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Autore: CaptainKonny    13/02/2017    6 recensioni
"Quando hai accettato la tua vita e sei pronta ad affrontare il tuo futuro.
Quando ti senti abbastanza forte, credendo che il passato non potrà mai tornare a farti del male.
...E poi arriva uno psicopatico a smontare il tutto."
***
Mi chiamo Serena Brooks e Aaron Hotchner è mio padre...e si è appena fatto rapire dal mio prossimo S.I.
Il vero problema è che io non voglio avere niente a che fare con mio padre.
***
[Dal testo della canzone "Daddy's little girl": Daddy, daddy, don't leave/I'll do anything to keep you right here with me/I'll clean my room, try hard in school/I'll be good, I promise you/Father, Father, I pray to you]
***
Un ringraziamento speciale ad una persona molto importante che ha contribuito alla revisione della storia una volta ultimata.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aaron Hotchner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6

 
“Comunque andare
Anche quando ti senti morire
Per non restare a fare niente
Aspettando la fine
Andare, perché ferma non sai stare
Ti ostinerai a cercare la luce
Sul fondo delle cose”
 
POV SERENA

Era strano trovarsi alla sede dell’FBI di Quantico. Pensare a mio padre che percorreva tutti i giorni quei corridoi avanti e indietro; era quella la cosa che lo aveva visto sempre, ogni giorno presente, ligio al proprio dovere. Mi faceva sentire strana. Ricordo di esserci venuta ancora con mamma, ma da allora erano passati anni eppure non sembrava cambiato nulla.

Ero seduta nella stanza usata di solito per gli interrogatori, ignoravo perché mi avessero portata qui. Dopo aver conosciuto gli agenti Rossi e Morgan, il più anziano aveva chiesto alla ragazza di nome Emily di accompagnarmi qui, così avremmo potuto fare quattro chiacchiere senza essere disturbati. Saranno passati una decida di minuti quando l’uomo mi degnò della sua presenza. I cinquant’anni li aveva superati di sicuro, i sessanta? Probabile, ma non ci avrei scommesso. Aveva un modo di fare galante, si vedeva che era abituato a stare insieme alle persone e amava conversare. Lui faceva in modo che la gente si fidasse di lui per avere le informazioni di cui aveva bisogno, l’esatto contrario di mio padre. Freddo e distante, la sua fiducia andava guadagnata. Non lo biasimavo, anche io ero fatta così sebbene avessi dei comportamenti più espressivi ereditati da mia madre. Non concedevo a tutti la mia fiducia, ma mi ritenevo una ragazza molto socievole.
Come capii tutte quelle cose sull’agente Rossi?
Dal modo in cui mi guardò: da padre affettuoso; dal modo in cui mi sorrise: cortese e rassicurante; dal suo modo di muoversi: raffinato ma spontaneo; dalla sua premura…

-Scusa se ti ho fatto aspettare, ma è stata una mattinata piuttosto intensa e avevo proprio bisogno di una bella tazza di caffè. Spero non ti dispiaccia, ne ho preso uno anche per te. Non dirmi che non lo bevi.- il suo fare scherzoso mi fece sorridere, era di sicuro un buon metodo per allentare la tensione. Avevo infatti avuto modo, durante il viaggio verso Quantico, di pensare a quello che mi sarei dovuta aspettare da questa avventura e, dovevo ammetterlo, la cosa un po’ mi preoccupava. Non sempre si ha voglia di confrontarsi con il proprio passato.

-Sì, grazie. È stato molto gentile.-

-Ma ti pare, per così poco.- prese posto sulla sedia di fronte a me, le braccia sopra al tavolo, le dita delle mani intrecciate in una posizione a lui naturale. Era più forte di me, non riuscivo a non analizzarne i movimenti, le espressioni. Mi capitava praticamente con tutti. Lui poi sapevo essere il secondo agente in comando dopo mio padre, probabilmente lo conosceva persino meglio di me, ovvio che provassi un profondo interesse nei suoi confronti. Così come anche negli altri colleghi del team.
Avevo le gambe accavallate con nonchalance di lato, le mani appoggiate in grembo in una postura rilassata e lo guardavo simulando la più completa tranquillità. Era giunto il momento di rompere il ghiaccio.

