18° Capitolo
Il brusio all’interno di un istituto scolastico era normale e quasi
obbligatorio e quando cadeva il silenzio c’era sempre qualcosa che non andava.
Ma era anche vero che il mormorio costante delle voci degli studenti si
alzava parecchio quando Stiles Stilinski e Derek Hale si trovavano nella stessa
area, ai due poli opposti di un’ala, anche se non si stavano guardando e non
interagivano in alcun modo.
Ma erano esattamente tre giorni che non vedevano il capitano della squadra
di basket percorrere i corridoi del liceo di Beacon Hills e il ragazzino
iperattivo e logorroico per eccellenza che si rapportava con lui, eppure ne
erano accadute di cose in quel frangente di settantadue ore e Derek Hale,
benché non si fosse visto per tutto quel tempo, ma fosse giustificato ad ogni
sua assenza per quelle tre mattine, si stava dirigendo proprio verso la figura
del figlio dello sceriffo che non lo degnava di alcuno sguardo e che, al
contrario, era concentrato su Erica Reyes che parlava
spensieratamente con lui e con Malia Hale che appariva come un corvo
appollaiato sulla sua spalla che scandagliava tutto ciò che vi era intorno e
che minacciava con i suoi occhi neri di non avvicinarsi e toccarlo, o che si
comportava come un canide che proteggeva il suo padrone; in entrambi i casi, il
messaggio era chiaro e comunicava di stargli alla larga.
«Sono sicura che li farai neri, mio caro Cappuccetto Rosso» disse la bionda
con convinzione e leggera malizia, ammiccando come suo tratto distintivo e non
sconvolgendo in alcun modo il ragazzo che si parava dinnanzi a lei e con cui
aveva passato quei giorni senza che qualcuno del branco o dei suoi amici lo
lasciasse veramente solo.
La voce di Erica entrò subito a contatto con il nervo acustico del lupo
mannaro, senza sapere in alcun modo di cosa stessero parlando e rimanendo del
tutto estraneo – c’era una partita in ballo? Stiles aveva ottenuto con un colpo
di fortuna la possibilità di giocare come titolare? –, e Derek fu spinto con
maggiore premura a raggiungere il trio che si estendeva davanti agli armadietti
del sedicenne, prima che la campanella di inizio giornata suonasse del tutto.
«Ciao» e Derek era proprio lì, esattamente in quel punto, dove gli occhi
delle due ragazze e dell’umano potevano vederlo, ad un passo da loro, con la
minima distanza di spazio personale che a volte esisteva ancora tra lui e
Stiles – più agli occhi degli esterni, che quando erano nel loro regno privato
– e che in quel momento sorgeva come una vetta irraggiungibile ed in scalabile,
dove la cima non si mostrava nemmeno, nascosta dalle nuvole basse che la
inghiottivano e che allontanavano la visione della meta.
Erica lo intercettò immediatamente, come la coyote mannara, spostando lo
sguardo su di lui, senza che ce ne fosse davvero bisogno, considerando che
entrambe erano a conoscenza del suo rientro; soprattutto l’ultima con cui
condivideva la casa. Derek non era minimamente interessato a loro, non voleva
salutarle e non vi era alcuna ragione per cui avrebbe dovuto farlo; tutto
quello era per Stiles. Piedi di piombo che forse non sarebbero bastati.
La schiena del figlio dello sceriffo si irrigidì immediatamente al suono della
sua voce e, ancora estraneo alla sua presenza lì – benché fosse molto bravo con
i calcoli, soprattutto quelli semplici – ed indirizzato verso altre sponde, non
poté negare la figura che si instaurava davanti a lui, richiamando tutta la sua
attenzione ed accarezzandogli i timpani con la voce modulata, adeguata e con
quel riguardo che voleva mostrare soltanto in quel momento.
Le perle d’ambra si scostarono da quelle nocciola della lupa mannara e si
posarono in quelle verde bosco, guardandolo per un attimo di sfuggita e
chiudendo l’anta dell’armadietto di metallo in un tonfo sordo, troppo
controllato e fittizio. «Ciao, Erica. Malia» perfino le sue iridi contenevano
il vuoto e l’accanimento che fremeva dentro di lui, graffiandogli il torace e
sospingendolo verso il basso, senza permettergli di emergere in superficie.
«Derek» era come se non lo vedesse neanche, cieco al cospetto del lupo che si
sarebbe prostrato ai suoi piedi. Era un sassolino fastidioso nella scarpa di
cui disfarsi e di cui si sarebbe dimenticato nell’immediato.
Sparì in un vortice fin troppo aggraziato per lui, ma degno della sua
natura di volpe rossa, sotto gli occhi sgomenti del licantropo, a corto di
quelle poche parole che avrebbe dovuto avere per Stiles.
Fu istintivo per lui voltarsi verso la lupa mannara e la ragazza sedicenne,
che aveva ignorato dal primo minuto in cui aveva messo piede sul territorio
scolastico, ricevendo da entrambe un’occhiata di rimprovero pressante ed una
più mirata ed accentuata da parte della coyote completa.
Non aveva bisogno di interpretazioni o spiegazioni aggiuntive per capire il
guaio in cui si era cacciato.
Stiles era sul tetto dell’istituto scolastico, osservando il paesaggio che
si espandeva davanti agli occhi e con il sole che si impegnava a raggiungere il
picco nel cielo, illuminando quella parte di pianeta per poi sorgere in quella
opposta.
Aveva saltato la prima ora di lezione.
Dopo essersi lasciato Derek alle spalle ed essere stato investito dalle
miriadi di emozioni e sensazioni che si scontravano tutte tra loro e che lo
stordivano, portandolo a non comprendere più alcun pensiero ed a distinguerlo
dall’altro, tentando di affogarlo e di sommergerlo con quel tornado che voleva
risucchiarlo, non era nemmeno riuscito a raggiungere la classe, lasciandosi
sorpassare dai suoi compagni e vedendoli entrarvi tutti dentro.
Era rimasto a fissare gli infissi della porta, ancora aperta ed intenta ad
accoglierlo, pronta per chiuderlo dietro di sé e trascinarlo in una nuova
lezione, tentando invano di distrarlo. Ma come uno stoccafisso non aveva mosso
un passo e, con ancora la cartella al seguito ed i due libri che teneva in
mano, l’aveva osservata spaesato, prima di voltarsi e lasciarla indietro. Non
era riuscito a tornare sui propri passi.
Sospirò con abbandono e la presenza di Derek Hale non era mai stata così
reale.
Derek era lì, era tornato e non era minimamente colpito dagli eventi che si
erano sviluppati tra loro e per quanto avesse voluto odiarlo e riempirlo delle
parole più cattive che potessero venirgli alla mente, non riusciva a smettere
di pensarlo. E come uno sciocco si era rintanato nel luogo che li aveva visti
protagonisti molto spesso.
Era lì il primo momento in cui aveva appreso che per Derek Hale esisteva
una persona così importante da far impallidire tutto il resto e che ne era così
innamorato e perso da non prestare attenzione a ciò che lo circondava,
tagliandolo completamente fuori.
