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Autore: hexleviosa    10/02/2017    6 recensioni
[Arrow, post 1x23]
Il terremoto sta colpendo il The Glades, Felicity resta al covo per aiutare il team. E' sola e crede di essere al sicuro, ma quando si rende conto che le scosse si stanno facendo più forti e il Verdant sta crollando su se stesso è ormai troppo tardi per scappare. Ferita e senza alcuna possibilità di comunicazione, si crede spacciata. Capiranno Oliver e Diggle che lei è ancora là sotto? Riusciranno a salvarla o sarà già troppo tardi?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dinah 'Laurel' Lance, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Quentin Lance
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo originale: The Cavalry

Di: lilgizzy1983

Tradotto da: Hexleviosa

 

 

 

 

The Cavalry

parte II

 


 

Non più di dieci minuti più tardi, Oliver si fermò davanti a quello che un tempo era il Verdant. Gli ci era voluto più di quanto avrebbe voluto, ma aveva dovuto fare un sacco di slalom tra edifici, macchine e persone sparpagliate ovunque. Dopo aver guardato il danno arrecato al club, non fu in grado di muoversi per quasi un intero minuto. L’intero edificio non era che un cumulo di macerie. Solo una parte del muro esterno era rimasta in piedi, tutto il resto aveva ceduto, o era danneggiato in modo irreparabile. Non riusciva a vederlo dalla Queen Consolidated perché l’insegna luminosa era caduta a terra e si era ridotta in mille pezzi. In un lampo, marciò dentro, s’inginocchiò attentamente sui pezzi di metallo e cemento dove un tempo c’era l’entrata secondaria. Nulla era in buone condizioni, e notò anche che in un paio di zone il pavimento aveva ceduto. Notò soprattutto che una delle zone maggiormente danneggiate era il pavimento accanto alle scale che davano al seminterrato.

Quando raggiunse la porta del covo, era bloccata da numerosi massi di cemento. Cominciò a spostare di lato quello che poteva, e lentamente spinse via i pezzi più grandi. Uno era così pesante che dovette prendere una sbarra rotta di metallo da usare come leva per liberare porta. Quando riuscì ad aprirla di circa trenta centimetri, cercò di passarci attraverso, realizzando che era buio pesto là sotto. Non riusciva a vedere gli scalini, né a sentirli, sembrava che fossero crollati. Non sentiva nulla provenire dal seminterrato. Era paurosamente silenzioso.

<< Felicity >> disse più piano di un respiro.

<< FELICITY >> urlò poi dopo aver finalmente ritrovato la voce.

Non ricevette alcuna risposta, tirò allora fuori il telefonino. Restando in cima alle scale, la chiamò, sperando di non udire il suo cellulare squillare. Che fosse magari in città e lo avesse perso, o che ci fosse troppo rumore perché lo sentisse. Sfortunatamente, non era quello il caso. Sentì la suoneria che lei aveva impostato per le sue chiamate provenire da un luogo indefinito sotto le macerie del covo.

<< Dannazione! FELICITY?! >> urlò di nuovo.

Come avrebbe fatto a tirarla fuori di lì? Digitò un altro numero.


 


 

<< Più veloce! Levati di mezzo! >> urlò Diggle, sporgendosi fuori dal finestrino della macchina di servizio del detective Lance, alle persone che vagavano senza meta per strada. Capì che se volevano arrivare da qualche parte ia macchina avevano bisogno di luci e sirene. Laurel e Lance erano andati a prenderlo davanti all’ospedale dieci minuti dopo che aveva chiamato dicendogli che Felicity era nei guai. Lance sapeva quando duramente Felicity aveva lavorato per provare a proteggere la città. E non si meritava di morire per quello.


 

<< Dove andiamo? >> aveva chiesto a Diggle mentre saltava sul sedile posteriore della macchina di polizia.

