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Autore: Belarus    08/02/2017    2 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Aggiornamento del mese con un capitolo che forse potrà apparire di passaggio per la saga finale, ma in realtà è molto di più. Fate attenzione soprattutto ai fratelli Saru cui non a caso ho dedicato due POV a sé stanti e ad Aya perché a malincuore certe faccende hanno risvolti inattesi… ci tengo a specificare che tra le parti di Shizaru, Kidd, Aya ed il POV di Law intercorre un piccolo salto di tempi di qualche giorno che ho deciso di apportare per velocizzare un po’. Il prossimo aggiornamento sarà il primo della nuova e ultima saga, non stupitevi quindi se alcune cose sembrano cambiate. Vi invito come consueto a leggere le noticine a pié di pagina e a carpire gli indizi che vado nascondendo qui e lì sull’evolversi degli eventi. Per il resto, un ringraziamento speciale va a chi ancora mi segue dandomi la forza per lo sprint finale e a tutti coloro che hanno scelto di inserire questa storia tra preferiti, ricordate e seguite. Siete tanti e già la vostra tacita presenza mi rallegra, ogni tanto però, se vi va, fatevi sentire sono amichevole anche se non si direbbe mes amis~
Alla prossima, spero prestissimo!






CAPITOLO LXXIV






Doveva ammettere che era stata l’idea migliore che avesse avuto da quando lo conosceva. Non si trattava di una faccenda estetica – era evidente che un tale concetto sfuggisse a Kidd o poco gli importasse –, era semplicemente un uso ingegnoso delle proprie potenzialità e sì, una parziale rivincita sugli eventi che avevano tentato, fallendo, di metterlo al tappeto.
Nell’osservarlo, dal muricciolo esterno su cui si era accomodata, sentì il petto scaldarsi per l’orgoglio e la felicità di constatare che aveva letteralmente rispreso in mano la sua vita.
Non poteva farsi abbattere da una cosa del genere, non Kidd. La sua volontà lo avrebbe portato a trascinarsi avanti con i denti se gli avessero strappato anche le gambe, gli occorreva solo un po’ di tempo da zuccone qual’era.
«Sembra che tu l’abbia sempre avuto.» considerò con un sorriso, piegando il capo per seguirne quasi rapita i movimenti dei muscoli del busto ben visibili senza la pelliccia a coprirli.
I segni della disfatta di Serranilla erano lì in realtà, solchi indelebili e grotteschi che si diramavano sulla pelle diafana attorno alla spalla e sul lato sinistro del torace ampio sin su al viso, dove l’occhio era stato risparmiato chissà per quale fortuna. Non era un bello spettacolo a vedersi, non lo era affatto e non si poteva certo fingere che fosse normale, ma ad Aya importava delle cicatrici quanto dell’odore di carne marcia che aveva respirato standogli di fianco quando era inerme: nulla.
«Ciò che conta è che sappia farne buon uso nel momento opportuno. Con chi dovrò combattere le apparenze non serviranno.» puntualizzò concentrato Kidd, issando a livello del viso il peso con cui si stava allenando grazie al braccio meccanico assemblato.
«Di certo non può cadere a pezzi e semmai dovesse accadere puoi rimetterlo subito insieme, sei avvantaggiato.» rifletté candida Aya, strappandogli una risata roca.
Ai suoi occhi non era poi tanto diverso dalle braccia che creava di consueto durante gli scontri con le armi rubate ai nemici, era solo più discreto, quasi proporzionato e soprattutto non minacciava di sparare colpi da un dito.
Divertito continuò a sollevare il bilanciere per testare la resistenza dell’arto artificiale finché sentendosi fulcro di tanta attenzione, non decise di fermarsi a mezz’aria girandosi per guardarla.
«Vuoi fare esercizio donna?» le domandò con un ghigno quasi famelico.
Nell’ultimo periodo quel particolare genere di proposte erano diventate più frequenti che in passato, Aya sospettava si trattasse della mancanza di distrazioni più interessanti o magari delle energie che non riusciva a smaltire. Dopo aver terminato di aiutare il navigatore, l’ordinarietà del covo aveva cominciato a star stretta anche a lei che sopportava molto meglio la quiete del rosso, sebbene i risultati non fossero i medesimi.
«Gentile, ma credo di potermi far bastare l’allenamento che faccio da me.» rifiutò garbata, ignorando l’allusione.
Poggiato di malgrazia con disinteresse il bilanciere sull’erba Kidd si esibì in una smorfia stizzita, sentendosi stroncato ancora sul nascere, ma le andò comunque in contro sino a fermarlesi di fronte.
«Tirare calci e pugni al vuoto non serve se non hai forza da metterci quando saranno necessari.» criticò, mollandole, quasi a testarne la consistenza, una pacca inaspettata sulla coscia che la fece sussultare.
Sconcertata spostò del tutto la sua pelliccia dal grembo per osservare la pelle arrossarsi e tornò a guardarlo dal basso, mentre se la rideva soddisfatto per la sua reazione.
Che non ci fosse da aspettarsi che approcci poco o affatto galanti da Kidd lo sapeva da tempo, ma quella era una sorpresa – perlomeno nei suoi confronti, su come e cosa facesse con le sue prosperose compagnie durante gli approdi Aya preferiva non soffermarsi –.
«Capitano, sono pronti!» li interruppe un membro dell’equipaggio, facendo capolino da un terrazzo per sparire subito.
A quel richiamo Kidd si riappropriò della pelliccia datale in affido per gettarla sulle spalle alla meglio e s’incamminò verso la parte frontale dell’edificio da cui si accedeva alla piccola spiaggia dov’era ormeggiata la nave.