Era lì che era stato testimone per la prima volta della sua reale natura di
lupo mannaro, con gli occhi blu metallico e gli artigli, scalpitando contro se
stesso e chiudendosi a riccio, come se quella posizione potesse aiutarlo a
controllarsi meglio. Quella notte rappresentava il loro vero inizio, un inizio
che Stiles non si era lasciato scappare, che non avrebbe mai permesso che
scappasse, tendendogli una mano e trascinandolo con sé. Ma non sarebbe stato
possibile se Derek Hale non fosse stato del tutto incapace di dirgli di no.
Ed era lì che era avvenuto il loro primo vero pranzo insieme e con quello
ne erano susseguiti molti altri e altri ancora, che si espansero alla tavola
della mensa, trasportando i loro rispettivi gruppi, e ritagliandosi dei momenti
particolari in cui percorrevano le scale insieme o separatamente,
ricongiungendosi esattamente su quel tetto per condividere quei piccoli momenti
che riuscivano a ritagliarsi perfino in quelle fasce orarie così invivibili e
sempre affollate.
Era stata una pessima mossa nascondersi su quella terrazza, ma erano tre
giorni che vi soggiornava regolarmente.
Era stata una terribile mossa nascondersi da Derek Hale.
Fu quando concepì quel pensiero a cui non poteva sfuggire, che sentì la
porta aprirsi e chiudersi qualche attimo più tardi, accompagnata con leggerezza
e con la cura di non fare troppo rumore; se fosse stata lasciata a se stessa il
tonfo metallico sarebbe echeggiato per tutto il circondato e non vi sarebbe
stata alcuna sorpresa.
Sorpresa che in Stiles non esisteva.
Non si voltò, non osò farlo; si vietò violentemente di non commettere
un’azione tanto sciocca e restò statuario nella posizione in cui si trovava,
affacciato al muretto che circondava tutta la terrazza dell’edificio e con lo
zaino abbandonato ai suoi piedi, in posizione precaria e del tutto instabile;
non se ne curava minimamente. «Per quali college hai fatto domanda» non era
un’interrogazione o una richiesta innocente, era qualcosa che doveva sapere,
qualcosa di essenziale ed evidente di cui doveva entrare in possesso; conoscere
finalmente la risposta che il capitano della squadra di basket si era sempre
tenuto per sé, riempiendolo di mezze parole che non dicevano quasi niente e che
l’avevano tormentato per giorni, settimane, fino a fargli sbattere il cranio
violentemente contro una parete di cemento solido con una terribile verità che
non era nata dalla voce del lupo mannaro, ma che era giunta da qualcun altro,
facendogli crollare la terra sotto i piedi.
Derek era immobile dietro di lui, a distanza di sicurezza, che non era
costituita da qualche centimetro, ma da più di un metro ed improvvisamente si
rese conto che era il divario più grande che si fosse posto tra loro per tutto
quel tempo, da quando erano quasi diventati una cosa sola. «Hofstra
University, Suny, St. John's University, Le Moyne College, St. Louis, University
of California, Florida State University e tutte
quelle che hai nominato anche una sola volta».
L’elenco era immenso, Stiles ne possedeva uno
dettagliato ed accurato, con note sparse per tutto il raccoglitore, con fattori
positivi e negativi. I nomi che Derek aveva pronunciato, stilando una lista
breve e concisa, facendo emergere quelli che meritavano più attenzione, erano
solo una piccola parte di un grande insieme che Stiles conosceva perfettamente
e che a quanto pareva, conosceva bene anche il mannaro e il figlio dello sceriffo
si chiese quali potessero essere le università che aveva nominato anche una
sola volta. «Florida, Derek?» era il luogo che meno si sposava con il lupo
completo.
«Nebraska, se preferisci» proferì senza vergogna il playmaker, come se
tutto quello non lo scalfisse minimamente e fosse completamente immune; come se
una follia come quella non fosse in agguato e non fosse stato proprio lui a
metterla in atto. Era la cosa più naturale che potesse fare.
«Dio mio, Derek!» esclamò allibito l’umano, voltandosi con eccessiva
velocità verso di lui e mostrandogli i suoi occhi sgranati ed increduli – il
Nebraska era l’ultima spiaggia, come il Canada. «Fai sul serio? Sei serio?».
«Sì» asserì il licantropo senza scomporsi, serio come lo era sempre stato
ed implacabile agli avvenimenti.
«Dimmi che stai scherzando» ribadì il figlio dello sceriffo, con quella
nota di supplica che emergeva incontrastata, guardandolo con insistenza. «Dimmi
che stai scherzando».
Lo scherzo non era qualcosa che caratterizzava il mutaforma in alcun modo,
era quasi da pazzi aspettarsi una cosa del genere, ma Derek rimase a ricambiare
il suo sguardo fermo ed immobile, carico di ogni risposta e le vene si
congelarono all’istante. «Stiles-».
«No! No, no» lo ammonì immediatamente l’umano, zittendolo prima che potesse
continuare e togliendogli la parola. «Non puoi. Non puoi fare questo. Non puoi
essere così sconsiderato» l’aria arrancava nei polmoni ed il bisogno di
respirare tornò a graffiare e squarciare, impedendogli di trovare un nuovo
sbocco. «Non puoi progettare la tua vita su di me».
«Non c’era alcun progetto prima di te» rivelò lapidario e veritiero, con il
passato che tornava a farsi sentire e la vita che Derek aveva permesso
scivolasse via, sbattendo la testa dove non avrebbe dovuto e vivendo nell’indifferenza
pura verso se stesso e gli altri.
Stiles dilatò le pupille e l’annaspamento era così vicino e sentito che non
avrebbe mai potuto nasconderlo. «Non mi aiuti, Derek. In questo modo non mi sei
di alcun aiuto».
Il lupo lo guardò a lungo, in silenzio, fermo nella sua posa perfetta al
centro del tetto dell’istituto scolastico e non sbavava il suo portamento in
alcun modo. «Volevi la verità, è questa la verità».
«Quale verità? Io non la conosco. Non so quale sia, che cosa dovrei dire e
cosa dovrei fare. E tu…» Stiles si agitò nell’immediato, colpito e dirottato,
con il torace che si contraeva ed i polmoni che bruciavano. Tutto bruciava: la
testa, le mani, gli occhi e la bocca e stava esplodendo e il panico stava
dilagando e le troppe informazioni si stavano raggruppando tutte in quel
momento, pulsando dentro il cranio. «Tu hai… hai spedito le domande
d’ammissione lo scorso anno. Lo scorso anno!» sapeva a malapena chi fosse Derek
Hale l’anno precedente, le loro vite non si erano mai incontrate; eccetto
durante gli allenamenti di basket in cui ambedue erano dediti a ben altro e non
prestavano attenzione a ciò che li circondava. I loro sguardi si erano
incrociati così poche volte in quelle occasioni, da contare la rarità estrema
e… «C’erano già tutti? Tutti i nomi della mia lista?» ed era tutta una bugia.
