Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Dobhran    14/02/2017    0 recensioni
Si avvicinò per sussurrarmi nuovamente nell'orecchio, a bassa voce come per rendere quella conversazione il nostro sporco segreto. «Lui ti ha fatto delle promesse che non può mantenere, assicurandoti che ti proteggerà. Io invece sono un uomo di parola e ti faccio la mia promessa: ti ucciderò. Non so come, non so quando, ma so per certo che morirai. Non ti lascerò tregua, ti tormenterò, ti farò soffrire e soprattutto farò soffrire lui che guarderà la sua protetta spegnersi per colpa sua».
- La distrazione di una sera e Amber si trova a dover affrontare un pericolo più grande di lei, un predatore spietato e all'apparenza imbattibile. Impaurita, isolata e incapace di distinguere gli amici dai nemici, la realtà dall'incubo, Amber sarà spinta al limite delle proprie forze. Ad aiutarla, un ragazzo misterioso e dall'aria innocente che afferma di essere qualcosa in cui Amber non ha mai creduto. In fondo, angeli e demoni sono solo frutto di sciocche superstizioni popolari...giusto? -
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Flutti mortali mi circondarono, torrenti esiziali mi travolsero, mi avvolsero vincoli infernali, mi avvinsero lacci di morte.
Salmi, 18, 5-6.




17.




Paradossalmente, fu il silenzio a svegliarmi. Anche in un quartiere tranquillo come quello, il respiro della città era impossibile da frenare. L’usuale sottofondo di auto, motorini, guaiti di cani e lotte furiose tra gatti rivali non mancava mai.
Spalancai gli occhi nella penombra della mia stanza, consapevole che ci fosse qualcosa di diverso in quella notte, qualcosa di…disumano. Una parola semplice, comparsa dal nulla nella mia mente senza che l’avessi evocata di proposito. Ma sembrava dannatamente appropriata.
Tesi l’orecchio, in una quiete perfino angosciante, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse indicarmi il motivo della mia inquietudine. Eppure a prima vista tutto era al posto giusto, la debole luce dei lampioni in strada e quella pallida, lattea della luna penetravano nella stanza dalle finestre, come tutte le altre sere in cui non serravo le persiane. Tingendo gli interni della camera aiutava la vista a scorgere almeno il profilo degli oggetti: la sedia, una pila di libri sulla scrivania e il portatile proprio lì accanto.
Sbattei per un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il più possibile, ma proprio quando stavo per convincermi che la brutta sensazione che mi aveva destata era solo una debole impressione, il mio sguardo fu catturato da una chiazza scura sul tessuto bianco ed etereo della tenda, come il fantasma di un film dell’orrore da quattro soldi.
Ci misi qualche secondo prima che il cervello riuscisse a realizzare che si trattava di un ombra. Mi voltai di scatto verso la mia destra, trattenendo a stento un grido e alzando le mani in un patetico tentativo di difendermi.
Il viso che mi trovai ad osservare era più serio del solito, e lo sguardo imperscrutabile era fisso su di me. Avrei dovuto sentirmi come minimo indignata per la sua presenza, totalmente illegittima, invece fu quasi un sollievo trovarmelo di fronte.
«Samuel...che ci fai in camera mia?» Non rispose, ma con un cenno del capo indicò la porta della stanza e all’improvviso, dal nulla totale di quell’innaturale silenzio, come se ad un suo gesto fosse corrisposta una precisa conseguenza, da lì parve provenire un sottofondo agghiacciante…erano urla quelle che sentivo al di là di essa?
«Che cos’è?» Chiesi di nuovo, ma come alla prima domanda, anche a questa non seguì nulla se non un sorriso enigmatico. Quasi complice, sebbene non sapessi a cosa potesse riferirsi. Di nuovo un cenno, poi il ragazzo mi porse la mano, che strinsi senza questionare. Scivolai fuori dalle lenzuola senza chiedere dove mi volesse portare, immaginando, anzi sapendo che a tempo debito lui mi avrebbe svelato tutto.