Dig aveva guardato verso Laurel, che aveva ancora gli occhi lucidi di lacrime, poi di nuovo Lance.

<< Dannazione signor Diggle, DOV’È? >> urlò, non gliene poteva importar di meno al momento dell’identità di Arrow. Nè aveva già capito che Felicity e Diggle lavoravano per la stessa persona.

<< Al Verdant >> comunicò velocemente, consapevole di avere appena rinunciato al suo più grande segreto, a spese dell’amico. Ma ne sarebbe valsa la pena se fossero riusciti a salvare Felicity.

Sia Lance sia Laurel si voltarono verso di lui scioccati.

<< VAI! >> urlò Diggle, riportandoli alla modalità di salvataggio.


 


 

Quando si trovarono a soli quattro blocchi di distanza dal club, il suo cellulare cominciò a squillare. Era Oliver.

<< Oliver, siamo quasi lì. L’hai trovata? Sta bene? >> gli chiese Dig tutto d’un fiato.

<< Siamo? Ad ogni modo, non importa. Dig, qua è un inferno, è crollato tutto. Sono riuscito a liberare il passaggio per la porta del seminterrato ma le scale sono crollate. Mi serve della luce e qualcosa per calarmi giù >>.

Dig si voltò verso Lance:

<< Ha qualcosa per far luce? >>

<< Ho delle torce nel baule, nessun problema >>.

<< E delle corde o qualcosa di simile? >>

<< Niente da fare, non ho nulla del genere >>.

<< Cavolo. Oliver, sei sicuro che sia là sotto? >>

Laurel e Lance si voltarono di nuovo quando Dig ripetè il nome di Oliver. Ormai era certo, era lui il vigilante. Lance tornò a guardare la strada.

<< L’ho chiamata al telefono e sentivo la suoneria dal seminterrato. Dig, sono certo che non sia riuscita ad uscire. Il club è… è messo davvero male >>.

<< Va bene, ci stiamo fermando, veniamo da te >>.

<< Chi? >> Oliver aveva un’idea, e non gli importava molto al momento, ma era comunque nervoso.

<< Quentin e Laurel Lance >>

<< Ok >> Oliver attaccò, concentrandosi di nuovo sull’ottenere una risposta da Felicity.


 

Dopo aver chiamato il suo nome per qualche minuto, sentì un lieve colpo di tosse. Smise di urlare per vedere se era solo la sua immaginazione. Pochi secondi dopo lo sentì di nuovo. Un debole tossire proveniente proprio da quella che un tempo era la tromba delle scale. Era viva, ma non rispondeva. Il suo cervello stava andando in pappa.

<< Felicity! PUOI SENTIRMI? >>

Sentì un mugolio, poi un altro colpo di tosse. Era lì, poteva sentirlo.


 

Felicity sentì qualcosa, ma non sapeva cosa. Era di nuovo il suo cellulare? Non riusciva a capirlo, aveva la testa leggera per la commozione celebrale e un’evidente mancanza d’ossigeno. Ma stava respirando aria fresca. Da dove veniva? Qualcuno urlava? Aveva solo immaginato che qualcuno urlava? Non riusciva ad aprire gli occhi, forse stava sognando, ma era quasi certa che qualcuno stesse urlando. Per quanto tempo era rimasta incosciente? Troppo domanda stavano affollando la sua mente confusa.

Improvvisamente si ritrovò eccitata alla possibilità di essere salvata, di riflesso inspirò profondamente e il dolore provocatole da quel gesto la fece tossire debolmente. Tossendo, dalla gola fino ai polmoni sentì un dolore lancinante, pungente come spilli e graffiante come cartavetrata. Non riuscì a respirare per quasi un minuto interi finché il bisogno d’aria non fu troppo.


 

<< Felicity! Puoi sentirmi? >>

Lo sentì forte e chiaro! Era Oliver!