«Cosa mi sono persa?» s’informò sorpresa andandogli dietro con le mani rannicchiate dietro la schiena e la coscia che pizzicava ancora.
«Killer andrà a controllare un’isola nei dintorni per cui il navigatore è riuscito a tracciare una rotta.» rivelò senza neppure voltarsi e Aya sgranò gli occhi ad una tale notizia.
«Perché non me l’ha detto nessuno?! Vado a prendere la sacca!» decise repentina, passando dall’essere piccata al non trattenere un enorme sorriso nell’arco di poco meno di un secondo.
Non poteva tenere il broncio, l’entusiasmo per la partenza imminente era di gran lunga superiore all’offesa e a lei non riusciva di covare rancore, soprattutto non in circostanze simili dopo aver dovuto soggiornare in quell’isola per un tempo così lungo. L’aveva percorsa da un capo all’altro così tante volte ormai da sapere persino quanti passi fosse lunga e larga, era una sensazione rassicurante per certi versi, ma ne faceva a meno volentieri.
«No che non la prendi.» la bloccò di colpo Kidd, voltatosi finalmente indietro.
«D’accordo, posso arrangiarmi. Ho lasciato un paio di cose a bord-no, aspetta, il libro di Law devo prenderlo! Solo quello, ci metterò pochissimo!» rifletté, ruotando su se stessa una volta ancora per imboccare uno dei due portoni d’accesso e raggiungere la propria camera.
Era evidente dato che non aveva visto movimenti attorno alla nave che quel viaggio sarebbe durato poco, forse solo un giorno o due. Con i vestiti poteva arrangiarsi, ma quel libro non poteva proprio rischiare di lasciarlo lì. Non faceva il benché minimo affidamento sulla maturità della parte d’equipaggio che sarebbe rimasta, in uno o due giorni a disposizione avrebbero disintegrato ogni cosa di sua proprietà per il gusto di farle dispetto.
Fu sul punto di precipitarsi a recuperarlo, ma non appena allungò il passo per correre si sentì tirare indietro da un braccio, finendo quasi per sbattere il viso sul torace di Kidd a causa del contraccolpo.
«Tu resti qui. Non stanno andando a fare una fottuta passeggiata, perché cazzo credi che stia mandando proprio Killer?!» le ringhiò addosso, strattonandola con improvvisa irritazione per il polso.
Ne assecondò i movimenti con un occhio socchiuso temendo che avrebbe finito per slogarle l’articolazione senza nemmeno accorgersene, ma nel vedere la sua smorfia Kidd la liberò con un grugnito roco.
Forse aveva esagerato con l’entusiasmo e magari era stata fuoriluogo, se ne rendeva conto.
«Lo capisco e hai la mia parola: farò attenzione, non sarò d’intralcio o un problema per nessuno.» assicurò, tornando a guardarlo dal basso dei venticentimetri che li separavano.
«Non stiamo trattando donna. È un no, vedi di non farmi ripetere.» troncò brusco Kidd, non dando segno di aver preso le sue parole minimamente in considerazione.
Ammutolita lo fissò riprendere a camminare verso la spiaggia e per un attimo rimase imbambolata al proprio posto per l’ennesima novità del giorno.
Era la prima volta che avevano una conversazione di quel genere, Kidd aveva sempre accettato che lei andasse dove voleva, non le aveva mai imposto nulla che limitasse la sua libertà in alcun modo. Doveva essersi solo irritato, anche se Aya non era completamente certa del perché, non aveva parlato sul serio.
Fiduciosa nella propria opinione si ridestò andandogli dietro con passo svelto e decise di ritentare in maniera più convincente, anche imponendosi da sola delle limitazioni se fossero state necessarie.
«Siamo qui da un mese e mezzo, per piacere voglio andarci. Rimarrò vicina alla nave, con Killer se servir-Kidd!» provò ad insistere, ma non fu in grado neppure di terminare la frase.
Si ritrovò issata di peso sopra la sua spalla con l’accortezza che sarebbe stata riservata ad un sacco di patate e cozzò il naso contro una delle scapole, finendo per aggrapparsi alla pelliccia pur di raddrizzare la testa.
Perché si stesse scaldando tanto per una faccenda del genere le sfuggiva, ma di certo non era normale.
«Avere un animale attaccato ai coglioni sarebbe meno fastidioso di te!» sbottò seccato, reggendola per il sedere con la mano integra e tra le ciocche rivoltate che le offuscavano la visuale Aya individuò un paio di mozzi sghignazzare al suo passaggio.
Li ignorò con un respiro profondo così come il garbato paragone appena rivoltole da Kidd, preferendo concentrarsi piuttosto sull’inversione di percorso che l’altro aveva deciso di compiere, superando la porta del cortile principale per tornare al coperto nell’edificio.
«Potrei sapere dove mi stai portando?» domandò esasperata, riuscendo a sollevare un po’ il busto per sbirciarlo.
Persistendo nel proprio incedere, Kidd la degnò appena di una nuova smorfia mentre imboccava a passo di carica uno dei tanti corridoi semi-buii dell’edificio e rassegnata alla sua cocciutaggine, Aya si ammorbidì nella presa conscia che dimenarsi sarebbe stato solo uno spreco inutile di energie.
Kidd sapeva essere ragionevole quando era strettamente necessario, ma per la restante parte delle occasioni aspettarsi comportamenti civili da lui era improbabile. Ciò che continuava tuttavia a non spiegarsi era il motivo di tanta avversita per la sua partecipazione al viaggio, da tre anni era sempre stata a bordo della nave se non si teneva conto dell’allontanamento causato dalla Marina.