Afferrò la maniglia con gesti lenti e controllati, e la sua stretta attorno alle mie dita si fece più salda. Confortante.
«Qualsiasi cosa tu veda, non temere. Sono qui e non ti lascerò» disse finalmente. Aprì la porta e i suoni che poco prima mi erano giunti indistinti, ora erano ben chiari. Non mi ero immaginata nulla e non avevo frainteso. Grida, urla, schiamazzi e pianti.
Ma da dove proveniva un rumore tanto raccapricciante?
Davanti a me si presentò una lunga scalinata, tanto lunga che mi fu difficile individuarne la fine, ma era ben illuminata da file di torce rudimentali affisse a parenti in pietra. Mi ricordò gli accessi ai sotterranei di qualche antico castello, stanze segrete colme di tesori nascosti o, a giudicare da ciò che sentivo, luoghi da incubo dove vittime ignote venivano sottoposte a indicibili torture.
Samuel mi fece strada, in silenzio e con lo sguardo concentrato e fisso davanti a sé. Come accadeva spesso in sua compagnia, mi interrogai su quale fosse il suo stato d’animo e la natura dei suoi pensieri. Avrei dato ben più di un penny per conoscerli e risolvere il mistero che avvolgeva quello strano ragazzo.
Mi schiarii la gola e quel tentativo di trovare le parole giuste riecheggiò tra le fredde pareti, aggiungendosi agli strilli e alle altre voci.
«Forse dovrei chiederti scusa…» mormorai. «Sì, per come mi sono comportata stasera». Era davvero successo solo quella sera? Mi sembravano secoli. «Sono stata brusca e mi dispiace. Ero un po’…tesa e spaventata».
Scosse la testa. «Non è colpa tua. Sono stato poco chiaro fin dal principio, poco incisivo e poco convincente. È normale non credere, ma ora sarà tutto diverso. Sono certo che riuscirò a mostrarti la verità una volta per tutte». Non sapevo perché, ma la serietà con cui pronunciò quelle parole riuscii a convincermi che avrebbe davvero fatto tutto il possibile per rendere veri i suoi racconti.
Ogni passo sui quei gradini visibilmente consumati dal tempo fu accompagnato dal suo rimbombo immediato, ogni gradino ci avvicinò a ciò che ci attendeva alla fine della scalinata, finché essa non terminò in un prolungamento circolare dei gradini. Libero dai limiti imposti dalle strette mura che mi avevano affiancato poco prima, il mio sguardo ebbe la possibilità di spaziare. Rimasi senza fiato. Un’enorme sala si apriva davanti a noi in una lucida distesa di marmo. Il pavimento richiamava i motivi di una scacchiera, con un’alternanza di bianchi e neri seducente alla vista.
La nostra scala era solo una delle molte che portavano direttamente al pavimento, in tutto ne contai sette, identiche a quella che io e Samuel avevamo sceso, sormontate dall’imponenza e dall’eleganza di altrettanti archi ogivali. Al culmine di ogni ogiva, poco sopra il punto in cui le linee dell’arco si univano, degli altorilievi sembravano quasi etichettare ogni scala, ognuno diverso dall’altro. Non c’erano finestre, vetrate o rosoni a donare un po’ di luce naturale all’ambiente, solo altre fiaccole e tante, tantissime candele poste a terra intorno a noi o su candelabri di ogni stile e forma, semplici o con i bracci intrecciati. Ne derivava un chiarore soffuso e suggestivo che disegnava ombre su ogni particolare dell’architettura.
«È meraviglioso» sussurrai, sapendo tuttavia che quel solo aggettivo era troppo debole per riassumere lo splendore del luogo. «Ma dove ci troviamo?»
