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Autore: Elendil    11/02/2017    1 recensioni
Sequel del primo libro della saga "Nihaar'ì".
Le vicende di Harryan continuano ma i punti di vista ancora una volta cambiano. Il destino della Veggente prosegue con nuovi e improbabili risvolti!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ri-ciao!

Ritorno con un nuovo freschissimo capitolo! Ringrazio come sempre tutti quelli che mi sopportano e leggono :)

Un grande bacio e a presto!

Elendil


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Definirla “cesta” era stato senza dubbio un atto di clemenza per quello che a conti fatti era poco meno che un cubicolo atto a ospitare sì e no una persona seduta. Figuriamoci due.

Nell’avvertire gli stracci dell’altra lambirle il ginocchio, a stento la Nihaar’ì si trattenne dal mollarle un altro calcio. Tirò a sé le gambe, il ricordo della propria nudità ad acuire per qualche ragione il disagio di trovarsi ora a così stretto contatto con un’estranea.

Imprecò ancora, infischiandosene del fatto che ah no, questo una del tuo rango non se lo dovrebbe proprio permettere e scivolò anzi un poco in basso con la schiena in una posa ruvida e astiosa.

Poco distante, il gemito della donna non sembrò molto colpito dalla cosa. Anzi. La simpaticona pareva così presa dal proprio stato da non regalarle nemmeno la mezza occhiata di cui ora la Nihaar’ì aveva disperatamente bisogno per saltarle direttamente in testa e finirla lì sul posto.

Così, bistrattata in tutto, la Nihaar’ì si rinchiuse infine in un silenzio rancoroso che a breve, oscillamento più oscillamento meno, si trasformò in dormiveglia, e da dormiveglia in uno scossone tanto forte da farla cappottare letteralmente su se stessa.

Inebetita la Nihaar’ì sbattè un paio di volte le palpebre gonfie di sonno. Dalle fessure della cesta non trapelava ora più alcuna luce, segno che probabilmente la carovana si era fermata per il riposo notturno.

Dalla donna poco distante e ora raggomitolata a terra in posizione fetale non giunse alcun suono. Stava dormendo? La Veggente le gettò un’occhiata astiosa a cui seguì poi una vagamente più incerta. Ma come faceva a non essersi svegliata dopo uno scossone del genere?

Mordendosi un labbro la Nihaar’ì gettò un nuovo sguardo alle fessure della cesta nella speranza di intravedere se non qualcosa, perlomeno qualcuno... L’oscurità rispose nuda al suo sguardo. Sospirando volse nuovamente il capo in direzione della figlia del deserto.

Magari era già morta...

Sospirò. E guardò di nuovo speranzosa all’esterno. Per poi tornare al bozzolo immobile poco distante da sé. E poi di nuovo alle pareti. E ancora alla donna.

E infine con un gemito esasperato si alzò sulle ginocchia e a carponi si accostò all’altra. Le gettò un’occhiata critica e incerta. Stava almeno respirando?

Allungò allora le braccia nel proposito più o meno cosciente di constatare il suo stato di salute.

Non osare avvicinarti” una voce la gelò sul posto “Non sono ancora abbastanza morta da lasciarti prendere i miei vestiti”

Le braccia ancora protese dinnanzi a sé, la Nihaar’ì strinse appena le labbra “Stavo solo cercando di aiutare...” “E come? Non sono una stupida” la aggredì l’altra. Suo malgrado, la Nihaar’ì abbassò lentamente le mani Perdonami, non amo alloggiare con i cadaveri” digrignò rabbiosa “Ma vista la riconoscenza potrei anche fare uno sforzo e sopportare”

La risata roca della Figlia la fece quasi sobbalzare. Poco dopo, non senza un paio di gemiti ovattati, la donna si tirò a sedere poggiandosi con la schiena alla cesta.

Il suo fiato corto accompagnò per qualche attimo il loro silenzio reciproco. Poi ridacchiò ancora.

Almeno sei simpatica”.

La Nihaar’ì fece una smorfia. Come a voler dire: ti manca tutto quanto ma almeno sai farmi ridere.

Non sapevo di essere il tuo buffone” commentò acida. L’altra scosse il capo lentamente.