Mentre era immersa nei propri ragionamenti, Kidd pensò bene di spalancare con un tonfo la porta di una camera vuota e Aya si curvò su se stessa per controllare dove l’avesse portata, riuscendo nell’impresa solamente quando l’ebbe poggiata nuovamente a terra. Confusa studiò la stanza a lei sconosciuta, adornata da un unico quadro lercio e storto che penzolava alla parete e fece appena in tempo a voltarsi per chiedere spiegazione, vedendo Kidd sparire oltre la soglia e mollarla lì.
«Tu non puoi chiudermi qui.» sbottò allibita, accorrendo alla porta ormai chiusa.
«Posso, sono il Capitano.» gracchiò dalla parte opposta Kidd e Aya scoccò piccata un’occhiataccia al legno quasi il suo sguardo avesse avuto la capacità di trapassarlo.
«Io non sono uno dei tuoi uomini.» gli rammentò piatta e persino con qualcosa a dividerli avvertì l’aria diventare elettrica per il nervosismo del rosso.
«Ringrazia il cielo o ti avrei rotto i denti!» eruppe minaccioso, mentre la maniglia in ferro si fondeva al legno e alle pareti di pietra in una massa informe in cui non era più possibile distinguere serratura o cardini.
Raggelata la fissò con le iridi sbarrate e quando in corridoio sentì Kidd allontanarsi con passi decisi lo stomaco le si strinse in una morsa, facendola precipitare in uno stato di angoscia che non si sarebbe aspettata di provare.
Non stava succedendo davvero, non poteva star succedendo davvero, non era possibile, Kidd non l’avrebbe fatto. Non a lei almeno.
«Kidd non è divertente…» fece presente con la voce quasi rotta, ma il rosso doveva essere ormai troppo lontano per sentirla e Aya rimase al proprio posto continuando a fissare il nulla davanti a sé.
La porta si sarebbe spalancata, Kidd le avrebbe sputato contro un insulto nuovo e la cosa sarebbe terminata lì, continuò a ripetersi, secondi e minuti si susseguivano però e dal corridoio non proveniva alcun suono. Per quello che le parve un tempo interminabile attese paziente che quella sua previsione si avverasse, ma non accadde nulla e il panico la assalì incontrollato facendole pizzicare gli occhi.
Kidd non l’avrebbe lasciata morire là dentro, sarebbe tornato prima o poi, magari avrebbe mandato qualcun altro giusto per calarsi meglio nella sua parte, forse Wire. Aya però non sopportava già più quella stanza, le dava fastidio l’umidità delle pareti, la polvere nell’aria, il silenzio, che fosse spaziosa quanto uno sgabuzzino, lo stupido quadro raffigurante delle barche che pareva prenderla in giro e soprattutto che non avesse una singola finestra. Odiava essere ingabbiata, ne era sempre stata consapevole, era scappata di casa per quella ragione, ma adesso non era più in grado di tollerare nemmeno una situazione momentanea. Le mancava l’aria, non riusciva a respirare e la testa le stava scoppiando. Voleva uscire, doveva uscire.
Senza essersi neppure resa conto d’aver morso il proprio labbro sino a farlo sanguinare mosse un passo indietro e fece l’unica cosa che sentì di poter fare. Il colpo fu incredibilmente più potente di quanto non avesse mai fatto e la parete andò in pezzi con un tonfo di legno e pietra.



Il news coo intasco i pochi berry che gli venivano offerti dal bordo della canoa a motore per sollevarsi poco dopo in aria con un verso stridulo e compiere una magistrale virata in un battito d’ali.
«Ti ringrazio.» lo salutò, mentre si allontanava da dov’era arrivato senza riposare neppure un istante e sparire.
Nuovamente solo in mezzo a leghe e leghe di mare silenzioso e di un blu cupo quasi vertiginoso, Shizaru srotolò il quotidiano appena stampato sulle gambe per apprendere le ultime notizie dal mondo. Dopo una breve lettura della prima pagina su cui campeggiavano i volti dei nuovi ammiragli selezionati dopo la promozione di Sakazuki e il triste abbandono di Kuzan, decise di proseguire oltre ignorando le indiscrezioni sulle cariche vacanti tra gli Shicibukai. Dovette voltare alcune pagine prima che la sua attenzione si focalizzasse su una notizia con tanto di reportage fotografico su cui facevano mostra di sé dei volti a lui conosciuti qualche anno addietro.
«Visita dei Nobili mondiali a Myramera dopo l’incidente che ha messo in ginocchio il paese…» lesse tra lo sciabordio delle onde sullo scafo che lo custodiva da qualche giorno.
Aveva avuto l’onore d’incontrare i nobili Mononobe solo in un paio d’occasioni, ma difficilmente avrebbe potuto ormai dimenticare i loro volti benché per un breve periodo avesse tentato di farlo al G-5. Avevano la medesima tonalità di capelli – “la famiglia aragosta” li aveva chiamati Mizaru –, i tratti del volto e l’altezza erano quasi identici fra padre e figlia, eppure pareva che tra loro vi fosse qualcosa di profondamente diverso di cui si accorgeva solo in quel momento, guardandoli da una foto.
Vederli transitare insieme, come una famiglia ancora integra, per la piazza principale di Egle gli provocò una strana sensazione di colpa e disagio che lo spinse a serrare la presa sulla carta, sentendola accortocciarsi al ricordo delle poche parole che aveva udito pronunciare dalla balia. Gravato da un improvviso peso, spostò lo sguardo sulla colonna dell’articolo pur di non impelagarsi in sospetti maligni e cominciò a leggerlo alla ricerca di una qualche informazione trapelata sulle operazioni del Governo che potesse tornargli utile nell’aiutare quella ragazza. Tutto ciò che riuscì ad apprendere tuttavia dopo una manciata di minuti fu solo l’estromissione della famiglia Boreo, sostituta al governo del regno dalla fondazione, dal paese e una serie di nomi di probabili candidati al ruolo.