«La maggior parte» ed era evidente che i college che figuravano nei primi
cinque posti – dieci e venti – tra le scelte di Stiles fossero state le prime
domande ad essere stilate e spedite.
«Sei incredibile» perché Derek Hale non si era limitato a spedire le
domande in un’unica volta, ma le aveva inviate in due momenti differenti,
dividendoli tra la fine del terzo anno e l’inizio del quarto, come se potesse
perderne qualcuna, lasciarsi sfuggire un nome e perdere un’occasione mancata.
Nella sua fretta, temperamento e precipitazione degli eventi, guidato dalla sua
impulsività, il mannaro era comunque consapevole di dove stesse andando e delle
scelte che avrebbe dovuto compiere; manteneva un cuscinetto quasi inesistente
di sicurezza, ma anche quello non era per se stesso. «Ed è un insulto» il
mutaforma non doveva provare in alcun modo a fraintenderlo.
«Mi sento profondamente insultato» proferì il lupo completo in risposta con
la stessa cadenza speziata e burlona con cui gliel’aveva comunicato in un tempo
passato, quando erano ancora agli inizi e quella era stata la loro prima vera
conversazione, tra un ribecco e l’altro.
Il figlio dello sceriffo trasse un profondo respiro, annusando quella nota
più leggera che alleviava l’animo e rendeva tutto più vivibile, calmando la
bestia che affilava le unghie nella sua gabbia toracica. «Che cosa devo fare
con te, Der?».
«Devi permettermi di seguire il mio progetto» come se tutto dipendesse da
Stiles e ad una sua sola parola contraria avrebbe mandato tutto all’aria.
L’avrebbe fatto sul serio?
«È un’assurdità, Derek. Lo sai, vero?» non doveva nemmeno domandarglielo,
nemmeno provare a ragionarci; avrebbe dovuto stroncarlo sul nascere, impedirgli
di fare qualcosa di così avventato da segnarlo per sempre.
«Non lo è per me» disse candidamente il licantropo, senza che vedesse la
calamità in cui si stava gettando di propria iniziativa, come se l’avesse già
scartata o non l’avesse nemmeno presa in considerazione. Ma Stiles sapeva bene
che Derek non era così avventato ed incauto, anche se era la strada che aveva
scelto.
«Quando? Come? Com’è potuto accadere?» domandò l’umano alla sua risposta,
facendo risuonare per l’ennesima volta come follia pura le parole del lupo
mannaro che aveva abbandonato la razionalità chissà quanto tempo prima.
«Non hai mai voluto chiedermelo» non vi era alcuna accusa nella voce del
capitano della squadra di basket, ma era un’attenta descrizione dei fatti che
si erano sempre posti tra loro, non permettendo mai che quella domanda fosse espressa a voce alta, mettendo tutto nero su
bianco ed affermando ciò che aleggiava nell’intreccio delle due vite che
avevano unito; il concreto era stato messo di lato e Derek non gliene aveva mai
fatto una colpa.
«Come avrei potuto? Credi che sia così eccentrico e pieno di me da averne
la certezza? Credi che abbia le carte per averne la sicurezza? Che me ne
compiaccia e ci sguazzi dentro?» Stiles si irrigidì immediatamente, mettendosi
in posizione di difesa e lasciando emergere la furia che ancora si portava
dentro e che non aveva completamente esternato, cambiando il colore limpido
delle iridi d’ambrosia con uno più scuro. «Non ho niente. Continuo a non avere
niente. Le mie deduzioni, intuizioni e tutto quello che ti sei fatto scappare
in tutto questo tempo non sono delle prove valide. Non sono degli elementi
concreti su cui possa basarmi, su cui possa trarre delle conclusioni» la
trachea si chiuse di nuovo ed il fiume di parole gli si bloccò in gola,
galleggiando nell’esofago ed ostruendogli tutte le vie respiratorie. «Posso
sbagliarmi. Posso aver frainteso tutto. Posso essermi costruito una realtà illusoria
che non esiste e non esisterà mai, perché ho un’immaginazione così elevata che
non posso controllarla» singhiozzò frammentato, tirando la voce e chiudendo le
dita di una mano in un pugno, da dove brillò l’anello che soggiornava ancora
sull’anulare sinistro. «Posso aver sbagliato tutto. Potrebbe essere l’errore
più grande della mia vita».
Derek era ad un soffio da lui e lo lambiva con il suo respiro, impedendosi
di toccarlo con il proprio corpo, azzerando tutte le barriere che esistevano
tra loro. A volte non era un bene che possedesse le abilità di un lupo mannaro;
affatto. «Chiedimelo e basta».
Stiles ingrandì gli occhi, trovandolo ad una spanna di distanza,
osservandolo dall’alto e scrutando con attenzione le iridi di giada. In quegli
specchi boscosi vi era riflesso soltanto lui. «Derek».
Le dita calde del diciottenne salirono lentamente, solleticando l’aria
esattamente come facevano quelle di Stiles quand’era agitato o gli sfuggiva
qualcosa, ma le falangi del lupo volevano afferrare e colmare il divario che si
era creato tra loro, annullare i centimetri che si frapponevano tra i due corpi
e sfiorargli la pelle. Ed accadde esattamente quello quando allungò le dita e
gli lambì il viso, risalendo verso una delle ciocche di capelli castani che si
paravano durante il suo percorso, immergendole completamente nella chioma.
«Chiedimelo e basta».
Le palpebre del figlio dello sceriffo si socchiusero appena, vezzeggiato
dal tocco del lupo ed erano trascorsi cinque giorni, cinque lunghi giorni
d’agonia dall’ultima volta che aveva sentito la temperatura corporea del
mannaro entrare in contatto con la propria, invadendogli tutto l’organismo. Era
così facile, sembrava così facile. «Sei innamorato di me?».
«Sono innamorato di te» ammise Derek senza remore alcuna, alzandogli di
qualche millimetro il capo e guardandolo dritto nelle perle d’ambra pura,
investendolo di tutto il sentimento che provava per lui. «Sono innamorato di te
dal tuo primo giorno da liceale. Da quando hai varcato la soglia dell’ingresso
principale ed eri carico e timoroso di affrontare qualcosa di nuovo,
accompagnato dal tuo migliore amico che avresti trascinato ovunque, non
permettendogli di fermarsi o rallentare» Stiles non ricordava nemmeno il suo
primo giorno di scuola, quando aveva percorso le scale e si era buttato a
capofitto dentro l’istituto, afferrando Scott con lui ed avviandosi con
sovraeccitazione verso l’ubicazione degli armadietti, che si trovavano ai lati
opposti e non erano combaciati nemmeno l’anno successivo. La consolazione
l’aveva trovata nel frequentare buona parte dei corsi con il messicano,
soprattutto il primo giorno, poi tutto il resto si era susseguito con
regolarità e dimenticando quell’entusiasmo iniziale che l’accompagnava in ben
altre cose; Derek non l’aveva dimenticato affatto. «Sono innamorato di te dal
momento in cui ho visto l’anello brillare sulla tua mano, trattandolo come se
fosse la cosa più importante del mondo, dedicandogli attenzioni particolari e
proteggendolo dalle avversità esterne, mentre il mio l’avevo rifiutato e
rinnegato» l’amarezza emerse malvagia nella formulazione delle ultime parole,
mettendo in evidenza l’avversione che aveva provato e provava verso se stesso,
avendo rigettato quello che avrebbe rappresentato qualcosa di fondamentale ed
un legame perpetuo, che si sarebbe instaurato all’insaputa di entrambi. «Sono
innamorato di te da quando sono venuto a conoscenza della tua esistenza».