Inspirò piano per provare a parlare, ma invece riuscì solo a mugolare mentre un altro colpo di tosse la prendeva. Il dolore la stava frastornando. Non riusciva a parlare, poteva a malapena respirare. Tutto quello che sentiva era dolore che si irradiava in tutto il corpo. Non sapeva se fosse fortuna o sfortuna, ma improvvisamente sembrava che avesse perso sensibilità alla gamba destra, per il momento pensò che fosse fortuna.

<< Oliver >> riuscì a bisbigliare, ma lui non la sentì.

Si chiese se fosse effettivamente uscito fuori qualcosa. Tossì di nuovo per schiarirsi la gola.

<< Oliver! >> disse più forte che poteva, che era comunque meno del suo tono abituale.

Fortunatamente, sembrava che lui non fosse troppo distante.

<< Felicity! Ehi! Sì, sono io! Stai bene? Puoi muoverti? >> aveva così tante domande, finché non aveva la torcia non poteva vederla e questo lo stava facendo impazzire.

<< Oliver, non… non riesco… a muovermi >> ansimò e tossì un paio di volte prima di riuscire a terminare la frase, ma in qualche modo l’aria fresca era di aiuto.

<< Felicity, sei ferita? >> Oliver sapeva che era ferita. Non aveva dubbi. Cercava solo di ottenere più informazioni possibile sulle sue condizioni, per quando avrebbe dovuto spostarla. Sperava che non fosse nulla di grave e che fosse solo bloccata sotto qualche calcinaccio.

Non rispose per un minuto e temette di averla persa di nuovo.

Felicity inspirò il più possibile, il movimento le provocò un dolore lancinante alla spalla sinistra. Emise un lamento strozzato simile ad un singhiozzo, prima di permettere ad alcune lacrime di solcarle le guance per quel ritrovato dolore. Quando si guardò la spalla, stando attenta a non muoversi troppo, vide un pezzo di armatura del cemento che la infilzava.

<< Ahh >> si lasciò scappare un piccolo urlò di dolore.

<< Felicity! Cos’era quello? Stai bene? >> Oliver era sempre più nervoso e impaziente di secondo in secondo. Dov’erano Dig e Lance con la luce? O con l’ambulanza. Non gli importava di chi ora conosceva la sua identità, avrebbe pensato dopo alle conseguenze. Al momento voleva solo vedere Felicity e rassicurarla.

<< No. Ahh… fa male… credo sia abbastanza grave… Oliver… aiutami >> squittì, schiacciata dalla tensione alla spalla e dalla ferita alla testa.

<< Stiamo venendo giù a prenderti, Felicity, resisti, ok? Puoi farcela! Vado a cercare aiuto, torno subito! >> Oliver era stufo di aspettare, stava di nuovo lasciando che la porta si chiudesse ma la sentì piangere molto più forte di quanto avesse mai fatto quella notte.

<< NO! Oliver, NO! >> cominciò a farsi prendere dal panico. Non solo non voleva che la lasciasse là da sola e al buio di nuovo, ma sapeva che se avesse chiuso la porta, le sua unica fonte di aria pulita sarebbe andata e non sarebbe di nuovo stata in grado di respirare.

<< Felicity, va tutto bene. Dig è qua vicino, gli vado solo incontro così sanno dove siamo e facciamo più in fretta >> Oliver pensava solo che avesse paura di stare sola, non alla qualità dell’aria.

<< No >> tossì di nuovo << Oliv… Oliver… non… non posso respirare… quando la porta è chiusa non riesco a respirare >> provò a parlare il più forte e chiaro possibile così che lui potesse sentirla e capire l’urgenza. La consapevolezza lo colpì violentemente come un quintale di cemento. Per tutto questo tempo lei stava lentamente soffocando per la polvere e il gesso. La Fonderia era chiusa e senza filtrazione d’aria sarebbe stata come una tomba.

<< Va bene, ho capito, ok… Felicity, non me ne vado, ok? Sono qua >>.

