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Autore: DreamerGiada_emip    12/02/2017    1 recensioni
Una nuova sposa sacrificale giunge nella villa Sakamaki, il profumo dolce del suo sangue fa impazzire subito i vampiri. Eppure lei è diversa da tutte le spose precedenti: i suoi occhi azzurro ghiaccio sono taglienti lame, i lunghi capelli corvini spargono il suo profumo facendo risaltare maggiormente il candore del suo fiso e il colore dei suoi occhi. È una giovane ribelle senza alcuna intenzione di lasciarsi sottomettere. Chi ha il comando della situazione dunque? I vampiri ammaliati dalla misteriosa e provocante bellezza di lei, ma famelici del suo sangue, oppure la fanciulla attratta da quei ragazzi, ma con un carattere orgoglioso e strafottente?
In tutto questo, lei nasconde un segreto, un segreto di cui nemmeno lei stessa è a conoscenza. Nella lussuosa villa dei Sakamaki, verrà portato alla luce un mistero che forse sarebbe stato meglio se fosse rimasto nell'ombra.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel, Demon or Human?'
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«Dove mi vuoi portare? Scordati che tornerò dentro quel museo a te tanto caro» mi stacco dal muro e concentro uno sguardo affilato sulla sua figura voltata di spalle.
 
«Andiamo a trovare mi madre» taglia corto riprendendo a camminare. Lo seguo rincuorata per un attimo, ma poi penso a cosa ha detto. Cordelia è morta, stiamo andando in un cimitero. Attraversiamo i corridoi e usciamo nel giardino di rose, mi fermo a raccogliere un mazzo di quei fiori profumati. Mi sembra un gesto cortese: un mazzo di rose da lasciare sulla tomba della loro madre, nonostante la sua crudeltà.
 
«Cosa stai facendo?» Kanato resta in piedi dietro di me, mentre io strappo attentamente lunghi steli accucciata a terra. Quando prendo tra le mani il mazzo, alcune spine mi si conficcano nel palmo e in un dito. Aggrotto la fronte per un attimo, nonostante me l’aspettassi. Kanato si avvicina a me e mi toglie di mano il mazzo spinoso, per poi prendere delicatamente la mano graffiata avvicinandosela al viso. Osserva le piccole goccioline scarlatte che scivolano giù dai graffi. Tengo il mio sguardo puntato su di lui, consapevole del fatto che il mio profumo lo attiri inesorabilmente. Lui incontra per un attimo i miei occhi, poi ritorna sulla mia mano. La avvicina alle sue labbra e sfiora il mio palmo con la punta della lingua leccando via le goccioline, tiene gli occhi chiusi per assaporare quel sapore. Fa scivolare la lingua si tutta la mia mano fino al arrivare al dito graffiato, lo prende tra le labbra. Sollevo un sopracciglio e faccio un mezzo sorrisetto divertita. Sta cercando di provocarmi? Purtroppo per lui, la provocatrice sono io. Non appena lascia andare il mio dito, gli mostro un sorrisetto malizioso e gli accarezzo le labbra con il polpastrello, lo sfioro delicata. Il ragazzo concentra i suoi occhi su di me e non si muove, quando vedo che schiude le labbra per azzannarmi il dito, mi ritraggo lasciandolo imbambolato.
 
«Allora, vogliamo andare?» lo stuzzico con un sorriso ammaliante. Lo vedo sbattere le palpebre velocemente per riprendersi, sembra arrossire, ma non posso dirlo per certo. Si volta e ricomincia a camminare con il mazzo di rose in mano portandolo al posto mio, evitandomi così altri eventuali tagli e di conseguenza un’altra situazione simile a quella di pochi attimi fa. Mi stupisco di quanti vicoletti laterali abbia questo splendido giardino, mi lascio guidare da lui, finché non raggiungiamo il cimitero, composto da solo tre tombe. Non mi sarei aspettata di trovare una tomba per ognuna delle loro madri. Dopotutto non erano oggetto dell’odio dei loro figli? Perché dedicargli anche un angolo del grande giardino unicamente per seppellirle? Ci fermiamo di fronte a una di quelle enormi lapidi di fredda pietra e Kanato mi porge il mazzo di rose per lasciare che sia io a posarlo sul terreno. Presto attenzione alle spine acuminate per evitare di pungermi di nuovo e appoggio le rosse bianche sulla sua tomba.
 