Stiles impallidì ad ogni parola, una dopo l’altra, tramortito da una verità
che non aveva nemmeno preso in considerazione e di cui era completamente
estraneo, messo al corrente di scenari che non aveva mai ipotizzato, ma di cui
era stato protagonista. Era rimasto sotto il suo sguardo per tutto quel tempo e
lui non se n’era mai accorto. «Io credevo… ti avevo chiesto di aspettare, di
darmi ancora un po’ di tempo e pensavo saresti stato disposto a darmelo, ma tu
sei andato via, senza dirmi niente, senza una parola e pensavo non ti
importasse nulla di me, che avevo sbagliato e che avevo parlato troppo e che
non avessi interpretato correttamente i tuoi gesti e le tue parole» ma non
aveva capito niente. Proprio niente. «Due anni. Sono quasi due anni che tu…» si
stozzò senza nemmeno accorgersene e sbatté le palpebre per cacciare indietro il
liquido che gli riempiva le iridi, annebbiandogli la vista e facendogli vedere
sfocato. Non era qualcosa che gli serviva, doveva essere vigile ed osservare
tutto nel pieno possesso delle sue facoltà. «Sono io, sono sempre stato io.
Abbiamo parlato sempre di me» e fu in quel preciso istante che la persona tanto
speciale per Derek Hale ebbe un volto, un volto che Stiles si era sempre
imposto di non associare.
«Sì» affermò il lupo completo con autenticità, ben consapevole che non ve
ne fosse bisogno, ma per quanto l’umano fosse capace di trarre le conclusioni
da solo, fornendo schermi, parole, prove e tratti evidenti, con un’ottima base
di ragionamento ed un’argomentazione valida, aveva sempre e comunque bisogno di
conferme.
Come risvegliato, Stiles scurì lo sguardo e si scostò dalla presa leggera
del mannaro che avrebbe voluto tenerlo con sé, come aveva sempre manifestato,
ma che in quel momento quel gesto risuonava in modo diverso. Tutto aveva un
suono differente. «Ero così arrabbiato con te. Sono così furioso con te e vuoi
passare altri due anni ad aspettarmi. A sperare di vedermi, a trovarmi
semplicemente nella tua orbita, in ogni modo ti venga consentito» non ci voleva
un genio per capire le intenzioni che il lupo aveva avuto nei suoi riguardi, il
progetto di seguirlo anticipandolo. Di andare ovunque potesse sentire la sua
presenza, anche se era un fiocco di neve sciolto ed inconsistente, un fantasma
della sua persona. Derek si sarebbe accontentato di quello, avrebbe vissuto per
quel legame fittizio e senza sbocchi.
Ma esistevano troppe variabili, troppi impedimenti e possibilità mancate.
Derek avrebbe potuto attendere molto più di un paio d’anni e forse aspettare
per sempre.
Se non fossero stati accettati entrambi allo stesso college il traguardo
dei due anni sarebbe sembrata una bazzecola ed un’attesa che non sarebbe
servita a nulla. Stiles avrebbe potuto non raggiungerlo mai.
Era proprio per quel motivo che l’inseguimento perpetuo che aveva
instaurato nella figura del figlio dello sceriffo non si limitava alle sue
prime scelte, ma ad ogni possibilità che lo ancorasse a lui. Era la cosa più
morbosa e pericolosa che potesse capitare ed era guidato dal lupo che viveva
dentro di sé. Era Stiles la persona che Derek aveva scelto di amare come un
lupo vero.
«Non ho bisogno del tuo permesso» ribatté prontamente il capitano della
squadra di basket, ingessandosi e lanciandogli un’occhiata ostile, del tutto
disinteressato ai rimproveri che l’umano aveva in mente per lui, ben
consapevole che ce ne fossero molti e tutti per motivi differenti e che quella
fase non sarebbe scemata con tanta leggerezza. Stiles l’avrebbe ripreso ogni
volta, forse per tutta la vita.
«Dovevi dirmelo!» esclamò adirato l’umano, sbattendo i piedi per terra e
serrando la mascella, ricambiandolo con lo stesso sguardo ostile che non doveva
nemmeno permettersi di avere. «Dovevi dirmi che eri innamorato di me. Dovevi
dirmi che era me che stavi inseguendo. Dovevi dirmi che era me che volevi» la
rabbia stava crescendo, insieme alla furia e al temperamento aggressivo che
sarebbe sfociato di lì a poco se non avesse cominciato ad imparare a
contenerlo. E c’era tanto rimpianto al limite di quei rimproveri, che celava
dietro il risentimento che provava verso il licantropo e la sua mancanza di
coraggio. «Non hai detto niente. Perché non mi ha detto niente? Non hai nemmeno
mai provato ad avvicinarti» per più di un anno il capitano si era tenuto
lontano da lui, senza provare neanche a sfiorarlo, ad urtarlo o ad imbattersi
casualmente in lui. Era stato Stiles stesso ad inciampare in Derek Hale l’anno
successivo.
«Ero inesistente ai tuoi occhi» svelò la creatura della notte come unica
risposta delle proprie azioni, guidate da un muro che non avrebbe mai potuto
abbattere e che si rivelava troppo ripido da scalare, impedendogli anche di
tentare. «Non ero niente per te» non avrebbe mai osato avvicinarsi.
Stiles fu colpito in pieno petto, scagliato dall’altra parte del pianeta ed
atterrando così lontano da essergli impossibile vederlo. Era il colpo peggiore
che avesse potuto ricevere. «Sei stato il mio mondo per mesi. Sei entrato nella
mia vita ed io sono entrato nella tua. Sono precipitato nella tua vera natura e
nella realtà in cui vivi e sono rimasto e ne ho goduto ed ho amato tutto. Ogni
cosa» era qualcosa di cui entrambi erano a conoscenza, era una verità che li
aveva accompagnati dal loro primo incontro e che avevano ignorato di comune
accordo e Stiles sapeva bene che il freno che Derek si era dato, impedendosi di
interagire con lui e svelargli ciò che provava, era guidato da ben altro e dal
fantasma di Paige che si portava dietro con tutte le conseguenze annesse. Con
la paura costante che potesse sbagliare e perderlo, metterlo in un pericolo
così grande che scaturiva da lui stesso e dal sovrannaturale che lo circondava.