«Li hanno cacciati dopo tutto questo tempo.» notò con dispiacere nell’osservare la piccola foto di Re Boro in un angolo, ma non vi si poté concentrare per più di qualche istante poiché di colpo, senza che neppure se ne fosse accorto, si ritrovò circondato da una cortina di nebbia.
«Fino a un attimo fa era sereno, da dove arriva questa nebbia?» chiese al vuoto, guardandosi attorno.
Non era un abile navigatore, non si era mai trovato in quel ruolo neppure prestando servizio in Marina e districarsi tra i capricci del mare nello Shinsekai era un’impresa difficile anche per chi se ne intendeva. Aveva seguito le coordinate fornitegli dal commerciante di Huevos nella speranza che l’equipaggio di Eustass Kidd si fosse messo in cerca di un miracolo per il proprio capitano, ma non aveva la benché minima idea di dove si stesse dirigendo. Non aveva mai sentito prima parlare di un luogo chiamato Wonky Hole.
Rallentò la canoa per poterla manovrare al meglio e sbirciò il Logpose cui si era affidato sino a quel momento per appurare di non aver deviato la propria rotta, trovandolo perfettamente immobile.
Procedere non era certo la più saggia delle decisioni in quelle condizioni, ma non gli restava altro da fare. Tornare indietro una volta ancora sarebbe stato l’ennesimo spreco di tempo e non poteva davvero permettersene altri.
«Basta solo fare attenzione…» mormorò a se stesso in un incoraggiamento.
Per una buona mezz’ora proseguì con tutta la cautela di cui fosse capace finché non si rese conto di avere viso e mani gelate, mentre il fondo dell’imbarcazione pareva inspiegabilmente esser stato riscaldato e dal cielo non cominciarono a cadere giù fiocchi di neve sempre più grandi.



Wire di fianco a lui fu il primo ad accorgersene, dalla sua bocca non uscì un suono, ma come di rado accadeva la sua espressione mutò e tanto fu sufficiente affinché Kidd capisse che qualcosa non andava. Si volse indietro, in direzione del covo e la vide in piedi, con i pugni serrati e le iridi immobili puntate su di sé, non degnando della benchè minima attenzione la nave ormai al largo su cui avrebbe tanto voluto salire.
«La signorina si è arrabbiata, non mi dire…» riconobbe con un ghigno vuoto anche da quella distanza.
Quella donna era stata fastidiosa per Eustass Kidd dall’istante stesso in cui per strada a Vielle si erano incrociati e non lo aveva neppure degnato di un’occhiata. Lo era sotto molti punti di vista, in modi che persino lui non era in grado di ammattere e che lo sorprendevano continuamente, quello era uno dei tanti. Altre avrebbero fatto una scenata, molte avrebbero frignato sino a far mancare le lacrime, lei no. Sarebbe stato troppo per i suoi canoni abbassarsi ad una litigata, le era sufficiente guardarlo per mostrare il proprio disappunto ed era in momenti come quelli che Kidd fiutava il sangue che le scorreva nelle vene. Non poteva controllarla, lo sapeva, ma doveva in un modo o nell’altro anche a costo di vedersi rivolgere quell’espressione ogni giorno.
Wire disse qualcosa quando l’ebbero raggiunta, ma né lui né Aya vi prestarono attenzione estromettendolo dalla conversazione a priori nonostante la sua unica intenzione probabilmente fosse quella di calmare gli animi per evitare un disastro.
«Forse non ti è chiaro, ma non puoi fare come ti pare.» chiarì fermo, squadrandola dall’alto.
Al Governo mondiale e ai Draghi Celesti non importava più di chi fosse quando era nata, l’avevano emarginata, sulla sua testa pendava una condanna a morte ormai ed era ora che si svegliasse. Non bastava imparare a combattere, conoscere gli equilibri su cui si reggeva la loro schifosa società o perdere un po’ d’ingenuità. Doveva rendersi conto della situazione e comportarsi di conseguenza se voleva vivere.
«Tecnicamente… io posso fare tutto ciò che mi pare perché ne rispondo con me stessa.» precisò una volta ancora e il rosso si trattenne dall’istinto di romperle quel minuscolo collo che si ritrovava.
Avrebbe dovuto rispondere a lui di tutte le stronzate che si metteva in testa invece, ma non le aveva offerto un posto nella ciurma né mai lo avrebbe fatto a quel punto – ottuso lo aveva chiamato Killer sospirando –.
«Sei sulla mia isola, nel mio covo, le regole le detto io. Se non ti sta bene sei libera di andar via, ma non a bordo della mia nave.» stabilì con voluta cattiveria, per ricambiarla con la medesima pugnalata che sentiva di aver appena ricevuto a tradimento in pieno petto.
Aya lo fissò silenziosa per un lungo istante poi dovette fiutare qualcosa oltre la risposta che le era stata data e il suo sguardo tornò il medesimo che Kidd conosceva, mentre si rannicchiava un po’ nelle spalle. Quasi raddolcita, in uno degli stoici sfoggi di pazienza di cui era capace, parve accantonare l’arrabbiatura per fare il primo passo.
«Ne stai facendo una questione di rispetto? Hai provato a chiudermi in una stanza senza una spiegazione.» gli fece notare, piegando un po’ il capo rossiccio nel guardarlo.