Ora non esageriamo. Ho detto che sei simpatica, non che tu abbia senso dell’umorismo” si portò le braccia al petto chiudendole poco sopra il torace “Nè che mi accosterei a te più del tempo dovuto a questa prigionia” “Ripeto: temo tu mi abbia confusa con un’altra” digrignò la Nihaar’ì. La donna scosse ancora il capo con uno sbuffoE io invece sono certa di no. Ognuno di questi lividi ne è la conferma” Ah si? La Nihaar’ì non potè che stringersi nelle spalleAd ognuno il confidente che si merita” fece lapidaria ”Se l’avessi detto a me che pensavi di conoscermi non ti avrei certo picchiata a sangue come il tuo amico là dentro” l’altra le scoccò una breve occhiata “No certo che no” convenne con uno sbuffo contrito “Immagino che ti saresti limitata a dirmi che spiacente, non mi conoscevi e poi baci e abbracci e amiche per sempre, giusto?” La Nihaar’ì si limitò a sorriderle freddamente “Esatto. E puoi giurarci che lo saremmo anche diventate. Amiche, intendo” una pausa “Come ti chiami?” l’altra incrociò le braccia al petto, poi gemette sciogliendo subito la presa “Karin. E no, per quanto tu finga di essere simpatica non diventerò mai tua amica”

Dubito che sia umanamente possibile con questo atteggiamento.

Ad un passo dal perdere definitivamente la pazienza, la Nihaar’ì si concesse allora uno sbuffo contrito “Come ho già detto, ti stai sbagliando. Non sono chi credi io sia” “Una bugiarda?” le sorrise l’altra “Ricordavo avessi detto buffona” puntualizzò stringendo appena la mascella. Karin le concesse un mezzo ghignetto contrariato “I nomi hanno poca importanza. Tanto per voi Nobili vanno bene tutti purché non si sappia mai il vostro”

Il brivido che seguì quelle parole fu come una scarica lungo la spina dorsale. La Nihaar’ì si bloccò, interdetta.

Nobili?

Credi che io sia una Nobile?” esalò sbigottita. L’altra strinse appena gli occhi “Io non lo credo. Ne sono certa” puntualizzò “E prima che tu proceda con la pantomima del -non riesco proprio a immaginare come ti sia venuta in mente una cosa del genere - lascia che ti spieghi anche perché: nessuno, e dico nessuno che non appartenga alla classe nobiliare potrebbe andarsene in giro con quei segni senza che qualche scagnozzo della Torre del Tempo se lo venga prima o poi a prendere per sbatterlo chissà dove” la Nihaar’ì non potè che accigliarsi.

Per non parlare della tua storiellina della povera fanciulla sola e abbandonata che hai propinato a tutte le imbecilli che ti sono pure state ad ascoltare. Nessuno che avrebbe un po’ di sale in zucca si sognerebbe mai di spifferare a delle perfette sconosciute la propria storia. Noi del deserto ce lo teniamo per noi il nostro passato, non lo sbandieriamo come una pezza bagnata davanti agli occhi di tutti. E poi, andiamo” tentò senza riuscirci di mettersi a sedere un po’ più comoda. Desistette con un gemito sgranato “Davvero credevi che nessuna si accorgesse del tuo modo di parlare fresco fresco di Kashit (maestri del linguaggio) e delle tue vesti profumate e lavate di fresco?” istintivamente la Nihaar’ì non potè che abbassare lo sguardo alla ricerca di stracci che non trovò. Davvero profumavano? “Tutto ciò sarebbe potuto anche passare inosservato se una volta fuori dalla Gabbia avessi almeno tentato di farti gli affari tuoi piuttosto che andartene a cercare quelli che palesemente erano i tuoi servitori ansiosi prima di ogni cosa di salvarti e correre via insieme verso la tua lussuosa magione” prese un respiro, un altro, e infine si concesse di reclinare appena il mento all’indietro così da poggiare meglio la nuca alle fascine retrostanti. Solo allora la Nihaar’ì notò quanto la giovane fosse magra e scavata, niente meno dell’ombra della bellezza esotica che avrebbe potuto essere se adeguatamente nutrita.

E infine, la prova decisiva. Quel riferimento al fatto che oh si, tu in barca ci vai così spesso che hai quasi perso il conto.abbassò torva lo sguardo su di lei “Sfortunatamente per te, il popolo del deserto può definirsi fortunato se ha mai avuto occasione di vedere l’Himnakan anche una sola volta nella vita. Figuriamoci solcarlo a bordo di una barca...”