-Pensavo di essere qui per dare una mano, non come sospettata.- dissi sorridendo a mo’ di battuta, facendo tuttavia vagare lo sguardo per la stanza, in modo che l’agente capisse il significato delle mie parole.

-Infatti è così.- confermò lui.

-E, mi dica, c’è qualcuno oltre il vetro?- domandai, indicando con un cenno del capo il vetro nero oltre le sue spalle, dove sapevo esserci una stanza per ascoltare gli interrogatori senza essere visti e sentiti.

-No, siamo solo noi. Ho pensato che avresti preferito fare quattro chiacchiere in privato piuttosto che sotto gli occhi di tutti.- rispose con calma, gli occhi stretti sapevo mi stavano studiando. Mi aveva detto la verità, in caso contrario non mi avrebbe fornito alcuna spiegazione.

-Quattro chiacchiere di che genere?-

-I ragazzi ti hanno spiegato la situazione. Personalmente, ritengo che l’S.I. si stia in un qualche modo vendicando di un torto subito da tuo padre. Per lui è una faccenda personale, una sorta di conto in sospeso.-

-E io come posso esservi d’aiuto?-

-Il rapitore ha chiesto di parlare con te. Sa di te, ti ha chiamata in causa. Entrambi, tu e Hotch. Il fattore scatenante quindi potrebbe essere nel tuo passato.-

-Vuole che le racconti la storia della mia vita?- non sapevo se mettermi a ridere o essere stupefatta.

-Solo ciò che riguarda il rapporto tra te e tuo padre. Inoltre, l’S.I. ti vuole coinvolgere attivamente nel suo piano. Con la giusta preparazione che noi ti forniremo, potremo farlo uscire allo scoperto e catturarlo.- ne era convintissimo e la cosa mi lasciò perplessa; e non poco. Non sapevo nemmeno io cosa dire. Scossi la testa, arrendendomi all’inevitabile; ecco un comportamento che mio padre non avrebbe mai avuto.

-Da dove vuole che parta?-

L’uomo si appoggiò allo schienale della sedia, preparandosi ad una lunga chiacchierata.

-Partiamo da qualcosa di recente, poi torneremo indietro. Il dottor Reid mi ha raccontato che studi profiling all’accademia.-

-E’ corretto.- Rossi sollevo le sopracciglia, sorpreso.

-Ammirevole! A che anno sei?-

-L’ultimo. Alla fine della prossima primavera sarò un profiler a tutti gli effetti.-

-Però! Sei una ragazza forte. La cosa non mi sorprende, entrambi i tuoi genitori lo sono.-

-Mia madre è morta.- non so perché, eppure ci tenni a precisarlo. Rossi si lasciò andare ad un sospiro amaro alla mia affermazione.

-Lo so. C’ero anche io quando trovammo tuo padre con lei tra le braccia. Mi dispiace.-

-Non fa niente. Sono cose che succedono in questo lavoro, giusto?- non avevo voglia di rivangare la morte di mia madre, perciò mantenni un tono distante.

-Giusto. E come mai hai scelto proprio questa specializzazione?- questa volta le sue sopracciglia si incurvarono, in un chiaro segno di concentrazione.

-Non per essere scortese, ma è la stessa domanda che mi hanno posto i suoi agenti quando sono venuti a prelevarmi.-

-Immagino, ma se non ti dispiace vorrei che fossi tu a parlarmene. Magari a loro è sfuggito qualcosa che a me non sfuggirà.- la sua occhiata era eloquente e non potei impedirmi dal sollevare l’angolo destro della bocca in un sorriso sghembo da malandrina.