Stiles l’aveva visto, ne era stato testimone, aveva visto Derek sbriciolarsi
alla sola idea che potessero portarglielo via ed aveva reagito in modo
avventato ed aggressivo verso la minaccia che aveva riconosciuto come tale –
era perfino diventato un lupo completo per lui –, benché nessuno conoscesse
l’esistenza dell’umano, eccetto il branco. Ma il sospetto ed il tormento erano
qualcosa che non avrebbero mai lasciato l’anima ferita del lupo mannaro e non
si sarebbe mai perdonato se fosse accaduto qualcosa a Stiles. Qualunque sua
azione era rivolta soltanto alla sua protezione e si era imposto di non
sfiorarlo mai nemmeno con un dito. «Ti vedo e sei importante per me» Stiles si
avvicinò ed azzerò quel divario che era stato lui stesso a creare, afferrandogli
la mano e tenendola tra la propria. «Sei tutto il mio mondo adesso» e Derek era
stato trattenuto anche dalla confusione che si era instaurata nella mente
dell’umano, dalla confusione della natura dei sentimenti che provava per lui;
Stiles era sempre stato lontano da una risposta concreta.
Derek non distoglieva gli occhi dai suoi, rimanendo immobile e fermo
esattamente nel punto in cui si era congiunto all’umano, assottigliando la
distanza che inferzava tra di loro ed accorrendo in suo aiuto, liberandolo ancora
una volta dal peso eccessivo che si portava sulle spalle ed aprendogli le vie
respiratorie, ma non accennava ad un qualche tipo di reazione.
«Lo capisci, Derek?» chiese retoricamente il figlio dello sceriffo,
assicurandosi che il lupo lo stesse ancora seguendo e gli stesse prestando la
sua attenzione, ascoltando le sue parole e le confessioni che continuava a
donargli, senza più trattenersi o eclissarsi, nascondere la testa sotto la
sabbia o celare la verità che non aveva mai osato rivelargli. «Porto ancora il
tuo anello; un anello che combacia con il mio e che ha entrambi creato tua
sorella» era una cosa con cui aveva fatto i conti, era una coincidenza che non
poteva essere ignorata ed era una certezza in cui si era andato ad imbattere
dopo che Derek li aveva scambiati una volta per tutte, rivelando le reali
posizioni di ambedue, senza lasciare alcun equivoco. «Porto ancora questo
anello, che tu mi hai affidato mettendomi con le spalle al muro, perché non
riesco a separarmene. Perché non riesco a separarmi da te» le dita si
intrecciarono automaticamente a quelle del mannaro, scivolando completamente
sotto di lui e catturando la totale attenzione che gli era già dedita. «Sei
tutto il mio mondo, Derek».
Le dita del lupo salirono con meno lentezza della prima volta, ma con più
delicatezza, solleticandogli la pelle della guancia destra e poggiandovi a
palmo aperto la mano sinistra, da cui brillava nefasto il tanto decantato
anello che gli circondava l’anulare e che non sembrava averlo estratto in alcun
modo ed in alcuna occasione da quando ne era entrato in possesso. «Tu sei il
mio» e Stiles si sentì rinato.
Laura entrò come un tornado nella camera del fratello minore, piantandosi
proprio davanti a lui ed infischiandosene dei vari divieti appesi dal lato della
porta esterna e di quelli verbali che il mannaro si era premurato di comunicare
con un ruggito precedentemente. «Così non va bene».
Il Derek quindicenne era sdraiato scompostamente sul proprio materasso, con
il libro di letteratura aperto, ma che veniva letto svogliatamente e con poco
interesse, memorizzando una parola su quindici ed una su venti quando non ci
metteva alcun impegno. I suoi voti scolastici erano calati drasticamente
rispetto all’inizio del suo primo anno, arrancando e tenuto in piedi soltanto
dalla spinta del suo talento nello sport – anche quello svolto con distacco –;
se non avesse ingranato la marcia, almeno un po’, avrebbe perso l’anno. «Non
sei la benvenuta».
Non si era nemmeno degnato di prestarle attenzione, scostare il volume e lanciarle
una rapida occhiata. Laura non apprezzava in alcun modo quell’atteggiamento
maleducato e cupo; una volta la spensieratezza era una caratteristica valida
nel fratello, del tutto scomparsa ed assorbita dall’indifferenza. «Voglio che
riprendi in mano la tua vita».
«Sto bene così» proferì con noia il licantropo, sfogliando una pagina di
cui non aveva completato la lettura, ma che avrebbe zittito la sorella.
«Stai uno schifo» ribatté accigliata la lupa mannara, strappandogli il
libro creando malcontento ed obbligandolo a guardarla. «Sei in uno stato
penoso, stai distruggendo te stesso e quello che eri».
Derek le rivolse un’occhiata ostica ed acida, piena di rabbia e scontento,
rimettendola al suo posto e quella valse più di mille parole che non avrebbe mai
pronunciato.
Laura sospirò scoraggiata ed esausta, portando dietro ad un orecchio una
ciocca di capelli neri che le ricadevano sulle iridi verdi, incredibilmente
simili a quelle del ragazzo, e prendendo un respiro profondo. «Non riesci a
vedere il bene che c’è in te» Derek l’avrebbe cacciava via a morsi se avesse
prestato attenzione con quella vitalità che non emergeva più e per la lupa non
ci sarebbe stata alcuna via di scampo, ma il licantropo era troppo distaccato
dal mondo per curarsene seriamente. E quello le permise di accucciarsi davanti
alla sponda del letto, inginocchiandosi sul pavimento, poggiando un gomito sul
materasso per comodità e lasciando vagare la mano libera dentro una tasca. «Ho
fatto qualcosa per te» disse con delicatezza e lieve speranza, estraendo due
piccoli oggetti cilindrici di metallo da quella tasca con cui stava
trafficando. «Spero che ti possano piacere».
La curiosità non era mai stata una caratteristica di Derek Hale, perfino
prima che la sua vita cambiasse, prima che le iridi ambrate venissero inglobate
da due blu metalliche e si ritrovasse le mani macchiate del sangue dell’unica
ragazza che avesse mai amato.
Ma c’era un richiamo speciale che l’attirava a sé e che esigeva almeno un
suo sguardo rapido, la giusta quantità di tempo per imprimersi il loro disegno
e lasciare che scegliesse da sé.
Quella fu la prima volta che le pupille nere del lupo mannaro si posarono
sulla fisionomia dei due anelli identici, ma di misure differenti, quasi
impercettibili, ma agli occhi attenti di una creatura sovrannaturale era quasi
impossibile che sfuggisse.
Erano entrambi d’argento puro, con in mezzo una striscia di autentico oro
rosso, che divideva le due parti di metallo in modo equilibrato, senza che una
delle tre piccole fasce sovrapponesse l’altra. Ed al centro figurava una
triscele intagliata con precisione che rappresentava il simbolo del branco
degli Hale sin dalla sua formazione originaria. Derek ne fu completamente
catturato.