«Credo che a questo punto tu lo abbia capito» rispose Samuel, continuando ad indossare quella maschera enigmatica che non l’aveva lasciato per un solo istante mentre mi aveva accompagnata lì.
«Il Paradiso?» Si limitò a guardarmi e a farmi gentilmente segno di proseguire avanti a lui. Scesi gli ultimi gradini, notando che i rumori si erano fatti sempre più distinti. Non era una voce singola quella che avevo udito in camera, ma appartenente a tante persone, unite in un unico grottesco ululato. Un inquietante coro di cui tuttavia non conoscevo la provenienza. E oltre a quello…i miei occhi ben attenti a dove mettevo i piedi su quei gradini consunti, si posarono su un particolare che notai solo in quel momento e che era distribuito sul bianco sporco del marmo in gocce che formavano una traccia sottile e incostante.
Sangue.
Diedi un lieve strattone alla mano di Samuel per attirare la sua attenzione. «Come mai c’è del sangue su questi gradini? E chi sono queste persone? Perché strillano?» Mi guardò di sottecchi, come se la risposta fosse più che scontata.
«Non penserai sul serio che chi è destinato a scendere queste scale lo faccia docilmente…o sì?» Un brivido mi corse lungo la spina dorsale e la consapevolezza si fece strada nella mia mente insinuandosi come una serpe tra i miei pensieri. Non mi sentivo più tanto a mio agio dopo l’affermazione del ragazzo e sebbene continuassi a pensare che attorno a me fosse tutta una meraviglia, qualcosa di sinistro era andato ad intaccare l’equilibrio formale e l’armonia delle strutture.
«Non è il Paradiso, vero? È l’Inferno…»
«Molto brava, Amber. Vedo che cominci a comprendere come stanno le cose. Ora vieni con me». I suoi passi rimbalzarono in un’eco tra pareti e colonne marmoree, accompagnati subito dal suono dei miei. Mi sforzai di non seguire con lo sguardo l’inquietante tracciato del sangue.
Giunti alle estremità del pavimento a scacchiera, un tremito percorse il marmo producendo un boato così potente da scuotermi le viscere. Afferrai il braccio di Samuel con tutte le mie forze e mi sforzai di non crollare, mentre delle venature scalfivano la superficie opaca del suolo, scheggiando ogni riquadro e spezzando a metà quell’alternarsi poetico di bianco e nero, come ghiaccio troppo sottile sottoposto ad un eccessivo peso. Dal centro fino a pochi passi da noi, il pavimento cedette e si aprì un’enorme voragine. In pochi secondi il rimbombo cessò e senza più alcun ostacolo ad attutirle, le grida mi giunsero più intense e terrificanti che mai.
«Guarda» ordinò Samuel. Scossi la testa, sentendo il sudore cominciare ad imperlarmi la fronte, ma sedotta dalla mia curiosità non potei impedire al mio corpo di sporgersi abbastanza per cogliere ciò che lo squarcio nel terreno celava.
Solo un’occhiata. Dovevo vedere.
Diavoli, ovunque. Diavoli dalle forme più strane, uno più spaventoso dell’altro, dai vari colori. Pelli scure, nere, rosse e grigiastre, peli, scaglie, zanne.
Tutti in un fremito d’entusiasmo brandivano lance, forconi, lunghi ferri uncinati e tra risate sguaiate e un baccano che quasi mi costrinse a tapparmi le orecchie, ghermivano corpi nudi, ferivano con le unghie, deridevano, pungolavano, sputando e minacciando.Vidi un uomo dilaniato cercare di scappare invano dal suo inseguitore, una giovane donna sfigurata da un Diavolo raggrinzito che premeva sul suo viso un ferro rovente, e centinaia di altre vittime di quella malvagia frenesia.
Chiusi gli occhi. Mi sembrava troppo e assurdo. Volevo solo andare via, ma non riscrivo a muovere un muscolo, come se il desiderio di guardare meglio vincesse ogni altro sentimento di ribrezzo e panico. Rimasi immobile, congelata dal terrore, mentre la mia mente continuava a volersi ribellare a quella scena.