C’era più dell’orgoglio da far tacere, c’era dietro molto più di quanto lui stesso aveva immaginato dopo aver preso coscienza delle proprie mancanze. Vedendola tanto impaziente di partire ai suoi occhi era diventata lei stessa una minaccia alla serenità che voleva concederle e aveva agito d’impulso, decidendo di proteggerla anche dalle sue malsane idee. Doveva tenerla al sicuro dal mondo in cui era nata, dalla gente da cui aveva scelto di allontanarsi dato che lei non pareva badarci più di tanto. Era una questione di priorità per Kidd, non le avrebbe permesso di crepare per una stronzata dopo essere entrata nella sua vita. Poteva farlo prima, da sola e sulle sue gambe, non giunti dov’erano.
«Te ne serve una per capire in che cazzo di situazione siamo?! Questo non è un gioco, ci danno la caccia, la Marina la dà a te! Ti sto facendo un fottuto favore e hai il coraggio di lamentarti!» esplose esasperato e per un secondo la vide mordicchiarsi a capo chino il labbro.
«Ci sono cose di cui non ho piena percezione ancora e forse non l’avrò mai… ma so cosa succede lì fuori. Forse saranno solo delle “passeggiate” Kidd, ma sono stata costretta a rimanere a Marijoa per vent’anni… per me sono tutto. Non puoi togliermele, non in questo modo ed aspettarti che mi stia bene.» spiegò con calma, tornando a guardarlo mentre sulle labbra arrossate dal sangue faceva capolino un sorriso un po’ amaro.
Di colpo ascoltandola parlare ebbe quasi l’impressione d’intravederla raccattare con rassegnata sopportazione le macerie di una vita che era abituata a veder rovinare e sentì lentamente defluire via la rabbia, trovandosi a serrare i pugni con un nuovo peso sullo stomaco.
Non era sua intenzione ridurla in quello stato, voleva difenderla, tenerla al riparo dallo schifo in mezzo a cui volevano soffocarla, ricambiare per una volta la premura che quella dannata aveva avuto nei suoi confronti quando era stato sul punto di crepare. Non era abituato però a simili gesti di considerazione verso altri e lo aveva fatto nel modo sbagliato, era stato lui a colpirla a tradimento. Se ne accorgeva solo adesso.
«Apprezzo che tu voglia proteggere anche me, ma non starò qui ad aspettare che le cose migliorino. Sono disposta a rischiare quanto te per il tuo sogno, dovesse anche costarmi tutto, quindi non farlo più per piacere.» lo pregò amareggiata nel vedere la sua espressione e colto nel vivo Kidd la mutò in una smorfia scocciata.
«Se Killer tornerà con notizie decenti andremo ad Horai. Vuoi crepare andando in un posto che credi non esista?!» domandò brusco, vedendola subito fare spallucce.
«Ci sono modi peggiori di farlo.» rifletté e Kidd non poté che concordare.
Saperla rischiare per la propria volontà era qualcosa che era disposto a sopportare, in fondo era ciò che lui stesso aveva deciso non facendosi abbattere dall’impatto disastroso con un Imperatore. Valeva la pena mettere in gioco ogni cosa pur di non avere rimpianti e darla vinta a chi li aveva etichettati dapprincipio senza alcuna concessione. Non sarebbe stato lui a negarle l’opportunità che si era creata con le sue forze, avesse dovuto anche seppellirla – d’altro canto sarebbe stata l’ultima seccatura che quella donna gli procurava –.
«Come sei uscita?» la interrogò Wire approfittando della ristabilita calma e solo allora lei parve ricordarsi della sua presenza, sussultando sul posto come se fosse appena stata colta sul fatto.
«Ho buttato giù la porta e un po’ di muro temo…» ammise colpevole in un mormorio, mordicchiandosi il labbro con le braccia serrate dietro la schiena.
Da sotto il cappuccio Wire si abbandonò ad un sospiro spossato parlando già delle riparazioni che avrebbero dovuto fare, ma Kidd non riuscì a trattenersi dall’esplodere in una risata solo ad immaginarla demolire una parete pur di liberarsi.
Era praticamente impossibile tenerla ferma se non era d’accordo, se ne sarebbe dovuto ricordare prima.



La moekusa non era una pratica medica, a voler essere gentili e non c’era poi alcuna ragione per esserlo, si trattava più che altro di un placebo superstizioso da erboristi decaduti e truffatori. Non vi era nulla che potesse dirsi complicato dato che non aveva alcun fondamento scientifico da apprendere, eppure da almeno tre ore, per la prima volta nella sua intera esistenza, Trafalgar Law continuava a boccheggiare sulla cronaca della sua invenzione in un luogo leggendario senza essere riuscito a comprendere più di uno striminzito paragrafo. Aveva scelto di alleggerire la propria giornata con del sano disappunto dinnanzi ad un tale sfoggio di ignoranza, ma la sua concentrazione si era presa straordinariamente una pausa per via della calura ormai intollerabile persino per lui. Dopo essersi privato del cappello, aver sollevato le maniche della felpa per toglierla poi del tutto e non avendo alcuna intenzione di trucidare la propria decenza leggendo in mutande di quella sciocchezza, aveva finalmente deciso di dirigersi nella sala comandi per cambiare un po’ aria.
Il corridoio stretto e illuminato dai neon gli parve trasudare calura, mentre avanzava e la prima cosa che controllò dopo aver raggiunto la sala fu proprio la spia del termostato di bordo.
Come previsto però, data la mancanza di allarmi, nulla era danneggiato e si trattenne dal lamentarsi, imponendo a se stesso un po’ di autocontrollo nel vedere i suoi uomini altrettanto stremati alle postazioni.
«I sonar non segnalano nulla?» s’informò con Penguin, abbandonato su una sedia con lo sguardo perso nei monitor e la divisa abbottonata alla meglio.