Nel riverbero di quella stoccata finale, la Nihaar’ì notò finalmente un particolare che il suo cervello le aveva evidentemente più volte suggerito senza che ella gli avesse prestato attenzione “Eri una Nobile?” chiese improvvisamente seria. In un attimo parve di vedere l’altra trattenere appena il respiro, un’ombra di sorpresa a solcarle il viso prima che ella lo abbassasse nuovamente in direzione della Veggente. Le scoccò una mezza smorfia contrita.

Mio padre lo era” esalò in un soffio “Sfortunatamente però mia madre non lo era abbastanza perché lui se la portasse a casa dopo essersi divertito con lei il tempo delle Tempeste di Sabbia” scrollò le spalle “Carino da parte tua accorgertene. Non è una cosa che fanno in molti”

Lei scrutò ancora per qualche attimo i tratti di Karin notandone ancor di più la sottigliezza della mascella e la minutezza del naso, entrambi connotati che in genere accomunavano le classi nobiliari abitate a imparentarsi e sposarsi fra di loro. Anche lei possedeva alcuni dei tratti nobiliari, ma per qualche ragione essi non erano mai stati abbastanza marcati da definirla entro quella cerchia.

Per un attimo Veggente e Karin si ritrovarono a scrutarsi in una reciproca e muta analisi delle proprie genealogie. Poi sospirarono, una muta resa che le portò entrambe a poggiare la schiena alle pareti anguste della cesta.

Dunque è per rivelare la mia Nobiltà che ti sei fatta quasi uccidere dai Kamin?” domandò dopo un attimo la Nihaar’ì. L’altra si strinse nelle spalle “Anche” le concesse “Ma soprattutto per la voce che ultimamente sta girando a proposito della Nihaar’ì” nuovo brivido di gelo ”Ossia?” buttò lì l’altra fingendo scarso interesse. Karin si accigliò appena Ma non sai proprio niente! La rimproverò il suo sguardo attonito “Alcune voci dicono che la Nihaar’ì si sia rifiutata di compiere il pellegrinaggio e ora sia in fuga per il deserto”   

Rifiutata?

Come sarebbe a dire rifiutata?” non potè trattenersi dal dire. L’altra fece spallucce prima di scivolare un poco con la schiena verso il basso. Dall’espressione che seguì, la nuova posizione sembrò in qualche modo incontrare i suoi gusti “Non saprei dirti. Le uniche notizie che ho avuto sono state appunto quelle del suo rifiuto e della successiva fuga in solitaria” “Fuga per dove?” “Chiedi troppo” sbottò improvvisamente la figlia del Deserto assottigliando lo sguardo. E non capisco perché.

Rapida la Nihaar’ì si costrinse a scostare lo sguardo e fingere un grande e sincero interesse per la fitta cardatura della loro cella.

Sono solo curiosa” buttò lì poi facendo una mezza smorfia: i Kamin erano di sicuro cacciatori formidabili, ma in quanto a capacità manuale...

Karin continuò tuttavia a fissarla “E immagino che questa tua qualità ti abbia portato tanta fortuna fino a ora” commentò monocorde. La Nihaar’ì fece spallucce “Non particolarmente in realtà. Solo tante occasioni di farmi tanti amiciconcluse rivolgendole un mezzo ghigno velenoso.

Karin ricambiò con l’ennesima passione ma non aggiunse altro. Si limitò a raggomitolarsi ruvidamente su se stessa e dopo un lungo sospiro scontroso, rinchiudersi in un solitario tentativo di prendere sonno.

Ma la Nihaar’ì non aveva ancora finito.

Immagino dunque che il prossimo passo sia essere fustigate e abbandonate in fondo alla carovana in attesa di morire, giusto?”

Un brivido astioso percorse immediatamente la figura rannicchiata. Ma il galateo della buonanotte era un’altra delle cose del Deserto che la Nihaar’ì scoprì di poter fare a meno, trattandosi di Karin.

Avevi detto di essere troppo grande per le jenhai (storie)” la prese in giro la donna mimando un sospiro scontroso. La ignorò “Solo se si tratta davvero di storie”.