«Terrificante, non è vero?» Tornare a fissare Samuel fu una benedizione, un temporaneo rifugio dall’orrore. Le sue iridi celesti erano rese ancora più brillanti dalle brutture che ci circondavano.
«È orribile vedere fin dove gli uomini si possano spingere». Commentò, con lo sguardo perso in quella visione raccapricciante.
«So cosa stai pensando» fece ancora prima che potessi anche solo aprire la bocca. «Sei spaventata da ciò che i Diavoli stanno facendo, ti sembra crudele e brutale, ma è colpa degli uomini. È sempre stato così». Allargò le braccia come per indicare tutto ciò che quella voragine conteneva. La mia mente era piena d’orrore ma nonostante questo i miei occhi non si staccavano dalla scena di tortura poco sotto di noi.
«Ecco il frutto del peccato. Ecco il castigo eterno». La sua voce aveva un che di solenne, di imprescindibile come se avesse appena confessato una verità assoluta. Non batteva ciglio di fronte a quelle immagini, sembrava quasi sforzarsi di fissare la scena senza distogliere lo sguardo.
«Non c’è nulla che si possa fare? Nemmeno tu?» chiesi in un filo di voce. Avrei voluto aggiungere nemmeno tu che sei un Angelo? ma mi sarebbe sembrata ancora una frase assurda, sebbene la verità mi si fosse presentata casualmente davanti agli occhi. Gli rivolsi uno sguardo colmo di supplica e sentii la frustrazione crescere quando lo vidi scuotere la testa.
«Hanno scelto» sentenziò.
A distogliere la mia attenzione fu un grido improvviso, acuto e angosciante. Dalla scalinata accanto a quella dove ci trovavamo, un corpo massiccio dalle fattezze solo lontanamente umane e seminudo come una sorta di orrendo gladiatore degli inferi, scendeva i gradini stringendo una pesante catena che si era posato in spalla come un curioso bagaglio. Incatenata alla sua estremità vidi la figura snella di una ragazza, che gridava e lottava con tutte le forze per evitare la sua sorte. Con le mani si aggrappò ad ogni scalino che trovava, ma non poté nulla contro la forza bruta del suo carceriere, che la trascinava sempre più in basso.
«Aiuto!» Non appena mi scoprii a fissarla tese una mano nella nostra direzione, come se potesse afferrarsi anche a me e assicurarsi la salvezza. «Ti prego, aiutami!» Per un secondo parve riuscire nel suo intento, ma la delusione fu ancora più amara quando con uno strattone, l’uomo, o meglio la bestia, la trascinò sul pavimento.
«No, no! Per favore, non farlo!» Con una sorta di ringhio, l’essere ignorò le sue suppliche, l’afferrò per le caviglie e la scaraventò giù, godendosi gli strilli prolungati e penosi che seguirono. Non ci tenevo a scoprire come i Diavoli si stessero divertendo con lei, perciò cambiai soggetto. Tra il sangue versato e la carne viva esposta a causa dei colpi crudeli di quei seviziatori, mi catturò un’immagine se possibile peggiore. Una donna tentò di tenere a sé il bambino appena nato, ma uno dei suoi aguzzini glielo strappò dalle mani e iniziò a divorarlo, dilaniandolo con i denti.
Mi passai le mani sugli occhi, scoprendo di tremare. Chi avrebbe mai potuto scegliere di vivere una simile esistenza? Chi mai avrebbe desiderato una punizione tanto straziante? Dov’erano Dio e la sua clemenza?
«Portami via di qui…» mormorai, implorante. «Ti prego».
«Devi vedere, devi capire qual è il destino di chi infrange le regole». La voce di Samuel mi parve diversa, più bassa di tono, più melliflua e seducente. Qualcosa mi sembrò famigliare in quell’inflessione carezzevole. «Ma non sei qui solo perché volevo convincerti, cara piccola Amber».