«Le piaceva sentirmi cantare» comincia a raccontare il ragazzo senza che io gli abbia chiesto nulla. Concentro il mio sguardo sul nome di Cordelia inciso sulla lapide aspettando che lui continui. «A me non dispiaceva cantare per lei, nonostante fossi consapevole che lei volesse far diventare Ayato il capofamiglia»
 
«Avresti preferito essere tu il ragazzo che lei torturava per farlo diventare più forte?» chiedo a quel punto ricordando le parole di Raito al riguardo, prima o poi dovrò chiedere anche al diretto interessato di tutta questa storia. Sento i passi del ragazzo che si avvicinano a me, finché non mi affianca. Sollevo lo sguardo verso di lui e la luce che trovo nei suoi occhi mi fa allarmare, in un attimo un sorriso folle si dipinge sul suo giovane viso. Mi alzo in piedi di scatto e in quel secondo, Kanato raccoglie il mazzo di rose e inizia a colpire ripetutamente la tomba ridendo. Mi lascia interdetta. Quella risata folle, la furia che usa nello scagliare i fiori contro la pietra, la sadica espressione dà i brividi. Ormai il bel mazzo di rose bianche è ridotto a steli spezzati e tutto intorno a noi ci sono petali sparsi per terra. Mi riscuoto dallo stupore.
 
«Kanato, fermo!» gli afferro il braccio con cui tiene il mazzo ormai distrutto. Mi rivolge un’occhiata furiosa e con uno strattone mi scaraventa sulla tomba di sua madre. Sbatto la testa e la schiena sulla dura roccia, un gemito di dolore abbandona le mie labbra. Serro gli occhi per il dolore che si espande tra i miei capelli. Sento il peso di Kanato arrivare su di me, mi prende i polsi con una sola mano stringendomeli all’inverosimile.
 
«Tu non puoi capire, nessuno potrebbe!» urla fuori controllo, strattono forte le braccia per liberarmi. I lampi che lanciano i suoi occhi non mi piacciono per niente. Agita ancora furiosamente il mazzo composto soltanto da spine dopo il trattamento subito. Lo scaglia senza esitare sul mio viso e io non posso coprirmi con le braccia immobilizzate da lui sopra la mia testa, sento le lunghe e acuminate spine conficcarsi nella mia guancia e incidere solchi sottili ma dolorosi.
 
«Lasciami andare!» urlo rabbiosa. Non lascerò che beva il mio sangue in questo stato. Sento i graffi iniziare a sanguinare, sono su buona parte del mio viso, ne sento un paio che bruciano come l’inferno sul labbro e sullo zigomo destro, dove si è abbattuto maggiormente il colpo. Comincio a scalciare nel tentativo di liberarmi, ma lui sembra sordo alle mie parole e indifferente alle mie ribellioni. Lancia via il mazzo e afferra il mio viso con la mano libera, stringe forte la mascella facendomi ancora più male di quanto già non provi.
 
«Sta zitta!» ringhia prima di unire violentemente le nostre labbra. Spalanco gli occhi sconvolta e in un attimo cerco la soluzione più plausibile. Mordo con forza il suo labbro inferiore, tanto fa fargli uscire sangue. Lui si stacca ancor più furioso di prima.
 
«Non osare farlo mai più» lo fulmino con uno sguardo carico d’odio e di disprezzo. Sento il mio sangue che esce dal taglio del labbro mescolarsi con il suo. Non saprei dire quale dei nostri sguardi sprigiona più rabbia, purtroppo lui è in una situazione di vantaggio. Kanato assottiglia lo sguardo.
 
«Non ho bisogno di essere gentile con te per avere il tuo sangue» scende fulmineo fino al mio collo prima che io possa reagire in qualsiasi modo. Morde con rabbia e violenza, una miscela assolutamente atroce per chi subisce. Sento i suoi canini raggiungere la vena e far iniziare a sgorgare il mio sangue. La velocità con cui beve mi dà un giramento di testa. Il senso di impotenza che mi avvolge è insopportabile quasi quanto il dolore. Odio non poter reagire, odio essere immobilizzata, odio la consapevolezza di essere debole e inerme. La sua rabbia si mescola alla mia, insieme a una minima parte di solitudine e malinconia, ma in questo momento non riesco a provare compassione per lui.
 
«Kanato, levati di dosso, è l’ultima volta che te lo ripeto» il tono con cui lo dico riesce ad essere deciso, nonostante il dolore. Stringo i denti come ogni volta, aiuta davvero a sentirlo meno. Non sembra aver intenzione di darmi retta, riesco a spostare le gambe in maniera da essere sotto di lui. Gli tiro una forte ginocchiata all’altezza dello stomaco, poi con un colpo di addominali rotolo sopra di lui. Nello spostamento veloce i suoi canini mi lasciano due profondi graffi anche nel collo, non ci faccio troppo caso, tanto uno più uno meno. Mi tengo sospesa con il ginocchio appoggiato su di lui, strattono i polsi e riesco finalmente a liberarmi. Mi alzo da lui sovrastandolo in altezza. Il mio sguardo non lascia traccia alla tenerezza o alla clemenza. Vorrei davvero sferrargli un pugno diretto in viso, ma mi trattengo, non è la mossa giusta.
 