-Capisco agente, nessun problema. La verità è che sono sempre stata affascinata dalle persone, dai loro modi di comportarsi, di pensare. Ho sempre guardato al profiler, come a una persona che fa un lavoro emozionante. Pericoloso certo, ma non sono fatta per starmene seduta in un ufficio ad ascoltare chi mi racconta i propri problemi. A me i problemi piace trovarli e risolverli.-

-E con quello che è successo alla tua famiglia? Non dev’essere stato facile.-

-Agente Rossi, David, quello che è successo alla mia famiglia è stata una tragedia e non lo auguro a nessuno. Tuttavia ho sempre avuto questa predisposizione ad analizzare le cose e le persone. È una mia attitudine e, malgrado quello che è successo, si è consolidata. So come lavora mio padre, i casi di cui si è occupato in passato, le volte in cui tornava a casa preparava la valigia e ripartiva. Certo, ero piccola e allora non capivo, ma di una cosa ero certa: il mio papà era un eroe, perché quando tornava a casa aveva salvato la vita di qualcuno.- me ne rendevo conto sempre troppo tardi del fervore che ci mettevo quando parlavo di quanto bene svolgesse il proprio lavoro mio padre.

-Quindi è anche merito di tuo padre se hai scelto il profiling?-

-Sicuramente. Possono esserci stati dei dissapori, ma sono sempre stata orgogliosa di mio padre come profiler. È sempre stato il migliore.-

-Anche come padre?-

Era cosciente di avermi appena sparato contro un proiettile invisibile. Dovevo immaginarlo che sarebbe stato quello il punto di collisione. Mi morsi il labbro inferiore, soppesando le parole con cui avrei dovuto rispondere, il tutto con la massima calma, malgrado l’agitazione che piano piano si faceva largo dentro di me. Colsi così l’occasione per dar voce ai pensieri, almeno ad alcuni, che non avevo mai esternato.

-Che cosa intende per esattezza?-

-Finora mi hai parlato di tuo padre come agente, come profiler, dei casi che ha risolto. Ma a casa? Com’era il vostro rapporto? Per quasi tutti i bambini almeno uno dei genitori è il suo eroe, per te lo era come poliziotto. E quando era a casa? Ritieni sia stato un buon padre?-

-Mio padre ha sempre fatto di tutto per non farci mai mancare nulla, per compensare le sue mancanze.-

-Vi comprava dei regali?-

-Non era quello. Quando era a casa passava la maggior parte del tempo con noi, quasi volesse recuperare quello perso. Ci dimostrava di essere in grado di coprire l’assenza che c’era stata. Al lavoro era al cento per cento un poliziotto e a casa era al cento per cento un padre. Amava mia madre e voleva un mondo di bene a noi, nessuno avrebbe potuto dire il contrario.-

-Non eri arrabbiata con lui quando tornava dopo essere stato via per tanti giorni?-

-Sì, ma era comprensibile. Mi era mancato ed io ero solo una bambina che voleva tornare a casa e riabbracciare tutta la propria famiglia.-

-Anche Jack la pensava come te?-

-Più o meno. Lui sentiva la sua mancanza, ogni tanto lo cercava, ma faceva presto a distrarsi e far passare il tempo. Io invece ero quella che si fermava ad analizzare così tanto le cose da non riuscire più ad andare avanti se non una volta risolte. Abbiamo sempre avuto caratteri diversi. Una volta infatti era stato Jack a cercare papà mentre era al lavoro, io non ci avevo nemmeno provato, mi avrebbero dato della monotona. Tuttavia quella notte fu proprio Jack a dormire come un ghiro, mentre io rimasi sveglia tutto il tempo, finchè non sentii la porta di casa, segno che era tornato.-

-Mi sembra di capire che tu e tuo padre eravate molto legati.-

-E’ così. Credo che lui sapesse esattamente come compensare le differenze di carattere tra me e mio fratello, dedicarci la giusta attenzione. Posso dire che non ci ha mai fatto mancare nulla.-

-E con tua madre? Com’era il loro rapporto?- avevo capito dove voleva andare a parare l’agente Rossi, ma non mi scomposi, era inevitabile che prima o poi ci saremmo arrivati.