Tolsi le mani e incontrai uno sguardo ben diverso da quello di Samuel: occhi verdi, con una luce di follia che ricordavo bene. Il respiro si spezzò in gola e mi sentii quasi sfuggire un grido per il turbamento. Simon.
La mia mente era annebbiata per lo shock, le parole non trovarono via d’uscita. Ancor prima che tentassi di pensare a qualcosa, le mani del ragazzo scattarono in avanti e in meno di un secondo mi trovai sospesa nel vuoto, con la schiena all’indietro proprio sopra i Diavoli. Mi affannai per mantenere la presa sullo sperone con i piedi, ma già sapevo che non sarei resistita a lungo. La sola cosa che mi impediva di cadere di sotto, erano le dita di Simon strette attorno alla stoffa della canottiera.
«Fermati! Fermati! Ti prego, non farlo!»
«Ah no? Non dovrei?» Il suo viso era tranquillo, solo un sorriso gli increspava le labbra. Sentivo il vuoto sotto di me, vampate di calore che mi lambivano la schiena semi scoperta e le grida eccitate dei Diavoli. Non avrei dovuto guardare giù, ma voltai la testa e il mio sguardo raggiunse uno dei mostri nel vallone. Rideva e mi fissava come se non vedesse l’ora di avermi tra gli artigli. Brandiva una lunga lancia che puntò verso di me, reggendola con due mani. Sebbene non riuscisse a raggiungermi, sapevo che cosa avrebbe significato cadere. Non avrei potuto evitare di rimanere infilzata.
«No! Per favore!» Le lacrime iniziarono a riempirmi gli occhi e a rotolare lungo le guance. I singhiozzi mi squassavano il petto, mentre con le mani tentavo di restare ancorata a lui, stringendogli i polsi. Il sudore mi impediva di mantenere una presa salda.
«Pensi di essere capitata qui per puro caso?» chiese Simon con uno sguardo folle. Uno sguardo che solo qualche giorno prima mi aveva quasi fatto cadere ai suoi piedi e che ora riusciva solo a riempirmi di terrore. «Sei qui per una ragione…per i tuoi peccati».
«Non ho fatto niente!»
«Tu sei una peccatrice, come tutte le anime qua sotto e come me. Hai rinnegato il Signore, e lo hai fatto volontariamente. Perciò meriti una punizione adeguata. Ogni anima che arriva all’Inferno viene giudicata in base agli errori che ha commesso e percorre la scala riservata al peccato che in vita l’ha guidata. I percorsi sono rappresentati dagli altorilievi nella pietra. Sette scale, sette peccati, sette punizioni. Ti sei presa il disturbo di osservare bene quale immagine rappresenta la tua via?» Colsi il suggerimento. L’altorilievo rappresentava una donna velata, con il viso rivolto al cielo e le mani alzate, strette a pugno.
«Superbia, mia cara. Tu sei una superba. Sai che cosa vuol dire?» Non mi lasciò il tempo di rispondere, ma anche provandoci non sarebbe uscita una sola parola dalle mie labbra. Tremavo così tanto che mi sentivo le gambe deboli, ma non avevo il coraggio di cedere per paura che ciò significasse cadere di sotto e firmare la mia condanna a morte.
«Significa che sei una ragazzina altezzosa e gonfia di orgoglio, che ha deciso da sola che l’unico Dio degno di governarla non è altro che se stessa. Mi sbaglio?» Scossi la testa, la gola stretta per il pianto. Non volevo morire, e se fossi sopravvissuta, cosa improbabile, non volevo finire tra i Diavoli.