Rimase tranquilla per un po’, cercando di calmare il panico. Riuscì solo ad emettere un lieve: << Grazie >>.

Lo fece quasi ridacchiare. Ovviamente non l’avrebbe lasciata morire soffocata là sotto.

<< Non voglio lasciarti senza ossigeno, Felicity. Non sto cercando di ucciderti, sto cercando di salvarti >>.

Felicity provò a sorridere, ma aveva ragione di credere di non esserci riuscita. Tuttavia non aveva davvero importanza visto che non c’era nessuno a vederla.

Diggle, Laurel e Lance stavano arrancando tra i detriti del club. Laurel avanzava zoppicando più veloce che poteva. Non avrebbe saputo riconoscere Felicity, ma suo padre le aveva spiegato tutto quello che era accaduto quella notte e lei non voleva lasciare che un’altra buona persona, che aveva provato ad aiutare, soccombesse a quella irragionevole tragedia. Non le importava chi fosse Felicity, o chi Oliver era diventato, entrambi aveva provato ad aiutare. Loro, in gruppo, aveva salvato centinaia di vite. Una macchina del terremoto aveva fatto abbastanza danni, se le altre due non fossero state spente, tutto il The Glades sarebbe stato sotterrato.

Finalmente sentirono Oliver parlare, e ne furono incoraggiati. Diggle fu il primo a parlare:

<< Oliver! L’hai trovata? Sta bene? >> corse nella sua direzione il più veloce possibile, considerata la sua ferita. Era abbastanza certo di aver fatto saltare un paio di punti, ma non gli importava.

<< Diggle! >> gli fece cenno lui, stando attento a tenere la porta bene aperta.

<< È sveglia, ma ferita. Dobbiamo scendere giù. Hai una luce? >>

<< Ho una torcia qua >> fu Lance a parlare questa volta.

Accese la torcia e la puntò verso la porta. Oliver lo ringrazio afferrandola, mentre Laurel lo osservava nel suo costume da Arrow. Per lei era difficile riuscire a conciliare questo nuovo Oliver con l’Ollie che conosceva anni prima. Stava mettendo a rischio se stesso pur di salvare qualcun altro. Dopo aver visto morire il suo migliore amico, stava ancora lottando, stava ancora provando ad aiutare. In quel momento era impressionata da lui. Era così concentrato sulla sua amica da averle appena rivolto uno sguardo. Ma tutto quello che doveva dire lo dicevano i suoi occhi. E improvvisamente capì tutto. Lui non era lo stesso uomo. Non era più il suo Ollie. Lui era la sua missione. Il suo team. Il salvatore di Starling City. Era più di se stesso. La sua squadra era un unicum, lavoravano come uno. Una era caduta e gli altri avrebbero mosso le montagne per salvarla.

Oliver puntò la luce dentro la piccola apertura della porta, vedendo per prima cosa le macerie. A Felicity bruciarono gli occhi per l’improvviso bagliore, ma ne fu grata. Era come la luce alla fine di un lungo e doloroso tunnel. Tutto quello che doveva fare era aspettare che i suoi uomini venissero a prenderla. Poteva resistere. Avrebbe resistito per Oliver. Per il team. Sarebbero andati oltre quello e avrebbero continuato la loro missione, sempre e comunque.

Quando Oliver fece finalmente luce sul suo volto, lei si ritrasse e chiuse gli occhi per la luminosità.

<< Oh Dio >> fu tutto quello che mormorò lui alla vista.

La sua gamba sanguinava, era girata in uno strano angolo e sotterrata da grossi detriti. Il capo e il volto erano coperti dal sangue che fuoriusciva da una considerevole ferita alla testa. E la spalla sinistra era infilzata da un pezzo di armatura sporco, che sporgeva da un blocco di cemento che le gravava in parte addosso. Non capiva se l’aveva trapassata o no, ma dalla quantità di sangue sembrava di no, almeno una cosa positiva.