«Avevo materiale solo per questi due modelli» si giustificò la
diciannovenne, mettendoli in mostra e sotto lo sguardo attento del ragazzo.
«Sono costati un po’, ma spero siano venuti bene» disse con apparente
spensieratezza, ma osservandoli con occhio critico e spostando gli occhi in
varie direzioni, accertandosi di aver fatto un buon lavoro. «Sono due pezzi
unici, non ne troverai di simili né di uguali».
«Cosa dovrei farci?» domandò indispettito il giocatore di basket,
ritornando nella sua posa impassibile ed indifferente.
«Provarli, ovviamente» rispose logicamente la ragazza, prendendosi gioco
del fratello e dandogli con eleganza dell’ottuso. «C’è una tradizione nel
nostro – beh, più tuo ormai – liceo, riguardante gli anelli. Ed ho pensato che
questo potesse fare al caso tuo» non c’era davvero alcun bisogno che gli
spiegasse la tradizione che ormai da anni aleggiava nel liceo di Beacon Hills,
Derek ne era uno studente da quasi un anno ed era quasi impossibile esserne
estranei. «Provalo, avanti».
Derek guardò l’oggetto cilindrico come se potesse morderlo da un momento
all’altro ed in realtà gli appariva come una grande pagliacciata, ma se prima
era riuscito a tener testa a sua sorella, non voleva dire che ci sarebbe
riuscito due volte consecutivamente; soprattutto se si parlava delle sue
preziose creazioni che valevano come l’oro colato – c’era sempre il terrore che
riuscisse a svegliare anticipatamente l’Alpha dormiente che era in lei.
Prese il primo anello dalla mano della lupa con poco entusiasmo e profondo
scetticismo e non ci volle molto ad indovinare a quale dito corrispondesse la
misura di quell’ornamento. Scivolò sul medio destro come acqua calda.
«Ossì, è fatto proprio a posta per te» lo
beffeggiò con ilarità fintamente zuccherosa la sorella maggiore, sorridendogli
sornione. Lupo solitario.
Derek roteò gli occhi con insofferenza, ignorandola volontariamente e
passando oltre le sue reazioni dubbie. «E l’altro?».
Laura sembrò ricordarsene soltanto in quel momento, benché al licantropo
sembrava non essere convinta di porgerglielo, lanciandogli un’occhiata incerta.
«Non sono sicura».
Se Derek aveva già trovato l’anello della misura giusta, non aveva alcun
motivo per cui avrebbe dovuto provarne il gemello, ma lo fece comunque,
afferrandolo dalla mano titubante della matricola di belle arti e lasciandolo
vagare tra una mano e l’altra.
Ma gli bastò sfiorarlo con la mano sinistra, perché questo vi si
incastrasse perfettamente sull’anulare.
Derek osservò con sgomento i due significati contrari che rappresentavano
le posizioni di due anelli identici, ma del tutto opposti nella loro
comunicazione.
«Oh» soffiò la mannara con sorpresa e sbalordimento, facendo schizzare da
una parte all’altra gli occhi, imprimendosi a menadito quello scenario. «Questo
è del tutto inaspettato».
Derek lo sfilò immediatamente, gettandolo vicino alla sorella e
rinnegandolo. «Non lo voglio».
Laura riuscì a fermare la caduta dell’anello che si incastrava sull’anulare
sinistro soltanto grazie ai suoi sensi sviluppati, bloccandolo prima che
potesse superare il bordo del materasso. «Non l’avevo previsto, ma pensavo che
potevi darlo a qualcuno» un giorno, in qualsiasi momento e quando sarebbe stato
pronto.
«Non lo voglio» scandì il lupo mannaro con veleno autentico, dedicandole un
nuovo sguardo di rabbia e freddezza pura, colpendola in pieno viso.
«Lo so che credi che non ci sarà più nessuno dopo Paige, che non
permetterai che più nessuno ti si avvicini per paura di quello che potrebbe
accadere, ma…» Derek irrigidì tutto il corpo e la lupa lo sentì e lo vide
perfettamente e c’era nuova collera nelle iridi di giada, da cui emergevano
piccole pagliuzze di blu elettrico. Derek era sempre più propenso a scoppiare.
«Io so che esiste una persona per te. Che arriverà e che saprà vedere la tua
vera natura, che saprà vedere oltre il mostro dietro cui ti nascondi e che
saprà apprezzarti e farti vedere il mondo in maniera diversa; potrebbe addirittura
riuscire a fartelo apprezzare ed a farti accettare nuovamente te stesso».
«Dimentichi una cosa fondamentale, Laura» la riprese il giocatore di
basket, accentuando il suo diniego e la totale scelta di rifiutare
quell’oggetto. «Sono letteralmente un mostro. Chi pensi potrebbe mai accettare
il lupo che vive dentro di me?».
Laura non seppe rispondere, perché nessuno al di fuori della famiglia e del
branco, poteva conoscere la realtà che si nascondeva dietro il loro vero
essere, l’appartenenza al mondo sovrannaturale che li differenziava dal resto
dei comuni mortali, permettendogli di avere degli aspetti che non potevano
essere compresi e che dovevano essere celati per non scatenare il panico e per
proteggersi da una caccia cosparsa di sangue e che li avrebbe annientati. Era
un segreto che avrebbero dovuto portarsi nella tomba ed oltre, per sempre; non
c’era spazio per chi non apparteneva al loro ramo.
«Non esiste una persona del genere» ciò che Derek voleva, consisteva
proprio nell’essere accettato da qualcuno di esterno al loro branco, da chi
conosceva la loro vera identità. Voleva qualcuno che potesse vederlo
interamente, sia come umano che come essere sovrannaturale. Voleva qualcuno che
non differenziasse le sue nature e che lo vedesse come un essere unico: non
esisteva Derek senza lupo e non esisteva il lupo senza Derek. «E se esistesse,
non la vorrei».
Il cuore di Laura si strinse in una morsa struggente e lo sentiva piangere
per la vita del suo fratellino che sarebbe stata vissuta soltanto a metà, con
il costante odio verso se stesso, lasciandosi andare ad eccessi ed
infischiandosene della sua anima già frantumata. Le cose sarebbero soltanto
potute peggiorare sotto quella prospettiva, se un nuovo fattore scatenante non
fosse arrivato a risvegliarlo, facendolo reagire. Che fosse positivo o negativo
non aveva importanza, ma Laura sperava che potesse essere qualcosa, qualcuno,
che riuscisse a tenergli testa.
Guardò un’ultima volta il ragazzo, prima di uscire e portarsi al seguito
l’anello che Derek aveva rifiutato, chiudendosi la porta dietro di sé ed
abbandonandosi sconfitta contro la superficie, sospirando con tristezza.