«Perché mi fai questo?» riuscii finalmente a dire, dopo aver incamerato aria sufficiente a poter articolare suoni. Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«Te l’ho già detto, non è nulla di personale, hai fatto tutto da sola. Sei tu che hai deciso di ergerti a giudice della tua vita e così hai scelto la condanna adatta a te. Di solito apprezzo chi sa ribellarsi con stile al suo Dio, ma ciò non significa che non possa divertirmi un po’ con te. Questo è solo l’inizio del tuo incubo». Qualcosa di gelido si strinse attorno alla mia caviglia, una massiccia catena simile a quella che avevo visto trascinare l’altra peccatrice.
«Io non ti ho fatto niente!» ripetei, tentando di convincerlo. «Ti scongiuro. Adesso ci credo, ci credo!» Mi trasse verso di se, allontanandomi dal vuoto e riempiendo il mio cuore di speranza. Il suo respiro sapeva di morte, un odore che mi spezzò il fiato in gola, così diverso dal profumo che mi aveva attratta la prima volta che lo avevo incontrato. Quando il suo viso fu a pochi centimetri dal mio, fece un profondo sospiro.
«Dillo in modo esatto, per cortesia. A cos’è che credi?»
«A Dio! Credo in Dio e a tutto il resto, lo giuro. Ma ora tirami su!»
Scosse la testa divertito. «No, tu menti».
«Ho detto che te lo giuro…per favore». La mia voce era sottile, ma ero certa che mi avesse sentita anche in tutto quel fracasso.
Fece un altro profondo sospiro e annuì. «D’accordo, mi hai convinto. Sono felice che tu ti sia decisa a credere». Le mie lacrime si trasformarono in sollievo, seccandosi sulle guance per le ondate di calore che mi lambivano la pelle. Simon parve issarmi sullo sperone, poi mi regalò nuovamente quel suo sorriso ammaliante. Negli occhi scorsi qualcosa di profondamente malvagio e capii ancora prima che parlasse di nuovo. Le sue labbra mi sfiorarono l’orecchio. «Questo però non cambia nulla…»
Con una lentezza quasi estenuante, le sue dita si aprirono una dopo l’altra e io mi sentii scivolare giù. Percepii con orrore il vuoto sotto di me, l’aria che mi sibilava nelle orecchie, le risate dei Diavoli. Scioccamente mulinai le braccia in aria, come se potessi di colpo realizzare di avere le ali e potermi salvare, ma continuai a cadere mentre lo sperone si allontanava, assieme a Simon che fissava la scena con le labbra increspate in un sorriso soddisfatto.
Non potei fare altro che attendere e lo strattone giunse, violento, doloroso. Ogni fibra del mio corpo parve gridare e io, frastornata, non fui in grado di mettere subito a fuoco ciò che mi attorniava. Mi stupii che le mie gambe non si fossero staccate di netto per lo strappo a fine catena, come una bambola di pezza contesa a forza tra due bambine, ma il sollievo durò poco. Attesi di smettere di oscillare, con i volti deformati dei Diavoli che mi sfilavano capovolti davanti agli occhi e i corpi dei dannati come macabro preannuncio di ciò che mi aspettava. Le orecchie mi ronzavano talmente forte che mi era difficile anche solo pensare o temere per la mia vita. Ero come annebbiata e non sapevo se considerarlo un vantaggio o una sciocca imprudenza da parte mia.
Stavo quasi per abituarmi al dolore acuto alle giunture e al calore delle fiamme che mi lambiva il viso, quando nel mio campo visivo tra le lacrime causate dal fumo acre, comparve il viso disumano dello stesso Diavolo che avevo visto sulla sommità della spaccatura, quando ancora le centinaia, migliaia di persone nella voragine erano solo vittime e io la privilegiata al sicuro. Ero diventata una di loro.