-Come le avevo accennato poco fa, chiunque avrebbe notato che si amavano. Forse troppo. E prima o poi anche nelle coppie perfette sorgono i problemi.-

-Immagino tu stia parlando del loro divorzio.-

-Agente Rossi, credo lei lo sappia, quando si fa un lavoro come il vostro non è semplice avere una famiglia. Dedicargli l’attenzione che meriterebbe.-

-Ma prima hai detto che tuo padre era bravo a compensare le sue assenze.-

-E lo era, lo è stato per molto tempo. Ma secondo mia madre non era sufficiente. Ogni tanto li sentivo discutere, ma non ne capito il motivo. Ero una bambina, quando si è piccoli la percezione del tempo e delle cose è diversa. Di una cosa però ne sono certa: mia madre ha lasciato mio padre con l’unico intento di farlo tornare da noi. Perché loro si amavano alla follia.- ed era vero, adesso che lo esprimevo ad alta voce lo era più che mai.

-E secondo te c’è riuscita?-

-Personalmente credo che abbia messo mio padre in una posizione in cui nessuna persona dovrebbe mai trovarsi: scegliere. Non che sia sbagliato, ma quante probabilità al mondo ci sono di incontrare una persona felice perché realizzata sia nel lavoro che nella vita privata? Mio padre era una di queste. Amava il suo lavoro e amava noi, non si può accusarlo di aver mescolato le due cose.-

-Credi quindi che fosse tua madre quella in errore?-

-Vuole sapere di cosa aveva paura mia madre, agente Rossi?- lo fissai intensamente, lasciando per un attimo da parte i ricordi d’infanzia. Lui non rispose, semplicemente mi restituì lo stesso sguardo. –Mia madre temeva che un giorno, uno di voi, avrebbe suonato alla porta di casa nostra, consegnandoci la busta contenente gli effetti personali di mio padre. Perché è per questo che si separano le famiglie dei poliziotti, vero? La paura che un giorno il proprio compagno non torni più a casa.-

-Perdona la mia perplessità, ma come fai a ricordare tutte queste cose? Eri molto piccola.-

-Quattro anni. Mia zia non mi parlava quasi mai di mio padre, solo di mia madre e ho ancora dei video, miei e di Jack di quando eravamo piccoli e qualcuno anche di mamma e papà. Gliel’ho detto, mi piace analizzare le cose, le persone, le situazioni e in tutti questi anni, anche quando ero piccolissima, la mia famiglia è stata il mio primo oggetto di interesse. E visto che lei conosce bene mio padre, non credo troverà discrepanze in quello che le ho detto.-

-No, infatti. Hai iniziato a tracciare i profili delle persone ancora prima di sapere cosa fosse un profilo, notevole.-

-Il classico elemento di disturbo nella classe.-

-Mentre tuo fratello prendeva ottimi voti e si relazionava con tutti i bambini, tu te ne stavi in disparte senza farti notare. Riservando il meglio per dopo.- un breve profilo, ma accurato; e bravo l’agente Rossi. Ma la strada era ancora lunga. –Quindi, tua madre ha messo tuo padre in una posizione difficile. Quale sarebbe stato secondo te l’esito di questa situazione?-

-Non lo so, ma dubito avrebbe portato a qualcosa di buono. Penso che comunque fosse andata, la nostra famiglia sarebbe stata destinata a sgretolarsi.- presi un bel respiro, non avevo intenzione di soffermarmi troppo su ogni singolo caso. –Però Foyet è arrivato prima.-