Gli occhi le caddero sul piccolo cilindro argentato che stringeva con presa
leggera sulla mano, lasciandosi intravedere attraverso le dita e le aprì,
osservandolo con una nuova luce. «Piccolino, tutto ricade su di te» disse
all’ornamento come se potesse sentirla, in una carezza dolce e quasi disperata,
come unico gesto di conforto che le rimaneva, sfiorandolo con il polpastrello
del pollice. «Sei la mia unica speranza» perché in ogni oggetto che lei creava
condivideva un pezzetto della propria anima, infondendogli un po’ di vita e
rendendoli più speciali e magici. Ma in quei due lavori in particolare, che le
avevano richiesto tempo ed attenzione, cura nei dettagli e lo studio di ogni
linea perfetta, fondendo metalli così differenti che collimassero insieme,
aveva infuso tutto il suo amore, rendendoli inestimabili.
Quei due anelli, soltanto loro due, possedevano la sua anima e il suo
cuore. «Torna da lui».
Nel medesimo momento Derek aveva estratto l’anello che era diventato
automaticamente suo, guardandolo con disinteresse e ritenendolo una gran
quantità di tempo e materiali sprecati.
Aprì il terzo ed ultimo cassetto del comodino, quello che non apriva quasi
mai ed in cui era contenuto tutto quello che non usava e che finiva nel
dimenticatoio, gettandolo dentro senza alcuna grazia e riguardo, lasciando che
venisse risucchiato dall’oscurità del comò.
Derek, in quell’anno e mezzo, aveva completamente dimenticato l’esistenza
dei due anelli gemelli e del lavoro accurato che Laura aveva fatto per lui, per
sostenerlo e dargli un nuovo scopo nella vita; una piccola scintilla di
speranza.
Li aveva completamente rimossi finché Stiles Stilinski non spuntò
all’orizzonte, monopolizzandogli l’esistenza.
Ed aprì il terzo ed ultimo cassetto del comodino, che non era stato toccato
per tutto quel tempo, in quello stesso giorno, indossando l’anello all’istante.
Non se ne separò mai, finché non lo donò all’umano.
«Com’era l’Hofstra?» domandò con malcelato
disinteresse il figlio dello sceriffo, scendendo per le scale e guardandosi
attorno con una piccola piega allietata sulle labbra.
«Come te» rispose in modo criptico il lupo mannaro, procedendo al suo
fianco e confermandogli a modo suo la reale visita che aveva fatto a quello
specifico college durante i tre giorni appena trascorsi.
«Bellissimo e carismatico?» propose con eccessivo entusiasmo il sedicenne,
ammiccando sfacciatamente e procedendo velocemente sui gradini.
«Strepitante e snervante» obiettò il capitano della squadra di basket, con
voce modulata e perfetta, statuario ed impassibile.
«Ehy!» esclamò l’umano, fermandosi all’istante e
colpendolo offeso sul torace, non causandogli il minimo fastidio e smorzando
uno scopo che non era reale, ma un vero atto di protesta.
Derek lo trattenne esattamente da quell’arto che l’aveva colpito,
immobilizzandolo sul posto e divenendo l’unico panorama presente agli occhi del
sedicenne, senza che ci fosse altro o potesse spostare lo sguardo da lui. Erano
solo Stiles e Derek.
Stiles non comprese immediatamente le sue intenzioni, ma gli bastò vedere
quella stessa luce intensa e completamente dedita a lui che aveva già scorto in
passato, quel desiderio energico e quell’autocontrollo che tentava
costantemente di sfuggirgli, tutte le volte in cui aveva pensato che il lupo
volesse baciarlo; un pensiero che aveva sempre mandato nelle retrovie del
cervello, scartando all’istante quella possibile reazione che poteva scaturire
tra loro. Ma ora sapeva, che tutte le volte che quel bagliore balzava davanti
le iridi, facendogli prudere il naso e surriscaldare il padiglione auricolare,
era reale e che Derek doveva porsi molta violenza per non azzerare il divario che
persisteva tra i corpi e congiungersi con quello che desiderava e che lo
tormentava.
Quante volte si erano trovati così vicini, a completo contatto, da bastare
un minimo battito di ciglia per collimare quella distanza che appariva
necessaria.
«Der» sussurrò a mezza voce, riempiendo tutto il
nervo acustico del licantropo e divenendo l’unica cosa che poteva sentire – ma
lo era già, da tempo –, instaurando una base solida che gli permettesse di fare
tutto quello che voleva; un tacito consenso che non sarebbe stato necessario se
Derek avesse smesso di identificarlo come una creatura delicata ed onirica o
come se le sue attenzioni non fossero ben accette. Puoi farlo era tutto quello che avrebbe voluto dirgli senza
distruggere l’atmosfera che si era creata, non
devi chiedermi il permesso.
Derek respirò direttamente sulla sua bocca, come aveva fatto altre mille
volte, e gli sfiorò la punta del naso con la propria, alzandogli di qualche
millimetro incalcolabile il viso, sorreggendolo dalla mano sinistra che si era
posata sotto la mandibola, attraverso alcune dita che lo toccavano appena.
Gli lambì le labbra con il fiato caldo, vezzeggiandole con maestria ed
attirandole verso le proprie, un condotto d’aria bollente che le indirizzasse
soltanto verso quelle del mannaro.
Le sfiorò in modo impercettibile, sentendole schiudersi accennatamene sotto
le proprie ed attrarle verso di loro, mentre il desiderio e il bisogno di
rendere più concreto il contatto cresceva ed urlava nelle orecchie di entrambi
e Stiles aveva desiderato per diverso tempo, con vergogna e celandolo a se
stesso, di rendere nullo lo spazio tra le loro bocche; aveva sempre desiderato
che Derek Hale lo baciasse.
Ma il capitano della squadra di basket si sarebbe preso tutto il tempo del
mondo per compiere quell’azione che era vissuta nella sua mente in quegli anni,
osservandone ad occhi aperti ogni frazione di secondo.
Derek, spingendo Stiles contro la balaustra delle scale, pendente da un
lato per via dello zaino su una spalla e che già gli impediva enormemente di
muoversi, gli catturò le labbra tra le proprie, assaporando il suo sapore e la
carnosità della bocca rossa che sognava ogni notte, perfino quando gli dormiva
a fianco.
Gli accarezzò con la lingua il palato e gli incisivi, facendo fremere
l’umano, e poi si concentrò soltanto sulla consistenza delle labbra,
vezzeggiandole con tutto l’amore e il rispetto che provava per Stiles.
Il baciò si interruppe ed i loro respiri si miscelarono, alitando ognuno
nella bocca dell’altro che si sfioravano ad ogni emissione di nuovo ossigeno.
«Ha un buono osservatorio astronomico» confidò caldo il mutaforma ad un
millimetro dalla sua bocca, rispondendo alla prima domanda che il figlio dello
sceriffo gli aveva posto.
Stiles gli sorrise di sbieco, guardandolo ammiccando da vera volpe saputa
dalla posizione da cui non si era mosso, rimanendo intrappolato tra il corpo
del lupo completo e il corrimano delle scale del liceo. «Ma davvero?».