«Niente di niente…» lo udì biascicare con voce strozzata e parecchio sconforto.
Navigavano da quattro giorni ormai, fermandosi solo durante la notte, ma di Shinkiro non c’era traccia e il G-5 continuava inesorabilmente ad avvicinarsi innescando in tutti il sospetto che avessero sbagliato qualcosa. Forse avevano frainteso le indicazioni ottenute a Dunanjima o peggio, erano caduti anche loro in uno dei tranelli che rendevano quel luogo quasi impossibile da raggiungere, eppure la direzione non poteva che essere quella, non c’erano altre basi della Marina diroccate nelle vicinanze della Linea Rossa. Shinkiro era lì fuori, da qualche parte, nascosto abilmente anche ai loro occhi, Trafalgar ne era convinto.
«Aya-sama avrebbe saputo darci indicazioni… conosceva un sacco di storie su posti strani…» rimuginò Penguin, passando una mano sulla fronte grondante sudore.
Trafalgar lo sbirciò in silenzio per concentrarsi poi un istante sul monitor del sonar che non dava segni di vita e fiaccato dalla temperatura si lasciò cadere al proprio posto d’onore senza la forza di ribattere.
Avrebbe saputo di certo dove andare, Aya sapeva sempre dove andare. Era una fonte inesauribile di aneddoti e resoconti, per di più da quanto Law aveva potuto vedere possedeva un senso dell’orientamento talmente infallibile da mettere i brividi. Avrebbe trovato una strada per arrivare ovunque se solo avesse voluto.
Con le braccia poggiate sullo schienale, si chiese se Eustass-ya non stesse approfittando di quel suo talento per raggiungere Raftel, ma si rammentò solo allora che di lui e della sua ciurma non c’erano più notizie da mesi e cacciò via quei pensieri con una smorfia, mentre Shachi strisciava all’interno della stanza.
«Fa dannatamente caldo… perché fa così caldo?» gemette asfissiato, accasciandosi sulla console dei comandi facendo spegnere per un attimo le luci.
«Ti lamenti più di Bepo…» lo rimproverò senza nemmeno troppo trasporto Clione, riaccendendole con movimenti rallentati e reclinare nuovamente il capo.
«Bepo si è chiuso nella cella frigorifera della cambusa, vorrei vedere…» gli fece presente l’altro e Trafalgar non se ne stupì affatto.
Il suo orso non reggeva bene il caldo e non c’era certo da biasimarlo con la pelliccia da cui era coperto. Era già sufficiente l’innalzamento minimo della temperatura quando s’immergevano per farlo spendere in ogni genere di lamentela e cominciare la ricerca del luogo più fresco a bordo. Si rintanava sotto i bocchettoni, schiacciava il muso sugli oblò, spesso finiva persino per intrufolarsi nel suo laboratorio. Non poteva rimproverarlo, era una dimostrazione di affetto e fedeltà impari il fatto che accettasse di vivere in un luogo che lo faceva penare. Specie in quell’occasione, quando anche lui non riusciva più a ragionare per il caldo – sebbene ci sarebbe stato di che dibattere in merito alle norme igieniche della cambusa in seguito –.
«Riemergiamo.» annunciò, staccandosi dal divanetto su cui la pelle olivastra aveva aderito.
«Oh grazie al cielo!» esultarono in un coretto i suoi uomini e la prontezza con cui ripresero vigore lo lasciò per un attimo attonito.
Ci vollero appena un paio di minuti affinché il Polar Tang risalisse in superficie ed i portelloni fossero depressurizzati, ma tutti si precipitarono subito all’esterno per approfittare della sosta e prendersi una pausa dalla temperatura torrida che li fiaccava sin dall’alba.
«Aria fresssss-freddo!» squittirono all’unisono rannicchiandosi nelle divise e Trafalgar si bloccò all’istante sul posto, riappropriandosi con una room della propria consueta tenuta abbandonata nella sala di vedetta.
Era normale che vi fosse uno scarto di temperatura tra l’interno del sottomarino e l’esterno, i motori e i macchinari di bordo inevitabilmente surriscaldavano l’ambiente ed impedivano il completo ricircolo dell’aria, ma lì non si trattava di una manciata di gradi, rischiavano lo shock termico di gruppo.
«Si congela qui fuori, ma che diamine succede?!» farfugliò Shachi, saltellando sul posto nell’abbottonare la divisa sino al collo e i denti che battevano.
L’aria attorno a loro era gelida, le poche pozzanghere d’acqua rimaste sul ponte dopo l’emersione si erano già congelate in piccoli specchi frastagliati e nuvole biancastre fluttuavano in cielo mischiandosi alla nebbia. Era pieno inverno là fuori, non c’erano dubbi e per un attimo con il viso che pungeva, si chiese se non vi fosse qualcosa che non andava nel sottomarino.
«Il mare! Guardate!» interruppe i suoi pensieri un membro dell’equipaggio, sporgendosi dalla paratia lucida del ponte agitando una mano in direzione della massa d’acqua che li circondava.
Incuriosito come il resto dei propri uomini da quel richiamo si avvicinò alla balconata esterna e nello sporgersi appena scoprì un piacevole tepore sollevarsi in sbuffi di fumo candido dalle onde.
Poteva sembrare impossibile da immaginare, ma pareva proprio che in mezzo a tutto quel freddo il Grande Blu stesse bollendo sino a fumare.
«Ne ho sentito parlare… è un fenomeno che si crea quando la temperatura del mare è superiore rispetto a quella dell’aria. L’acqua dolce evapora e risale verso gli strati più alti dell’atmosfera dando l’impressione che il mare stia fumando.» spiegò Penguin dopo un po’, sorridendo appena sotto il pompon per la scoperta imprevista.