«E poi tu vorresti che io fossi gentile con te? Hai sbagliato tattica, moccioso» mi volto e inizio a camminare veloce. Troppo veloce per tutto il sangue che è riuscito a togliermi in quei pochi attimi. Vedo nero e in quel momento metto un piede in fallo. Non sento l’impatto con il suolo. Un braccio stringe la mia vita sostenendomi in piedi. Sto per girarmi e tirare una gomitata a Kanato, ma quando abbasso lo sguardo sul braccio che mi circonda. Riconosco il bracciale. Schiudo le labbra e trattengo il fiato.
 
«Cosa ci fai tu qui?» sento la voce infastidita di Kanato come sottofondo. Possibile che devo sempre finire così? Sempre tra le sue braccia devo capitare? E poi perché il mio cuore batte così forte ora? Non sento una risposta. «Ti ho fatto una domanda, Subaru!» urla il ragazzino dagli occhi viola. Il suo nome rimbomba nella mia mente, risuona nella mia testa così bene, come una dolce sinfonia, nonostante sia detto con odio e disprezzo. Chiudo gli occhi a quella stretta, nonostante la sua pelle fredda, io la percepisco come un fuoco inestinguibile.
 
«Sta zitto, Kanato, e torna in casa» la sua voce è sempre la solita cupa e profonda, ma il tono è tranquillo. La sua voce. Mi suona così familiare e rassicurante, come la sua presa. Ho paura a girarmi, ho paura ad incontrare quegli occhi, ho paura che legga nei miei ciò che sto sentendo. Lui mi toglie qualsiasi dubbio facendomi girare verso di sé. Non punto nemmeno gli occhi sul mio viso, mi appoggio semplicemente con la guancia sul suo petto, protetta da lui.
 
«Ora puoi aprire gli occhi, Lilith» mi sento dire appena sopra la mia testa. Non voglio farlo. Mi lasceresti andare in quel caso vero? No, lasciami restare vicino a te ancora per qualche attimo. Non ammetterò mai di aver formulato un pensiero simile, ma non posso farne a meno. È la prima volta che mi sento così bene tra le braccia di qualcuno. Purtroppo in un attimo mi ritorna in mente la scena dei tre morsi contemporaneamente, del dolore indescrivibile che ho provato un quell’occasione. Spalanco gli occhi e lo spingo via.
 
«Perché sei venuto ad aiutarmi?» chiedo senza ancora guardarlo. Essere arrabbiata è molto più semplice che ammettere quell’assurdo sentimento che provo stando con lui. «Cosa c’è? All’improvviso ti importa di me?» cammino traballante verso il letto e mi ci siedo per evitare un altro giramento di testa. Sfioro con la punta delle dita i graffi lasciati dalle spine di rosa, aggrotto la fronte ogni volta che il polpastrello sposta un piccolo lembo di pelle.
 
«Non li toccare, si infetteranno altrimenti» lo sento dire questo e subito dopo scompare. Sbatto le palpebre un paio di volte, poi sospiro. Mi sdraio sul letto, ho solo il tempo di chiudere gli occhi che sento un lato del materasso inclinarsi. Porto lo sguardo su quel punto e incontro i suoi occhi di fuoco. Ecco, come pensavo. Mi paralizzo a osservarli, sono così magnetici, brillano di luce propria in un mondo spento. La mia mano si chiude lentamente a pugno trattenendo il lenzuolo in essa. Sono così concentrata su quei laghi di fiamme che non mi accorgo nemmeno che sta avvicinando al mio viso un soffice panno bagnato, finché non lo appoggia delicatamente sulla guancia ferita. Sobbalzo riprendendomi e indietreggio spaesata da quell’avvicinamento non previsto.
 
«Non farlo, te ne prego» sussurro distogliendo il mio sguardo dal suo. Mi ranicchio su me stessa dandogli le spalle. «Non illudermi di valere qualcosa per te oggi, per poi domani tornare a trattarmi come fossi una sconosciuta o ancor peggio una semplice fonte di nutrimento» uso un tono malinconico che non pensavo nemmeno di avere. Tengo lo sguardo sulla porta della mia stanza, tanto per guardare qualcosa che non sia lui.
 
«Voltati» dice semplicemente, io non mi muovo. Così lui appoggia una mano sulla mia spalla e stringe leggermente facendomi sdraiare di schiena sul letto. «Non muoverti» appoggia il panno umido sul mio viso togliendo via il sangue e disinfettando i tagli sottili. Non incrocia i miei occhi, tiene lo sguardo puntato sulle ferite. Ogni sua mossa è lenta e misurata, come io fossi un animale ferito e lui non volesse spaventarmi. Quando raggiunge le mie labbra, un brivido attraversa tutto il mio corpo facendomi rizzare i peli sulle braccia. Mi sembra di intravedere un lampo di rabbia attraversare i suoi occhi, come se qualcosa lo avesse infastidito. Provo un’irresistibile tentazione di sfiorare anch’io lui, solo per accarezzare quel viso così dannatamente perfetto. Incrociamo un’altra volta i nostri sguardi e capisco in quell’attimo che vorrei restare così per sempre.
   
 
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