-Mi dispiace dovertelo chiedere, ma ti andrebbe di farmi un breve resoconto?-

-Io e Jack vivevamo con mia madre. Quando mio padre vide che Foyet stava iniziando ad interessarsi troppo alla squadra, a noi, ci ha fatto mettere nel programma di protezione. Ma lui ci ha trovato lo stesso. È stato gentile con me e con Jack, ma capivo che c’era qualcosa che non andava, mamma piangeva. Poi la mamma ha passato il cellulare a Jack, papà gli ha detto che doveva lavorare con lui e con me a quel caso. Noi sapevamo cosa voleva dire, era una frase in codice, nel caso lui non ci fosse stato. Jack mi prese per mano e mi accompagnò al mio nascondiglio, poi anche lui si nascose. Fu una poliziotta a tirarmi fuori. Non avevo paura, pregavo solo che mio padre arrivasse in tempo. Mio padre fece un enorme sforzo per non far vedere a me e a mio fratello quanto soffriva, si preoccupò piuttosto di riempire quel vuoto che era stato lasciato, ben sapendo che non sarebbe mai riuscito a riempirlo del tutto. Lo ammiro per questa prova di coraggio, lui se l’è dovuta cavare da solo.-

-Non da solo Serena, aveva voi.-

-Vero, ma se conosco mio padre almeno un po’ so che si reputerà sempre responsabile per la morte di mia madre, per non essere arrivato in tempo.- non avrei mai immaginato potesse dare così fastidio riesumare il passato. No, non era affatto semplice come avevo immaginato.

-Preferisci fare una pausa?- l’agente dovette notare il mio stato d’animo. Deglutii.

-A dire il vero preferirei continuare, così poi non ci dovrò più pensare.- quanto mi sbagliavo.

-E dopo? Cosa è successo al vostro rapporto?-

-La zia ci faceva da babysitter e mio padre cercava di esserci, facendoci sia da mamma che papà. Non dev’essere stato facile.-

-E…dopo la morte di Jack?- malgrado il suo fare composto intuii che avrebbe tanto voluto risparmiarmi quella domanda. Mi irrigidii, quella era la parte della storia che preferivo meno, quella che avrei volentieri cancellato.

-Dopo? Io cessai di esistere. Per tutti. Anche per mio padre.- non dovette passare inosservato il tono amaro con cui risposi.

-Ma avete continuato a sentirvi.- disse lui, come se la cosa potesse portare qualche punto a favore di mio padre. Piegai le labbra in un sorriso triste.

-Certo, dopo che si privò della mia custodia per cederla a mia zia. Dopo che mi privò del cognome di famiglia. Dopo che cessò di vedermi anche quel poco che il suo lavoro ci permetteva. Inizialmente non capii, pensavo sarebbe stata una cosa temporanea e che presto lui sarebbe venuto a prendermi per portarmi a casa. Capii che non sarebbe stato così dopo le prime volte che venne a trovarci e sempre dopo un paio d’ore se ne andava. Iniziai a pensare che fosse colpa mia, malgrado le rassicurazioni sue e della zia. Le visite da settimanali divennero mensili, poi sempre più rare. Sa, gli scrivevo lettere tutti i giorni e anche lui di tanto in tanto mi rispondeva. Poi sembrò sparire sempre di più, come un amico immaginario che quando si diventa grandi scompare. Quando fui più grande e affrontai per la millesima volta questo argomento con lui, la sua risposta fu che comprometteva la mia sicurezza. Fu l’unico caso in cui mia zia si alleò con lui. Non è che lo odi, ma ha sempre pensato che se la nostra famiglia è stata distrutta, parte della colpa è stata di sicuro del suo lavoro.-

-E tu cosa ne pensi?-

-Penso che, viste come sono andate le cose, una scelta era d’obbligo.- cercai di mantenere la voce ferma, ma avevo preso a torturarmi le mani in grembo.