«Perdona la mia sbadataggine». La voce di Simon era lontana, difficile da collocare in tutta quella confusione, ma mi immaginavo il suo volto insolente e arrogante rivolto verso di me, con un barlume cinico negli occhi. «Ho dimenticato di accennarti in che cosa consiste la tua punizione, cara Amber. Ho detto che sarai dannata tra i superbi, e che cosa fa di preciso il superbo nel suo peccare? Alza gli occhi verso il cielo in aria di sfida, proprio come hai visto nell’altorilievo. Appesa come un salame come potrai farlo?» La sua risata mi fece rabbrividire fin nelle ossa e il Diavolo si avvicinò lentamente. Quando fu sotto di me, brandì la lancia e l’avvicinò al mio viso sfiorandomi con la punta. Il freddo del metallo sembrava quasi irreale in quella gola di fiamme.
«Ma questo non sarà sufficiente, lo puoi immaginare anche da sola. Facciamo in modo che quei begli occhi nocciola non siano più veicolo di alterigia». Gli strilli mi avvolgevano con in un manto tangibile, talmente acuti che non riuscivo a capire se fossero solo grida estranee o se stessi supplicando anche io assieme ai dannati.
Il Diavolo mi regalò un sorriso mellifluo e colmo di promesse cruente, mentre la punta metallica seguiva il contorno della mia gola, del mento e del naso, avvicinandosi a un occhio.
«No…ti prego, per favore…no…» Il mondo si offuscò, annegato nelle lacrime che mi velarono gli occhi, e la voce si spezzò nella gola stretta in una morsa gelida di terrore. Avrei voluto tenere gli occhi chiusi, ma riuscii solo a tenerli spalancati e a seguire con lo sguardo i movimenti lenti della lancia, come se non potessi distogliere l’attenzione dalla mia fine ormai vicina. Quando cominciai a credere o a sperare che il Diavolo si fosse dimenticato del suo compito, lo vidi stringere la lancia come per prendere meglio la mira e la punta scattare verso il mio viso, finché non rimase altro che oscurità e dolore.

Lo stesso buio che mi aveva allarmata, divenne una sorta di liberazione, quando aprii gli occhi in un’oscurità meno pesante e opprimente rispetto a quella del sogno.
Era un buio familiare, affettivo. Finalmente riuscivo a scorgere ciò che prima mi era stato negato, il profilo dell’armadio, della sedia e della scrivania, la cornice della finestra e della tenda, con la luce opalescente della luna, le ombre scure del comodino e dell’abat-jour.
Il silenzio della notte era scandito solo dal mio respiro affannoso. Dalle labbra senza controllo mi sfuggirono dei singhiozzi che tentai di celare coprendomi la bocca con una mano. Sapevo di aver strillato nel sonno, riuscivo a sentire nelle orecchie il grido che avevo gettato a causa dell’incubo. Il dolore percepito era cessato, ma la paura mi era rimasta incollata alla pelle come una sostanza tossica. Mi passai una mano sul viso, come per scacciare il ricordo angosciante della lancia che mi trapassava un occhio. Per un attimo fui terrorizzata all’idea di ritratte la mano macchiata di sangue, ma sulle dita brillava solo un velo di sudore.
Strinsi le ginocchia attorno al petto, nel tentativo di ritrovare un certo contegno, di infondermi coraggio e calmare il mio corpo scosso dai tremiti e dai singulti. Le guance già bagnate di lacrime accolsero nuovamente il pianto, il cuore rimbombava nella testa e sbatteva nel petto come una furia, mentre nella mente riecheggiavano le parole di Simon, il suo timbro di voce vellutato e seducente e lo schiamazzo inquietante dei Diavoli.
Con la mano ancora premuta sulla bocca e le spalle che tremavano, senza potervi porre rimedio continuai a singhiozzare, per quanto continuassi a rassicurarmi e a ripetermi che era stato solo un brutto sogno, immagini durate un attimo e senza alcun peso. Una menzogna dell’immaginazione.
