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Autore: mars_gold    12/02/2017    0 recensioni
"Questa vita è così ingiusta, da ad alcuni ciò di cui non hanno bisogno e nega ad altri ciò che li fa vivere... Con noi due l'universo ha avuto un gran senso dell'umorismo, non c'è dubbio, ma almeno una cosa buona l'ha fatta: ci ha fatti incontrare."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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~~36 secondi di silenzio e sguardi, li contai tutti mentalmente.

L’insegnante mi sorrise in modo imbarazzato dalla cattedra. Dio, quella classe sembrava enorme adesso.

Passarono un altro paio di secondi, non sapevo cosa fare, come comportarmi, in cuor mio speravo che qualcuno dicesse qualcosa, mi ero già preparata i fogli con su scritto:
“Sì, dalla nascita.”
“No, non ci sono cure.”
“Conosco il linguaggio dei segni ma di solito uso fogli, lavagnette, tablet o il cellulare. Sono diventata molto brava a scrivere veloce e in questo modo posso essere compresa da tutti.”
“Sono muta ma non sorda.”
Aspettavo solo che facessero le domande per quelle risposte, tutte le persone che avevo incontrato nella mia vita mi avevano fatto quelle domande.

La ragazza con i codini alti si voltò verso di me porgendomi la mano. Tra tutti non avrei mai pensato sarebbe stata lei la prima a parlarmi, avevo puntato su una delle tre gemelle in prima fila, giusto perché dovevano sembrare educate agli occhi dei professori.

-Piacere di conoscerti, io sono Lily, benvenuta nella scuola più strana di tutto il Paese. – Disse con un tono di voce allegro e gentile. Mi sorrise, in un modo più convinto rispetto a quello della professoressa, aveva gli occhi scuri, dolci, come quelli di un orsetto.

Diciamo pure che mi spiazzò un po’.

Ma ciò che mi stupì veramente fu ciò che accadde dopo: ancor prima di riuscire a stringere la mano che mi stava ponendo, tutti iniziarono a parlarmi in contemporanea.
Mi dissero come si chiamavano, mi chiesero da dove venivo, da quale zona della città, mi spiegarono un po’ come era la scuola e come erano i professori (nota bene: diffida sempre da quelli di lingua straniera), mi domandarono come era stato avere un insegnante privato, cosa ne pensavo della scuola, se ero venuta in macchina o in bus, qual era il mio colore preferito, mi illustrarono come erano suddivisi gli studenti, le compagnie da evitare, quelle affidabili, le cheerleaders da non far arrabbiare, una ragazza mi fece i complimenti per i miei capelli e la mia scelta di vestiti (qualcuno ci aveva fatto caso siiiiiii), mi domandarono quali materie avessi studiato, se praticavo qualche sport...

Ad un certo punto, non ricordo nemmeno a quale domanda, mi alzai in piedi e ritornai alla lavagna per poter rispondere e commentare tutto quello che avevano detto e stavano dicendo.

Le loro parole erano un’onda quasi incomprensibile ma mi piaceva e non avevo assolutamente intenzione di fermarli, non volevo rompere la magia.
Mentre scrivevo scoccai un’occhiata alla professoressa: sorrideva in modo raggiante e avevo la sensazione che un sorriso molto simile al suo mi si fosse formato sulle labbra.

Nessuno mi aveva mai trattata così, nemmeno nelle mie più rosee aspettative pensavo di ricevere un’accoglienza così calorosa.

Credevo che nessuno mi avrebbe rivolto la parola. Credevo che sarei stata oggetto di prese in giro. Credevo che tutti mi avrebbero evitato come la peste.
Per poco non mi commossi. Mi sentivo come la sorella perduta di ognuno di loro.

Amavo già quella classe.

Scrissi velocissima con il gesso bianco in mano, quella era un’altra cosa nuova per me: avevo sempre lavorato con tablet e computer, avere una vera lavagna nera davanti era incredibile.

Probabilmente ero l’unica studentessa in tutto il mondo occidentale che si emozionava per essere a scuola davanti a una lavagna.
Beh, ero sempre stata una persona un po’ fuori dagli schemi.

Riuscii a rispondere praticamente a tutto occupando gran parte della lavagna.

Scrissi che ero nata in un paesino di campagna ma per problemi di lavoro mia madre aveva deciso di trasferirsi in città (per mia fortuna!) e che mio padre comunque amava la natura per cui abitavamo in un appartamento vicino al parco, sì quel parco, quello più grande, non il giardinetto striminzito vicino a Madison Avenue. Scrissi che ero venuta a scuola in macchina e che no, non avevo la patente e che sì, i miei genitori erano parecchio apprensivi ma lo erano per paura che mi succedesse qualcosa, essendo muta non potevo di certo telefonare o chiamare aiuto in caso di bisogno.  

Scrissi che il mio colore preferito era il grigio. Perché il grigio? Semplice: non ero una di quelle persone che vedeva o tutto bianco o tutto nero, in ogni cosa c’erano infinite sfumature, infinite interpretazioni e no, non era un riferimento al romanzo Cinquanta sfumature di grigio. Con i genitori che mi ritrovavo poi figuriamoci.

Scrissi che avere un insegnante privato non era male ma vedere la stessa faccia per sei ore al giorno dopo un po’ diventava pesante, soprattutto perché mi faceva sempre fare un sacco di esercizi.

Scrissi che conoscevo lo spagnolo ma dovevo migliorare il mio francese (alcuni a quel punto si offrirono già di aiutarmi, che carini) e che no, non praticavo nessuno sport in particolare ma avevo qualche attrezzo da palestra a casa.