-Avresti posto le stesse condizioni che tua madre fece a suo tempo?-

-Allora stavamo bene, eravamo ancora insieme. Ma dopo…mamma e Jack erano stati assassinati, io avevo quattro anni e mio padre era tutto ciò che mi rimaneva.-

-Gliene fai una colpa.- non era una domanda, ma quel punto poco importava.

-Certo che gliela faccio. Avevo bisogno di lui e lui cos’ha pensato bene di fare? Darmi il “contentino” per pochi mesi restando con me e poi sparire. Io…non so nemmeno come trascorra la vita mio padre dopo il lavoro, cosa gli piaccia e cosa no. Lei non crede che una figlia dovrebbe sapere queste cose del padre?-

Il suo sguardo era malinconico, non gli piaceva quello che aveva appena sentito e potevo capirlo bene, io stessa tutte le volte che rivivevo quella storia mi sembrava ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato, quasi un personaggio avesse sbagliato copione; ma era quella la verità.

-Mi dispiace Serena, posso solo immaginare quello che hai passato in tutti questi anni. Ma posso dirti una cosa: conosco tuo padre da tanti anni, passo con lui tutte le giornate e credimi se ti dico che se ha fatto quello che ha fatto è stato solo per proteggerti. Lui si tiene tutto dentro, ma ricordo i suoi occhi brillare quando parlava della sua famiglia e ricordo il suo dolore quando sono morti Haley e Jack. Nemmeno per lui sarà stato facile prendere quella decisione e di certo non gli avrà fatto piacere.-

-Lo so. Ma non è abbastanza. Io ero sua figlia e avevo bisogno di lui e lui non c’era. Ha sempre sacrificato la sua vita per gli altri, ma con me ha preferito fare l’esatto opposto. Lui era al lavoro, è stato per lavoro che mamma e Jack sono morti. Voleva salvarmi? Gli sarebbe bastato fare l’esatto contrario: restare con me.- ero arrabbiata e tanto. Era la prima volta che mi sfogavo a quel modo con qualcuno. L’agente Rossi invece appariva estremamente calmo, ad eccezione di alcune espressioni che lasciano intuire i propri pensieri. Difatti io avevo iniziato ad alzare la voce, il suo tono invece era tranquillo.

-Avresti obbligato tuo padre a lasciare il suo lavoro?-

-Sarebbe stata la scelta più logica. Sarebbe potuto tornare a fare l’avvocato come un tempo. Almeno finchè non fossi stata abbastanza grande per intraprendere la mia strada.- fissai l’agente negli occhi, tornando a calmarmi –Ma la verità è che non l’avrebbe mai fatto. Mio padre amava troppo il proprio lavoro, malgrado gli incubi che gli lasciava. Il suo obiettivo nella vita era quello di assicurare un futuro migliore a tante famiglie. Ma, così facendo, ha trascurato quello che rimaneva della propria. Ha scelto quello che io definisco “il male minore”. Se avesse fatto il contrario sarebbe vissuto di rimpianti. Voleva sapere perché voglio diventare profiler malgrado tuto quello che mi è successo, agente? Perché sono convinta che non farò gli stessi errori che ha commesso mio padre in passato.-

Ci guardammo per un lungo momento, in silenzio. Dopo di che l’agente Rossi si alzò, raccogliendo entrambe le tazze di caffè ormai vuote. Stava per uscire dalla stanza, quando si voltò verso di me.

-Voglio dirti una cosa, probabilmente non te lo sarai sentita dire molto spesso, ma tu e tuo padre siete due gocce d’acqua. Vi assomigliate più di quanto voi stessi possiate immaginare.- era un sorriso gentile quello che aveva sul volto quando se ne andò, mentre io a quelle parole ero rimasta scioccata.