<< Oliver, fammi vedere, provo a stimare i danni da qua >> Dig prese la torcia ad Oliver e notò il colorito pallido del suo volto. Lo sorpassò e puntò la luce verso Felicity, facendolo ritrarre di nuovo. Tutte le volte un paralizzante, accecante dolore le attraversava il cervello.

<< Aw, ragazzi… basta luce, per favore. Mi fa male la testa >> disse debolmente, più la porta restava aperta e più aria pulita riusciva a respirare e più suonava come se stessa.

<< Scusa, stavo solo controllando. Resisti? Pronta ad uscire da lì? >>

<< Sono nata pronta. Ma il prossimo covo facciamolo al piano terra, per favore >> squittì.

Diggle spostò la luce dalla sua faccia al suo corpo, poi lungo i muri e le scale. Sarebbe stata dura. Sapeva che Oliver sarebbe riuscito a scendere, ma con la ferita da freccia al petto, non sapeva se sarebbe stato in grado di portare fuori Felicity.

<< Oliver, amico, sembra che tu non riusciresti ad arrampicarti. Non con quella spalla >> constatò.

Oliver aveva pensato la stessa cosa, ma non voleva ammetterlo. Avrebbe sopportare qualsiasi cosa se fosse servito a farla uscire.

<< Vado io, sono l’unico che non è stato ferito >> s’intromise Lance.

<< È abbastanza rischioso là sotto, detective. È sicuro di riuscire a far uscire entrambi? >> sottolineò Oliver, sapeva che era forte ma non quanto lui e Diggle.

<< Non ho ferite, sono la soluzione migliore. E se riuscissi a fare uscire solo lei, potrei sempre aspettare i soccorsi. Lei no. >> insistette, perché non l’aveva vista ma aveva notato lo sguardo dei suoi partner.

<< Papà… >> lo richiamò Laurel, preoccupata.

<< Laurel, va tutto bene. Se qualcuno dev’essere bloccato là sotto, è meglio che sia io, completamente sano, che lei ferita. Non se lo merita. Non dopo tutto quello che ha fatto per la città >>.

Concordarono tutti che Lance fosse la scelta migliore per tirare Felicity fuori da là e portarla in ospedale il prima possibile. Mentre Dig e Lance consideravano l’opzione migliore per scendere, Oliver si appartò per cambiarsi velocemente e indossare gli abiti che Dig gli aveva portato. Oliver non era molto lucido, quindi toccava a lui assicurarsi che non si esponesse troppo. Laurel colse l’occasione per sedersi su di un calcinaccio, la sua ferita non era grave, ma le causava dolore dopo tutto quello stress.

Sentirono i colpi di tosse provenire dal seminterrato più forti e più persistenti.

<< Ow. Ehi… ragazzi… quanto... tempo ancora? >> chiese Felicity respirando a fatica. Si sentiva sempre più leggera, doveva uscire da lì. Per non parlare dei calcinacci sulla sua gamba rotta e della spalla.





 

*** SPAZIO AUTRICE ***
Eccomi tornata con la seconda nonché penultima parte di questa ff.
Come avete letto sono riusciti a trovare Felicity ma riusciranno a tirarla fuori e a salvarla?
E Lance? Riuscirà ad uscire o dovrà aspettare i rinforzi?
Lo scoprirete la settimana prossima!
A proposito, ho notato che
Ricordati che ti amo
è stata causa di numerose preoccupazioni e ansie... non me lo sarei mai aspettato!
Non temete, posterò il nuovo e, a quanto pare, temutissimo capitolo tra domani e dopodomani!
Grazie mille a tutti i lettori e soprattutto a coloro che spendono un minutino del proprio tempo per lasciarmi una recensione e farmi felicicissima!
Un bacione a tutti e a presto,

Hexleviosa

   
 
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