Breve attimo di silenzio, poi Karin mugolò uno sbadiglio esasperato “Credi davvero che i Kamin si precludano così in fretta l’eventualità di riscuotere un bel gruzzoletto con la tua pelle fior di pesca? Ti interrogheranno ancora e tutte le volte che vorranno fino a essere sicuri che vali né un soldo di più né uno di meno di quanto dirai” “E se non dovessi valere niente?” si accigliò l’altra. Breve silenzio.

Beh allora farai semplicemente la fine che farò io da qui a un paio di giorni” fu la risposta monocorde dell’altra.

Dannazione.

Ma era possibile che il popolo del deserto si esprimesse solo con monosillabe e allusioni?

Reprimendo un gemito stizzito, la Nihaar’ì sollevò appena la schiena “E sarebbe a dire?” digrignò. Se la domanda avesse o meno infastidito Karin, la Veggente non fu in grado di capirlo. Quando rispose, tuttavia, il suo tono aveva un che di soffocato.

Mai sentito parlare di incidenti di percorso?”



Sola in un silenzio grigio e ovattato, il respiro lento e regolare della Figlia del Deserto a scandire quegli interminabili secoli di veglia, la Nihaar’ì rifletteva sulle ultime parole dell’altra.

Un prigioniero malato o malridotto non era che un peso per i Kamin. Scampata la possibilità di venderlo a un prezzo profittevole, rimaneva in effetti solo l’ingente mole di costi sostenuti per curarlo, sostentarlo e trasportarlo. In poche parole, un profitto che i Kamin preferivano abbandonare prima che divenisse a tutti gli effetti un costo.

Pesta e malconcia, Karin dubitava evidentemente che il proprio valore giustificasse i mezzi necessari a rimetterla in sesto e trasportarla fino al mercato di schiavi. La Nihaar’ì volse lo sguardo verso il punto in cui la donna giaceva inerme prima di stropicciarsi gli occhi con il dorso della mano.

L’avrebbero dunque lasciata indietro?

L’ombra della malevolenza di Faenie si stagliava ancora oblunga su di lei sussurrandole suo malgrado immagini di stenti e sofferenze, un miscuglio di sensazioni cui ella reagì infossando la testa fra le ginocchia. Poi sbadigliò, la cadenza del respiro di Karin a raggiungerla in onde lente e regolari oltre la sua barriera spaventata.

E lei? Cosa avrebbero fatto di lei?

Tentò con scarso successo di riscuotersi, le ciglia a solleticarle le ginocchia mentre ella le sbatteva una, due volte.

La semplice possibilità che ella avesse potuto appartenere alla classe nobiliare pendeva sulle sue sorti come una minaccia sicura eppure latente, capace tanto di elevarla a preda preziosa -e quindi intoccabile - sia a spauracchio privo del benché minimo valore. Tutto dipendeva da come ella avesse deciso di comportarsi una volta dinanzi ai Kamin lì riuniti e in attesa di una sua confessione.

Non le servì che socchiudere appena le palpebre per vedersi in un attimo lì, sola e nuda dinnanzi ai loro volti in attesa. Lei immobile. Loro pure. E tutti insieme spiccatamente stagliati in un secondo di fragile aspettativa mentre quella famosa domanda le veniva rivolta per la prima - ma non ultima- volta.

Chi sei tu?

Nessuno di importante, avrebbe risposto con sguardo fisso, certo, perentorio.

Chi sei tu?

Quella domanda l’avrebbe però attesa nuovamente al varco, presentandosi vestita di nuovo vigore, sagacia, perentorietà. E reclamando da lei qualcosa di diverso, ora. Di più onesto, forse. Di più convinto. Di certo, più verosimile a quanto tutti quanti avrebbero irrimediabilmente cominciato ad aspettarsi da lei.

Sospirò. E sbadigliò ancora.

Nessuno. Si sarebbe però difesa ancora una volta, la vertiginosa sensazione che fosse il suo corpo e non le sue labbra a mentire per lei i cui occhi tacevano irrimediabilmente la profezia che ella avrebbe dovuto rappresentare a scavarle più a fondo di quanto alcuna menzogna e obiezione avrebbero potuto fare.

Nessuno. Avrebbe ribadito.

Eh si.

Proprio...nessuno.

Come dare torto, in fondo, a tanta onestà? Risponde il Kamin-Na ora improvvisamente alzatosi in piedi dinnanzi a lei. La sua figura la inquieta. I suoi occhi la inchiodano sul posto. Il suo respiro vicino le brucia il volto infrangendosi sulle sue palpebre calate come le onde di una risacca ardente.