 
BAU TEAM

David raggiunse il resto della squadra nell’openspace, aspettando una qualche informazione da parte di Garcia, l’unica in quel momento in grado di trovare una qualche traccia utile. Nel frattempo dovevano aspettare, sui loro volti l’attesa lasciva profondi segni, poiché non erano abituati a starsene con le mani in mano. Appena lo videro tutta l’attenzione si calamitò su di lui.

-Allora?- JJ di solito era la più controllata del gruppo, ma in quel momento anche lei si sentiva messa alle strette. L’uomo sospirò prima di  rispondere.

-E’ arrabbiata, molto. Frustrata dal passato che ha condizionato il suo presente, privandola del padre.-

-Lasciami indovinare: dà tutta la colpa a Hotch.- intervenne Derek.

-Solo della loro separazione. A quanto ho capito l’ha vissuta come un vero e proprio abbandono.-

-Piuttosto comprensibile, era molto piccola quando ha perso la madre e il fratello. Hotch era l’unico membro della famiglia a cui appoggiarsi, ma poi lui è scomparso.- disse Reid col suo solito fare metodico.

-Sì, ma credo ci sia dell’altro. Lei e Hotch hanno molte caratteristiche in comune, non mi stupisce quindi il suo precoce interessamento al profiling.- spiegò David.

-Credi che il loro legame fosse già consolidato?- domandò Emily.

-Mi ha raccontato che una volta è stata sveglia tutta la notte aspettando che Hotch rientrasse da un caso. Quando ha raccontato della morte di Haley e Jack c’era la tristezza della perdita, ma quando ha parlato di Hotch era…arrabbiata.-

-Di solito le figlie si legano di più ai padri.- convenne Emily.

-Secondo voi lo odia?- domandò JJ.

-No, non credo. Altrimenti non sarebbe qui. Credo piuttosto si tratti di un ultimo disperato tentativo di salvataggio.- rispose David.

-In che senso?- chiese Derek.

-Come i bambini. Si arrabbiano, ma alla fine è la loro indole pacifista a prevalere. Nel loro mondo alla fine va tutto per il meglio.- spiegò Reid.

-Malgrado i sentimenti contrastanti, Serena vuole disperatamente capire e tornare ad avere quel legame che aveva con suo padre.- completò David.

-Legami del genere non si distruggono mai.- disse JJ, parlando da madre.

-Sì, ma questo lei non lo sa ancora.- commentò Derek.

Fu uno dei suoi cellulari a riscuotere l’attenzione di tutti. Subito lo attivò, mettendolo in vivavoce.

-Dicci tutto Bambolina.-

-Ragazzi, forse ho trovato una pista! Un mese fa Rowan McGrant è uscito di prigione per buona condotta.- iniziò la bionda, prima di venire interrotta da Derek.

-Ricordo quel caso, fu Hotch a inchiodarlo e sbatterlo dentro.-

-Sì, ci stavo giusto arrivando se mi avessi lasciato finire Cioccolatino. Ad ogni modo, non ha lasciato nessuna traccia del suo passaggio, si è volatilizzato. Tuttavia, mentre era in prigione ha condiviso la cella con un detenuto che sapeva tutto riguardante Hotch e la sua famiglia: Rudy Gilgun.-

-Ma è l’uomo che ha assassinato Jack!- esclamò JJ, mentre Emily non riusciva a trattenere un’imprecazione.

-Esatto Confettino. Sta ancora scontando la sua pena, vi ho mandato tutte le informazioni sui palmari.-

-Grazie Garcia, sei stata grande.- disse Derek.

-Di nulla Tesoruccio.- salutò lei, lasciando intuire che stesse sorridendo, prima di riagganciare.

-D’accordo, andiamo a fare una visita a Gilgun.- disse Derek, infilando la pistola nella fondina, preparandosi a partire.

 
“Comunque andare
Anche solo per capire
O per non capirci niente
Però all’amore poter dire ho vissuto nel tuo nome”
  
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