Lo Shinsekai non smetteva mai di sorprendere con tutte le sue stranezze, era un mondo a sé in cui ogni cosa poteva realizzarsi con i suoi pro e contro. Non c’erano regole o previsioni se si sceglieva di navigarci, andava accettato da ospiti così com’era perché di certo non avrebbe avuto riguardi nei confronti di nessuno.
«Quindi l’acqua non sta bollendo davvero?» chiese confusa Ikkaku, piegando i riccioli scuri sulla spalla.
«È abbastanza calda da aver riscaldato l’interno del sottomarino, può darsi. Anche se sospetto sia una corrente calda… ne avevo intercettata una ieri.» rifletté Penguin, sbirciando le profondità quasi i suoi occhi avessero potuto ritrovarla da lì su.
Ammirando con le mani nascoste nelle tasche della felpa i dintorni, gli tornò di colpo in mente la mappa stravagante sulle pareti del negozio a Dunanjima e un ghigno compiaciuto gli si dipinse sulle labbra.
Quella raffigurazione gigantesca in cui ogni elemento sembrava essere stato realizzato da un bambino si stava dimostrando pi accurata di quanto Law non avesse potuto sperare. Non erano gorghi, ma ne avevano comunque la medesima foggia, mentre si sollevavano evanescenti dalla superficie dell’acqua per dissolversi e tanto gli era sufficiente per cacciar via i dubbi che lo avevano assalito in quell’ultima tratta per Shinkiro.
«Siamo sulla buona strada, dev’essere qui vicino. È il disegno di Aohiro-ya.» stabilì, mentre le iridi grigie vagavano sulla linea dell’orizzonte accorciata per via della foschia.
Attorno a lui i suoi uomini rimasero per un attimo in silenzio, scavando nella loro memoria per rammentare con precisione l’affresco sotto cui avevano pernottato per poi esplodere in sorrisi soddisfatti nel riconoscere in qualche maniera ciò che stava loro innanzi in quel momento.
«Può fidarsi Senchō, glielo avevo detto!» assicurò Bepo, gonfiando il muso peloso con rinnovato vigore nell’anticipare il resto dei propri compagni.
«Non prenderti meriti che non hai!» lo rimproverarono subito Penguin e Shachi, rifilandogli due sberle che lo fecero rannicchiare borbottando scuse.
Li osservò per un attimo, mentre iniziavano il consueto battibecco e tornò a voltarsi, studiando ciò che lo circondava con l’impressione che qualcosa se ne stesse nascosto dalla foschia ad un palmo dal sottomarino.



Imperterrito continuò a scrivere tra varie pause all’interno delle caselle, reggendo sulle gambe il retro del quotidiano comprato in città all’alba durante la sua consueta passeggiata, mentre a qualche metro di distanza una mano tamburellava nervosa sul terreno.
«Hai intenzione di startene lì ancora per molto nonnino?» domandò il minore dei gemelli, staccandosi dall’entrata nel complesso in cui vivevano ormai da mesi lì al G-5.
«Ci metterei meno se non disturbassi.» gli fece notare Iwazaru, senza staccare gli occhi dal foglio.
«Potresti metterci ancor meno se mollassi quelle noiose parole crociate! Ti manca solo il set da pesca e sei pronto al pensionamento.» notò, squadrandolo con teatrale disappunto.
«Non essere irriverente.» lo riprese, ma come spesso accadeva suo fratello non si prese la briga di dargli retta e lo intravide trotterellare per il selciato che correva tra gli edifici con le mani ormai allenate.
«Ah, basta! Non ne posso più! Vado alla festa di benvenuto nell’edificio ventidue! Quando avrai finito, prendi le tue pillole e mettiti a letto.» lo pizzicò insolente, voltandosi con tutta l’intenzione di sparire in direzione degli edifici meno agibili di tutta la base.
Quando suo fratello maggiore era ancora con loro le cose erano più semplici. Mizaru non era mai stato una persona gestibile, non era in grado di star fermo o tenere la bocca chiusa per più di trenta secondi, ma Shi sapeva come tenerlo occupato di buon grado o fargli accettare situazioni che altrimenti lo avrebbero fatto scalmanare. Adesso però toccava a lui, Shi aveva messo tutto nelle sue mani andando via, anche Mizaru.
«Fermo lì.» lo bloccò, poggiando la penna sulla carta per sollevare lo sguardo.
«Che c’è?» domandò scocciato l’altro, voltandosi con una smorfia infantile.
«Lo sai.» annunciò piatto e bastarono quelle due paroline in fila per farlo scalmanare.
«È un gesto gentile! In segno di cortesia ed accoglienza verso la prima donna marines volontaria al G-5!» provò a convincerlo, rivoltando la faccenda in maniera tale da renderla accettabile.
Iwa fissò per un attimo il sorrisetto che gli veniva rivolto per poi tornare ad abbassare gli occhi sul foglio senza la minima intenzione di abboccare a quella fandonia.
Poteva anche trattarsi di un evento eccezionalmente raro considerando il luogo in cui si trovavano, ma era comunque inaccettabile per quanto lo riguardava e non avrebbe ammesso che suo fratello partecipasse.
«È un pretesto da fannulloni e una mancanza di rispetto verso un superiore.» deliberò secco, scribacchiando una risposta per poi cancellarla e ricominciare.
«Tashigi-chan è un capitano come noi.» rifletté con il capo reclinato Mizaru e Iwa si abbandonò ad un sospiro.
«Parlavo del vice-ammiraglio Smoker.» fece presente.