«Sì» e quella volta la calma ed il controllo furono totalmente abbandonati,
riappropriandosi delle labbra dell’umano senza tergiversare e facendogliele
schiudere completamente, impossessandosi interamente della sua cavità orale e
reclamandola come propria, mentre Stiles le curvava vittorioso ed ammaliante
contro le sue, lasciandosi catturare senza riserve.
«Era ora» disse una terza voce che si frappose tra loro, riportandoli alla
realtà e permettendogli di identificarlo come Scott McCall.
«Pensavo dovessi aspettare le partecipazioni di nozze».
«Sono mesi che hanno lo stesso odore» comunicò Isaac con noia, stanco di
aspettare e per niente sorpreso di quel cambiamento di eventi.
«Sì, l’hai notato? Ehy, aspetta, che vuoi dire?»
domandò a raffica il messicano, appoggiando il compagno di squadra e sbattendo
le palpebre subito dopo, rendendosi conto della cosa pittoresca e strana che
aveva detto.
«Voglio un nipotino» si intromise Erica con spavalderia, mandando Scott nel
dimenticatoio. «Voglio un bellissimo lupacchiotto o lupacchiotta. Boyd, domani compreremo qualche vestitino».
«Mi aggrego, voglio guardarmi intorno per quando gli organizzeremo la
cerimonia di nozze» si aggiunse la bionda fragola, approvando l’idea ed
immergendosi già in calcoli complicati perché l’evento riuscisse perfettamente.
«E l’addio al nubilato» ricordò Allison con concentrazione, stilando
mentalmente una lista e cominciando ad eliminare qualche voce.
«Mi occupo io di quello di mio fratello» affermò Cora senza reticenze,
pregustandosi già la scena e curvando le labbra perfida e piena di cattive
intenzioni.
Stiles li guardò completamente allibito, ancora intrappolato nella
posizione precedente e stretto alla mano del diciottenne, che li guardava
indecifrabile insieme a lui.
Erano tutti ai piedi della scala che li osservavano compiaciuti e con
prevedibilità – Malia annuiva in approvazione in fondo al gruppo e Jackson si
era limitato ad un davvero scontato
–, complottando in gruppo e prendendoli abbondantemente per i fondelli,
burlandosi della loro persona con scaltrezza e correndo eccessivamente nei loro
riguardi, annessi di progetti futuri, per accrescere quella forma di ironia
dilagante.
La campanella che comunicava la fine di quella seconda ora di lezione era
risuonata per tutto l’istituto senza che il figlio dello sceriffo ed il lupo
mannaro se ne rendessero conto, completamente concentrati sulla presenza
reciproca e del tutto divorati da quei baci agognati che erano sempre rimasti
nell’atmosfera, inespressi.
«Dimmi che non sta accadendo» lo implorò l’umano a mezzo tono,
supplicandolo quasi ed intimandogli di mettergli fine.
«Okay» proferì semplicemente il playmaker nella sua direzione, accontentandolo
senza troppo sforzo e del tutto disinteressato alla cosa.
Stiles gli lanciò un’occhiata accusatoria e di rimprovero e Derek non ne fu
colpito per niente, lasciandoselo scivolare addosso ed ignorandolo con
tranquillità.
«Ne avranno per un po’» disse soltanto la creatura della notte nella
direzione del gruppo scoppiato che complottava ancora, sorridendogli sornione.
Certo che ne avranno per un po’, per giorni, mesi e forse anni, punteranno il
dito nella loro direzione e gli ricorderanno costantemente che avevano sempre
avuto ragione, vedendo più lontano dei loro occhi e per nulla frenati dai
pensieri contorti che avevano accompagnato Stiles per tutti quei mesi. «Loro
posso gestirli» rivelò senza scomporsi più del dovuto, permettendogli il loro
momento di gloria.
Derek lo guardò dall’alto, con attenzione e quella piccola preoccupazione
che pulsava nell’anticamera del cervello. Non ci voleva molto a capire a chi si
stesse riferendo il sedicenne, a quale gruppo compatto e vivace, eccessivamente
espansivo, fosse difficile gestire e contenere, avendogli dato in passato
notevoli gatte da pelare ed umiliazioni che probabilmente non avrebbe
dimenticato. «Puoi fermarti, se vuoi».
I timpani dell’umano pizzicarono e l’attenzione si rivolse automaticamente
verso il lupo mannaro, trovando subito le iridi boscose che entravano dentro le
proprie. Stiles poteva individuare immediatamente il dubbio che stava
affliggendo le meningi del licantropo, la proposta che aveva lanciato e la
comprensione nei suoi riguardi nel caso volesse tirarsi indietro, perché troppo
estenuante ed invasivo l’accanimento che le ragazze di Derek avevano già dimostrato
in passato e che continuavano ad indirizzare verso di lui. Stiles ne aveva
passate fin troppe per colpa loro. «In passato sono stato accusato di
combattere per te» rivelò sinceramente, senza dimenticare quel periodo e la
persona che gli aveva suggerito di non farlo, di smetterla e di darsi una
calmata. Stiles si era comportato in quel modo senza nemmeno rendersene conto e
l’istinto ed il subconscio avevano agito da soli, senza premurarsi di
consultarlo. «Credo che adesso abbia una motivazione in più per farlo».
Derek lo sguardò stralunato, quasi incredulo e non del tutto certo di aver
decifrato correttamente ciò che il sedicenne gli stava comunicando e Stiles gli
sorrise con malizia e confortanza, immolandosi per la causa ed alleggerendo il
cuore del lupo che non avrebbe sopportato una separazione netta come quella,
così vicino alla meta che aveva sempre agognato. «Combatterò per te, Derek
Hale».
E nel momento in cui buona parte degli studenti era riversa nei corridoi,
guardando allucinata il siparietto composto dalla figura del capitano della
squadra di basket e dal figlio dello sceriffo confinati a metà della scalinata
principale, Stiles Stilinski baciò con trasporto Derek Hale davanti a
quell’esercito di occhi sgranati ed inebetiti.
Pensavate che non ce
l’avrebbero mai fatta e invece...
Ci hanno fatto sudare
un po’ e si sono ridotti all’ultimo minuto, come è tipico di loro e alla fine
qualche soddisfazione ce l’hanno data – magari più di una – ed è tutto qui,
nero su bianco.
Diciassette capitoli
di mezze verità, domande inespresse e dubbi esistenziali ed alla fine quelle
tanto decantate risposte sono arrivate, senza per forza avere una voce ed altre
semplicemente colmandole da sole. E magari qualche altra rimarrà in sospeso.
Nella conclusione mi
sono solo voluta prendere un po’ gioco di loro, finire tutto con più leggerezza
e una rivincita da quel gruppo che li aveva visti unirsi senza però proferire
parola.
E… per quanto questo
sia l’ultimo capitolo, non è questa la fine.
Preparatevi
psicologicamente e fisicamente per un epilogo lungo quanto la storia stessa –
magari esagero, ma non si sa mai.
A venerdì, con il
nostro ultimo aggiornamento e la loro immancabile compagnia,
Antys