La mente gettò un nuovo allarme. Spalancai gli occhi in ascolto di alcuni tonfi in lontananza. Tesi l’orecchio. Dopo qualche secondo i rumori si ripeterono e il cuore mi schizzò in gola, quando realizzai che si trattava di passi, lenti e ritmati lungo le scale di legno che conducevano al piano di sopra. Alla mia camera.
Il corpo reagì molto prima di poter riflettere sulla cosa, mi tuffai sotto le lenzuola, stringendole sopra la testa come quando da bambina ero terrorizzata dai mostri celati nel buio. Avvolsi la stoffa nelle mani, stringendo convulsamente nel tentativo di creare una protezione da qualsiasi eventuale pericolo.
I passi si avvicinarono, il legno non riuscì ad attutirli. Serrai con forza gli occhi, come se non vedere significasse diventare invulnerabile. Quando capii che i rumori si erano spostati nel corridoio, il caldo sotto le lenzuola era diventato soffocante e io ero in un bagno di sudore. Sentii la porta della camera aprirsi, i passi avvicinarsi.
È qui. Non puoi scappare.
I capelli erano incollati al viso, alla fronte, le lacrime bagnavano la stoffa del cuscino e le dita mi dolevano per la forza con cui mi ostinavo inutilmente a stringere a me le coperte. Dentro di me speravo ardentemente che fosse un altro incubo o che in realtà io non mi fossi davvero svegliata dal primo, ma sapevo in cuor mio che era solo un’altra vana illusione.
Iniziai a tremare quando il peso di un corpo si posò sul materasso e opposi in silenzio resistenza, quando qualcuno tentò di sottrarmi le coperte dalle dita, riuscendoci solo qualche secondo dopo.
Qualcuno o qualcosa.
Rimasi immobile, raggelata e irrigidita dalla paura. Anche se fossi scappata, dove potevo nascondermi? Non avevo scampo. Davanti agli occhi mi danzava l’immagine del Diavolo che mi aveva infilzata nel sogno, il suo sguardo colmo di malignità, i denti aguzzi e marci che mi sorridevano quasi con malizia.
Avrei forse dovuto lottare, ma la mano che si posò sulla mia testa sembrava tutt’altro che minacciosa. Dita fresche mi allontanarono i capelli umidi dalla fronte imperlata di sudore e io riconobbi il profumo di mia madre. La sentii salire sul letto con tutto il corpo, sebbene stringessi ancora le palpebre come se gli occhi rifiutassero la realtà che mi circondava.
«Amber?» sussurrò, nel buio. «Stai dormendo?»
Non volevo rispondere, ma il mio respiro irregolare avrebbe potuto tradirmi. Deglutii e tentai di inspirare ed espirare profondamente come se fossi immersa nel sonno. Senza aver ricevuto risposta, si sistemò sul letto avvicinandosi a me. Sentii il suo braccio posarsi sul cuscino sopra la mia testa e l’altra mano accarezzarmi il volto con un tocco leggero che ormai avevo dimenticato. Quando tempo era passato da quando mi era stata così vicina? Quand’era l’ultima volta che ricordavo di aver ricevuto il suo affetto? Abbastanza perché mi convincessi che il contatto con me fosse divenuto per lei fastidioso.
Il suo tocco fresco fu un sollievo dopo le vampate di calore e paura che mi avevano aggredita sotto le coperte. Mi accarezzò la fronte, gli zigomi, le guance, come se stesse contemplando ogni tratto del mio volto. Asciugò le lacrime con il dorso della mano, in gesti lenti che mi cullarono come nella litania di una ninna nanna. Poi interruppe il contatto, scivolò via dal letto e si alzò in piedi. I suoi passi, così come con terrore li avevo uditi avvicinarsi, si allontanarono e la porta si richiuse con un lieve scatto.
Rimasi sola, sentendomi sciocca per la sensazione di panico che mi aveva inutilmente attanagliato le membra poco prima e domandandomi se ciò che era appena accaduto fosse reale o un altro frammento di sogno.
  
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