Avevano organizzato un festino all’interno di uno degli edifici diroccati senza avere il permesso, un giorno prima dell’arrivo della presunta festeggiata e infischiandosene serenamente del superiore che si sarebbe aggiunto allo spiegamento della base. Dire che si trattava di una mancanza di rispetto era un eufemismo, avrebbero meritato d’essere privati dei loro gradi e rimandati all’addestramento al Quartier generale.
Dalla strada qualcuno attirò l’attezione di Mi prima che potesse farsi venire in mente di ribattere altro e solo quando la sua voce assunse un tono velenoso Iwa tornò a sbirciare in alto intuendo di chi si trattasse.
«Ma guarda chi è ritornato… hai trovato il cadavere di nostro fratello durante il giro di ricognizione?» s’informò, squadrandolo con l’espressione che avrebbe avuto un bambino davanti al proprio acerrimo nemico.
Mi era immaturo sotto molti punti di vista, anche nell’odiare. Aveva preso male ciò che era accaduto alla loro famiglia negli ultimi anni, ma non era in grado di far più di qualche battuta velenosa. Forse perché gli pesava troppo dover odiare il proprio gemello o magari perché parlare era più semplice per chiunque.
Kikazaru gli riservò un’occhiata in silenzio andandogli in contro e benché fosse evidente quanto poco gli fosse stata gradita quella frecciatina, decise di ignorarla lasciandola inascoltata come spesso era solito fare.
«Forse avremo un vantaggio per incastrare quella rivoluzionaria.» annunciò, marciando su per la strada sino a raggiungerli davanti alla porta.
Non si stupì di sentirlo parlare di quella ragazza, ormai parlava con loro solo di quello e più che altro perché sapeva di non poterlo fare con nessun’altro. Iwa sospettava con rammarico che se avesse avuto qualcun altro con cui poter discutere della faccenda non lo avrebbero rivisto neppure nella sua branda a notte inoltrata.
«Andrai ad implorarla di consegnarsi contando sul suo buon cuore? Perché qualora tu non te ne fossi reso conto ancora, a meno che non decida di smetterla di sua iniziativa, non ci sono speranze.» rincarò il minore, piantandoglisi accanto quasi a volerlo deridere e Iwa non poté che dargli tacitamente ragione per una volta.
In quei tre anni avevano provato tutto, sondato ogni via. Erano stati sull’isola della sua balia, avevano organizzato una trappola, l’avevano inseguita, le avevano nascosto addosso una vivrecard, involontariamente erano riusciti a ferirla, suo fratello si era scontrato con Eustass Kidd, erano arrivati al punto di inondare un’isola pur di catturarla quando era priva di protezione, eppure nulla era servito. Tutto ciò che avevano ottenuto erano state retrocessioni di grado in Marina e il completo sfacelo della loro famiglia.
«Se le voci che girano verranno ufficializzate non avremo bisogno di speranze Mizaru. Avremo la certezza assoluta.» riferì lapidario Kikazaru, scoccando al minore un’occhiata gelida prima di proseguire e lasciarli indietro per dirigersi al complesso centrale per chissà quale ragione.
Lo seguì in silenzio con lo sguardo senza muovere un solo muscolo dalla propria posizione e soltanto quando fu sparito del tutto tra gli edifici si passò una mano sul naso ancora dolorante dopo Serranilla.
«È la prova che è ossessionato, ha cominciato persino a sentire voci…» borbottò Mizaru nemmeno troppo acido, sedendoglisi accanto con sconforto e Iwa gli passò premuroso la penna.
Avrebbe scarabocchiato tutte le caselle scrivendo fandonie, ma almeno sarebbe stato occupato a non pensare troppo che l’unico legame rimasto della loro famiglia era quello tra lui e chi chiamava “nonnino”.




















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Note dell’autrice:
Per la prima volta in questa storia le note sono poche, segnate questo giorno sul calendario perché non si ripeterà più… purtroppo. In realtà potrei inserire una serie di spiegazioni riguardo le scelte che ho compiuto in questo aggiornamento, ma ve le risparmio. È già uno sforzo leggere sin qui sotto, continuare sarebbe infierire e non sono poi così maligna.

- Kidd: Je sais, un atto di tale maschilismo come chiudere Aya dentro uno sgabuzzino per toglierla dai piedi è tremendo e ha avuto le sue conseguenze… grosse conseguenze, più grandi di quanto immaginiate ora, ma voglio difenderlo. Kidd è Kidd, non ci si può aspettare che spieghi le proprie ragioni cercando d’essere convincente. Per lui è meglio agire in maniera diretta e nello scrivere di questa cosa, vi dirò, ho avuto tanta tenerezza nei suoi confronti perché nella mia visione delle cose, il suo è stato più che altro un atto impossibile da evitare, quasi disperato. Non so se sono riuscita a spiegarmi come avrei voluto… comincio a perdere colpi.
- Moekusa: pratica orientale che consiste nel bruciare erbe mediche attorno al corpo del paziente a scopo curativo, il suo nome deriva proprio dal giapponese “Moe” ossia bruciare e “kusa” erba. È stato appurato da un pezzo che non ha alcuno scopo effettivo o fondamento scientifico per cui Trafalgar, che nella mia mente è un puntiglioso dottorino cinico e spocchioso, non accetta simili “stregonerie” in nome della scienza òwò
- Mare di fumo: non è il mare dei sospiri di Valyria, è un fenomeno che esiste realmente ai poli o comunque nelle loro prossimità. Si verifica proprio secondo le modalità spiegate da Penguin nel POV, quando la temperatura del mare è superiore a quella dell’aria allora avviene l’evaporazione con conseguente aumento della salinità.



  
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