Dopo un po’ i miei compagni finirono le domande, o meglio la professoressa li zittì per iniziare la lezione. Aveva ancora il sorriso sul volto ma mi mandò al posto e cancellò la mia fantastica grafia alla lavagna.

Quando mi accomodai e tirai fuori il quaderno e l’astuccio mi resi conto che Lily si era spostata occupando il posto vicino al mio.
-Così se la prof fa qualche domanda e vuoi rispondere scrivi la risposta su un foglio e parlo io al posto tuo. – Mi sussurrò facendomi un occhiolino.
Non sapevo cosa avessi fatto per infonderle una tale simpatia ma gliene fui molto grata.

La professoressa iniziò a parlare di ciò che avremmo studiato durante l’anno, nominò qualche autore che già conoscevo e altri che non avevo mai sentito nominare, ciò mi incuriosì parecchio, ero sempre felice di trovare libri nuovi da leggere.

Ad un certo punto si fermò chiedendoci cosa ne pensavamo del programma.
Sollevai lo sguardo dal foglio in cui avevo annotato i nomi degli autori che non conoscevo e mi resi conto che quasi nessuno aveva prestato attenzione, molti dei miei compagni stavano continuando ad osservarmi, non con un sentimento di pena o compassione ma piuttosto di... curiosità.

Grandioso. Ora avevo due opzioni: o alzavo la mano, scrivevo la mia risposta e davo prova della mia conoscenza nell’ambito della letteratura mostrando così subito a tutti quanto fossi studiosa e nerd; o lasciavo che fosse una delle tre gemelle davanti a rispondere.
Optai per la seconda, avevo attirato l’attenzione già abbastanza.

Rispose la ragazza più a destra del trio, aveva una voce profonda e fin troppo sexy per il modo in cui si atteggiava ma non ci badai più di tanto.
La professoressa continuò a spiegarci in modo più dettagliato il programma, evitai di prendere appunti, scommettevo che prima o poi tutte quelle cose le avrebbe senz’altro ripetute.

 Quando suonò la campanella alcuni ragazzi mi fecero ancora qualche domanda ma io ne avevo una per loro.
“Perché è la scuola più strana di tutto il Paese?” Scrissi su un foglio. Lily lesse ad alta voce.

-Diciamo che siamo una scuola anti-ideale o anti-pregiudizi. – Mi rispose Jackson, uno dei ragazzi dell’ultima fila. Aveva i capelli rossi e uno sguardo furbo.
“Che intendi?” Fu Lily a rispondermi:

-Hai presente i classici film ambientati in una scuola superiore? La classica divisione tra fighi, giocatori di football, cheerleaders e sfigati, nerd, topi da biblioteca, emo e quant’altro? Bene, qui non esiste. O meglio, qui nessuno è stereotipato. –
Ancora non capivo bene. Dovettero intuirlo dalla mia espressione.

Jackson sogghignò allungando le sue lunghe gambe sotto il banco, poi indicò sé stesso con l’indice e disse:
-Ciò che sembro: ragazzo da ultima fila, svogliato, irrispettoso, strafottente. Ciò che sono: campione regionale delle Olimpiadi della matematica. – Spostò la mano e indicò Mary, una ragazza vestita completamente con vestiti di pelle neri, capelli fuxia e percing al naso. –Ciò che sembra: una rocker psicopatica. Ciò che è: un membro dell’orchestra della scuola, suona il violino. – Continuò Jackson, Mary sorrise in modo orgoglioso al suono delle sue parole.

Lily prese di nuovo parola:
-Ciò che sembro: una tredicenne coi codini. Ciò che sono: un’egocentrica, espansiva, modella delle sfilate dei negozi in centro. – Mentre lo disse alzò in alto il mento e sbatté velocemente le palpebre scure in modo sensuale. In molti scoppiarono a ridere.
Okay, stavo iniziando a comprendere cosa intendevano, ognuno di noi era più di una facciata, ma era così ovunque, ancora non capivo cosa centrasse questo con la scuola.

Stella, una ragazza alta e bionda della terza fila sembrò intuire i miei pensieri.
-In questa scuola tutte le attività e i corsi cercano di tirare fuori ogni lato di noi, facendoci evitare di giudicare ed emarginare gli altri; poi è ovvio che ci sia chi ti sta più simpatico e chi meno e come in ogni scuola ci sono i bulli, le cattive compagnie e le persone che non hanno proprio buone intenzioni, però in linea di massima evitiamo di “etichettare”, per quanto a volte sia difficile. – Spiegò parlando quasi a bassa voce.

Ecco, lei a una prima occhiata mi sarebbe sembrata la tipica troia bionda ma il modo in cui aveva parlato... sembrava essere quasi più timida di me. E io ero muta, avevo dei complessi di timidezza da far paura.

Mi illuminai.

Ora capivo perché i miei genitori avevano acconsentito ad iscrivermi qui.
Ora capivo perché tutti anziché guardarmi con compassione mi stessero osservo con curiosità.
Okay, non amavo quella classe, adoravo quella classe.

“Perciò il più figo della scuola cos’è? Un fan di Charles Dickens?” Scrissi. Lily rise un po’ prima di riuscire a leggere ad alta voce.
-No ahahahahah, ma Ryan Blueblood non è comunque il tipico ragazzo figo: non è il capitano della squadra di football, non è snob, né donnaiolo, né cascamorto... insomma, dovresti conoserlo per capire. – Mi rispose continuando a sorridere.

Beh, con un nome del genere avrei pensato tutto il contrario. Quella era davvero la scuola più strana di tutto il Paese. Pensai sorridendo a mia volta.
 
   
 
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