue.
La
sua famiglia si avvicinò, timorosa eppure con una nuova
speranza nel
cuore. Forse, il sensei aveva intuito fin dall'inizio cosa sarebbe
accaduto.
Guardarono
il loro enorme fratello e figlio chiuso a conchiglia su di lei,
singhiozzare tanto forte che le spalle tremavano. Tutto il suo corpo
tremava.
“Isabel.
È Isabel” pronunciò con voce roca,
abbracciandola ancora più
forte, perché niente gliela portasse via.
E
sapevano che, anche se ci avessero provato, non sarebbero riusciti a
convincerlo a lasciarla andare. Nessuno gliel'avrebbe più
strappata
via.
E
nessuno sapeva come fosse possibile. Nessuno sapeva cosa stesse in
realtà succedendo. Ma in quel momento, nessuno se lo chiese
davvero.
Note:
Salve.
Non
ho molto da dire stavolta, se non che aspettavo di mettere questo
capitolo da così tanto, davvero tanto. Sono curiosa di
sapere cosa
ne pensate, le vostre teorie.
In
ultimo: grazie, davvero grazie.
Grazie