E lei non può che indietreggiare, suo malgrado, la consapevolezza della propria fragilità a riverberare come scricchiolio crepitante nel cuore teso. Si sente, poiché è certa di sentirlo, gemere piano nell’ombra prima che con una mossa rapida l’uomo la costringa ad alzare lo sguardo verso l’alto e guardarlo.

Dunque siete chi dicono voi siate?

Le sussurra abbastanza vicino perché siano le sue labbra e non la sua voce a rivelarle il senso della domanda. Ma prima che ella possa anche solo pensare di rispondere - o meglio, di negare e negare ancora - un lampo nero invade il suo campo visivo frapponendosi in tutta la propria gargantuesca mole fra lei e qualunque altra figura presente.

E l’Ombra la guarda.

Immensa, glaciale, mortale, il suo stridente canto a sprigionarsi ora tutt’attorno a lei in un grido tale da costringerla a sua volta a urlare.

Dunque siete chi dicono voi siate?

Il Kamin le chiede ancora. Ma un sussurro senza palpebre ora, senza labbra adesso eppure stagliato nella sagoma a lei rivolta e improvvisamente incombente sulla sua figura irrigidita come sbavo su foglio bianco.

Lo siete?

Lo stridio perentorio la fa singhiozzare, il riverbero esangue tremare. Ed ora è più che mai certa che mai prima di allora, prima di quel momento, ella si è per davvero trovata dinnanzi a qualcosa di tanto potente, tanto mortale come ciò che dinanzi a lei attende, immobile il suo rispondere.

Lo siete?

Sa che deve farlo. Rispondere.

Non può più aspettare. Non sono i Kamin. Non è Karin. Non è nessuno di tutti coloro che fino a quel momento hanno avuto l’ardire di domandarle ciò cui nessuno infine dovrebbe poter formulare. Se non lei.

E schiude le labbra. E prende fiato. E arrota appena la lingua sotto il palato.

E poi inaspettatamente ella si ritrovò nuovamente nella cesta, rinchiusa come un animale selvatico nell’angusto spazio del suo respiro e quello della Figlia del Deserto ancora - ma come diavolo era possibile?- addormentata.

Non le servì interrogarsi per capire che si era addormentata a sua volta. E che aveva sognato.

Anzi.

Si deterse con il dorso della mano il sudore sopra il labbro, la sensazione di essere terribilmente assetata a condensarsi nella contemporanea percezione di essere egualmente inzuppata del proprio panico.

Aveva avuto un Nayel.

La potenza di quella rivelazione fu tale da farla scattare immediatamente a sedere e scagliarsi di peso sull’ignara Karin ancora -era cosa buona ribadirlo- addormentata. La afferrò con entrambe le mani per gli stralci lisi delle sue vesti e prese a scuoterla violentemente una, due volte. Solo alla la terza si ricordò delle sue condizioni fisiche.

Dal ringhio che seguì, fu chiaro che la Figlia del Deserto non si fosse affatto ripresa in quelle poche ore di sonno tormentoso.  

Perdonami” si affrettò a scusarsi la Nihaar’ì rifilandole un’occhiata di sottecchi. Suo malgrado non potè impedirsi di provare un vago senso di colpa per la violenza di poc’anzi: a occhio e croce il corpo di Karin aveva solo aspettato le ore notturne per rivelare alle tenue luci dell’alba le sue meglio escoriazioni. Le gettò un’occhiata di sincero compatimento prima che una nuova e assai più precipitosa necessità tornasse a irrigidire ognuno dei suoi muscoli.

Devi aiutarmi” annunciò perentoria. Socchiudendo una palpebra, poi l’altra, Karin le scoccò uno sguardo ben più che omicida. La scosse di nuovo. L’altra urlò di dolore.

Ho detto” scandì senza fiato “Che devi aiutarmi” un’improvvisa fitta alla testa la costrinse a socchiudere gli occhi. Quando li riaprì, si ritrovò a incrociare lo sguardo semi-atterrito di una Karin ora seduta e a fatica poggiata alla parete della cesta. Non pareva né collaborativa né propensa a divenire tale.

Devi...” prese fiato “Ho capito” non le lasciò finire la frase “Ero addormentata, non sorda” puntualizzò a conclusione.

  
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